Sentenza n. 120 del 1968
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SENTENZA N. 120

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 114, secondo comma, del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, promosso con ordinanza emessa il 30 marzo 1967 dal Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Biscaro Ferdinando, iscritta al n. 136 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 208 del 19 agosto 1967.

Udita nella camera di consiglio del 24 ottobre 1968 la relazione del Giudice Ercole Rocchetti.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale a carico di Biscaro Ferdinando, imputato del reato di cui agli artt. 81, capoverso, Codice penale, e 114 T.U. leggi di pubblica sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773), in relazione all'art. 21 legge 8 febbraio 1948, n. 47 (per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, pubblicato sul settimanale "A B C" di cui é direttore responsabile, degli avvisi amorosi) il Tribunale di Milano, con ordinanza 30 marzo 1967, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 114, comma secondo, della citata legge di pubblica sicurezza che dispone e sanziona il divieto di inserzione nei giornali od in altri scritti periodici di "corrispondenze o di avvisi amorosi".

Secondo il Tribunale di Milano la norma denunziata, vietando inserzioni a contenuto amoroso che, di per sé, non possono essere considerate manifestazioni contrarie al buon costume, si pone in contrasto con l'art. 21, comma sesto, della Costituzione, che vieta soltanto queste ultime.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 208 del 19 agosto 1967.

Nel giudizio avanti questa Corte non vi é stata costituzione di parte e non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri. La causa viene pertanto portata e decisa in camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

L'art. 21 della Costituzione, dopo avere, nel primo comma, affermato che "tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione", passa a dettare, nei commi dal secondo al quinto, le norme atte ad assicurare al libero uso di quello che, ancor Oggi, resta il più importante mezzo di diffusione del pensiero, e cioè della stampa, esonerandola da ogni forma di autorizzazione e di censura preventiva e limitando il sequestro successivo degli stampati, da disporsi con la garanzia dell'intervento dell'autorità giudiziaria, al solo caso di delitti commessi a mezzo di essi.

Dopo avere, con tanta incisività, proclamato e garantito questo diritto di libertà, lo stesso art. 21, al sesto comma, aggiunge che sono però "vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume". E lo stesso comma dispone che, in proposito, "la legge stabilisce i provvedimenti adeguati a reprimere ed a prevenire le violazioni".

Da tali disposizioni discende - come la Corte ha più volte affermato - che la libertà di manifestazione del pensiero non può trovare limitazioni se non nelle disposizioni legislative dirette alla tutela di altri beni ed interessi fatti oggetto di protezione costituzionale, tra i quali il sesto comma ha espressamente indicato il buon costume a causa della sua particolare rilevanza.

Ne discende che la disposizione contenuta nell'art. 114, secondo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, la quale vieta la inserzione nei giornali e in altri scritti periodici di "corrispondenze o di avvisi amorosi", non s'inquadra nel sistema. Le inserzioni a contenuto amoroso, benché attinenti a rapporti ai quali la riservatezza e il pudore dovrebbero essere connaturali ed ai quali mal si attaglia la diffusione di una pubblica esternazione, non sono tuttavia contrarie di per sé al buon costume. Esse possono solo divenirlo quando, per le espressioni adoperate, i concetti espressi o i riferimenti contenuti, si rivelino atti ad offenderlo. Ma ciò rappresenta però soltanto un'evenienza che non può giustificare alcuna precauzionale limitazione di libertà volta a scongiurarla.

La Corte ritiene pertanto costituzionalmente illegittimo il divieto di inserzione nella stampa di "corrispondenze o di avvisi amorosi", nella parte in cui tale disposizione, per la sua genericità, include anche ipotesi dalle quali esula l'offesa al buon costume.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 114, comma secondo, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, contenente il T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, limitatamente alla parte in cui vieta le corrispondenze e gli avvisi amorosi che non siano contrari al buon costume.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 1968.

 

Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE

 

 

Depositata in cancelleria il 28 novembre 1968.