Sentenza n. 62 del 1968
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SENTENZA N. 62

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15, quarto comma, della legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, promosso con ordinanza emessa il 26 maggio 1966 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Rigacci Renato ed i Ministeri della pubblica istruzione e del tesoro, iscritta al n. 190 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 29 ottobre 1966.

Visto l'atto di costituzione del Ministeri della pubblica istruzione e del tesoro;

udita nell'udienza pubblica del 10 maggio 1968 la relazione del Giudice Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per i Ministeri della pubblica istruzione e del tesoro.

 

Ritenuto in fatto

 

Il signor Roberto Rigacci, proprietario di un edificio sito in Firenze, via Stoppani, n. 12, e compreso in zona dichiarata di notevole interesse pubblico in base alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, nell'eseguire una sopraelevazione, per la quale aveva ottenuto l'autorizzazione della competente Soprintendenza ai monumenti e la licenza dell'Amministrazione comunale, procedeva alla copertura di una terrazza, in difformità del progetto e senza richiedere ulteriori autorizzazioni.

Tratto a giudizio ai sensi dell'art. 41, lett. b, della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, per non essersi attenuto alle modalità fissate nella licenza di costruzione, veniva assolto dal pretore, con formula ampia, con sentenza confermata dal Tribunale.

Con decreto del 19 novembre 1963, i1 Ministro per la pubblica istruzione, in applicazione dell'art. 15 della citata legge n. 1497 del 1939, anziché ordinare la demolizione della copertura eseguita in pregiudizio delle bellezze naturali della località, poneva a carico del trasgressore l'indennità di lire 1.994.000, quale maggiore somma tra il danno arrecato ed il profitto conseguito, per la cui riscossione la competente Direzione provinciale del tesoro intimava ingiunzione di pagamento.

Avverso l'ingiunzione il Rigacci proponeva opposizione con atto notificato il 27 gennaio 1965, chiamando in giudizio, dinanzi al Tribunale di Firenze, i Ministeri della pubblica istruzione e del tesoro.

Instauratosi il contraddittorio, l'opponente chiedeva, in principalità, che la pretesa di pagamento fosse dichiarata infondata per inesistenza della relativa obbligazione e per illegittimità del suindicati atti amministrativi; e, in subordine, l'ammissione di una consulenza tecnica per accertare se vi fosse stato un danno effettivo per l'Amministrazione o alcun vantaggio per il privato, con la precisazione del loro rispettivo ammontare, al fine della esatta determinazione della pretesa indennità.

Sulla domanda proposta in via principale, il Tribunale di Firenze, con sentenza non definitiva, dichiarava "il difetto di giurisdizione dell'Autorità giudiziaria in quanto la denuncia avrebbe dovuto essere presentata, se mai, al Consiglio di Stato". Sulla richiesta subordinata dell'opponente, con ordinanza del 26 maggio 1966, sollevava, poi, d'ufficio, in riferimento all'art. 102 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nel quarto comma dell'art. 15 della suindicata legge del 1939, secondo la quale "se il trasgressore non accetta la misura fissata dal Ministro, l'indennità é determinata insindacabilmente da un collegio di tre periti, da nominarsi uno dal Ministro, l'altro dal trasgressore e il terzo dal presidente del Tribunale".

Si espone nell'ordinanza che le Amministrazioni convenute, nell'eccepire l'incompetenza del Tribunale, avevano affermato che la suddetta procedura darebbe luogo ad un giudizio arbitrale, mentre il privato opponente aveva replicato trattarsi di un parere vincolante e, pertanto, di un atto interno del procedimento amministrativo, la cui fase finale sarebbe data, ai sensi del comma sesto del più volte richiamato art. 15, dal successivo provvedimento del Ministro, l'unico ad avere rilevanza esterna.

Osserva, per altro, il Tribunale che tale provvedimento del Ministro avrebbe il solo scopo di dare forza esecutiva alla pronuncia del collegio arbitrale sulla determinazione dell'indennità e, inoltre, che il collegio, essendo chiamato a formulare un "giudizio", giusta il termine usato nel quinto comma dello stesso art. 15, ed essendo composto anche di elementi estranei all'Amministrazione, non può essere considerato un organo consultivo interno della Pubblica Amministrazione.

Nell'ordinanza si esprime, quindi, l'avviso che la procedura di cui alla norma denunziata darebbe luogo ad un arbitrato necessario, in contrasto con l'art. 102 della Costituzione. Al fine di escludere che possa trattarsi di un'ipotesi di giurisdizione speciale (per la cui legittimità costituzionale potrebbe valere la non perentorietà del termine quinquennale di revisione previsto dalla VI disposizione transitoria della Costituzione), si deduce che il criterio distintivo tra l'istituto della giurisdizione speciale e l'arbitrato necessario andrebbe individuato nelle diverse modalità di scelta dei componenti del collegio, nel senso che allorché tale scelta sia rimessa alla volontà delle parti, si avrebbe l'arbitrato necessario, mentre se avvenga ad opera dell'autorità che non sia parte in causa, si avrebbe giurisdizione speciale. Si osserva, ancora, che nell'arbitrato necessario la deroga alla giurisdizione ordinaria é indipendente dalla volontà delle parti, e che, conseguentemente, la questione sollevata non potrebbe ritenersi infondata senza che a tale soluzione osti la sentenza n. 2 del 12 febbraio 1963 della Corte costituzionale, che ha negato l'illegittimità costituzionale dell'arbitrato, di cui al titolo VIII, libro IV, del Codice di procedura civile, sul riflesso che l'art. 102 della Costituzione non vieta alle parti di ricorrere volontariamente all'arbitrato.

Sulla rilevanza della questione, si argomenta, infine, che, ove sia dichiarata l'incostituzionalità della norma denunziata, il Tribunale potrà passare all'esame di merito della domanda attrice, riguardando esso la tutela di un diritto soggettivo e dovendo l'indennità essere determinata secondo criteri tecnici; nel caso, invece, che la questione venga dichiarata non fondata, il Tribunale dovrebbe pronunziare la sua incompetenza e non il difetto di giurisdizione. Ma pur nel caso in cui la controversia vertesse in tema di interessi legittimi, la questione sollevata conserverebbe la sua rilevanza, rimanendo da decidere se dichiarare il difetto di giurisdizione nei confronti del Consiglio di Stato ovvero del collegio arbitrale, con rilevanti ulteriori riflessi, tra i quali la possibilità di rimessione in termini nel primo caso.

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 271 del 29 ottobre 1966.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituiti i Ministeri della pubblica istruzione e del tesoro, rappresentati dall'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate in data 27 novembre 1966, nelle quali si chiede che la questione sia dichiarata non fondata.

Deduce l'Avvocatura generale che l'ordinanza di rimessione deve essere interpretata in connessione con la sentenza non definitiva, cui viene fatto espresso riferimento. Nella quale si é riconosciuto: 1) che spetta alla giurisdizione del Consiglio di Stato la valutazione della legittimità del provvedimento ministeriale che impone al privato l'obbligo di pagare l'indennità; 2) che il privato non può essere titolare se non di un interesse legittimo, nel particolare rapporto di soggezione rispetto alla Pubblica amministrazione, i cui provvedimenti discrezionali comportano l'affievolimento del diritto di proprietà.

Per quanto, invece, riguarda l'ammontare in concreto dell'indennità, secondo l'Avvocatura, l'ordinanza porrebbe il problema se possa residuare un margine di diritti soggettivi; in ordine ai quali dovrebbe pronunciarsi il Tribunale, se per questo tipo di controversia non fosse previsto il "giudizio" del più volte citato quinto comma dell'art. 15, in relazione al precedente comma quarto.

Prosegue l'Avvocatura, deducendo che la scelta fra l'obbligo di demolizione ed il pagamento della indennità-sanzione, é manifestamente tipica di un potere discrezionale, che sfocia nell'atto finale del procedimento, rappresentato dal decreto ministeriale, il quale include l'an ed il quantum dell'indennità, e può, esso solo, formare oggetto di un giudizio in senso proprio. L'insussistenza di una situazione di diritto soggettivo, anche per quanto concerne l'ammontare dell'indennità troverebbe conferma nel primo comma dello stesso art. 15, per il quale tale ammontare, oltre che in relazione al profitto conseguito dal trasgressore, va determinato sulla base della valutazione discrezionale del danno arrecato al pubblico interesse ed in funzione della protezione delle bellezze naturali e panoramiche.

Sicché, per l'Avvocatura, il "giudizio" del collegio dei periti di cui alle norme denunziate non darebbe luogo ad un arbitrato, ma resterebbe un atto interno di carattere preparatorio del decreto ministeriale. Ed il contravventore, nominando il perito di parte, offrirebbe soltanto la sua collaborazione all'Amministrazione, nell'ambito di un collegio, del quale, oltre al funzionario designato dal Ministro, fa parte altresì un terzo componente, nominato dal presidente del Tribunale: in piena aderenza col dovere di imparzialità ora proclamato dall'art. 97 della Costituzione.

Ad avviso dell'Avvocatura, soltanto dopo il responso del periti che può portare ad una reformatio in peius del precedente decreto, si ha l'atto conclusivo del procedimento, con il decreto del Ministro, che non va, pertanto, equiparato alla dichiarazione di esecutorietà del lodo arbitrale, ed é impugnabile nella sua unicità ed indivisibilità, secondo i normali rimedi stabiliti dalla legge.

Con memoria illustrativa del 24 aprile 1968, l'Avvocatura generale dello Stato insiste nelle sue conclusioni, ribadendo che il procedimento sanzionatorio, previsto dall'art. 15, conserva, durante tutto il suo iter, natura amministrativa e che non può in alcun modo essere scisso con l'attribuire ad una fase isolata il carattere di procedimento arbitrale. L'elemento fuorviante di questa interpretazione sarebbe dato dal termine "giudizio", usato nel quinto comma del citato articolo, al quale, tuttavia, non può in alcun modo essere attribuito il significato di esercizio di un potere giurisdizionale, ma semplicemente quello di "apprezzamento" o "valutazione" del collegio del periti. Trattasi, dunque, di un procedimento articolato per tutelare gli interessi del privato contravventore, pur sempre caratterizzato da una notazione di discrezionalità e avente la sua conclusione in un atto amministrativo, soggetto al normale sindacato di legittimità proprio di tutti gli atti amministrativi.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza di rimessione propone il problema della conformità all'art. 102 della costituzione dell'attribuzione dell'accertamento e della determinazione, rispettivamente, del danno e della indennità, al collegio del periti previsto dall'art. 15, quarto comma, della legge 29 giugno 1939, n. 1497.

Quest'ultima disposizione configurerebbe, si assume, un arbitrato necessario; e ciò, comportando l'imposizione di una deroga alla giurisdizione, sarebbe in contrasto col menzionato art. 102 della Costituzione.

2. - Non é necessario affrontare in questa sede la questione se effettivamente l'art. 102 della Costituzione escluda l'ammissibilità degli arbitrati necessari. Nella specie non ricorre, infatti, una figura di arbitrato.

Il procedimento previsto dai commi secondo e successivi dell'art. 15 della legge n. 1497 del 1939 prevede che, quando non accetti la misura dell'indennità liquidata dal Ministro ai sensi del terzo comma, il soggetto obbligato a pagarla possa chiedere che, in ordine all'adeguatezza di tale misura, si pronunci un collegio di tre periti, designati uno da lui stesso, uno dal Ministro e il terzo dal presidente del Tribunale. Il quarto comma precisa che la pronuncia del collegio é insindacabile, e il sesto comma aggiunge che il provvedimento del Ministro, che, a seguito di tale pronuncia, dispone il pagamento, é immediatamente esecutivo.

Si tratta, ad avviso della Corte, di un procedimento amministrativo, che si svolge in funzione di un provvedimento ministeriale (quello previsto dal sesto comma), rispetto al quale la pronuncia del collegio peritale - al cui merito il Ministro é obbligato ad attenersi (e invero il quarto comma la dichiara insindacabile, escludendone in tal modo ogni riesame in sede amministrativa) - esplica una funzione determinante, sì, ma strumentale. Né a far attribuire a questa pronuncia carattere di sentenza o di lodo arbitrale può bastare il dato, puramente formale, che il quinto comma dell'art. 15 parli di "giudizio del collegio peritale".

La disposizione denunciata non incide, dunque, nel campo della giurisdizione. Contro il provvedimento ministeriale adottato in conformità della pronuncia peritale e, anzi, aperta, per gli interessati, la via ai comuni rimedi giurisdizionali, inderogabili ai sensi dell'art. 113 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità Costituzionale, proposta con l'ordinanza indicata in epigrafe, dell'art. 15, quarto comma, della legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, in riferimento all'art. 102 della Costituzione. i

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1968.

 

 

 Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

Depositata in cancelleria il 6 giugno 1968.