Sentenza n. 85 del 1968
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SENTENZA N. 85

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28 del R.D. 17 agosto 1935, n. 1765, contenente norme per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, promosso con ordinanza emessa il 7 luglio 1966 dal Tribunale di Trento nel procedimento civile vertente tra Caserotti Speranza e l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L. ), iscritta al n. 191 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 29 ottobre 1966.

Visti gli atti di costituzione di Caserotti Speranza e dell'I.N.A.I.L., e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 21 maggio 1968 la relazione del Giudice Antonio Manca;

uditi l'avv. Benedetto Bussi, per la Caserotti, l'avv. Valerio Flamini, per l'I.N.A.I.L., ed il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del giudizio civile intentato da Caserotti Speranza nei confronti dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L. ), il Tribunale di Trento, con ordinanza del 7 luglio 1966 ha sollevato, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28 del decreto 17 agosto 1935, n. 1765 (contenente disposizioni per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali).

L'articolo impugnato dispone che "quando la morte (dell'infortunato) sopraggiunge in conseguenza dell'infortunio dopo la liquidazione della rendita di inabilità permanente, la domanda per ottenere la rendita nella misura e nei modi stabiliti dalla legge deve essere proposta dai superstiti, a pena di decadenza, entro un mese dalla data della morte".

A giustificazione della non manifesta infondatezza, il Tribunale ricorda la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale non contrasta con la tutela giurisdizionale dei diritti il fatto che la legge ordinaria possa regolare il modo di esercizio della tutela stessa per attuarla in concreto.

Ricorda altresì l'altra pronunzia di questa Corte (sentenza n. 47 del 1964) che ha ritenuto che l'accennata facoltà non possa esercitarsi con modalità tali da rendere impossibile, o quanto meno difficile, l'esercizio del diritto.

Ha quindi espresso il dubbio che l'accennato termine di decadenza stabilito dal citato art. 28, per la sua brevità, non sia congruo per tutelare il diritto dei superstiti del lavoratore infortunato. E ciò sia per le ripercussioni di carattere psicologico che la morte di un soggetto provoca nell'ambiente familiare, che impedirebbero che, nel breve termine fissato, essi possano prendere esatta cognizione della situazione patrimoniale del defunto e compiere gli adempimenti prescritti; sia per il normale modesto livello culturale dei destinatari delle assicurazioni contro gli infortuni, che potrebbe impedire ai medesimi di prendere tempestivamente esatta cognizione degli atti da compiere a tutela dei loro diritti, specialmente quando, come nella specie, la morte del lavoratore si verifica in località diversa da quella di residenza.

Nell'ordinanza si aggiunge che l'accennata brevità del termine non potrebbe essere collegata all'esigenza, per l'ente assicuratore, di espletare, con sollecitudine, le indagini circa le cause della morte del lavoratore, tanto vero che il nuovo testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria (approvato con decreto del 30 giugno 1965, n. 1124), negli artt. 122 e 131, ha elevato il termine di che trattasi da un mese a novanta giorni, senza alcuna modificazione in ordine agli accertamenti predetti.

Il Tribunale ha ritenuto quindi che la disposizione denunciata possa essere in contrasto non soltanto con l'art. 24 della Costituzione, ma altresì con gli artt. 38 e 113.

L'ordinanza, adempiute le formalità di legge quanto alla notificazione e comunicazione, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 271 del 29 ottobre 1966.

In questa sede si sono costituiti: per la parte privata, l'avv. Benedetto Bussi, per l'Istituto nazionale infortuni (I.N.A.I.L. ), gli avvocati Donato Magno, Valerio Flamini e Vincenzo Cataldi e per il Presidente del Consiglio dei Ministri, l'avvocato dello Stato Umberto Coronas.

La difesa della parte privata, nelle deduzioni depositate il 18 novembre 1966, conferma la tesi prospettata nell'ordinanza ed osserva:

1) che la disposizione impugnata sarebbe in contrasto con l'art. 113 della Costituzione; rilevando che, in conformità ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 93 del 1962 e n. 2 del 1964 e n. 47 del 1964), il termine di decadenza fissato dall'art. 28 della citata legge del 1935, sarebbe del tutto inidoneo per l'esercizio del diritto da parte dei superstiti del lavoratore defunto e si riporta sostanzialmente, su questo punto, ai rilievi contenuti nell'ordinanza di rimessione, anche in relazione al mutato orientamento legislativo in base al nuovo testo unico del 1965, relativo all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni;

2) che la disposizione denunziata sarebbe altresì in contrasto con l'art. 38 della Costituzione, in quanto renderebbe praticamente impossibile, o quanto meno molto difficile, l'esercizio del diritto, che pur é stato riconosciuto dalla norma costituzionale a coloro a favore dei quali sono dirette le norme previdenziali;

3) che sarebbe altresì in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, giacché la disposizione impugnata stabilirebbe un presupposto processuale tale da compromettere, per la sua durata, il diritto di agire in giudizio per la tutela dei diritti ed interessi.

Chiede pertanto che si dichiari l'illegittimità costituzionale della disposizione denunciata.

La difesa dell'Istituto, nelle deduzioni depositate il 18 novembre 1966, contesta la validità degli accennati motivi di incostituzionalità.

Rileva, che, per quanto attiene al riferimento all'art. 24 della Costituzione, il diritto alla difesa ivi garantito, riguarderebbe il procedimento giurisdizionale nelle varie sue fasi e non già un procedimento di carattere puramente amministrativo, quale sarebbe quello cui si riferisce la disposizione impugnata.

In via subordinata, per il caso che si esaminasse la questione in riferimento agli artt. 38 e 113 della Costituzione (che sarebbero marginalmente richiamati nell'ordinanza), rileva, ricordando anche la giurisprudenza di questa Corte, che non sarebbe in contrasto con la garanzia giurisdizionale contenuta nell'art. 113, il fatto che la legge stabilisce un termine di decadenza dell'esercizio del diritto, che il termine di decadenza stabilito dalla disposizione impugnata non riguarderebbe la tutela giurisdizionale del diritto, bensì la esistenza della situazione giuridica soggettiva in senso sostanziale; che comunque l'eventuale congruità del termine, in relazione al diritto di difesa, dovrebbe essere valutata non soltanto nell'interesse del soggetto che agisce, ma altresì nell'interesse dell'Istituto, delle funzioni che é chiamato ad esercitare, degli accertamenti che deve compiere e dei provvedimenti che deve adottare.

Conclude quindi per l'infondatezza della questione.

Anche l'Avvocatura dello Stato con le deduzioni depositate il 21 ottobre 1966, rileva che la controversia attuale sarebbe fuori del campo di applicazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, in quanto l'operatività della disposizione impugnata si svolgerebbe nell'ambito del procedimento amministrativo, per porre in grado l'Amministrazione di provvedere in sede amministrativa, circa la sussistenza o meno dei presupposti necessari per ottenere il beneficio previdenziale; restando salvo, in caso di esito sfavorevole, l'esperimento dei mezzi di tutela preveduti dall'ordinamento.

A parte l'accennato rilievo, la difesa dello Stato per quanto attiene al contrasto con l'art. 24 della Costituzione osserva che la brevità del termine dovrebbe essere valutata, secondo la giurisprudenza di questa Corte, con riguardo all'interesse dei soggetti privati e dell'Istituto assicurativo ed obbedirebbe, nel caso, anche all'esigenza di rendere più spedita la definizione di controversie del genere.

Per quanto attiene a precetti contenuti negli artt. 38 e 113 della Costituzione, richiamati, secondo l'Avvocatura senza alcuna motivazione, la questione sarebbe parimenti infondata. L'art. 28 denunziato, infatti, non escluderebbe il diritto di ottenere l'indennizzo, ma ne stabilisce la disciplina per il suo esercizio; e comunque non precluderebbe l'adito alla tutela del diritto medesimo davanti ai competenti organi giurisdizionali.

Conclude quindi per l'infondatezza della questione.

La difesa dell'Istituto in data 6 maggio 1968 ha depositato una memoria nella quale conferma ed illustra le tesi già esposte.

Le altre parti non hanno presentato memorie.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale ha proposto il quesito se possa ritenersi costituzionalmente legittimo, in riferimento ai precetti contenuti negli artt. 24, 38 e 113 della Costituzione, l'art. 28 del testo unico del 17 agosto 1935, n. 1765 (riguardante l'assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro e per le malattie professionali), in quanto stabilisce che i superstiti dell'assicurato (deceduto a causa dell'infortunio dopo la liquidazione dell'indennità per inabilità permanente), per ottenere la rendita, preveduta dalla legge a loro favore, devono, a pena di decadenza, proporre la domanda entro un mese dalla data della morte.

Nell'ordinanza di rimessione si richiamano i principi già affermati da questa Corte in varie sentenze. Nel senso cioè che l'art. 24 della Costituzione, pur non esigendo che la tutela dei diritti ed interessi sia regolata dal legislatore ordinario con uniformità di requisiti ed effetti, e pur non vietando che l'esercizio concreto di tale tutela sia sottoposto a termini di decadenza o di prescrizione, richiede tuttavia che l'accennata regolamentazione non imponga oneri tali da compromettere irreparabilmente la tutela stessa (vedansi da ultimo le sentenze n. 87 del 1962, 113 del 1963, 47 e 100 del 1964). Ed é in relazione a queste limitazioni che il Tribunale, esaminando la fattispecie oggetto della controversia, ha espresso il dubbio che il termine di un mese a datare dalla morte dell'infortunato, sia inidoneo, per la sua brevità con la comminata decadenza nel caso di inosservanza, a salvaguardare la tutela giurisdizionale dei diritti dei superstiti.

2. - Osserva la Corte che, prescindendo dall'art. 113 della Costituzione, non applicabile al caso (poiché non ricorre l'ipotesi di impugnazione di un atto amministrativo), il dubbio deve ritenersi fondato, contrariamente all'assunto della difesa dell'Istituto e dell'Avvocatura dello Stato, in riferimento alle altre norme costituzionali, richiamate dal Tribunale: all'art. 24 che, nel primo comma, concerne, in via generale, la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi (vedasi la sentenza di questa Corte n. 83 del 1966); ed all'art. 38, in quanto i precetti, in esso contenuti, sono dettati per assicurare ai lavoratori infortunati e, indirettamente ai loro superstiti, le provvidenze assistenziali nell'articolo stesso menzionate.

3. - Al riguardo non si può disconoscere la validità delle ragioni addotte nell'ordinanza.

Si accenna, infatti, al turbamento di carattere psicologico ed affettivo che la morte di un congiunto suscita, di norma, nell'ambito della famiglia, con ripercussioni innegabili sull'attività che i superstiti devono svolgere sollecitamente, per salvaguardare i loro interessi patrimoniali, ricollegati all'evento luttuoso; attività che può trovare maggiore difficoltà di espletamento, anche nell'eventuale scarsa conoscenza delle disposizioni legislative e regolamentari da parte dei superstiti. Ragioni queste che già concorrono a far fondatamente dubitare della congruità del termine di un mese stabilito dalla disposizione impugnata, ed assumono, nel caso, maggiore rilievo se si considera che detto termine decorre dalla data della morte del lavoratore che già gode della rendita. Da un elemento di fatto cioè che prescinde dalla possibilità che del decesso non sia pervenuta tempestivamente notizia agli interessati. Il che può accadere quando, come nella specie, la morte avvenga in località diversa da quella dell'abituale residenza dell'infortunato, ovvero quando l'evento si é verificato in circostanze tali da renderne difficile la conoscenza da parte della stessa pubblica autorità.

4. - Si é obiettato dalla difesa dell'Istituto assicuratore che la durata del termine sarebbe giustificata dalla necessità di porre in grado l'Istituto di compiere sollecitamente gli atti autorizzati dalla legge, in caso di morte dell'assicurato e di domanda dei superstiti per ottenere la rendita. L'obiezione peraltro non può avere rilevanza, giacché, nella situazione che si é precedentemente delineata, la brevità del termine (elevato ora a 90 giorni nel nuovo testo unico del 30 giugno 1965, n. 1124) e la sua decorrenza, possono condurre a conseguenze tali da rendere del tutto inoperante quella tutela dei diritti dei superstiti, che la legge ha voluto assicurare.

Tutto ciò conferma, come si é accennato, la sussistenza di un contrasto con i principi contenuti negli artt. 24, primo comma, e 38 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 28 del decreto 17 agosto 1935, n. 1765 (contenente disposizioni per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali) nella parte in cui stabilisce che la domanda dei superstiti del lavoratore deceduto a causa dell'infortunio, deve essere proposta, a pena di decadenza, entro un mese dalla data della morte.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1968.

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI 

 

 

Depositata in cancelleria il 5 luglio 1968.