Sentenza 78 del 1969
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SENTENZA N. 78

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

AVV. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 140 del Codice penale e degli artt. 301 e 587 del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 febbraio 1968 dal giudice istruttore del tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Lambrilli Alvido ed altri, iscritta al n. 36 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 20 aprile 1968.

Visti gli atti di costituzione di Lambrilli Alvido e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 20 marzo 1969 la relazione del Giudice Vezio Crisafulli;

uditi l'avv. Domenico Marafioti, per Lambrilli, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa in data 22 febbraio 1968, il giudice istruttore presso il Tribunale di Roma nel corso di un procedimento penale a carico di Lambrilli Alvido ed altri, imputati di vari reati, tra i quali quello di corruzione e di interesse privato in atti di ufficio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 140 del Codice penale, 301 e 587 del Codice di procedura penale, limitatamente alla disposizione sulla provvisoria sospensione dall'esercizio dei pubblici uffici, per contrasto con la norma di cui all'art. 27, capoverso, della Costituzione, secondo cui l'imputato non é considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Ritenuta la rilevanza della questione ai fini del decidere, posto che il pubblico ministero aveva richiesto nei confronti del Lambrilli che fosse ordinata la sospensione provvisoria dall'esercizio dei pubblici uffici, il giudice a quo, pur avendo presente che la norma di cui all'art. 140 del codice penale potrebbe interpretarsi, secondo l'orientamento prevalente in dottrina, come una misura cautelare a carattere processuale pienamente compatibile con la Costituzione, osserva che la misura in esame é peraltro qualificata e raffigurata come "pena provvisoria" non soltanto nelle rubriche (cfr. artt. 140 del Cod. pen., già innanzi ricordato, 301, 400 e 485 del Cod. proc. pen.) ma anche nel testo della legge (v. ancora l'art. 301 del Cod. proc. pen.), per cui potrebbe sembrare una anticipata inflizione all'imputato di quello stesso trattamento punitivo, che dovrebbe scaturire esclusivamente da una sentenza irrevocabile di condanna; nessuna concreta diversità di regime sarebbe data scorgere, infatti, tra l'applicazione provvisoria e quella definitiva delle pene accessorie, essendo persino prevista - anche nel primo caso - l'annotazione nella scheda del casellario giudiziale (cfr. art. 587, ultimo comma, del Cod. proc. pen.) che non é prevista per la custodia preventiva, vera e propria misura processuale cautelare.

L'ordinanza é stata ritualmente comunicata e notificata, nonché pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 20 aprile 1968.

2. - Si é costituita in giudizio la difesa del Lambrilli con deduzioni depositate il 4 aprile 1968, seguite da memoria depositata il 27 febbraio 1969, ampliando gli argomenti, già dedotti nell'ordinanza di rinvio, a sostegno della illegittimità costituzionale della normativa denunciata; rilevando, inoltre, che la sospensione provvisoria dall'esercizio dei pubblici uffici, applicata in pendenza di giudizio, non risponderebbe ad alcun fine cautelare neppure in riferimento alle esigenze processuali della acquisizione della prova e dell'accertamento della verità e contrasterebbe anche con i principi costituzionali del diritto di difesa in giudizio e con quello della precostituzione del giudice (rispettivamente, artt. 24 e 25 della Costituzione), per quanto non compresi nei termini della questione così come prospettati dal giudice a quo. La parte privata conclude chiedendo sia travolta nella declaratoria di incostituzionalità anche la disposizione di cui all'art. 485 del Codice di procedura penale, che consente l'applicazione della sospensione anzidetta anche con la sentenza di condanna non ancora definitiva.

3. - É intervenuto in giudizio, con atto depositato il 9 aprile 1968, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, deducendo che i provvedimenti interdittivi di cui all'art. 140 del Codice penale non avrebbero il contenuto ed il carattere proprio della pena, ma di una misura cautelativa, come la carcerazione preventiva, che si limiterebbe a sospendere provvisoriamente l'esercizio di certi diritti, che non potrebbero essere tolti o diminuiti giuridicamente se non con la inflizione della vera e propria pena interdittiva.

La equivalenza rispetto alla carcerazione preventiva sarebbe, del resto, confermata dalla norma che, analogamente a quanto stabilito per quella misura, dispone il computo del tempo della sospensione provvisoria nella durata della pena accessoria. Ed ulteriore argomento a favore di questa tesi si trarrebbe, dal punto di vista processuale, dalla forma con la quale il provvedimento in questione é adottato: la forma, cioè del decreto motivato, la cui immediata esecutività deriverebbe appunto dalla sua natura provvisoria e cautelare, mentre la sua annotazione nel casellario sarebbe da ricostruire come una anomalia nel sistema, la cui ratio non sembra facilmente spiegabile, insufficiente comunque da sola ad infirmare la validità dell'assunto innanzi accennato. Per conseguenza, le conclusioni dell'Avvocatura dello Stato si sostanziano in una richiesta di infondatezza della questione in oggetto.

4. - Nella pubblica udienza la difesa del Lambrilli e l'Avvocatura dello Stato hanno insistito nelle conclusioni già formulate.

 

Considerato in diritto

 

L'ordinanza propone il dubbio sulla legittimità costituzionale degli artt. 140 del Codice penale e 301 e 587 del Codice di procedura penale, "limitatamente alla sospensione provvisoria dai pubblici uffici", che era la misura applicabile nella specie, basandosi essenzialmente sulla locuzione usata dal legislatore, che, così nella rubrica delle disposizioni denunciate, come anche, a volte, nel testo di talune disposizioni, quali lo stesso art. 301 e l'art. 485 del Codice di procedura penale, si riferisce ad una applicazione provvisoria di "pene accessorie". Di qui il possibile contrasto con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione, secondo cui l'imputato non é considerato colpevole fino alla condanna definitiva.

Ma la questione non é fondata. La semplice circostanza che, per brevità e comodità di espressione, i Codici designino riassuntivamente i provvedimenti di cui all'art. 140 del Codice penale come applicazione provvisoria di pene accessorie, avendo riguardo alle analogie strutturali di quei provvedimenti con alcune tra le pene accessorie elencate nell'art. 19 del Codice penale, non é da sola sufficiente a far concludere per la natura giuridica di vere e proprie pene delle misure così adottate.

Quali che siano le denominazioni giuridiche adoperate nei testi legislativi, la determinazione della natura di un istituto é compito spettante all'interprete, la nomenclatura legislativa potendo valere semmai come uno tra i vari elementi suscettibili di concorrere alla precisa individuazione del significato oggettivamente risultante dai testi medesimi.

Ora, se ben si guarda alle finalità cui é preordinata la disposizione dell'art. 140 del Codice penale ed ai caratteri che contrassegnano le misure in esso previste, deve concludersi che si tratta di misure cautelari, e non di sanzioni penali irrogate prima del giudizio e quasi anticipandone i risultati. Le misure applicabili dal giudice istruttore sono piuttosto assimilabili, da questo punto di vista, alle misure di prevenzione, e questa Corte ha già avuto occasione di affermare che l'applicazione di misure di prevenzione, anche se restrittive della libertà personale, non contrasta con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione (sent. 4 marzo 1964, n. 23; sentenza 8 febbraio 1962, n. 6).

Ovviamente, prima di procedere all'applicazione di una delle misure di cui all'art. 140, il giudice deve sommariamente valutare, tra l'altro, il fumus boni juris dell'accusa, com'é appunto prescritto dallo stesso art. 140 e com'é regola generale nel nostro ordinamento processuale per qualsiasi specie di provvedimenti cautelari. Ma una tale valutazione, che rappresenta comunque una garanzia per l'imputato e non differisce qualitativamente da quelle previste negli artt. 252 e 374 del Codice di procedura penale ai fini della emissione di ordini o mandati, nonché rispettivamente, del rinvio a giudizio, non viola la presunzione di non colpevolezza enunciata nel secondo comma dell'art. 27 della Costituzione, per il suo carattere meramente delibativo in ordine alla adozione o meno del provvedimento sospensivo e perché destinata comunque ad esaurirsi in quel momento.

Carattere e finalità cautelari presenta altresì la iscrizione nel casellario giudiziale della misura applicata, così com'é disposto dall'art. 587, ultimo comma, del Codice di procedura penale, poiché detta iscrizione realizza una forma di pubblicità necessaria per una più efficace tutela degli interessi che lo stesso art. 140 tende a proteggere. Certo, se, per assurda ipotesi, delle misure provvisoriamente adottate dovesse restare traccia nel casellario anche dopo che sia intervenuta una sentenza di proscioglimento, la norma dell'ultimo comma dell'art. 587 non sarebbe compatibile con il principio dell'art. 27 della Costituzione. Ma così non é, dal momento che gli articoli 381, comma secondo, e 479, comma quinto, del Codice di procedura penale, stabiliscono che le sentenze di proscioglimento emesse in sede istruttoria e a seguito di dibattimento debbano ordinare la cancellazione delle pene accessorie provvisoriamente applicate, mentre poi il combinato disposto degli artt. 4 e 14, lett. f, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 771, contenente norme regolamentari per il servizio del casellario giudiziale, provvede alle modalità per la eliminazione dalla scheda dell'imputato della menzione del provvedimento che era stato adottato nei suoi confronti.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 140 del Codice penale, 301 e 587 del Codice di procedura penale, sollevata con l'ordinanza del giudice istruttore del tribunale di Roma del 22 febbraio 1968, in riferimento all'art. 27, comma secondo, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria l'11 aprile 1969.