Sentenza n. 99 del 1968
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SENTENZA N. 99

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 del D. L. L. 8 marzo 1945, n. 90 (presunzione di liberalità dei trasferimenti immobiliari a titolo oneroso fra parenti entro il terzo grado), promosso con ordinanza emessa il 17 maggio 1965 dalla Commissione provinciale delle imposte dirette ed indirette di Palermo sul ricorso di Caruso Vincenzo contro l'Ufficio del registro di Monreale, iscritta al n. 187 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 29 ottobre 1966.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione dell'Amministrazione finanziaria dello Stato;

udita nell'udienza pubblica del 10 maggio 1968 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l'Amministrazione finanziaria.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto del 30 ottobre 1961, la signora Caruso Antonina vendette a Caruso Vincenzo un terreno sito in agro di Monreale; ed, avendo le parti dichiarato che l'acquirente era nipote della venditrice, l'Ufficio del registro di Monreale liquidò l'imposta dovuta per gli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito, a norma dell'art. 5 del D.L.L. 8 marzo 1945, n. 90. Essendo in seguito stato iscritto un supplemento di imposta, Caruso Vincenzo ha proposto ricorso, avverso il relativo atto di ingiunzione, alla Commissione provinciale delle imposte dirette ed indirette di Palermo, la quale, con ordinanza del 17 maggio 1965, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del sopraindicato art. 5, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Secondo l'ordinanza di rimessione, la norma impugnata ritenendo come liberalità le trasmissioni di immobili a titolo oneroso tra parenti entro il terzo grado - a meno che non si dimostri il contrario con i mezzi e nelle forme indicate dalla norma stessa - presume una simulazione compiuta in frode all'erario per sfuggire al pagamento di una imposta maggiore, e falsa quindi la volontà e le intenzioni dei contraenti, quali risultano dall'atto pubblico. Per mitigare il rigore della disposizione, l'Amministrazione finanziaria ha ammesso prove che non sono strettamente aderenti alla lettera della legge, con conseguente disparità di trattamento in caso di parità di capacità contributiva. Consegue la violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto, per identici rapporti giuridici, i contribuenti vengono colpiti in maniera diversa, secondo la convenienza del fisco, le particolari condizioni in cui sorge il rapporto giuridico e la possibilità di prova a disposizione del contribuente stesso.

L'ordinanza é stata notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 29 ottobre 1966. Nel presente giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri e si é costituita l'Amministrazione finanziaria dello Stato.

L'Avvocatura generale dello Stato osserva che le parti possono vincere la presunzione in argomento, attraverso la dimostrazione della provenienza del prezzo, in base a documenti aventi data certa ai sensi del Codice civile, fornendo la prova che la somma é stata realmente impiegata come prezzo di acquisto. Una volta acquisita tale prova, la finanza si rimette a quanto convenuto fra le parti contraenti, e risultante dall'atto. Poiché la norma ha per oggetto tutti gli atti di compravendita stipulati tra parenti entro il terzo grado, e si rivolge a tutti i cittadini, che pongono in essere gli atti anzidetti e si trovino nel previsto rapporto di parentela, non può dirsi in contrasto col principio di eguaglianza. Né essa crea disparità di trattamento per quanto riguarda le prove richieste per dimostrare che il prezzo é stato pagato, perché indica i limiti entro i quali tale prova deve essere fornita, senza lasciare all'Amministrazione alcun margine di discrezionalità. Contrasto non vi é neppure con l'art. 53 della Costituzione, perché dalla diversità del negozio giuridico (compravendita o donazione) e dalla conseguente imposizione fiscale non può derivare una diversa valutazione circa la capacità contributiva del soggetto.

A ben considerare l'art. 5 attua in pieno la parità fiscale fra coloro che, ponendo in essere un atto di donazione, pagano le imposte proprie di tale atto, e coloro che, pur donando, ma simulando un contratto di compravendita, verrebbero a pagare la minore imposta dovuta per gli atti di trasferimento immobiliare a titolo oneroso.

 

Considerato in diritto

 

Secondo l'ordinanza di rimessione, la presunzione che gli atti stipulati fra parenti entro il terzo grado per il trasferimento a titolo oneroso di beni immobili siano invece atti di liberalità quando l'acquirente non fornisca la prova della provenienza della somma corrisposta come prezzo della compravendita, importerebbe un trattamento differenziato a seconda delle possibilità o meno di fornire detta prova, pur riferendosi a rapporti giuridici identici. La norma dell'art. 5 del D.L.L. 8 marzo 1945, n. 90, che tale presunzione dispone, violerebbe quindi il principio di eguaglianza e quello di capacità contributiva, garantiti dagli artt. 3 e 53 della Costituzione.

La questione non é fondata.

La norma impugnata consente alla Amministrazione finanziaria di accertare, ai fini fiscali, ed indipendentemente dalle dichiarazioni delle parti risultanti dall'atto pubblico, il vero contenuto del negozio giuridico e la sussistenza della effettiva volontà delle parti di stipulare un atto di trasferimento a titolo oneroso piuttosto che a titolo gratuito. Ritenendo che per tutti gli atti delle parti qualificati come atti di compravendita sussistano eguali rapporti giuridici, l'ordinanza non considera che esistono pur atti, nei quali la effettiva volontà delle parti contraenti é difforme da quella manifestata nell'atto pubblico, e non considera che il vero scopo della norma impugnata é quello di consentire la indagine se sussista tale difformità, dalla quale deriva la diversità del trattamento tributario.

Due elementi sono posti a fondamento della presunzione in esame: da un lato il fatto normale, di comune esperienza, che fra parenti di un certo grado, discrezionalmente valutato dal legislatore, gli immobili vengono trasferiti a titolo gratuito; e dall'altro la notevole differenza della imposizione fiscale a seconda che si tratti di atti di donazione oppure di compravendita, sicché le parti possono essere facilmente indotte a simulare un atto di contenuto diverso, allo scopo di pagare una imposta minore. Di fronte alla difficoltà per il fisco di provare che le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, la presunzione legale giova ad evitare che, attraverso un facile espediente, gli interessati si sottraggono al pagamento della particolare imposta di registro dovuta per i trasferimenti a titolo gratuito dei beni immobili.

Sulla legittimità costituzionale delle norme che stabiliscono delle presunzioni in materia fiscale, questa Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi in altri casi, affermando che rappresentano "una verità giuridica avente come substrato fatti reali di difficile accertamento", e che, "nei casi in cui la legge ancora ad un sistema di prove legali la determinazione della esistenza del presupposto della obbligazione tributaria e della sua entità, non viola il principio della capacità contributiva del singolo obbligato".

Corretto appare anche il sistema adottato dal legislatore, il quale, creando una presunzione iuris tantum, accorda alle parti la possibilità di dare la prova contraria e determina entro limiti precisi ed obbiettivi - discrezionalmente e non irrazionalmente valutati -, i mezzi idonei allo scopo: dimostrazione del pagamento del prezzo (prezzo che é uno degli elementi essenziali della compravendita, senza del quale il contratto non é più a titolo oneroso) e prova della provenienza della somma pagata e della disponibilità di essa da parte dell'acquirente, risultante da atti aventi data certa a sensi del Codice civile.

La norma risponde ad innegabili esigenze fiscali e vale altresì - siccome bene osserva l'Avvocatura generale dello Stato - a evitare che, attraverso l'elusione dell'imposta - nel caso di donazioni di beni immobili fra parenti - si determinino disparità di trattamento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del D.L.L. 8 marzo 1945, n. 90 (presunzione di liberalità dei trasferimenti immobiliari a titolo oneroso fra parenti entro il terzo grado), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione con ordinanza del 17 maggio 1965 della Commissione provinciale delle imposte dirette ed indirette di Palermo.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1968.

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1968.