Sentenza n. 125 del 1969
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SENTENZA N. 125

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, sul contenzioso amministrativo, e dell'art. 22, quarto comma, del decreto legge 7 agosto 1936, n. 1639, sulla riforma degli ordinamenti tributari, convertito nella legge 7 giugno 1937, n. 1016, promosso con ordinanza emessa il 30 ottobre 1967 dalla Corte d'appello di Napoli nel procedimento civile vertente tra Menichini Fortunato e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, iscritta al n. 85 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 15 giugno 1968.

Visto l'atto di costituzione dell'Amministrazione finanziaria dello Stato;

udita nell'udienza pubblica del 3 giugno 1969 la relazione del Giudice Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per l'Amministrazione finanziaria.

 

Ritenuto in fatto

 

Con avviso notificato il 22 dicembre 1960 l'ufficio distrettuale delle imposte dirette di Portici accertava a carico di Menichini Fortunato, ai fini dell'imposta di ricchezza mobile categoria B per l'esercizio finanziario 1957-1958, un reddito di lire 60 milioni per l'attività dei mutui a breve scadenza.

A seguito di ricorso dell'interessato la Commissione distrettuale delle imposte riduceva il reddito accertato a lire 18 milioni. Dopo la conferma di tale decisione da parte della Commissione provinciale, il Menichini citava in giudizio l'Amministrazione finanziaria dinanzi al tribunale di Napoli allo scopo di far dichiarare non dovuta l'imposta pretesa. Il tribunale, però, in accoglimento dell'eccezione pregiudiziale sollevata dall'Amministrazione convenuta, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, ai sensi degli artt. 6 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E e 22 del decreto legge 7 agosto 1936, n. 1639, in quanto l'imposta in contestazione non era ancora stata iscritta a ruolo.

Avverso tale sentenza il Menichini proponeva appello deducendo in via preliminare eccezione di incostituzionalità delle citate norme, in riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione, in quanto limitano il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto al cittadino. L'eccezione veniva accolta dalla Corte di appello di Napoli che, con ordinanza 30 ottobre 1967, riconosciutane la rilevanza, sospendeva il giudizio in corso rimettendo gli atti a questa Corte.

Ricorda anzitutto l'ordinanza che la portata dei precetti costituzionali invocati é stata chiarita dalla Corte costituzionale con sentenza n. 47 del 1964 nella quale pur affermandosi che l'art. 113 non impone l'"immediatezza" della tutela giurisdizionale in rapporto al sorgere del diritto, sicché la garanzia giurisdizionale é da considerarsi assicurata anche quando l'esercizio del diritto sia condizionato al preventivo verificarsi di determinati eventi, é stato tuttavia precisato che il legislatore non può frapporre arbitrarie remore alla realizzazione della tutela giurisdizionale, ma può disporre il differimento dell'azione giudiziaria soltanto qualora esso corrisponda a concrete esigenze sia della pubblica amministrazione che del privato.

Ora, secondo l'ordinanza, le disposizioni impugnate che condizionano l'esercizio dell'azione dinanzi al giudice ordinario alla pubblicazione del ruolo (art. 6) o all'iscrizione a ruolo dell'imposta (art. 22) avrebbero, nell'attuale contesto della legislazione tributaria, una giustificazione di mero carattere storico connessa ad esigenze e ragioni ormai superate quali quelle che si collegavano al principio del solve et repete stabilito dal secondo comma dell'art. 6, dichiarato incostituzionale con sentenza n. 21 del 1961. Costituendo infatti la iscrizione a ruolo il presupposto che rende esigibile il tributo e quindi praticamente attuabile il principio del solve et repete l'ulteriore condizione posta dalle norme in esame avrebbe avuto in sostanza unicamente lo scopo di rafforzare tale principio.

Eliminata, pertanto, dal sistema la regola del solve et repete é fuor di dubbio che il soggetto passivo dell'accertamento abbia interesse a far valere l'eventuale illegittimità di esso prima ancora che la relativa pretesa divenga definitiva per effetto della iscrizione a ruolo. E questo interesse si profila più che mai evidente e rilevante ove si consideri che, sopravvenuta l'iscrizione a ruolo, il credito della finanza può essere senz'altro realizzato coattivamente in forza del principio della esecutorietà degli atti amministrativi.

Le norme denunciate precludendo "a priori" ed in via assoluta la possibilità di promuovere l'accertamento giudiziale della illegittimità della pretesa fiscale prima che divenga esperibile l'azione esecutiva della finanza, rendono più svantaggiosa la posizione dei contribuenti, specialmente per coloro che non disponendo dei mezzi finanziari per pagare l'imposta siano costretti a soggiacere alla esecuzione forzata.

L'ordinanza della Corte di appello di Napoli, dopo le comunicazioni e notificazioni di rito, é stata regolarmente pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 15 giugno 1968.

Nel presente giudizio si é costituita soltanto l'amministrazione delle finanze rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, con deposito di deduzioni in cancelleria in data 14 giugno 1968.

Rileva anzitutto l'Avvocatura che l'eventuale declaratoria d'incostituzionalità delle norme denunciate non porterebbe alcuna concreta modifica di quelle disposizioni dell'ordinamento tributario che regolano l'iscrizione a ruolo definitiva e provvisoria dei tributi e che per il principio dell'esecutorietà dell'atto amministrativo di accertamento, la proposizione dell'azione giudiziaria prima dell'iscrizione a ruolo del tributo sempreché sia intervenuta almeno una decisione delle - Commissioni tributarie - non avrebbe alcuna efficacia sospensiva né della iscrizione a ruolo né della riscossione anche coattiva del tributo stesso. Infatti, il principio che subordina all'iscrizione a ruolo del tributo la proponibilità dell'azione giudiziaria e quello della esecutorietà degli atti amministrativi, hanno una giustificazione e perseguono finalità del tutto diverse ed autonome, per cui l'eventuale venir meno dell'uno non intaccherebbe o pregiudicherebbe in alcun modo l'altro.

Ricorda inoltre l'Avvocatura che l'esercizio dell'azione giudiziaria, oltre che dalle norme impugnate, é anche regolato da altre disposizioni (art. 53 del testo unico 24 agosto 1877, n. 4021; art. 120 del regolamento di ricchezza mobile 11 luglio 1907, n.560; art. 34 della legge 8 giugno 1936, n. 1231) le quali stabiliscono un termine di sei mesi entro il quale il contribuente può ricorrere all'autorità giudiziaria, termine che può decorrere o dalla pubblicazione del ruolo oppure, quando la vertenza pendente dinanzi alle Commissioni non sia stata definitivamente risolta al momento della pubblicazione del ruolo, dalla notificazione della decisione della Commissione centrale o dalla notificazione della decisione della Commissione provinciale o distrettuale divenuta definitiva. Questo termine di sei mesi dalla pubblicazione del ruolo risulta in sostanza, nell'ipotesi che sia già intervenuta la decisione delle Commissioni amministrative e che non sia stata effettuata la iscrizione a ruolo del tributo, più favorevole per il contribuente onde può osservarsi che, indipendentemente dalla condizione di proponibilità dell'azione posta dalle norme denunciate, le disposizioni che regolano sia l'iscrizione a ruolo, sia l'esercizio dell'azione giudiziaria in materia di imposte dirette tutelano in modo completo ed efficace gli interessi della pubblica Amministrazione senza trascurare la necessaria tutela degli interessi dei contribuenti.

E poiché tali disposizioni sono del tutto indipendenti dalle norme denunciate ne discende che l'eventuale dichiarazione di incostituzionalità di queste ultime, limitatamente alla menzionata condizione di proponibilità dell'azione, non infirmerebbe minimamente la validità ed efficacia delle indicate disposizioni. Entro tali limiti l'Avvocatura pertanto conclude rimettendosi alla giustizia della Corte costituzionale precisando che l'eventuale pronuncia di incostituzionalità dovrebbe riguardare solo l'ultima parte dell'art. 6, comma primo, della legge n. 2248 del 1865 e precisamente quella che esclude la competenza dell'autorità giudiziaria sulle questioni delle imposte dirette "sino a che non abbia luogo la pubblicazione dei ruoli" mentre dovrebbe rimanere in vigore la parte della stessa norma che esclude la competenza dell'autorità giudiziaria in materia di estimo catastale e di riparto di quota. Per l'art. 22 del decreto legge n. 1639 del 1936 la declaratoria di incostituzionalità dovrebbe del pari essere limitata alla frase "purché la relativa imposta sia stata iscritta a ruolo". In una memoria depositata il 21 maggio 1969 l'Avvocatura, pur assumendo che la questione sia infondata sotto tutti i profili indicati nell'ordinanza di rimessione, ha confermato che l'Amministrazione delle finanze si rimette alla giustizia della Corte.

 

Considerato in diritto

 

1. - In materia di controversie relative alle imposte dirette l'art. 6, comma primo, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E detta la regola particolare secondo la quale l'azione dinanzi all'autorità giudiziaria non é proponibile fino a quando non abbia avuto luogo la pubblicazione dei ruoli. L'art. 22, comma quarto, del decreto legge 7 agosto 1936, n. 1639, a sua volta dispone che l'autorità giudiziaria può essere adita dal contribuente anche dopo che sia intervenuta soltanto decisione definitiva della Commissione distrettuale o di quella provinciale, purché la relativa imposta sia stata iscritta a ruolo. Con l'ordinanza di rimessione viene denunciata l'incostituzionalità delle indicate disposizioni rilevandosi che, costituendo l'iscrizione e pubblicazione del ruolo una indispensabile condizione per la proponibilità dell'azione giudiziaria, é evidente che la tutela giurisdizionale del contribuente garantita dagli artt. 24 e 113 della Costituzione viene ad essere limitata ritardandosene l'esperibilità al verificarsi di un presupposto che non può ritenersi giustificato da alcun interesse dell'Amministrazione finanziaria.

2. - La questione é fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricordata dal giudice a quo, i citati precetti costituzionali consentono al legislatore ordinario di regolare modi ed efficacia della tutela giurisdizionale e di subordinarne l'esercizio al verificarsi di presupposti e condizioni differendola nel tempo. Quel che tuttavia occorre, perché una disciplina del genere non si riveli arbitraria e quindi in contrasto con il fondamentale principio della tutela giurisdizionale, é la presenza di concrete esigenze, di apprezzabili interessi il cui necessario soddisfacimento ne giustifichi l'emanazione.

Ora tutto ciò non ricorre nel caso delle norme denunciate. Esse pongono in essere un presupposto per la valida costituzione del rapporto processuale dinanzi al giudice ordinario che non appare giustificabile in relazione alla esigenza dell'amministrazione di attuazione della pretesa tributaria. La proposizione dell'azione giudiziaria, dopo l'esperimento, almeno in un grado, del ricorso dinanzi alle Commissioni tributarie e prima della iscrizione a ruolo, non preclude all'amministrazione il diritto di realizzare il suo credito. Anche in pendenza del giudizio ordinario infatti, in forza del principio generale dell'esecutorietà dell'atto amministrativo, può procedersi alla iscrizione e pubblicazione del ruolo nonché alla riscossione coattiva del tributo. Sotto tale profilo quindi l'interesse del fisco non riceve alcuna particolare tutela dalle norme impugnate.

Diversa é invece, proprio sotto l'aspetto considerato, la posizione del contribuente al quale le disposizioni in esame innegabilmente precludono di chiedere una sollecita tutela del proprio diritto ritenuto leso.

Iscrizione e pubblicazione del ruolo sono atti necessariamente conseguenti all'accertamento che assolvono alla funzione di rendere esigibile il tributo ed esperibile l'eventuale azione esecutiva della finanza. Non é sostenibile che prima della pubblicazione del ruolo manchi un interesse giuridico concreto ed attuale del contribuente a chiedere la dichiarazione giudiziale di illegittimità di un accertamento tributario già compiuto dall'amministrazione ed in relazione al quale é altresì intervenuta nella fase d'impugnazione in sede amministrativa una decisione definitiva delle competenti Commissioni tributarie. Una tempestiva azione di tutela dei propri diritti offre al contribuente maggiori possibilità di ottenere una decisione di accoglimento prima ancora che sia stata soddisfatta, in tutto o in parte, spontaneamente o in via coattiva, l'obbligazione tributaria.

Le norme denunciate, quindi, poiché non assolvono allo scopo di tutela di un interesse dell'amministrazione e limitano per contro, frapponendo un ingiustificabile ritardo, la tutela giurisdizionale del soggetto privato, vanno dichiarate costituzionalmente illegittime.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, comma primo, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, e dell'art. 22, comma quarto, del decreto legge 7 agosto 1936, n. 1639, convertito nella legge 7 giugno 1937, n. 1016, limitatamente alle parti in cui condizionano l'esercizio dell'azione del contribuente dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria alla pubblicazione del ruolo e all'iscrizione a ruolo dell'imposta.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 luglio 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria l'8 luglio 1969.