Sentenza n. 116 del 1969
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SENTENZA N. 116

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 67, comma primo, del R.D. 17 agosto 1935, n. 1765 (disposizioni per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 28 dicembre 1967 dal tribunale di Enna nel procedimento civile vertente tra Viavattene Filippo e l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, iscritta al n. 23 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 84 del 30 marzo 1968.

Visti gli atti di costituzione di Viavattene Filippo e dell'I.N.A.I.L. e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 7 maggio 1969 la relazione del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Valerio Flamini, per l'I.N.A.I.L., e il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con citazione del 20 marzo 1964 Filippo Viavattene, assumendo di essere affetto da malattia professionale causata da inalazione di anidride solforosa e denunciata nei termini di legge, e premesso che aveva inoltrato regolare domanda alla sede competente dell'I.N.A.I.L. al fine di ottenere la costituzione in suo favore della rendita per inabilità permanente e che detta domanda era stata respinta sotto il profilo che il diritto di cui si chiedeva il riconoscimento si era prescritto, conveniva in giudizio, davanti al tribunale di Enna, l'I.N.A.I.L. e ne chiedeva la condanna alla costituzione in suo favore della rendita per inabilità permanente.

L'I.N.A.I.L., costituitosi in giudizio, deduceva che la malattia professionale dell'attore risaliva al 1956, che al riguardo erano state presentate due denunce (la prima il 20 gennaio 1959 e la seconda il 13 dicembre 1962) e che entrambe le pratiche erano state chiuse negativamente per prescrizione del preteso diritto a sensi del primo comma dell'art. 67 del R.D. 17 agosto 1935, n. 1765, e chiedeva che, accertata la prescrizione, fosse dichiarata inammissibile o comunque fosse rigettata la domanda.

A mezzo di consulenza tecnica disposta dal collegio, si accertava che il Viavattene era affetto da malattia professionale per protratta inalazione di anidride solforosa, con un grado di inabilità attuale del 40 per cento e che la tecnopatia aveva ridotte le attitudini del soggetto nella misura minima perché fosse indennizzabile, non prima del dicembre 1961.

Successivamente il tribunale, con ordinanza del 28 dicembre 1967, sollevava la questione di legittimità costituzionale del citato art. 67, comma primo, del R.D. 17 agosto (e non giugno, come erroneamente detto nella ordinanza) 1935, n. 1765, in riferimento all'art. 38, comma secondo, della Costituzione.

Osservava, in punto di fatto, il tribunale che la (unica) malattia denunziata dal Viavattene si era manifestata con i caratteri della permanenza e della cronicità al più tardi tra la fine del 1958 ed i primi del 1959. Rilevava che, a sensi del citato art. 67 e dell'art.23 del R.D. 15 dicembre 1936, n. 2276, il diritto a conseguire la rendita per inabilità permanente (e le altre prestazioni previste dal primo decreto) si prescrive nel termine di un anno dal giorno dell'infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale e che tale termine rimane sospeso per non più di novanta giorni per lo svolgimento della procedura amministrativa di liquidazione.

Conseguentemente, dichiarava che la prescrizione della malattia professionale, escludendo che, in base a differente interpretazione dell'art. 67, il legislatore avesse voluto farla decorrere dal giorno in cui l'assicurato avesse acquisito il diritto sostanziale alle prestazioni per effetto del verificarsi delle condizioni cui la legge subordina la nascita del diritto.

E concludeva nel senso che il termine iniziale della prescrizione dell'azione per conseguire la rendita per inabilità da malattia professionale é il giorno in cui la malattia si manifesta e non già quello in cui essa determina un grado di inabilità superiore al 20 per cento.

Stante ciò, il tribunale rilevava che l'attore aveva convenuto l'I.N.A.I.L. in giudizio ben oltre i quindici mesi dalla manifestazione della malattia e che, in conseguenza, l'azione da lui proposta doveva considerarsi prescritta. Non poteva d'altra parte, trovare applicazione alla fattispecie l'art. 16 della legge 19 gennaio 1963, n. 15, che aveva elevato a tre anni il ripetuto termine di prescrizione perché, quando la nuova norma era entrata in vigore, il diritto del Viavattene si era già prescritto per decorso del termine e non esisteva tra le parti una controversia nel senso voluto dal secondo comma di quell'articolo. E in ogni caso nel fatto che l'I.N.A.I.L. avesse disposto visita medica collegiale non poteva vedersi una rinunzia alla già eccepita prescrizione.

Così precisati i termini della questione, il tribunale di Enna rilevava che la norma in oggetto, se pure ispirata al sano criterio di politica legislativa di favorire la rapida risoluzione delle controversie in materia di infortuni sul lavoro, non poteva non suscitare serie perplessità in ordine alla sua legittimità costituzionale in riferimento al citato art. 38, comma secondo, della Costituzione.

Tale disciplina, per altro in contrasto col principio secondo cui non può iniziare a decorrere il termine di prescrizione di un diritto fin tanto che lo stesso non é venuto in essere, sarebbe causa di gravi inconvenienti. Qualora, infatti, l'assicurato dovesse raggiungere il grado minimo di inabilità conseguente ad una malattia professionale al di là dell'anzidetto termine dalla manifestazione di essa e si facesse a chiedere all'Istituto la rendita spettantegli, la sua azione sarebbe di già prescritta. Né ciò sarebbe evitabile, perché non é consentito porre a carico dell'assicurato per poter interrompere la prescrizione e per poter successivamente agire in sede di revisione, l'onere di promuovere il giudizio contro l'istituto, ben sapendo di non avere diritto alla rendita e d'andare incontro a sicura soccombenza con il relativo carico delle spese. Non basta attribuire ai lavoratori affetti da malattia professionale il diritto ad una rendita, ma occorre anche metterli in grado di conseguirla concretamente quando essa competa. Ora, la norma denunciata non risponde a questa esigenza, perché prevede un termine di prescrizione troppo breve e ne fissa per di più la decorrenza dal giorno della manifestazione della malattia professionale, con la conseguenza che il lavoratore può incorrere nella prescrizione e quindi nell'estinzione del diritto alla rendita, quando ancora tale diritto non é sorto.

In tal modo il diritto alla rendita rimane frustrato e si vanifica quindi il precetto costituzionale che riconosce il diritto dei lavoratori ai mezzi adeguati alle loro esigenze per il caso di malattia professionale.

Nella specie - secondo il tribunale - si sarebbe verificata proprio l'anzidetta ipotesi: il Viavattene, infatti avrebbe raggiunto il grado minimo di inabilità nel dicembre del 1961 quando ormai erano trascorsi i quindici mesi dalla manifestazione della malattia verificatesi tra la fine del 1958 e i primi del 1959.

Sotto il profilo della rilevanza, infine, il tribunale sottolineava l'applicabilità al caso controverso del più volte citato art. 67, nonostante la successiva normativa introdotta con la legge n. 15 del 1963, con la conseguenza che qualora fosse dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma impugnata, non potrebbe essere accolta la sollevata eccezione di prescrizione del diritto alla rendita per invalidità permanente.

L'ordinanza veniva ritualmente notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 30 marzo 1968.

Davanti a questa Corte si costituivano il Viavattene con deduzioni depositate il 19 aprile 1968 e l'I.N.A.I.L., con deduzioni depositate lo stesso giorno e spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri con atto depositato il 27 agosto 1968.

La difesa del Viavattene concludeva per la fondatezza della sollevata questione, ribadendo il contrasto della norma denunciata con l'art. 38, comma secondo, della Costituzione, sotto il profilo che la decorrenza del termine di prescrizione dalla data dell'infortunio o della manifestazione della malattia professionale frustrerebbe il diritto del lavoratore a conseguire la rendita per inabilità permanente qualora tra la manifestazione della tecnopatia ed il raggiungimento del minimo di inabilità indennizzabile dovesse intercorrere un periodo superiore ai quindici mesi.

L'I.N.A.I.L., invece, con un ampio scritto difensivo, concludeva per la infondatezza della sollevata questione. Sosteneva l'Istituto che il complesso ordinamento dell'assicurazione sociale, per un verso, importa il sorgere del diritto a favore dell'infortunato a seguito dell'accertamento di una invalidità lavorativa superiore al 20 per cento; per altro verso, determina precise modalità di esercizio del diritto, al fine di consentire l'instaurazione del procedimento amministrativo attraverso cui l'Ente dovrà operare l'accertamento dell'infermità. Entro codesti limiti, secondo l'I.N.A.I.L., deve essere inquadrata la norma concernente la prescrizione, la quale tiene conto del tempo necessario per l'espletamento del procedimento amministrativo, in relazione al quale predispone un adeguato periodo di sospensione del corso della prescrizione.

Proseguiva la difesa dell'I.N.A.I.L. che il dubbio di legittimità costituzionale prospettato dal tribunale, con riferimento alla circostanza che il termine di prescrizione decorre dalla data di manifestazione della malattia e non dalla diversa data dell'eventuale realizzarsi della condizione di inabilità superiore alla percentuale minima fissata dalla legge, trae origine da un equivoco consistente nell'"attribuire esclusivamente alla individuale iniziativa e valutazione dell'assistito l'accertamento e la valutazione dei presupposti legislativi per la costituzione della rendita". Codesta impostazione non tiene conto di altre norme (artt. 23 del R.D. n. 2276 del 1936 e 62 del regio decreto 25 gennaio 1937, n. 200) che individuano e determinano legislativamente il concetto di manifestazione della malattia professionale avuto riguardo alle due ipotesi che detta manifestazione si verifichi nel corso e dopo la cessazione della lavorazione che vi ha dato causa. In quest'ultima ipotesi il lavoratore avrebbe soltanto l'onere di presentare la denuncia di malattia e sarebbe del tutto conseguenziale il procedimento amministrativo diretto all'accertamento delle condizioni di legge.

Inoltre, secondo l'I.N.A.I.L., seguendosi l'insegnamento della Corte di cassazione, deve essere tenuto presente l'art. 25 del citato decreto n. 1765 del 1935 che consente la revisione del provvedimento nell'ipotesi di aggravamento della malattia professionale, rispetto alla quale sia già stata emessa una pronuncia di guarigione senza postumi indennizzabili.

La difesa dell'I.N.A.I.L. concludeva nel senso che, inquadrata nel sistema normativo della legislazione concernente la disciplina degli infortuni sul lavoro, la norma impugnata lungi dal contrastare con il dettato dell'art. 38, comma secondo della Costituzione, ne costituisce in certa misura attuazione in quanto consente la possibilità per l'infortunato di adire, qualora sia decorso inutilmente il termine per il compimento della procedura amministrativa, l'autorità giudiziaria. Che poi l'esercizio di tale diritto trovi un limite temporale nella prescrizione, non contrasta con alcun principio costituzionale essendo pacifico che la garanzia costituzionale dei diritti non ne implica necessariamente la imprescrittibilità. D'altra parte nella valutazione della congruità del termine di prescrizione, deve farsi riferimento non soltanto all'interesse del singolo, bensì anche a quello generale di cui l'Ente é portatore.

L'Avvocatura generale dello Stato, a sostegno della richiesta che la sollevata questione fosse dichiarata infondata da questa Corte, puntualizzava le proprie argomentazioni sulla circostanza, posta in luce da recenti pronunce della Corte di cassazione, che l'assicurato in atto fruente di rendita é equiparato al titolare potenziale del diritto alla rendita, con la conseguenza che, in applicazione dell'art. 25 del decreto n. 1765 del 1935 e sulla base della ratio legis, l'infortunato ha diritto di ottenere la revisione del giudizio negativo sull'inabilità. Pertanto, interpretandosi secondo tale impostazione l'art. 67 citato, sosteneva che si debba pervenire alla conclusione che, nell'ipotesi indicata, la decorrenza del termine prescrizionale deve essere fissata con riferimento all'aggravarsi della malattia.

Con memoria depositata il 24 aprile 1969 la difesa del Viavattene si opponeva alle argomentazioni dell'I.N.A.I.L. secondo cui il lavoratore assicurato potrebbe denunciare all'Istituto la malattia professionale e, in caso di negazione dell'esistenza di postumi indennizzabili, acquietarsi al giudizio dell'Istituto medesimo, per poi, se del caso, proporre domanda di revisione. E osservava che il tribunale che, per altro, non si era dato carico di approfondire il concetto di manifestazione della malattia aveva preso in considerazione una ben diversa e specifica ipotesi. Concludeva sottolineando la brevità del termine di prescrizione previsto dal più volte citato art. 67, del quale pertanto, anche sotto questo profilo, sarebbe evidente l'illegittimità costituzionale.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri con memoria depositata in data 23 aprile 1969, invece, insisteva perché venisse dichiarata la non fondatezza della questione.

In particolare, dopo avere richiamato le argomentazioni svolte nell'atto di intervento e deduzioni, l'Avvocatura dello Stato, premesso che il diritto alla costituzione della rendita per malattia professionale sorge con l'accertamento di una inabilità permanente che sia indennizzabile, precisava che, seguendosi l'orientamento espresso da recenti pronunce della Corte di cassazione (e da ultimo dalla sentenza 21 gennaio 1967 n. 194), l'art. 67, comma primo, più volte citato deve ritenersi faccia riferimento alla ipotesi normale di malattia professionale inizialmente manifestatasi con la prescritta percentuale di inabilità al lavoro, ma non esclude che quando si chieda, in sede di revisione, il riconoscimento ex novo dell'inabilità permanente, il termine prescrizionale decorra dalla data di aggravamento della malattia. Ciò, per altro, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2935 del Codice civile, secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Alla luce di tale interpretazione, la norma impugnata - secondo l'Avvocatura - non presenterebbe elementi di illegittimità costituzionale, dato che essa garantisce in ogni ipotesi la tutela del lavoratore che richieda la costituzione di una rendita per inabilità permanente derivata da malattia professionale.

 

Considerato in diritto

 

1. - Dopo avere dichiarato che la malattia professionale da cui era affetto il Viavattene (bronchite da inalazione di anidride solforosa) si era manifestata con le note della permanenza e della cronicità alla fine del 1958 o ai primi del 1959 e che la conseguente inabilità permanente aveva raggiunto il grado minimo di indennizzabilità nel dicembre 1961, il tribunale di Enna ha osservato che, a causa di ciò, la domanda giudiziale diretta alla costituzione della relativa rendita sarebbe stata proposta (il 20 marzo 1964) al di là del termine prescrizionale previsto dall'art. 67, comma primo, del R.D. 17 agosto 1935, n. 1765, e decorrente dal giorno della manifestazione della malattia professionale.

Senonché il tribunale ha considerato rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale del detto art. 67, comma primo, in riferimento all'art. 38, comma secondo, della Costituzione.

2. - La questione, come sopra proposta, é fondata.

L'art. 67, comma primo, del decreto n. 1765 del 1935, il quale dispone che "l'azione per conseguire le prestazioni stabilite nel presente decreto si prescrive nel termine di un anno dal giorno... della manifestazione della malattia professionale", é dettato per l'ipotesi, normale, in cui tra l'insorgere della malattia professionale con le note della permanenza e della cronicità, e l'esistenza di postumi comportanti una inabilità permanente indennizzabile (e cioè di grado superiore al 20 per cento) non passi uno spazio di tempo relativamente lungo. In tale caso, ed in forza di quella disciplina trovano adeguata tutela due esigenze che immediatamente fanno capo rispettivamente all'I.N.A.I.L. ed all'assicurato: quella di mettere l'Istituto in condizione di dar corso al procedimento di accertamento dell'esistenza e dell'indennizzabilità della malattia professionale, poco tempo dopo che questa si sia in fatto manifestata, e l'altra esigenza, propria dell'assicurato, di conseguire con prontezza le prestazioni (e tra le altre, la rendita per inabilità permanente).

Nella previsione normativa rientrano però altre ipotesi ed in particolare quella prospettata dal tribunale e alla quale si adatterebbe il caso di specie. Non si può non tenere presente infatti, l'eventualità che l'inabilità permanente causata dalla malattia professionale diventi indennizzabile, e cioè sia di grado superiore al 20 per cento, quando ormai si sia maturato in termine prescrizionale.

Va da sé che in tal caso, può dirsi verificata la prescrizione se ed in quanto si ritenga che il relativo termine debba decorrere dal giorno della manifestazione della malattia professionale e non si attribuisca rilevanza all'esistenza o meno, in concreto, dell'inabilità indennizzabile.

Ma codesto é il risultato al quale si perviene attraverso la corretta interpretazione dell'art. 67, comma primo. Gioca decisamente al riguardo la circostanza che l'I.N.A.I.L., appena abbia ricevuto, nei modi di legge, la denuncia della malattia professionale, deve dar corso al procedimento per accertare la natura e la portata della malattia professionale, ai fini della corresponsione delle previste prestazioni.

Inoltre, pur potendosi rilevare che la regola enunciata non concorda con il principio consacrato nell'art. 2935 del Codice civile, secondo cui "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere" (ed in subiecta materia, con la tesi secondo cui il dies a quo decorre non dal giorno della manifestazione della malattia professionale sebbene da quello in cui l'inabilità permanente diventi indennizzabile), deve osservarsi che l'art. 67, comma primo, si riferisce al caso di prima liquidazione della rendita e che, secondo un deciso orientamento giurisprudenziale, e sostanzialmente in applicazione dello stesso art. 2935 del Codice civile, il termine prescrizionale di cui all'art. 67, comma primo, é sicuramente operante anche a proposito della revisione. Ma in tal caso esso comincia a decorrere dall'aggravamento (o dalla ricaduta) della malattia professionale e quindi in sostanza dal raggiungimento in fatto della inabilità permanente indennizzabile. Tutto ciò, però, non comporta che, nell'ipotesi di prima liquidazione, si debba considerare valida ed operante la regola individuata a proposito della revisione, o in altri termini, che quest'ultima regola sia il risultato di una pretesa interpretazione logica dell'art. 67, comma primo. Resta tuttavia indubbiamente meritevole di considerazione la esigenza che sta a base di essa e che, se non determina il superamento del dato letterale, certamente condiziona e limita l'interpretazione che ne consegue.

3. - L'ipotesi che il tribunale di Enna si é prospettata e nella quale rientrerebbe il caso del Viavattene, é caratterizzata da una denuncia effettuata (il 20 gennaio 1959) tosto che si era avuta (alla fine del 1958 o ai primi del 1959) la manifestazione (in concreto) della malattia professionale, e dall'insorgenza dell'inabilità permanente di grado indennizzabile (che si sarebbe avuta solo nel dicembre del 1961) ben oltre il termine di prescrizione dell'azione.

L'art. 67, comma primo, dettato per tutte le ipotesi di prima liquidazione della rendita e quindi anche per l'ipotesi sopra prospettata, viene sostanzialmente, come osserva il tribunale di Enna, a frustrare il diritto dell'assicurato alla rendita per inabilità permanente. Nonostante il venir ad esistenza dei presupposti di legge, il diritto dell'assicurato si estinguerebbe per prescrizione e l'azione verrebbe ad essere paralizzata dalla proposizione della relativa eccezione da parte dell'Istituto.

Messa a raffronto tale normativa con il dettato dell'art. 38, comma secondo, della Costituzione, come ha fatto il giudice a quo, si rende evidente un sicuro contrasto. Il diritto dei lavoratori acché siano garantiti mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di malattia, certamente assicurato dalle norme vigenti in materia, non lo é più, in termini concreti, nell'ipotesi a riferimento. E l'art. 38, comma secondo, in questa ipotesi, pertanto si viene a vanificare.

Non può, perciò, non riconoscersi la fondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale, con la conseguenza che debba essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 67, comma primo, del decreto n. 1765 del 1935 nella parte in cui é prevista la prescrittibilità dell'azione per il conseguimento della rendita per inabilità permanente derivante da malattia professionale nonostante che, entro il relativo termine, l'inabilità permanente non abbia raggiunto il grado minimo per l'indennizzabilità. Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma in parte qua discende che, verificandosi in concreto un fatto capace di rientrare in quella previsione normativa, il diritto alla rendita può essere fatto valere nei modi o termini previsti per la revisione. Di questa ci si può servire non solo nel caso di modifica da apportare ad un precedente provvedimento (per lo più positivo, emesso dall'Istituto, ma anche nel caso di costituzione della rendita e cioè di prima liquidazione della stessa, dovendosi considerare come posti sullo stesso piano e l'aggravamento dei postumi (già ritenuti indennizzabili) ed il raggiungimento del grado minimo indennizzabile e dovendosi, correlativamente, secondo la più recente giurisprudenza, considerare sullo stesso piano il titolare effettivo e quello potenziale della rendita.

4. - Le ragioni che inducono a considerare illegittimo costituzionalmente l'art. 67, comma primo, del citato decreto n. 1765 del 1935, ricorrono, anche a proposito dell'art. 16, comma primo, della legge 19 gennaio 1963, n. 15 (riprodotto nell'art. 112, comma primo, del testo unico 30 giugno 1965, n. 1124) che ha portato da un anno a tre anni il termine prescrizionale in oggetto. Nonostante che in base a tali disposizioni l'effetto estintivo della prescrizione consegua al mancato esercizio del diritto protratto per un periodo di tempo molto più lungo del precedente e quindi si presenti ben più difficile a verificarsi l'eventualità che il minimo sufficiente di inabilità permanente sia raggiunto al di là della scadenza del termine prescrizionale, la ricorrente comunanza di ragioni comporta, a sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di illegittimità costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 67, comma primo, del regio decreto 17 agosto 1935, n. 1765 (disposizioni per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali), nella parte in cui dispone che l'azione per conseguire dall'I.N.A.I.L. la rendita per inabilità permanente si prescrive col decorso del termine ivi previsto anche nel caso in cui entro lo stesso termine tale inabilità non abbia ridotto l'attitudine al lavoro in misura superiore al minimo indennizzabile;

dichiara altresì, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, comma primo, della legge 19 gennaio 1963, n. 15 (modifiche e integrazioni al regio decreto 17 agosto 1935, n. 1765) nonché dell'art. 112, comma primo, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria l'8 luglio 1969.