Sentenza n. 21 del 1968
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SENTENZA N. 21

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 21 luglio 1967, n. 613, concernente ricerche e coltivazioni degli idrocarburi liquidi e gassosi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale e modificazioni alla legge 11 gennaio 1957, n. 6, sulla ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, promossi con i seguenti ricorsi:

1) ricorso del Presidente della Regione siciliana notificato il 30 agosto ed il 1 settembre 1967, depositato in cancelleria il 7 settembre 1967 ed iscritto al n. 24 del Registro ricorsi 1967;

2) ricorso del Presidente della Regione autonoma della Sardegna notificato il 30 agosto 1967, depositato in cancelleria l'8 settembre 1967 ed iscritto al n. 25 del Registro ricorsi 1967.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 31 gennaio 1968 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi gli avvocati Antonio Sorrentino, Vittorio Ottaviano e Pietro Virga, per la Regione siciliana; gli avvocati Pietro Gasparri, Alberto Montel e Feliciano Benvenuti, per la Regione sarda, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Regione siciliana e quella sarda, con distinti ricorsi del 30 agosto - 1 settembre 1967 e 30 agosto 1967, hanno impugnato la legge 21 luglio 1967, n. 613, concernente ricerche e coltivazioni degli idrocarburi liquidi e gassosi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale e modificazioni alla legge 11 gennaio 1957, n. 6, sulla ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi.

La Regione siciliana ha contestato la legge in quanto riserva allo Stato il diritto di esplorare la piattaforma continentale, di sfruttarne le risorse naturali, di rilasciare le relative concessioni, e ha chiarito che l'impugnativa é stata proposta con particolare riguardo agli artt. 2, 43, 45, 53 e 54 e agli ultimi sei commi della tabella A (recte: B) della sopra citata legge; la Regione sarda si é riferita esclusivamente al comma primo dell'art. 2, ai commi 2, 3 e 4 dell'art. 5, all'art. 11, ai commi 1 e 2 dell'art. 17, al terzo comma dell'art. 20, al primo comma dell'art. 23, ai commi 4 e 5 dell'art. 27, al comma primo dell'art. 32, ai commi 1 e 5 dell'art. 33, al comma primo dell'art. 35, agli artt. 40, 41, 42, 49, 53, 54 e ogni altra disposizione che risulti connessa con le precedenti, salvo, per quanto possa essere ritenuto un tutto logicamente inscindibile, la dichiarazione di illegittimità dell'intera legge.

2. - La Regione siciliana ha rilevato che i giacimenti di idrocarburi appartengono al suo patrimonio indisponibile, come ha anche deciso l'Alta Corte per la Sicilia nella sua sentenza 18 marzo - 4 luglio 1950, e che, sulla materia, ha quindi potere di legislazione esclusiva ai sensi dell'art. 14 lett. h dello Statuto e potestà amministrativa in virtù del successivo art. 20 parte prima; tale duplice potestà essa ha esercitato anche per le zone sottomarine adiacenti alle coste dell'isola senza che da parte dello Stato fosse stata sollevata eccezione alcuna.

Lo Stato, secondo la dottrina moderna, ha, sul mare territoriale e sulla piattaforma continentale, alcune potestà giustificate da ragioni di continuità, contiguità o accessorietà; e tali ragioni possono spiegare efficacia unicamente a favore della Regione, che é l'ente titolare di poteri in materia di ricerca o sfruttamento di giacimenti minerari e dato che i giacimenti che si rinvengono sulla piattaforma sono il più delle volte continuazione di quelli esistenti sulla terraferma.

Fra i beni rientranti nella sfera della Regione siciliana vi é anche il demanio marittimo, il quale é escluso dalla sfera della Regione sarda per espressa disposizione statutaria, mentre lo Statuto siciliano mantiene allo Stato solo i beni che ne interessano la difesa; alla Regione siciliana é stata attribuita la competenza legislativa in materia di pesca senza la limitazione alle acque interne posta dall'art. 117 della Costituzione, in modo che vi sono potestà regionali che si esercitano sul mare territoriale, come ha riconosciuto la Corte con la sentenza 26 gennaio 1957, n. 23, relativa all'estensione della potestà di pesca della Regione sarda alle acque territoriali.

Nemmeno un interesse nazionale potrebbe prospettarsi perché, a prescindere dalla circostanza che non si presentano per la Sicilia fasce costiere contigue a quelle di altri Stati, va distinto l'esercizio delle facoltà di dare concessioni da quello del rispetto degli obblighi internazionali assunti dallo Stato. Dalla ratifica della convenzione internazionale sulla piattaforma sarebbe disceso automaticamente l'obbligo per la Regione di rispettare le clausole di tale convenzione, non già il trasferimento allo Stato della competenza spettante alla Regione.

Non vale nemmeno il profilo relativo alla tutela sanitaria contro l'inquinamento delle acque: essa é attribuita all'autorità locale non a quella centrale, e in materia sanitaria la Regione siciliana possiede una sua competenza nei limiti dei principi a cui si informa la legislazione statale. La legge impugnata non detta principi generali nuovi; e, comunque, l'introduzione di principi del genere non farebbe argomentare il trasferimento della competenza dallo Stato alla Regione.

Non va infine che la ricerca di idrocarburi nel mare territoriale avrebbe un carattere strumentale per la ricerca di un bene (giacimento) che ancora non si sa se esiste: la potestà legislativa ed amministrativa della Regione non può essere ristretta ai giacimenti minerari scoperti.

In ogni caso é da considerarsi incostituzionale l'art. 54 della legge il quale devolve alle Regioni a statuto speciale una terza parte dell'aliquota in natura corrisposta per le concessioni relative a giacimenti siti nel sottofondo del mare territoriale adiacente alle coste delle Regioni stesse. La norma implicitamente riconosce l'appartenenza alla Regione di una parte delle risorse del mare territoriale; ma la ripartizione fra Stato e Regione dell'utilizzazione di tali risorse, comportando una modificazione delle norme in materia finanziaria, avrebbe richiesto le preventive determinazioni della commissione di cui all'art. 43 dello Statuto.

3. - La Regione sarda ha osservato che le due disposizioni fondamentali della legge, l'art. 2 e l'art. 49, disconoscono il diritto reale della stessa sui giacimenti minerari della piattaforma, la competenza che la medesima ha in tema di esercizio industriale delle miniere e in materia di agricoltura, di pesca, di turismo.

La sentenza della Corte 26 gennaio 1957, n. 23, ha stabilito che la competenza regionale in materia di pesca si estende alle acque territoriali ed anche oltre, fino all'estremo margine dello spazio marittimo che circonda il territorio e sul quale, sia pure a titolo accessorio, si esercita il potere dello Stato. Questo principio é stato accolto, con estensione alla materia delle saline e, per certo aspetto, anche a quella dell'igiene e sanità, con l'art. 1 delle norme di attuazione dello Statuto sardo approvato con D.P.R. 24 novembre 1965, n. 1627; e niente osta che analogo criterio di estensione valga riguardo alle attività di sfruttamento minerario ed eventualmente anche di coltivazione vegetale del fondo marino, salvi i limiti di estensione posti dal diritto internazionale. A tale estensione non si oppongono le disposizioni statutarie che riservano allo Stato la titolarità del demanio marittimo: si può ammettere che esse riguardano non solo le acque ma anche il fondo in quanto alveo che le contiene; tuttavia i giacimenti minerari, anche quando si trovino nel perimetro di aree demaniali costituiscono oggetto di patrimonio indisponibile, che é una situazione la quale può coesistere con la proprietà demaniale dello Stato sul suolo marino, allo stesso modo in cui coesiste con la proprietà privata del suolo terrestre.

D'altronde, per quanto attiene al mare e al suolo marino estendendosi oltre la spiaggia e fuori del porti e delle rade, si parla impropriamente di proprietà demaniale, trattandosi di aree sottratte a qualsiasi regime di appartenenza (res communes omnium); e la legge impugnata le sottopone invece a tale regime. Il quale, in mancanza di disposizioni costituzionali in contrario, non potrebbe essere se non quello determinato dalla consistenza delle aree stesse; quindi, nella specie, nella misura in cui la piattaforma continentale sia costituita da giacimenti minerari, non potrebbe essere se non il regime della patrimonialità indisponibile delle Regioni insulari autonome, in quanto adiacente ai loro territori.

La circostanza che il mare territoriale e la piattaforma continentale sono oggetto di interessi propriamente statali non esclude affatto la competenza della Regione per quanto concerne i giacimenti minerari esistenti nell'area della piattaforma. Il problema sarà, se mai, quello di coordinare, con norme di attuazione, le competenze regionali e quelle statali, mediante un sistema di consultazione e, all'occorrenza, di concerti, come si é fatto con il ricordato D.P.R. 24 novembre 1965, n. 1627, riguardo alla pesca.

4. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha rilevato che l'esistenza di un qualche potere delle Regioni, certamente da escludere per la piattaforma posta fuori dai limiti del mare territoriale, é stata negata in un parere del Consiglio di Stato del 12 agosto 1948, sia per l'impossibilità di assimilare il territorio dello Stato al mare territoriale, soggetto alla sovranità dello Stato, ma non costituente suo territorio, sia per le implicazioni di ordine interno ed internazionale (sicurezza, difesa, rapporti con altri Stati, ecc.) che la prospezione e lo sfruttamento del fondo e del sottofondo marino comportano, considerati unitariamente e senza soluzioni di continuità. A queste ragioni potrebbero aggiungersi la novità e l'autonomia del diritto attribuito allo Stato con la legge impugnata; le quali escludono che esso possa considerarsi trasferito alle Regioni ricorrenti con gli artt. 14 lett. h, 20 e 23 Statuto siciliano e con gli artt. 3, 4 e segg. Statuto sardo: codesti articoli concernono, e non potevano concernere altro, le miniere esistenti nel territorio dello Stato; le quali soltanto, per altro, costituiscono patrimonio indisponibile dello Stato o delle Regioni. Con riferimento al ricorso della Regione sarda, il Presidente del Consiglio ha osservato che le funzioni ad essa trasferite in materia di agricoltura, pesca, miniere, turismo, sanità dagli articoli 3 e seguenti dello Statuto, ed i conseguenti diritti patrimoniali, riguardano poteri e diritti già spettanti allo Stato; e comunque sono limitati al territorio dell'isola, che non comprende la piattaforma continentale, né termina con il lido del mare.

5. - La Regione sarda e il Presidente del Consiglio dei Ministri, rispettivamente il 16 gennaio e il 12 gennaio 1968, hanno depositato memoria illustrativa delle proprie deduzioni.

La Regione siciliana ha depositato la sua memoria il 19 gennaio 1968, quindi fuori termine.

All'udienza del 31 gennaio 1968 i difensori delle parti hanno illustrato e ribadito le proprie tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due cause possono essere decise con unica sentenza.

Esse concernono la medesima legge statale, che viene impugnata nella sua integrità. Infatti la Regione siciliana domanda esplicitamente la dichiarazione di illegittimità di tutte le disposizioni che la compongono, e solo a titolo indicativo ne elenca alcune; a sua volta la Regione sarda fa riferimento a singole norme, ma chiede, nel contempo, la dichiarazione di illegittimità delle altre non indicate, in quanto la legge possa essere ritenuta un tutto logicamente inscindibile. I motivi dell'impugnazione poi, o sono identici per entrambi i ricorsi, o hanno attinenze reciproche.

2. - La proposta questione sostanzialmente concerne la pretesa delle due suddette Regioni alle risorse del fondo e del sottofondo marino che circonda le rispettive isole. Giova ricordare, a tal riguardo, che, al tempo della promulgazione dello Statuto siciliano e di quello sardo, l'esistenza a favore dello Stato del diritto inerente a tali risorse era internazionalmente oggetto di serie discussioni. Non é supponibile perciò che lo Stato abbia attribuito alle Regioni ricorrenti una potestà legislativa e amministrativa su una materia che nemmeno esso poteva ritenere certamente ed indiscutibilmente nella sua sfera, e che comunque internazionalmente, neanche entro un minimo di utilizzabilità, era geograficamente e giuridicamente definita. Le manifestazioni che si erano avute ad opera di Stati stranieri non avevano prodotto una norma internazionale di valore generale; e fino ad oggi, del resto, nemmeno la convenzione di Ginevra 28 aprile 1958 sulla piattaforma continentale, alla quale l'Italia non ha ancora aderito, per quanto predisposta sotto l'egida dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, ha ricevuto la ratifica di tutti gli Stati che la posero in essere.

Comunque, quello sulla piattaforma continentale é un diritto che é condizionato dall'utilizzabilità economica del suo oggetto, tanto vero che l'art. 1 primo comma della legge impugnata, oltre i duecento metri di profondità, genericamente lo estende fino al limite della possibilità di sfruttamento; e lo Stato italiano fu in grado di esercitare quel diritto soltanto in tempo recente. La prima manifestazione di tale esercizio é infatti quella con cui fu affidato all'Ente nazionale idrocarburi il compito di eseguire ricerche su alcune zone marine dell'Adriatico, in base alla legge 10 febbraio 1953, n. 136, posteriore alla promulgazione degli Statuti delle regioni ricorrenti; solo dopo tale promulgazione perciò la piattaforma continentale assunse, nell'ordinamento interno, ma parzialmente, il carattere di bene giuridico, perché solo allora acquistò il requisito dell'appropriabilità, che é essenziale per la qualifica di una cosa come bene.

Al di sotto dell'isobata dei duecento metri nemmeno oggi si sa fino a qual punto il diritto statale in discorso si potrebbe esplicare con effettività; e per potersi sostenere che esso sia stato trasferito alle Regioni ricorrenti, dovrebbe affermarsi che si possa ritenere passata ad esse anche la competenza a determinarne il limite, vale a dire la competenza a fissare l'ambito della sfera dello Stato con effetti nell'ordinamento internazionale, che attiene invece a quello che si suol designare potere estero, di spettanza esclusiva dello Stato. Indiscutibile é che la Sardegna ha piattaforma in comune con la Corsica; ma del pari non é discutibile, nonostante le contestazioni mosse al riguardo dalla Regione, che la Sicilia é in una stessa piattaforma con l'isola maltese. E, se é esatto l'assunto che le Regioni, ricorrendo avverso la legge del 1967, non hanno inteso affermare che avrebbero potuto sostituirsi allo Stato nell'ambito internazionale, é anche vero che internazionalmente allo Stato sarebbe imputata la azione autonoma delle Regioni sulla piattaforma adiacente al loro territorio, se ne avessero diritto, con l'effetto, non solo di determinare in concreto i termini del rapporto interstatuale, ma anche di coinvolgere la responsabilità internazionale dello Stato circa il modo di esercizio di quell'azione.

3. - Si é opposto che la piattaforma predetta é un accessorio o una pertinenza della terraferma: ma essa non é al servizio di questa ultima ai fini dell'esercizio del diritto di sfruttamento, e, al contrario, é la terraferma che condiziona tale esercizio (art. 31 legge impugnata). Non basta inoltre rilevare che talora i giacimenti sottomarini sono continuazione di quelli del sottosuolo: l'osservazione fa arguire che può esservi unità fra taluni adunamenti minerari e, quando v'é tale unità, che v'é convergenza di interessi fra Stato e Regione, non certo potrebbe giustificare l'assorbimento della competenza dello Stato in quella della Regione, talora financo sproporzionata nel fatto, ove la porzione terrestre del sedimenti fosse minima.

La ricerca sottomarina può organizzarsi e svolgersi unitariamente dalla zona che corrisponde al sovrastante mare territoriale fino a quella che sottostà all'alto mare; e per ciò solo non potrebbe essere oggetto di potestà regionali, sicuramente non estensibili al mare libero. Non si potrebbe dividere il fondo e il sottofondo marino fra zona territoriale, zona contigua e zona d'alto mare, per riconoscere alle regioni una competenza unicamente riguardo alle attività che possono esercitarsi sulla porzione di fondo e di sottofondo sottostante al mare territoriale, perché la corrispondente differenziazione del mare si rifà ad una varia natura e ad una diversa intensità dei poteri dello Stato, che attengono alla difesa, alla polizia della navigazione, alla vigilanza doganale, e via enumerando, mentre sul fondo e sul sottofondo marino si esplicano poteri di contenuto e di intensità uguali per tutta la fascia che va dalla linea della bassa marea fino al limite esterno della piattaforma. In altre parole, la condizione giuridica differenziata del mare trova fondamento in una diversità di funzione del suoi vari tratti, là dove una sola é la funzione del fondo e del sottofondo marino; e la distinzione del mare territoriale della zona contigua e dell'alto mare é rilevante soltanto nella misura in cui lo é secondo il diritto internazionale, il quale non fa prevedere, per la piattaforma continentale, l'instaurazione di trattamenti diversi a seconda della sua posizione geografica.

Impedisce una ripartizione fra Stato e Regione della competenza sulla materia anche la subordinazione del relativo diritto al libero esercizio degli interessi garantiti, sul mare, agli Stati terzi, secondo l'ordinamento internazionale (art. 2, comma terzo, della legge), e quindi secondo ciò che può essere determinato dall'evoluzione dei rapporti interstatuali.

La valutazione della situazione di tali rapporti é pure estranea alla competenza regionale; e nemmeno a tal proposito si può obiettare che le regioni ricorrenti non intendono esimersi dal dovere di osservare gli obblighi internazionali nell'esercizio della rispettiva competenza perché, nella specie, se il diritto reclamato dalle Regioni ricorrenti non é scindibile dal limite posto a tutela dell'interesse degli Stati terzi, esso dovrebbe comportare l'esplicazione di potestà efficaci ad impedire che quegli Stati terzi eccedano nell'esercizio del loro diritti e che questi diritti siano violati da coloro ai quali si attribuisce il compito di ricercare e di coltivare quelle risorse: sono potestà codeste che non si possono definire di competenza regionale senza che resti indebolita la posizione internazionale dello Stato, la quale richiede pienezza, assolutezza ed immediatezza di interventi. diritti degli Stati terzi possono trovare restrizione solo nell'esigenza di soddisfare interessi inerenti alla vita della comunità statale nella sua unità e nella sua inscindibilità, non interessi appartenenti soltanto ad una parte di quella comunità, com'é la regione.

4. - Non convince nemmeno l'asserto che, essendo lo Stato articolato in Regioni, per le materie statutarie la competenza statale si risolve in una competenza regionale. A parte l'ipotesi di competenza concorrente, si può rilevare in contrario che le stesse materie di competenza esclusiva ricevono restrizioni naturali dai motivi che hanno determinato la istituzione delle Regioni, consistenti nella cura dell'interesse esclusivamente o almeno prevalentemente localizzato nella sfera regionale (sentenza 1 aprile 1958, n. 28), sempre che si ponga sul piano di quell'unità dello Stato in cui le Regioni si sistemano e vivono, e sul piano delle esigenze fondamentali che informano la vita dello Stato (sentenze 22 gennaio 1960 n. 2 e 6 aprile 1965 n. 26); in modo che questa Corte ha potuto decidere che, non ostante la generica dizione degli Statuti, di regola, la cerchia delle materie che essi affidano alle Regioni non contiene anche il regolamento degli inerenti rapporti di diritto privato (sentenza 24 gennaio 1957 n. 35, 27 giugno 1957 n. 109, 8 luglio 1958 n. 49, 5 giugno 1962 n. 63) e che il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato é, per la competenza regionale, un limite indefettibile, pur se il singolo Statuto non lo segni in modo espresso (sentenza 4 aprile 1963 n. 49).

Non ha pregio neanche l'obiezione che i medesimi motivi che giustificano l'estensione delle potestà statali sulla piattaforma continentale impongono di portarvi la competenza regionale: tale estensione fu determinata, come ricorda la relazione alla legge impugnata, dal riflettersi dell'esercizio del diritto in questione sulla sicurezza dello Stato, sulla conservazione del litorale, delle spiagge, delle rade, e dei porti, e sull'attuazione di un programma produttivo efficace a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti degli idrocarburi e a ridurre il ricorso all'approvvigionamento estero, fino a dare al Paese una autonomia di settore: tutte finalità che non attengono all'interesse esclusivo o prevalente delle regioni. Gli idrocarburi sono fonti di energia, e le fonti di energia (giova ricordarlo) sono beni che, ex art. 43 della Costituzione, a fini di utilità generale, possono formare oggetto di riserva a favore dello Stato: ed é da notare che, negli Stati Uniti di America, con l'Outer continental shelf land act (7 agosto 1953), le aree sottomarine furono dichiarate di proprietà federale, rimanendo sottratte al potere degli Stati federati.

Quello dell'esistenza di un mare territoriale regionale altro non é se non problema di esistenza, fra le competenze regionali, di singole materie aventi un oggetto che implica l'utilizzazione di quel mare: e non é perciò invocabile a favore dell'accoglimento dei ricorsi la sentenza di questa Corte del 21 gennaio 1957 n. 23. Questa riconobbe alla Regione sarda una competenza in materia di pesca marittima, ma non giudicò che la Regione stessa ha un suo mare territoriale o che può esercitare poteri su quel mare, sia pure limitatamente alla pesca. La sentenza ammise, é vero, che la potestà spettanti allo Stato riguardo al mare territoriale non sono pregiudicate dall'esercizio di quella competenza; ma lo ammise per una materia, come la pesca, che il D.P.R. 13 luglio 1954, n. 744, aveva riconosciuto di poter decentrare presso le amministrazioni provinciali riguardo al territorio dello Stato non ancora organizzato a Regioni con statuto ordinario, mediante un apprezzamento che non é stato ripetuto a proposito della piattaforma continentale, dato quanto si é sopra esposto.

La legge impugnata ha mantenuto fermo il diritto della Regione siciliana al controllo dell'attività di coloro ai quali essa aveva accordato permessi e concessioni, non perché ha ammesso che le relative potestà erano state esercitate legittimamente, ma volendo prendere atto di una situazione di fatto e regolarla in via transitoria; tanto vero che ha prescritto il rinnovamento del permesso o della concessione da parte dell'amministrazione statale. Atti amministrativi, come sono i permessi di ricerca e le concessioni di coltivazione accordati dalle Regioni, non hanno la forza di pregiudicare le competenze costituzionali; neppure se hanno efficacia definitiva, per non avere formato oggetto di denuncia in sede di conflitto di attribuzione.

5. - A riprova che gli Statuti non hanno attribuito alle Regioni alcun diritto sulla piattaforma continentale sta la nozione di miniera da essi accolta.

Questa nozione non può coincidere se non con quella che si desume dal R.D. 29 luglio 1927, n. 1443, dato il tempo in cui gli Statuti iniziarono la loro vita. Ma nel citato decreto appare chiaramente presente un concetto di miniera collegato unicamente ed essenzialmente al sottosuolo; tanto vero che il suo art. 1 pone ad oggetto della normativa degli articoli successivi la ricerca e la coltivazione di sostanze minerali e di energie "del sottosuolo" sotto qualsiasi forma e condizione fisica. In correlazione a ciò, l'art. 5, secondo comma, l'art. 15, quarto comma, e l'art. 27, quarto comma, del citato decreto, per i permessi di ricerca, per le concessioni di coltivazione e per l'autorizzazione al trasferimento delle concessioni, dispongono che deve essere previamente sentita l'amministrazione militare, ove si tratti di miniere esistenti in zone interessanti la difesa, ma nulla statuiscono per la tutela dell'interesse della navigazione, come avrebbero dovuto fare se il permesso, la concessione o l'autorizzazione avesse potuto concernere le miniere sottomarine. E sempre in coerenza alla nozione esclusivamente terrestre di miniera, le leggi di polizia mineraria, fino al D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, emesso in esecuzione della delegazione contenuta nella legge 4 marzo 1958, n. 198, non avevano norme idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni sottomarine e la sicurezza e la salute del lavoratori in esse impegnati. Anche il Codice civile, all'art. 840, fa parola delle miniere in un rapporto con il sottosuolo; e pertanto identica deve ritenersi la nozione che delle medesime ha il precedente art. 826 come beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato. Alla figura della miniera sottomarina non si pensava quindi al tempo della promulgazione degli statuti regionali per la Sicilia e per la Sardegna; e perciò solo alle miniere di sottosuolo poterono, riferirsi tali Statuti.

Quando affiorò nel nostro ordinamento giuridico, e cioè con la citata legge 10 febbraio 1953, n. 136. quella figura fu delineata come attinente a materia di esclusiva competenza statale, e quindi come bene di patrimonio indisponibile dello Stato, dato il carattere dell'ente cui veniva affidato il compito estrattivo nelle zone marittime che la stessa legge indicava.

6. - Sotto una varietà di profili resta perciò escluso che la legge 21 luglio 1967, n. 613, abbia leso una competenza attribuita alle Regioni ricorrenti dai rispettivi Statuti. Se l'applicazione di tale legge causasse interferenze statali su alcune competenze regionali (la Regione sarda parla di agricoltura, di pesca, di turismo, di industria e commercio, di produzione di energia elettrica e di linee marittime ed aeree di piccolo cabotaggio e la Regione siciliana di sanità pubblica e di pesca), sarebbe da ripetere quanto la Corte considerò nella ricordata sentenza del 21 gennaio 1957 n. 23, a proposito della pesca marittima nel mare sardo; che cioè le singole competenze regionali debbono intendersi rigorosamente limitate, così da escludere ogni esorbitanza in materie connesse di competenza statale, e senza pregiudizio delle implicazioni di questa competenza, la quale tutela interessi pubblici estranei alla sfera regionale.

E nemmeno per ciò che dispongono gli artt. 53 e 54 della legge é configurabile una lesione della competenza regionale.

Quanto al primo, la Regione sarda non ha motivo di dolersi che non le furono attribuiti poteri di controllo sull'attività del titolari di suoi permessi di ricerca sottomarina. Questi permessi sono stati accordati il 16 luglio 1967, e quindi posteriormente al perfezionamento della legge impugnata, avvenuto, con l'approvazione della IX commissione del Senato, il 13 luglio 1967: la legge non poteva regolare la situazione conseguitane, perché ne ignorava l'esistenza. Pertanto non può aver inteso di recare lesione ad una disciplina transitoria della situazione di fatto che gli atti regionali avevano determinato, ove essa avesse meritato la medesima tutela accordata alla Regione siciliana, e si fosse ravvisato privo di importanza il fatto che era stata prodotta nella scienza del suo contrasto con la legge già approvata dalle camere.

Quanto all'art. 54 della legge, non é sostenibile, come fa la Regione siciliana, che esso avrebbe fissato la quota della Regione sul prodotto della coltivazione delle miniere di idrocarburi senza le forme prescritte per le norme di attuazione degli statuti. La disposizione predetta ha infatti voluto attribuire alle Regioni a statuto speciale, non una compartecipazione al risultato economico della coltivazione delle miniere sottomarine o una indennità a compenso di diritti che ad esse venivano sottratti, ma un contributo speciale ai sensi dell'art. 119, terzo comma, della Costituzione. Lo si desume dalla limitazione posta alla disponibilità della quota assegnata, che, secondo la norma impugnata, deve essere destinata allo sviluppo delle attività economiche regionali ed al loro incremento industriale, e che palesemente si rifà al disposto del suddetto comma dell'art. 119; dal quale si trae l'esigenza che sia determinata la destinazione del contributo, e che si abbia riguardo particolare alla valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole. Per escludere la norma impugnata dal suddetto schema costituzionale non basterebbe certo opporre che l'art. 54 della legge in esame accorda un contributo in natura e non in danaro.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Regione siciliana in riferimento agli artt. 14, lett. h, 20, prima parte, 33, 36 e 43 del suo Statuto, nonché dalla Regione sarda in riferimento agli artt. 3, lett. d, m, p, 4, lett. a, e, f, e 6 del suo Statuto, e in ordine alla legge 21 luglio 1967, n. 613, che regola le ricerche e coltivazioni degli idrocarburi liquidi e gassosi, con particolare riguardo, per la Regione siciliana, agli artt. 2, 43, 45, 53, 54, e ultimi sei commi della tabella B della citata legge e, per la Regione sarda, l'art. 2 comma 1, l'art. 5 commi 2, 3 e 4, l'art. 11, l'art. 17 commi 1 e 2, l'art. 20 comma 3, l'art. 23 comma 1, l'art. 27 commi 4 e 5, l'art. 32 comma 1, l'art. 33 commi 1 e 5, l'art. 35 comma 1, gli artt. 40, 41, 42, 49, 53, 54 della legge stessa e ogni altra sua disposizione che risulti connessa con le precedenti.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 aprile 1968.

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

Depositata in cancelleria il 17 aprile 1968.