Sentenza n. 52 del 1968
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SENTENZA N. 52

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14 del D.P.R. 4 giugno 1966, n. 332 (concessione di amnistia e di indulto), e degli artt. 592 e 152, secondo comma, del Codice di procedura penale, per quanto concerne l'amnistia, promosso con ordinanza emessa il 6 giugno 1966 dal pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Medini Giuseppe, iscritta al n. 177 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258 del 15 ottobre 1966.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 1 aprile 1968 la relazione del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi; udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza del 6 giugno 1966 emessa nel corso di un procedimento penale instaurato a carico di Giuseppe Medini, imputato del reati di cui agli artt. 582, 393, 612 e 594 del Codice penale, il pretore di Padova, d'ufficio, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata ed ha rimesso a questa Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 del D.P.R. 4 giugno 1966, n. 332, relativo alla concessione di amnistia e di indulto, in riferimento agli artt. 25, comma secondo, 24, comma secondo, 79 e 76 della Costituzione, nonché degli artt. 592 e 152, comma secondo, del Codice di procedura penale, per quanto concerne l'amnistia, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione.

Sul presupposto che l'art. 14 del D.P.R. 1966, n. 332, vada interpretato nel senso che a seguito della rinuncia dell'imputato all'amnistia, il beneficio non possa essere più a lui applicato qualora nel corso del procedimento ne venga accertata la colpevolezza, secondo il pretore con quella disposizione sarebbe violato il principio nullum crimen sine lege, sancito dall'art. 25 della Costituzione, in quanto, in caso di accertamento della colpevolezza, l'imputato verrebbe punito in forza di una norma sostanzialmente non più in vigore per effetto dell'intervenuta amnistia. Sarebbe d'altra parte violato il diritto di difesa, di cui all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, in quanto codesto diritto sarebbe frustrato dalla ritorsione vendicativa dello Stato quando il ricusante non riuscisse a convincere il giudice della propria innocenza e perché sarebbe aprioristicamente limitata nella applicazione e spesso vanificata la norma che prevede la rinuncia, da un deprimente ricatto ideologico, riconducibile da un canto alla possibilità, a mezzo della rinuncia, di difendersi in giudizio e dall'altro al timore di essere condannato e quindi d'essere trattato peggio di chi non ha rinunciato.

Da tutto ciò - secondo il pretore - deriverebbe l'ulteriore contrasto della norma impugnata con gli artt. 79 e 76 della Costituzione. L'art. 79, infatti, recepirebbe il concetto generale di amnistia e non anche quello anomalo di amnistia rinunciabile, con la conseguenza che una decretazione in ordine alla rinuncia all'amnistia potrebbe essere delegata non al Capo dello Stato ex art. 79, ma al Governo ex art. 76.

Per il pretore di Padova, infine, gli artt. 592 e 152, comma secondo, del Codice di procedura penale, sarebbero in contrasto con l'art. 24, comma secondo, della Costituzione, in quanto sarebbe preclusa all'imputato la possibilità di far valere le prove della sua innocenza, qualora dette prove non risultassero con evidenza al momento del suo interrogatorio.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata e comunicata ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 258 del 15 ottobre 1966.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato che, con atto depositato il 4 novembre 1966, ha contestato il fondamento della sollevata questione rilevando che:

- non esiste contrasto tra l'art. 14 del D.P.R. 1966, n. 332, con l'art. 25, comma secondo, della Costituzione, in quanto nessuna norma della Costituzione stessa dispone che l'amnistia debba essere irrinunciabile e non possa comunque essere subordinata a determinate condizioni;

- non ricorre l'asserita violazione dell'art. 24, comma secondo, della Costituzione, in quanto la possibilità di rinuncia all'amnistia garantisce e comporta una più specifica e concreta attuazione del diritto di difesa;

- non sarebbe violato l'art. 76 della Costituzione, in quanto non ha fondamento la tesi dell'anomalia della rinuncia all'amnistia;

- ed infine, a proposito della dedotta illegittimità costituzionale degli artt. 592 e 152, comma secondo, del Codice di procedura penale, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, sempre che della questione relativa si ravvisi la rilevanza, mancherebbe l'asserito contrasto, in quanto verificandosi le condizioni di operatività dell'amnistia, si estingue il reato e quindi non ha ragione di porsi il problema del diritto di difesa.

Le considerazioni sopraddette sono state illustrate dall'Avvocatura generale con memoria depositata il 19 marzo 1968.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 14 del D.P.R. 4 giugno 1966, n. 332, relativo alla concessione di amnistia e di indulto, dispone, in conformità alla legge di delegazione (art. 14 della legge 3 giugno 1966, n. 331), che "l'amnistia non si applica qualora l'imputato, prima che sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per amnistia, faccia espressa dichiarazione di non volerne usufruire".

Per il pretore di Padova la disposizione sarebbe in contrasto con gli artt. 25, comma secondo, 24, comma secondo, 79 e 76 della Costituzione.

Prima di dire circa la dedotta questione di legittimità costituzionale, é il caso di precisare che, secondo l'ordinanza di rinvio, con il citato art. 14 del D.P.R. 1966, n. 332, si vuole dichiarare inapplicabile l'amnistia non soltanto qualora intervenga la rinuncia, ma anche nel caso in cui, esercitata la relativa facoltà, sia accertata la colpevolezza dell'imputato. Pur mancando, nel decreto de quo, l'espressa statuizione (che invece é dato rinvenire negli artt. 12 del D.Lgt. 29 marzo 1946, n. 132, e 14 del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460) che in caso di rinuncia, ove segua condanna, l'amnistia non é più applicabile, é da ritenere che, intervenuta la dichiarazione espressa di rinuncia, la non operatività dell'amnistia é definitiva. Infatti, non risulta in alcun modo che, con l'adozione di una formula meno ampia, dal punto di vista letterale, si sia inteso modificare la volontà manifestata nei due decreti sopra citati ed appare anzi evidente la determinazione di conformarvisi (esplicitamente ammessa in precedenza ed identica occasione, nella relazione al D.P. 22 giugno 1946, n. 4).

Va altresì tenuto presente che nella specie l'imputato "ha dichiarato di avvalersi della facoltà di rinunciare all'amnistia ed ha chiesto che fosse celebrato il dibattimento".

Ed infine é da considerare che, secondo il pretore di Padova, "non é in discussione la sussistenza della rinuncia all'amnistia in sé e per sé considerata, sulla cui legittimità costituzionale non vi é dubbio alcuno".

2. - Con la stessa ordinanza di rinvio viene prospettata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 592 e 152, comma secondo, del Codice di procedura penale, limitatamente all'amnistia, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione.

Sarebbe in contrasto con il diritto di difesa, il divieto di istruzione probatoria dell'art. 592, e parimenti l'art. 152, comma secondo, sempre che questa disposizione, abolito il detto divieto di istruzione probatoria, non debba interpretarsi estensivamente.

Esisterebbe tra il ripetuto art. 14 del D.P.R. 1966, n. 332 e gli artt. 592 e 152, comma secondo, del Codice di procedura penale una insanabile antinomia.

Sennonché, a fronte dell'asserito collegamento e contrasto sta la evidente non rilevanza della questione di legittimità costituzionale del detti articoli del Codice di procedura penale. Può consentirsi che ricorrano le "ragioni di conseguenzialità logico - giuridica e di coordinamento sistematico" genericamente invocate dall'ordinanza, ma é certo che le considerazioni svolte dal pretore di Padova a preteso fondamento della rilevanza sono affatto estranee alla specie e che nel procedimento penale a carico dell'imputato Medicini, é escluso che quegli articoli possano trovare applicazione, dato che il Medini, come si é sopra constatato, ha dichiarato di avvalersi della facoltà di rinuncia all'amnistia.

Ne consegue che, a causa della manifesta irrilevanza della questione sollevata, se ne debba dichiarare l'inammissibilità.

3. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 del D.P.R. 1966, n. 332, é prospettata anzitutto, in riferimento all'art. 25, comma secondo, della Costituzione.

Secondo il pretore di Padova, la norma impugnata attribuirebbe alla rinuncia l'efficacia e la qualifica di negozio di diritto sostanziale e ciò comporterebbe la violazione della citata norma costituzionale. La rinuncia, invece, dovrebbe essere considerata come negozio di diritto processuale, con la semplice funzione di condizione di procedibilità: l'effetto estintivo dell'amnistia rimarrebbe inalterato, con la conseguenza dell'applicabilità della stessa, in caso di rinuncia e dopo il regolare svolgimento del procedimento.

Come é evidente, secondo il giudice a quo, l'art. 14 dovrebbe essere interpretato diversamente da quanto sopra detto. E quindi si porrebbe l'alternativa: riconoscere alla rinuncia efficacia anche sostanziale e in tal caso sarebbe violato l'art. 25, comma secondo, della Costituzione, o riconoscere alla rinuncia efficacia solo processuale e allora la Costituzione sarebbe osservata.

La Corte é dell'avviso che non possa, in relazione all'art. 14 del D.P.R. 1966, n. 332, prospettarsi una doppia e differente interpretazione della disposizione. Si é in presenza di una chiara ed univoca manifestazione di volontà legislativa ed é per questo che solo codesta volontà deve essere valutata, sul terreno della costituzionalità, in riferimento al citato art. 25, comma secondo, della Costituzione.

L'asserito contrasto non sussiste. Il principio nullum crimen sine lege, ha, infatti, una portata che non interferisce con l'amnistia. Da un lato esso impone che la determinazione di una sanzione criminale sia precedente alla commissione del fatto: e codesta situazione trova riscontro nella fattispecie. Dall'altro esso impone che non si puniscano fatti che non siano prevenuti dalla legge come reato. Al riguardo, a prescindere dalla circostanza che l'amnistia non ha efficacia abrogativa della norma incriminatrice, ma incide solo sulla valutazione del fatto come punibile, va osservato che, in caso di amnistia rinunciabile, funzionando la mancata rinuncia come presupposto o coelemento della operatività della amnistia, la disposizione che la prevede rimane praticamente senza effetto. E non vale rilevare l'incongruenza di una manifestazione di volontà che si contrapponga ad una norma avente effetti sulla repressione penale; infatti, se pure fosse esatta, codesta osservazione non porterebbe alle conseguenze prospettate dall'ordinanza, in quanto si tratterebbe, in ipotesi, di una questione di opportunità legislativa e non di legittimità costituzionale.

4. - Il pretore di Padova denuncia l'illegittimità costituzionale dell'art. 14 D.P.R. 1966, n. 332, anche in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione.

Pur dovendosi riconoscere che la difesa "é assicurata con lo svolgimento di una normale fase dibattimentale e con apprezzamento del mezzi processuali idonei all'adeguato esercizio del diritto dell'imputato di discolparsi", e sostenere che "il diritto di rinuncia all'amnistia é una tipica particolarizzazione della regola generale della difesa dell'imputato", secondo il giudice a quo, con i detti fini difensivi e con la ratio legis sarebbe contrastante l'irrogazione di una pena, sia pure condonabile

Fermo restando che la facoltà di rinuncia all'amnistia costituisce esplicazione del diritto di difesa, é fuor di luogo parlare di "ritorsione vendicativa dello Stato quando il ricusante non sia riuscito a convincere il giudice della propria innocenza" perché, ragionando sul terreno dell'amnistia rinunciabile e presupponendo la piena legittimità dell'istituto e quindi dei suoi effetti, la previsione e l'irrogazione della pena, per il reato e per il fatto che in concreto lo realizzi e di cui sia accertata l'esistenza, rispondono pienamente alle regole ed ai principi propri dell'esistenza e dell'attuazione della pretesa punitiva dello Stato.

E per gli stessi motivi é ingiustificato ritenere che la norma che prevede la rinuncia sia "aprioristicamente limitata nella applicazione e spesso vanificata" da un "deprimente ricatto ideologico" proposto all'imputato. L'imputato innocente é solo o tutt'al più posto davanti ad una scelta: di accettare l'amnistia e subirne le conseguenze, o di richiedere l'espletamento del processo ed andare incontro a tutte le possibili definizioni dello stesso in conformità a legge.

5. - L'art. 14 del D.P.R. 1966, n. 332, sarebbe, infine, in contrasto con gli artt. 79 e 76 della Costituzione. "La norma che consente di ricusare il beneficio, togliendogli quel valore cogente che, derivante dalla sua essenziale natura di publica abolitio, ne era caratteristica identificatrice, trasforma così radicalmente l'istituto, da legittimare la affermazione che un'amnistia rinunciabile non é un'amnistia". E la decretazione, allorché si tratti di qualcos'altro che di un'amnistia in senso tecnico, può essere "bensì delegata, non però al Capo dello Stato ex art. 79 della Costituzione, ma al Governo ex art. 76".

Contro le premesse e l'assunto del giudice a quo é possibile osservare che l'amnistia prevista dall'art. 79 non é necessariamente non rinunciabile ed é invece indifferentemente rinunciabile o meno, perché la rinuncia - come richiesta di giudizio da parte dell'imputato - non elimina né snatura l'amnistia in relazione alla quale sia consentita, dato che costituisce un possibile modo di attuarsi del diritto di difesa ed il suo esercizio rende inoperante l'amnistia in dipendenza della valutazione degli interessi in contestazione discrezionalmente operata dal legislatore, e perché l'ipotesi della rinunciabilità non poteva dall'Assemblea costituente non essere considerata come naturale, dato che negli anni immediatamente precedenti l'approvazione della Costituzione erano stati emessi ben quattro provvedimenti di amnistia rinunciabile.

Ad ogni modo, non é pensabile che l'amnistia rinunciabile sia qualcosa di sostanzialmente diverso da quella non rinunciabile. E per ciò come appare inaccettabile la premessa, così lo é la conseguenza che se ne vorrebbe trarre.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe, dell'art. 14 del D.P.R. 4 giugno 1966, n. 332, relativo alla concessione di amnistia e di indulto, in riferimento agli artt. 24, comma secondo, 25, comma secondo, 79 e 76 della Costituzione;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata con la stessa ordinanza, degli artt. 592 e 152, secondo comma, del Codice di procedura penale, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 1968.

 

 

Aldo SANDULLI - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

Depositata in cancelleria il 27 maggio 1968.