Sentenza n. 38 del 1969
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SENTENZA N. 38

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori  Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 33, 34 e 35 del T.U. della legge comunale e provinciale approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, promosso con ordinanza emessa il 5 novembre 1966 dal Consiglio di Stato - sezione V - sul ricorso del Comune di Sorianello contro il Comune di Soriano Calabro ed il Ministero dell'interno, iscritta al n. 22 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 25 febbraio 1967.

Visti gli atti di costituzione dei Comuni di Sorianello e di Soriano Calabro e del Ministero dell'interno e l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 15 gennaio 1969 la relazione del Giudice Giovanni Battista Benedetti;

uditi l'avv. Antonio Stoppani, per il Comune di Sorianello, l'avv. Vincenzo D'Audino, per il Comune di Soriano Calabro, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Ministero dell'interno e per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con decreto in data 14 agosto 1964 del Presidente della Repubblica veniva disposto il distacco della borgata "Collina degli Angeli" dal Comune di Sorianello e l'aggregazione al contermine Comune di Soriano Calabro.

Contro tale provvedimento insorgeva il Comune di Sorianello proponendo ricorso al Consiglio di Stato deducendo tra l'altro l'illegittimità costituzionale degli artt. 33 e 35 del T.U. della legge comunale e provinciale approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, ai sensi dei quali era stata disposta la variazione di circoscrizione.

Rilevava la difesa del ricorrente che l'art. 34 del citato testo unico stabilisce che una borgata o frazione può essere distaccata dal Comune cui appartiene ed essere aggregata ad altro Comune contermine quando la domanda sia fatta - come dispone il precedente art. 33 - da un numero di cittadini che rappresentino la maggioranza numerica dei contribuenti delle borgate o frazioni e sostengano almeno la metà del carico dei tributi locali applicati nelle dette borgate o frazioni. Il successivo art. 35 stabilisce, infine, che le variazioni alle circoscrizioni comunali previste negli articoli precedenti sono disposte con decreto del Presidente della Repubblica.

Tali norme, ad avviso del ricorrente, sarebbero in contrasto con gli artt. 117 e 133 della Costituzione i quali dispongono che alle variazioni delle circoscrizioni dei comuni deve provvedersi con legge regionale. In virtù di tale riserva costituzionale, e nelle more dell'attuazione dell'ordinamento regionale, alle modificazioni delle circoscrizioni territoriali potrebbe quindi provvedersi con atto legislativo dello Stato e non più con provvedimento amministrativo del Presidente della Repubblica.

Con ordinanza emessa in data 5 novembre 1966 il Consiglio di Stato non solo ha ritenuto non manifestamente infondata la sollevata eccezione di incostituzionalità, ma ha anche sollevato di ufficio la questione di costituzionalità delle medesime norme in riferimento agli artt. 3 e 133 della Costituzione. Osserva al riguardo l'ordinanza che mentre le citate norme della legge comunale e provinciale attribuiscono l'iniziativa del procedimento di modificazione territoriale ad un numero di cittadini che rappresentino la maggioranza numerica dei contribuenti e sostengano almeno la metà del carico dei tributi locali applicati nelle borgate o frazioni, il precetto costituzionale contenuto nell'art. 133 stabilisce che alle variazioni territoriali possa provvedersi "sentite le popolazioni interessate". La previsione della norma ordinaria che riduce la nozione di popolazione alla sola categoria dei contribuenti sarebbe peraltro in contrasto col principio della eguaglianza e della pari dignità di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di condizioni personali e sociali.

L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 25 febbraio 1967.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituiti sia il ricorrente Comune di Sorianello che i resistenti Comune di Soriano Calabro e Ministero dell'interno. É pure intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il Comune di Sorianello, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Stoppani, nelle deduzioni costitutive depositate in cancelleria il 1 febbraio 1967 sostiene che sia la eccezione di incostituzionalità da esso sollevata dinanzi al Consiglio di Stato, sia la questione di costituzionalità proposta ex officio dall'ordinanza di rimessione sono pienamente fondate e chiede che la Corte voglia dichiarare l'illegittimità delle norme impugnate.

Il Comune di Soriano Calabro, rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo e Francesco d'Audino, nelle deduzioni depositate il 31 gennaio 1967 sostiene per contro che le questioni prospettate sono infondate.

Insussistente sarebbe il denunciato contrasto con gli artt. 117 e 133 della Costituzione poiché se é vero che i precetti invocati hanno trasferito alla Regione la competenza a disciplinare e regolare le circoscrizioni comunali é altrettanto vero che sino a quando non si sarà provveduto a dare attuazione all'ordinamento regionale, rimangono in vigore le norme organizzative preesistenti a meno che esse non contrastino con norme precettive della Costituzione.

Infondato, sarebbe inoltre il contrasto tra l'art. 33 della legge e l'art. 3 della Costituzione. La norma costituzionale tutela la eguaglianza dei cittadini di fronte a situazioni giuridiche sostanziali per impedire che vi possano essere disuguaglianze lesive della dignità umana di ciascun cittadino. Il disposto dell'art. 33 non viola tale norma perché non disciplina nessuna situazione giuridica, ma fissa soltanto un criterio per individuare la maggioranza dei soggetti che si trovano in una determinata frazione.

L'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro per l'interno, negli atti difensivi depositati il 17 marzo 1967 afferma che la questione di costituzionalità sollevata é infondata.

Rileva in primo luogo l'Avvocatura che lo stesso Consiglio di Stato, nonché la Corte di cassazione hanno in altre occasioni affrontato e risolto in senso affermativo la questione se lo Stato, dopo l'entrata in vigore della Costituzione ed in attesa della istituzione e funzionamento degli enti regionali, possa disporre modifiche alle circoscrizioni comunali con un decreto presidenziale e cioé con un atto del potere esecutivo, ed hanno altresì disatteso la tesi secondo la quale, data la riserva di legge posta dall'art. 133, la Costituzione abbia trasformato, in questo periodo transitorio, la natura da amministrativa in legislativa dell'atto mediante il quale lo Stato può esercitare il potere di erigere nuovi comuni o modificare le circoscrizioni comunali.

La stessa Corte costituzionale, prosegue l'Avvocatura, con la sua sentenza n. 94 del 1965 in materia di controlli di merito da parte dello Stato sugli atti delle province e dei comuni, ha affermato la legittimità o comunque il permanere in vigore del sistema preesistente alla Costituzione all'evidente fine di evitare periodi di carenza. Questi argomenti valgono ora a dimostrare la piena e legittima vigenza, nell'attuale periodo transitorio, delle norme preesistenti che attribuiscono al Governo il potere di disporre con atto amministrativo determinate modifiche alle circoscrizioni territoriali dei comuni.

Le stesse osservazioni valgono ovviamente per quella parte dell'art. 133 della Costituzione che per la modifica delle circoscrizioni territoriali esige che siano "sentite le popolazioni interessate". Anche questa disposizione, al pari della riserva di legge contenuta nello stesso articolo, rappresenta una garanzia dell'autonomia dei comuni posta dal costituente nei confronti delle Regioni, nel momento stesso in cui attribuiva a queste il potere di disporre in materia di circoscrizioni territoriali. Sicché fin quando non siano emanate le norme di adeguamento delle leggi della Repubblica alle nuove esigenze delle autonomie comunali o fin quando il potere suddetto non sarà effettivamente trasferito alle Regioni, le norme preesistenti restano legittimamente in vigore.

Infondato, infine, per l'Avvocatura sarebbe il contrasto con il principio di eguaglianza proclamato dall'art. 3 della Costituzione. É vero che le norme impugnate, emanate in periodo fascista, attribuendo il potere di iniziativa ai soli contribuenti, hanno innovato la precedente legislazione (art. 3 della legge 30 dicembre 1888, n. 5865) che riconosceva lo stesso potere alla maggioranza degli elettori residenti, criterio questo ultimo cui si é ispirata, dopo la restaurazione, la legge 15 febbraio 1953, n. 71, sulla ricostituzione dei comuni soppressi dal fascismo. Non sembra tuttavia, prosegue l'Avvocatura, che la limitazione del diritto di iniziativa ai soli cittadini contribuenti - direttamente collegabile alla soppressione dell'ordinamento elettivo degli enti locali - possa costituire violazione del principio di eguaglianza. Non mancano infatti nel nostro ordinamento altre disposizioni che limitano ai cittadini contribuenti l'esercizio di determinati diritti ed é innegabile che le variazioni territoriali abbiano un importante aspetto tributario che può essere valutato in modo più responsabile dai cittadini contribuenti della frazione interessata.

Va d'altro canto considerato che anche l'attribuzione del potere di iniziativa agli elettori presenta inconvenienti poiché comporta l'esclusione di quelle persone che, pur avendo interessi e cespiti imponibili in una frazione, non sono tuttavia iscritti nelle liste elettorali della frazione medesima. Deve pertanto ritenersi che il legislatore del 1934 operando una scelta tra i due possibili sistemi abbia legittimamente fatto uso del suo potere discrezionale.

Considerato in diritto:

Col primo motivo di incostituzionalità viene denunciato un contrasto tra gli artt. 33, 34 e 35 del T.U. della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, nella parte in cui stabiliscono che le variazioni alle circoscrizioni dei comuni sono disposte con decreto del Capo dello Stato e gli artt. 117 e 133, comma secondo, della Costituzione i quali dispongono che alle suddette variazioni si provvede con legge regionale. L'ordinanza non nega che, nelle more dell'attuazione dell'ordinamento regionale, lo Stato possa continuare ad esercitare la sua potestà in materia, ma, basandosi sulla riserva di legge contenuta nei citati precetti costituzionali, sostiene che le modificazioni delle circoscrizioni territoriali previste dalle norme censurate debbano essere disposte con atto legislativo e non già con atto amministrativo.

La censura non é fondata. Nel proporla l'ordinanza muove dall'inesatta premessa che la riserva di legge si riferisce anche al legislatore nazionale.

Il testo degli artt. 117 e 133 della Costituzione non lascia, per contro, dubbi di sorta che ci si trovi in presenza di una riserva di legge esclusivamente regionale, destinata, quindi, ad operare solo nel momento in cui gli organi legislativi della Regione verranno creati ed inizieranno a funzionare. Con le norme in esame il costituente ha inteso sottrarre alla competenza dello Stato e trasferire al nuovo ente regione, innegabilmente più idoneo ad avvertire ed apprezzare la volontà e gli interessi locali dei cittadini, la materia concernente l'istituzione di nuovi comuni e le modifiche delle loro circoscrizioni e denominazioni. A garanzia delle autonomie locali e per assicurare la necessaria tutela del diritto alla integrità territoriale dei comuni, il costituente ha inoltre disposto che la potestà attribuita in materia alla Regione si manifesti sotto la forma di leggi e previa audizione delle popolazioni interessate.

Ora, poiché questa é l'esatta portata dei precetti costituzionali in esame, ne discende ovvia la conseguenza che essi non hanno immediata applicazione, rivolgendosi unicamente ad organi di un nuovo ente territoriale non ancora concretamente istituito. Durante l'attuale periodo transitorio ben potrà quindi lo Stato - nei cui riguardi i ripetuti precetti non hanno alcuna operatività - continuare ad esercitare le sue funzioni in materia nelle forme e nei limiti stabiliti dalla preesistente disciplina.

La secondo censura di incostituzionalità sollevata d'ufficio dal giudice a quo riguarda quelle parti degli artt. 33 e 34 del T.U. della legge comunale e provinciale nelle quali viene disposto che alle modifiche delle circoscrizioni territoriali previste da detti articoli può farsi luogo quando ne sia fatta domanda da un numero di cittadini che rappresentino la maggioranza numerica delle borgate o frazioni e sostengano almeno la metà dei tributi locali in esse applicabili. La censura é stata proposta in riferimento agli artt. 133, comma secondo, e 3 della Costituzione tra loro coordinati perché l'intervento nel procedimento della maggioranza dei soli cittadini contribuenti non soddisferebbe all'obbligo della preventiva audizione delle popolazioni interessate e violerebbe nel contempo il principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.

La Corte non ritiene però che la questione di legittimità possa porsi in riferimento a quella parte dell'art. 133, comma secondo, della Costituzione nella quale é sancito l'obbligo di sentire le popolazioni interessate. E ciò perché, come é già stato posto in rilievo, le disposizioni contenute nel secondo comma e cioè tanto la riserva di legge, quanto l'obbligo di sentire le popolazioni interessate, si riferiscono esclusivamente alla Regione.

La questione di legittimità é invece fondata in quanto posta in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Nei precedenti testi legislativi disciplinanti la materia (legge 20 marzo 1865, n. 2288, allegato A, art. 15; legge 30 dicembre 1888 n. 5865, art. 3; R.D. 4 maggio 1898, n. 164, art. 115; R.D. 21 maggio 1908, n. 229, art. 115 e R.D. 4 febbraio 1915, n. 148, art. 120) l'iniziativa del procedimento di modificazione delle circoscrizioni comunali era stata sempre riconosciuta alla maggioranza degli elettori e tale criterio di individuazione dei soggetti interessati a tali modifiche, abbandonato dal testo unico della legge comunale e provinciale del 1934, é stato ripristinato, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, con la legge 15 febbraio 1953, n. 71, sulla ricostituzione dei comuni soppressi in regime fascista. Nel sistema delle fonti normative perciò la previsione degli articoli impugnati, che considera sufficiente l'intervento della maggioranza dei soli contribuenti, é del tutto eccezionale.

Ora non può disconoscersi che tale previsione, comportando una ingiustificabile restrizione della nozione dei soggetti interessati ai provvedimenti relativi alle variazioni delle circoscrizioni comunali, sia in contrasto col principio democratico dell'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzione di condizioni personali e sociali.

I provvedimenti, previsti dagli articoli impugnati, riguardanti la costituzione di una borgata o frazione in comune distinto o il distacco dal comune cui appartiene e l'aggregazione ad un comune contermine, interessano indubbiamente tutti i cittadini residenti nella borgata o frazione e perciò, nella valutazione della convenienza ed opportunità di siffatti provvedimenti, l'elemento da prendere in considerazione é la volontà dei frazionisti. A questa esigenza non sono certo conformi le disposizioni censurate le quali, anziché attribuire l'iniziativa del procedimento agli elettori - che sono poi tutti i cittadini maggiorenni residenti nelle borgate o frazioni - la riconosce ai contribuenti e per di più solo a quelli che sono iscritti nei ruoli dei tributi locali applicati nelle dette borgate o frazioni. Si determina così una disparità di trattamento fra i cittadini interessati ai provvedimenti in questione basata sul censo e quindi evidente é la violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Deve essere conseguentemente dichiarata l'incostituzionalità degli artt. 33 e 34 nelle parti in cui attribuiscono l'iniziativa delle modificazioni territoriali alla maggioranza dei contribuenti anziché alla maggioranza dei cittadini elettori residenti nelle borgate o frazioni.

Ai sensi dell'art. 27, seconda parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87, contenente "Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale" deve essere altresì dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 35 nella parte in cui attribuisce a qualsiasi contribuente, anziché a qualsiasi elettore, la facoltà di fare opposizione alle deliberazioni dei consigli comunali relative a variazioni alla circoscrizione dei comuni.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, in riferimento agli artt. 117 e 133, comma secondo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 33, 34 e 35 del T.U. della legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383;

dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 33 e 34 del suddetto testo unico limitatamente alle parti in cui riconoscono il diritto di iniziativa del procedimento di modificazione delle circoscrizioni territoriali ai cittadini che rappresentino la maggioranza numerica dei contribuenti delle borgate o frazioni e sostengano almeno la metà del carico dei tributi locali in esse applicati, anziché alla maggioranza dei cittadini elettori;

dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 35 limitatamente alla parte in cui attribuisce a qualsiasi contribuente anziché a qualsiasi elettore la facoltà di fare opposizione alle deliberazioni dei consigli comunali relative a variazioni alla circoscrizione dei comuni.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 marzo 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria il 21 marzo 1969.