Sentenza n. 96 del 1968
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SENTENZA N. 96

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 10 della legge regionale siciliana 7 febbraio 1957, n. 16, concernente l'elezione dei consigli delle province siciliane, promosso con ordinanza emessa il 1 luglio 1966 dal Tribunale di Palermo sul ricorso di Mazzola Italo contro il Presidente della Regione siciliana, iscritta al n. 230 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12 del 14 gennaio 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 60 del 17 dicembre 1966.

Visto l'atto di intervento del Presidente della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 30 maggio 1968 la relazione del Giudice Angelo De Marco;

udito l'avv. Vittorio Ottaviano, per il Presidente della Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

Il consigliere dell'amministrazione comunale di Palermo dott. Italo Mazzola, chiamato, con decreti n. 86-A del 14 ottobre 1965 e 7-A del 1 gennaio 1966 del Presidente della Regione siciliana a partecipare, quale elettore, alle elezioni per il rinnovo del Consiglio provinciale regionale di Palermo, con atto di citazione notificato il 6 aprile 1966 assumendo:

che, col sistema elettorale dei consigli delle province siciliane, adottato con la legge regionale 7 febbraio 1957, n. 16 ed, in particolare, con gli artt. 7 e 10 il voto non risultava uguale, libero e segreto, come prescrive l'art. 48 della Costituzione;

che, più precisamente, non era uguale, perché plurimo e non segreto, perché dovendosi segnare sulla scheda il numero dei voti conseguiti da ogni elettore, nell'elezione a consigliere comunale, attraverso tale numero era facile identificare il votante;

che, infatti, l'attore essendo stato l'unico consigliere comunale di Palermo eletto dal P.S.U.P., col segnare sulla scheda il voto plurimo di 64,25 veniva, praticamente, a mettere sulla scheda stessa la sua firma;

tanto assumendo, conveniva davanti al Tribunale di Palermo il Presidente della Regione siciliana, perché sentisse:

a) dichiarare e ritenere non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale degli artt. 7 e 10 della legge regionale 7 febbraio 1957, n. 16, in riferimento all'art. 48 della Costituzione;

b) dichiarare nulli o annullare integralmente o per la parte investita dall'impugnativa i provvedimenti impugnati;

c) emettere ogni altra opportuna statuizione;

d) condannare il convenuto alle spese del giudizio;

e) munire la sentenza di clausola di provvisoria esecuzione.

Il Tribunale adito, con ordinanza 1 luglio 1966, ritenuta la questione di cui sopra rilevante ai fini del giudizio e non manifestamente infondata, sospendeva il giudizio e disponeva la immediata trasmissione degli atti a questa Corte.

Eseguite le notificazioni o pubblicazioni di rito, con atto depositato nella cancelleria di questa Corte, in data 7 novembre 1967 interveniva in questa sede il Presidente della Giunta regionale siciliana, il di cui patrocinio, premesso che l'intervento dovesse ritenersi ammissibile a norma degli artt. 20 e 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 3, secondo comma, delle Norme integrative del 16 marzo 1956, eccepiva, in sostanza quanto segue:

i requisiti di eguaglianza, libertà e segretezza del voto, sanciti dall'art. 48 della Costituzione si riferiscono all'ipotesi in cui sia chiamato a votare direttamente il cittadino. Nel caso dell'elezione del Consiglio delle province regionali siciliane, che poi sono costituite dai liberi consorzi di comuni, il voto, invece, spetta sostanzialmente ai Comuni consorziati, che, all'uopo, si avvalgono dei consiglieri comunali.

Questi, quindi, votano non come cittadini, ma come titolari di un organo comunale, e, quindi, il loro diritto di voto non può ritenersi coperto da garanzia costituzionale.

Altrimenti, dovrebbe ritenersi che la stessa garanzia debba applicarsi, in tutti i casi, in cui spetti ai Consigli comunali di procedere alla nomina dei titolari di altri enti, come ad esempio degli Enti comunali di assistenza e di altre istituzioni di beneficenza.

Comunque l'art. 48 della Costituzione, data la sua collocazione nella parte relativa ai "diritti e doveri dei cittadini", può trovare applicazione soltanto nel caso di elezioni dirette, nelle quali ogni cittadino, che ha raggiunto la maggiore età, ha diritto di partecipare alle elezioni.

Nel caso, invece, di elezioni indirette, come quelle per i consigli dei liberi consorzi siciliani, non più tutti i cittadini possono partecipare alla seconda votazione, ma soltanto quelli che siano stati prescelti in una precedente elezione diretta.

Pertanto, l'art. 7 della legge regionale 7 febbraio 1957, n. 16, quando dispone che "i consiglieri comunali concorrono alle elezioni del Consiglio provinciale, in misura proporzionale ai voti validi, riportati dalla lista nella quale sono stati eletti" non solo non viola il principio di eguaglianza, ma si adegua al principio della democraticità, che vuole che tutti partecipino, con pari efficacia determinante, alla vita politica e amministrativa (artt. 1, 2, 3 e 48 della Costituzione).

Del pari costituzionalmente legittimo é l'art. 10, secondo il quale: "Le schede, d'identico tipo e colore per ogni collegio, debbono recare sulla faccia esterna le diciture: Collegio di... voti n...., seguite, rispettivamente, dal nome del comune capoluogo di collegio e dalla indicazione della frazione di voto o del numero dei voti, già diviso per cento e arrotondato, con cui i vari consiglieri comunali partecipano alla elezione; debbono, inoltre, contenere le altre caratteristiche essenziali del modello descritto dalle tabelle A e B allegate alla presente legge".

Infatti, in primo luogo, é da ritenere che, in un sistema di elezione di secondo grado, la segretezza non può ritenersi essenziale del voto, in quanto chi vota non esercita un diritto proprio, come tale assolutamente insindacabile, bensì un potere che gli é stato conferito da altri e cioè dai suoi elettori.

Comunque, dato che le schede debbono essere di identico tipo e colore e che i consiglieri comunali eletti nella stessa lista partecipano alla votazione con egual numero di voti, in quanto non si tiene conto delle preferenze, la segretezza é comunque assicurata, tranne che nel caso limite, che non può invalidare il sistema, di consigliere unico eletto di una lista.

Pertanto, nell'interesse del Presidente della Giunta regionale siciliana, si chiede che la questione proposta con l'ordinanza di rinvio venga dichiarata non fondata.

Il dott. Mazzola, attore davanti al Tribunale di Palermo, non si é costituito nel presente giudizio.

In data 21 corrente il patrocinio del Presidente della Regione siciliana ha depositato una memoria, con la quale si insiste nelle deduzioni, contenuto nell'atto di intervento, che vengono ulteriormente chiarite.

Inoltre, per meglio dimostrare la tesi, secondo la quale, l'art. 48 della Costituzione non potrebbe trovare applicazione rispetto alle norme impugnate, si pone in evidenza che l'art. 13 del D.L. del Presidente della Regione 29 ottobre 1955, n. 6, confermato dalla legge 15 marzo 1963, n. 65, espressamente dispone che "il libero consorzio ha natura di ente pubblico non territoriale, dotato di autonomia amministrativa e finanziaria".

Se ne trae, poi, la conseguenza che, ancorché tali liberi consorzi (art. 17) debbano assumere la denominazione di "provincia regionale" non per questo acquistano natura di enti territoriali e che, quindi, forma la natura di enti associativi, i consiglieri comunali partecipano all'elezione del consiglio provinciale nella loro qualità di organi del comune e non di comuni cittadini.

Che se, infine, la Regione ha creduto di servirsi delle norme contenute nella legge n. 16 del 1957, anche per la elezione dei consigli delle province, nel periodo intermedio tra la loro soppressione e la creazione dei liberi consorzi e posto, in ipotesi, che essa non potesse farlo - ciò che si contesta - sarà viziato il provvedimento che ha così disposto, ma non la legge di cui sarebbe stato fatto cattivo uso.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione rimessa all'esame di questa Corte, con l'ordinanza di rinvio, é se possano ritenersi in contrasto con i principi di eguaglianza e segretezza del voto, garantiti dall'art. 48 della Costituzione, gli artt. 7 e 10 della legge regionale siciliana 7 febbraio 1957, n. 16, sulla "Elezione dei consigli delle province siciliane", i quali, rispettivamente, dispongono: "i consiglieri comunali concorrono alla elezione del consiglio provinciale in misura proporzionale ai voti validi portati dalla lista nella quale sono stati eletti" (art. 7 - Voto plurimo -) e "le schede d'identico tipo e colore per ogni Collegio... debbono recare sulla faccia esterna le diciture: "Collegio di...", "voti n....", seguite, rispettivamente, dal nome del Comune capoluogo di Collegio e dalla indicazione della frazione di voto o del numero dei voti, già diviso per cento e arrotondato, con cui i vari consiglieri comunali partecipazione alle elezioni" (art. 10 - Schede -).

2. - É necessario, anzitutto, esaminare se sia fondata la eccezione sollevata, in memoria, dal patrocinio del Presidente della Regione, secondo la quale nella specie non si presenterebbe una questione di legittimità costituzionale, ma una semplice questione di legittimità amministrativa, in quanto il Presidente della Regione, non essendo stati ancora costituiti i liberi consorzi tra Comuni, che, in Sicilia, debbono esercitare anche le funzioni dei soppressi enti autarchici provinciali, non avrebbe potuto, nell'indire le elezioni per il Consiglio dell'amministrazione straordinaria, preveduta dall'art. 266 del T.U. sull'ordinamento amministrativo degli enti locali della Regione siciliana, approvato con D.L. Pres. reg. 29 ottobre 1955, n. 6, applicare la legge regionale 7 febbraio 1957, n. 16, modificata dalla legge 19 ottobre 1961, n. 17, che disciplina la elezione dei consigli delle province siciliane (denominazione da attribuire ai liberi consorzi tra comuni ai sensi dell'art. 17, ultimo comma, della legge 15 marzo 1963, n. 65).

Tale eccezione é, peraltro, manifestamente infondata.

La stessa legge 7 febbraio 1957, n. 16, all'art. 25, infatti, testualmente dispone: "Le norme della presente legge sono applicabili anche per le elezioni degli organi dell'amministrazione straordinaria prevista dall'art. 266 del decreto legislativo presidenziale 29 ottobre 1955, n. 6".

Non può, dunque, parlarsi di semplice questione di legittimità amministrativa e deve, invece, procedersi, attesa la sicura rilevanza di essa nel giudizio a quo, all'esame della questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza di rinvio.

3. - La provincia é, per sua natura ente territoriale e tale é anche la provincia siciliana, la quale, sia pure con l'attuale regime di "amministrazione straordinaria", sopravvive fino a quando verranno creati i liberi consorzi tra comuni (art. 266 dell'ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione siciliana).

Il carattere rappresentativo ed elettivo degli organi di governo degli enti territoriali é strumento essenziale dell'autonomia, cui hanno riguardo gli artt. 5 e 128 della Costituzione.

Inoltre, la elettività di tali organi é principio generale dell'ordinamento, al quale, per l'art. 128 della Costituzione e per gli artt. 14 e 15 dello Statuto siciliano, la Regione deve uniformarsi.

In materia di elettorato attivo l'art. 48, secondo comma, della Costituzione ha, poi, carattere universale ed i principi, con esso enunciati, vanno osservati in ogni caso in cui il relativo diritto debba essere esercitato.

Non può ritenersi, invero, che quei principi non possano osservarsi, anche in caso di elezioni di secondo grado e, conseguentemente, non può escludersi la possibilità di siffatte elezioni, che, del resto sono prevedute dalla Costituzione proprio per la più alta carica dello Stato (art. 83).

4. - Alla stregua degli esposti principi, é agevole risolvere le questioni sollevate con l'ordinanza di rinvio:

a) Il voto plurimo preveduto dall'art. 7 non é in contrasto col principio di eguaglianza sancito dall'art. 48 della Costituzione, ma risulta, anzi, manifestamente preordinato alla più esatta osservanza di quel principio, per una completa salvaguardia dei diritti delle minoranze.

Per l'art. 1 della legge regionale 7 febbraio 1957, n. 16, infatti: "I consiglieri delle province regionali sono eletti dai consiglieri in carica dei comuni, che compongono la provincia regionale, col sistema proporzionale, a scrutinio di lista...".

Ma per l'art. 1 del T.U. delle leggi per la elezione dei consigli comunali nella Regione siciliana, approvato con D. Pres. reg. 20 agosto 1960, n. 3: "La elezione dei consiglieri comunali nei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti si effettua col sistema maggioritario a scrutinio di lista con voto limitato" mentre, per l'art. 2 dello stesso T.U. nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti la elezione dei consiglieri comunali é fatta a scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale.

Senza il voto plurimo, pertanto, i consiglieri di minoranza dei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, si troverebbero in grave condizione di inferiorità, non soltanto nei confronti dei colleghi di maggioranza degli stessi comuni, ma anche nei confronti dei colleghi in minoranza eletti col sistema proporzionale nei comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti.

Non solo, ma, per tale sperequazione il sistema proporzionale adottato per l'elezione del consiglio provinciale risulterebbe insanabilmente falsato.

D'altra parte é evidente che il principio di eguaglianza, affermato dall'art. 48 della Costituzione, si ricollega a quello più ampio affermato dall'art. 3. Cosicché, quando nelle elezioni di secondo grado l'elettorato attivo é attribuito ad un cittadino eletto dal popolo in sua rappresentanza, non contrasta col principio di eguaglianza, ma anzi vi si conforma, la norma che faccia conto del numero di elettori che gli conferirono il proprio voto, e con esso la propria fiducia.

Per quanto si riferisce all'art. 7, la questione sollevata con l'ordinanza di rinvio risulta, pertanto, non fondata.

b) Fondata é, invece, la questione sollevata in relazione all'art. 10.

La garanzia di segretezza del voto, che, poi, si risolve anche in garanzia di libertà ed é perciò assolutamente inderogabile, non risulta assicurata dal sistema adottato con l'articolo in esame.

Come lo stesso patrocinio della Regione ammette, infatti, sia pure in casi marginali può accadere - ed é accaduto proprio nella fattispecie, che ha dato origine a questo giudizio -che col sistema suddetto il votante venga ad essere identificato.

Tanto basta perché la norma che lo ha adottato sia in contrasto con l'art. 48 della Costituzione.

Va, al riguardo, notato che, contrariamente a quanto deduce il patrocinio della Regione, anche nell'esercizio della carica di consigliere comunale, il segreto del voto é garantito, quando si tratta di deliberazioni concernenti persone o elezioni a cariche (art. 184 del T.U. più volte citato).

Inoltre non é inutile osservare che, senza la garanzia della segretezza del voto, il divieto di mandato imperativo (art. 166 stesso T.U.) difficilmente potrebbe essere osservato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 10 (schede) della legge regionale siciliana 7 febbraio 1957, n. 16, concernente "Elezione dei consigli delle province siciliane";

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 (voto plurimo) della legge regionale suddetta, proposta con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento all'art. 48 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1968.

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI

 

 

Depositata in cancelleria il 10 luglio 1968.