Sentenza n. 123 del 1969
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 123

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 140 del testo unico delle leggi sui servizi di riscossione delle imposte dirette, approvato con D.P.R. 15 maggio 1963 n. 858, promosso con ordinanza emessa il 22 dicembre 1967 dalla Corte d'appello di Palermo nel procedimento civile vertente tra Parrino Maria, la Cassa centrale di risparmio per le province siciliane e l'Assessorato per le finanze della Regione siciliana, iscritta al n. 40 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 20 aprile 1968.

Visti gli atti di costituzione di Parrino Maria e dell'Assessorato per le finanze della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 21 maggio 1969 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'Assessorato regionale.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel giudizio instaurato davanti il tribunale di Palermo contro la Cassa di risparmio per le province siciliane, l'attrice Parrino Maria deduceva che il suo licenziamento all'età di 55 anni per raggiunti limiti di età, doveva essere considerato illegittimo, avendo essa diritto a rimanere in servizio fino al raggiungimento dell'età di 65 anni, a sensi dell'art. 2 della legge regionale 15 aprile 1953, n. 29. Chiedeva inoltre che, qualora si dovesse ritenere applicabile la norma dell'art. 140 del testo unico delle leggi sui servizi di riscossione delle imposte dirette, approvato con D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858, il quale dispone il licenziamento dei dipendenti all'età di 55 anni se donne e di 60 anni se uomini, fosse rimessa alla Corte costituzionale la decisione sulla legittimità di detto articolo, che fissa limiti di tempo diversi per gli impiegati di sesso maschile e per quelli di sesso femminile in contrasto con gli artt. 3 e 37 della Costituzione, che stabiliscono parità di diritti fra uomo e donna in tema di rapporti di lavoro.

Il tribunale di Palermo, ritenuto applicabile nella specie il detto art. 140, nonché manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con sentenza del marzo 1967 rigettava le istanza dell'attrice. Ma nel giudizio di secondo grado la Corte d'appello di Palermo, con ordinanza del 22 dicembre 1967, ribadiva l'applicabilità dell'art. 140, e sollevava la questione di legittimità costituzionale di tale norma, conformemente alla istanza della Parrino.

La Corte d'appello osserva che l'art. 37 della Costituzione, secondo il quale la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore, é un corollario dell'art. 3 della Costituzione, cioè una applicazione - nel campo del rapporto di lavoro - del principio che tutti i cittadini hanno gli stessi diritti senza distinzione di sesso. Detto art. 37 parifica la donna all'uomo in ordine ad ogni diritto derivante dal rapporto di lavoro, compreso quello della durata di esso. Una disparità di trattamento come quella praticata dalla norma impugnata, potrebbe consentirsi soltanto con riferimento alle differenti facoltà attitudinarie dell'uomo e della donna, anche in relazione all'affermato più precoce decadimento fisico di questa e, quindi, al minore rendimento. Ma questa affermazione, scientificamente inconsistente, non può comunque avere rilevanza in tema di lavoro poco gravoso, come quello esplicato da un impiegato, le cui mansioni non richiedono particolare vigoria o speciali attitudini. L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 20 aprile 1968.

Nel giudizio innanzi questa Corte si é costituita la Parrino Maria ed é intervenuto l'Assessorato per le finanze della Regione siciliana, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

L'Avvocatura dello Stato ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata, osservando che - secondo la giurisprudenza di questa Corte - una volta accertata l'esistenza di un dato di fatto o di uno stato di cose sui quali la legge fondi una disparità di trattamento tra i cittadini, il giudizio di legittimità non investe le conseguenze che il legislatore stesso tragga da tale dato di fatto o da tale stato di cose. Il legislatore può legittimamente valutare, ai fini di una discriminazione, il più o meno precoce decadimento fisico della donna rispetto all'uomo sulla base sia del dato fisiologico della diversità di sesso, sia in relazione al migliore funzionamento degli uffici.

L'art. 140 del testo unico del 1963 ha assorbito la norma dell'art. 21 della legge 2 aprile 1958, n. 377 (Nuova disciplina del fondo di previdenza degli impiegati dipendenti da esattorie e ricevitorie delle imposte dirette) che ha abbassato i limiti di età per il godimento del diritto a pensione a 60 anni per gli uomini ed a 55 per le donne. Questa legge ha operato in tal senso in quanto il Fondo ha assunto un carattere integrativo, anziché sostitutivo, dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, in armonia con l'esigenza, man mano affermatasi, di ricondurre tutti i lavoratori alla mutualità generale. Di conseguenza, le condizioni ed i requisiti per il diritto a pensione verso il fondo dovevano essere gli stessi di quelli richiesti per il diritto a pensione nella cennata assicurazione, a termini dell'art. 9 del regio decreto legge 14 aprile 1939, n. 636.

Qualora si dovesse ritenere fondata la questione proposta, dovrebbero di riflesso essere dichiarati incostituzionali il suindicato art. 9, l'art. 21 della legge n. 377 del 1958, nonché gli articoli di tutte le altre leggi speciali, che prevedono per determinate categorie di lavoratori limiti differenziati di età fra uomini e donne per la liquidazione della pensione. Ma ciò significherebbe violare lo spirito del combinato disposto degli artt. 37 e 38 della Costituzione ed - al limite - lo stesso art. 32, giacché almeno nella generalità dei casi, sarebbe un vero e proprio attentato alla salute della donna lavoratrice pretendere che essa presti (o possa prestare) un servizio, spesso gravoso e logorante, fino all'età in cui tale servizio viene reso dall'uomo.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza della Corte d'appello di Palermo solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 140 del testo unico delle leggi sui servizi di riscossione delle imposte dirette, approvato con D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858, in quanto - disponendo che vengano mantenuti in servizio gli impiegati delle esattorie fino al 55 anno di età, se donne, ed al 60 anno, se uomini - violerebbe gli artt. 3 e 37 della Costituzione, i quali garantiscono alla donna lavoratrice parità di diritti rispetto al lavoratore.

La questione non é fondata.

2. - Occorre preliminarmente porre in rilievo che il fondo di previdenza per i dipendenti delle esattorie e ricevitorie delle imposte dirette - riordinato con la legge 2 aprile 1958, n. 377 - ha assunto la struttura di una gestione autonoma in seno all'Istituto nazionale della previdenza sociale, e si é uniformato ai princìpi della assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti. Pertanto, l'art. 21 della suindicata legge n. 377 del 1958 dispone - in conformità con l'art. 9 del regio decreto legge 14 aprile 1939, n. 636, sul riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria generale - che gli iscritti al fondo hanno diritto alla pensione quando possano far valere almeno 15 anni di contribuzione ed abbiano compiuto l'età di 60 anni se uomini e di 55, se donne.

L'art. 140 del testo unico n. 858, del 1963, che é stato impugnato, disciplina la posizione dei dipendenti delle esattorie o ricevitorie, nel momento della scadenza o della cessazione del contratto di esattoria, disponendo che il personale iscritto al fondo ha diritto di essere mantenuto in servizio senza soluzione di continuità. Non hanno tuttavia tale diritto quegli impiegati che abbiano raggiunto l'età di 60 anni se uomini e di 55 se donne ed abbiano maturato il diritto a pensione. Qualora all'età sopraindicata essi non abbiano ancora maturato tale diritto sono mantenuti in servizio fino a quando lo maturino, ma non oltre i cinque anni. Pertanto, diritto al mantenimento in servizio e diritto alla pensione sono intimamente legati: il primo cessa quando sorge il secondo; per l'uno e per l'altro identica é l'età di 60 o di 55 anni.

3. - Secondo l'art. 37 della Costituzione, la donna ha gli stessi diritti e - a parità di lavoro - le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Sostanzialmente viene applicato in materia di lavoro il principio di eguaglianza di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, proclamato in via generale dall'articolo 3.

Vale pertanto anche in questa materia quanto ha già costantemente ritenuto questa Corte, che cioè la Costituzione non vuole un livellamento generale, né una eguaglianza meccanicamente applicata, ma - tenendo conto delle esigenze dell'ordine giuridico e sociale - non si può prescindere dalla ragionevole differenziazione di rapporti e di situazioni. In riferimento ad obbiettive diversità, sarebbe infatti contrario al principio di eguaglianza un trattamento non differenziato.

Alla stregua di tali considerazioni, la Corte ritiene che non é né irrazionale né arbitrario il principio, discrezionalmente fissato dal legislatore, in termini di generalità, che l'uomo possa essere licenziato quando abbia raggiunto l'età di 60 anni e la donna quella di 55 anni, ed abbiano maturato il diritto a pensione. Già é stato rilevato che sussistono innegabilmente particolari attitudini, che rendono i cittadini dell'uno o dell'altro sesso idonei a determinati uffici, e di tali attitudini il legislatore può tenere discrezionalmente conto (sentenza n. 56 del 1958).

Anche l'ordinanza di rimessione riconosce che un criterio obbiettivamente attitudinario può essere ammesso come giusta causa di differenziato trattamento fra uomo e donna. Orbene, il fatto di potere utilizzare le prestazioni della donna fino a 55 anni, piuttosto che fino a 60, tenendo conto della costituzione, della capacità, della resistenza a particolari lavori faticosi, del rendimento e di altri fattori, che si compendiano nel termine attitudine, importa una valutazione tecnica, normalmente consentita al legislatore. Necessità di adottare principi uniformi per tutte le svariate categorie di donne lavoratrici, nel vasto campo della assicurazione obbligatoria generale, non consente evidentemente la distinzione fra lavoro e lavoro, oppure fra condizioni soggettive, - anche per non creare inutili e dannose discriminazioni nello stesso ufficio o nella stessa fabbrica - sicché il legislatore razionalmente ha ritenuto di adottare un unico criterio generale, fissando l'età di 55 anni perché la donna acquisisca il diritto a pensione. E, se il legislatore é partito dal presupposto che la attitudine al lavoro, in via di massima, viene meno nella donna prima che nell'uomo, in genere di maggiore resistenza fisica, non può dirsi che siffatta valutazione del legislatore sia arbitraria.

4. - Per altro, la norma impugnata non viola, sotto un diverso profilo, il principio di parità di diritti della donna lavoratrice. Ed invero, la norma costituzionale non afferma soltanto questa parità, ma intende altresì salvaguardare l'essenzialità della funzione familiare della donna. Perciò, rimette al legislatore il potere di fare alla donna un trattamento differenziato, stabilendo condizioni di lavoro che le permettano di curare gli interessi familiari. La Corte ritiene che rientri fra questi poteri, sia pure in modo indiretto, anche quello di limitare nel tempo il periodo in cui la donna venga distratta dalle cure familiari e di consentire che, giunta ad una certa età, essa torni ad accudire esclusivamente alla famiglia, con l'apporto anche di quella pensione che le spetta. L'art. 37 fa espressamente una riserva di legge per il limite minimo di età per il lavoro salariato della donna; e le ragioni che suffragano tale riserva possono, quando meno in parte, valere per la fissazione di un limite massimo di età in connessione con l'assicurazione generale obbligatoria.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 140 del testo unico delle leggi sui servizi di riscossione delle imposte dirette approvato con D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858 (mantenimento in servizio del personale delle esattorie e ricevitorie), proposta in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, con ordinanza della Corte di appello di Palermo del 22 dicembre 1967.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 luglio 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1969.