Sentenza n. 97 del 1967
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SENTENZA N. 97

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Antonino PAPALDO, Presidente

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11, terzo comma, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1965 dalla Corte suprema di cassazione - Sezione terza civile - nel procedimento civile vertente tra Lekner Antonia, Ioncoli Domenico ed altri ed il Ministero della difesa- esercito, iscritta al n. 90 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 156 del 25 giugno 1966.

Visti gli atti di Costituzione del Ministero della difesa-esercito e di Ioncoli Domenico e l'atto di intervento Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 26 aprile 1967 la relazione del Giudice Luigi Oggioni;

uditi l'avv. Antonio Merlino, per Ioncoli Domenico, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per il Ministero della difesa-esercito.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 24 novembre 1965 nel procedimento civile vertente tra Lekner Antonia, Ioncoli Domenico ed altri ed il Ministero difesa-esercito, avente ad oggetto il risarcimento dei danni causati dall'esplosione di una granata, la terza Sezione civile della Cassazione ha dichiarato in primo luogo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, del R. D. 30 ottobre 1933, n. 1611, in relazione all'art. 3 della Costituzione, questione sollevata dalle parti private, avendo riconosciuto che la norma impugnata, col prescrivere la notifica alla pubblica Amministrazione di citazioni e ricorsi presso l'Avvocatura nel cui distretto ha sede l'Autorità giudiziaria che si adisce, si limita a stabilire una sicura predeterminazione del domicilio di uno dei soggetti del rapporto processuale ed incide solo in via indiretta ed in senso positivo sulla sfera di interessi di terzi. Ha invece ritenuta non manifestamente infondata, e rilevante, la questione di legittimità costituzionale della norma di cui all'art. 11, terzo comma, del citato R.D., in virtù della quale l'Amministrazione, costituitasi in giudizio davanti alla Cassazione mediante controricorso, aveva eccepito l'inammissibilità dell'impugnazione per essere stato notificato il ricorso stesso presso l'Ufficio distrettuale dell'Aquila dell'Avvocatura dello Stato anziché presso l'Avvocatura generale in Roma funzionante per legge, nel caso, da Avvocatura distrettuale (art. 18, quarto comma, del succitato R.D.).

La Cassazione ha osservato nell'ordinanza che, secondo la propria giurisprudenza costante, la norma impugnata sancisce la nullità radicale, assoluta e non sanabile neppure con la Costituzione dell'Amministrazione intimata, della notificazione della citazione non eseguita presso l'Avvocatura dello Stato competente. Il ché, comportando l'esclusione della ordinaria indagine circa il raggiungimento dello scopo cui la notificazione é destinata, si porrebbe in contrasto col principio generale di sanatoria degli atti viziati il cui scopo sia stato egualmente realizzato ed acquisterebbe, in tal modo, un carattere di eccezionalità che, come testualmente si esprime l'ordinanza, "riguardata nella sua funzione limitatrice in una sola direzione dell'espansione della più favorevole disciplina potenzialmente atta a regolare l'intera classe dei rapporti, sembra tradursi in vera e propria disparità di trattamento a favore della pubblica Amministrazione".

La Cassazione, a sostegno della non manifesta infondatezza di tali conclusioni sulla portata sperequatrice della norma, ha affermato l'omogeneità della fattispecie in esame per cui, pure nella diversità dei soggetti del rapporto processuale, cioè parti private da un lato e pubblica Amministrazione dall'altro, sussisterebbe tuttavia la possibilità della reciproca comparazione delle dette situazioni soggettive, ai fini della applicabilità del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.

L'ordinanza notificata il 20 e il 22 aprile 1966 e comunicata il 20 aprile stesso ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 25 giugno 1966.

Davanti a questa Corte si é costituito, delle parti private, il solo Ioncoli Domenico, nonché il Ministero della difesa- esercito. Ha spiegato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Mentre la difesa dello Ioncoli con le sue deduzioni si é riportata sostanzialmente alla motivazione dell'ordinanza, chiedendo dichiararsi l'illegittimità della norma impugnata, il Ministero difesa-esercito e la Presidenza del Consiglio hanno chiesto dichiararsi non fondata la questione, sostenendo che l'art. 11 riguarda una fattispecie normativa differenziata, giustificata dalla posizione dello Stato-persona rispetto al cittadino e che ogni indagine sulla proporzionalità e adeguatezza della diversa regolamentazione é riservata al potere discrezionale del legislatore, libero di sanzionare diversamente due vizi classificati come diversi.

L'Avvocatura dello Stato ha depositato, nei termini, una memoria illustrativa unica per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per il Ministro della difesa-esercito, con cui svolge la tesi secondo la quale la funzione dell'Avvocatura dello Stato nel giudizio dovrebbe collocarsi dogmaticamente tra le funzioni pubbliche, e precisa che tale funzione concorrerebbe allo svolgimento della funzione giurisdizionale, attraverso l'esplicazione del relativo potere-dovere della pubblica Amministrazione, che postulerebbe, pertanto, particolari garanzie circa la vocazione in giudizio dello Stato, attuate, tra l'altro, attraverso la competenza del foro dello Stato e la disciplina peculiare della notificazione degli atti e mediante le attribuzioni di rappresentanza e difesa in giudizio conferite alla Avvocatura, le quali si atteggerebbero come una vera e propria "rappresentanza postulatoria".

In funzione di questa sua posizione come organo autonomo dello Stato e fuori della gerarchia burocratica, l'Avvocatura agirebbe direttamente per esso e non per l'organo investito della capacità processuale, usando di un proprio potere decisorio nel procedimento formativo della volontà statale circa la provocazione della lite o la resistenza in giudizio. L'Avvocatura avrebbe così la titolarità della disponibilità della lite.

La disciplina derogatoria circa il foro dello Stato e la chiamata in giudizio dello stesso risponderebbero non soltanto alle ragioni organizzative pratiche già riconosciute dalla Corte costituzionale con la sentenza 118 del 1964 ai fini della esclusione della illegittimità costituzionale della regola del foro dello Stato bensì anche alla realizzazione della dialettica dei poteri, strumentalizzata attraverso un organo dello Stato istituzionalmente ordinato all'esercizio della funzione del giudizio.

Da tali principi discenderebbe la insanabilità della nullità sancita dalla norma impugnata, che si configurerebbe infatti come nullità di ordine pubblico e quindi inderogabile, in quanto attiene alla competenza dell'ufficio, titolare di una vera e propria rappresentanza organica della pubblica Amministrazione nel processo, e che, come tale, svolgerebbe una funzione assimilabile a quella del Pubblico Ministero, per la quale vige del pari nel Codice di procedura civile il principio della rilevabilità di ufficio ed insanabilità delle nullità afferenti al suo intervento.

Ciò posto, l'Avvocatura riafferma l'insindacabilità, in questa sede, della graduazione delle sanzioni riferite a situazioni diverse, quali già sarebbero state in sostanza riconosciute quelle in esame con la stessa ordinanza di rinvio, quando ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità in relazione alla norma che impone agli effetti della competenza territoriale la notificazione degli atti processuali all'Avvocatura competente: tanto più che altri esempi di nullità non sanabili esistono nell'ordinamento processuale.

L'Avvocatura, infine, nell'insistere nelle già rassegnate conclusioni ribadisce la già rilevata differenza fra le fattispecie normative poste a raffronto nell'ordinanza di rinvio, in relazione al diverso scopo cui tenderebbero, da un lato, le norme del Codice di rito sulle notificazioni, che avrebbero di mira solo il soddisfacimento dell'interesse privato alla comunicazione dell'atto e, dall'altro lato, l'art. 11 del citato R.D. n. 1611 del 1933 che avrebbe di mira il soddisfacimento di interessi organizzativi di ordine generale.

 

Considerato in diritto

 

1. - Va premesso che la legittimità costituzionale dell'art. 11 del R.D. n. 1611 del 1933 é già stata esaminata e decisa da questa Corte per quanto riguarda il primo comma (sentenza n. 118 del 1964).

 

La eccepibilità in ogni stato e grado del giudizio e la rilevabilità di ufficio delle norme che stabiliscono la speciale competenza territoriale nelle cause in cui sia parte un'amministrazione dello Stato, sono state ritenute non costituire violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Ciò perché la regola del foro dello Stato risponde ad una situazione differenziata e trova adeguata giustificazione nell'esigenza di concentrare gli uffici dell'Avvocatura presso un numero ristretto di sedi giudiziarie, al fine di un minor costo e di una migliore organizzazione e specializzazione di un pubblico ufficio, nell'interesse dell'intera collettività e secondo il dettato dell'art. 97 della Costituzione.

L'attuale ordinanza di rinvio pone alla Corte altro e diverso quesito, riguardante la legittimità costituzionale del terzo comma del citato art. 11 che, per le notificazioni di atti giudiziari alle pubbliche Amministrazioni, commina incondizionatamente la nullità, da pronunciarsi anche di ufficio, qualora non avvengano presso la competente Avvocatura di Stato; ciò senza possibilità di quella sanatoria, riconosciuta, nei giudizi in cui non sia parte l'Amministrazione dello Stato, in relazione al raggiungimento dello scopo cui l'atto é destinato e, per quanto riguarda la citazione, come effetto della Costituzione del convenuto (artt. 156 e 164 del Codice di procedura civile).

2. - Che la norma del terzo comma dell'art. 11, così come é formulata, sia da interpretarsi in unico senso, escludente la possibilità di qualsiasi sanatoria, é un dato costante nella giurisprudenza ordinaria: la quale ha ritenuto di attribuire il rigore del principio al fatto che, stabilendosi l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato del luogo del giudizio come domiciliatario obbligatorio, si tutela la difesa dell'Amministrazione, a scanso di eventuali ritardi nelle informative e nella trasmissione di atti.

Pur prendendo atto di questo dato interpretativo costante, la Corte deve ora esaminare se la norma in questione sia o meno riconducibile al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, al fine di controllarne la razionalità, ossia l'esistenza di presupposti logici ed obiettivi che ne giustifichino l'adozione.

3. - Secondo i rispettivi assunti delle parti, il quesito troverebbe la sua soluzione nella citata sentenza di questa Corte, relativa al primo comma dell'art. 11.

Infatti, secondo la difesa della parte privata, la Corte avrebbe già riconosciuto l'assoluta e costante identità nella posizione processuale dello Stato e del cittadino, pervenendo al riconoscimento della legittimità della norma allora denunciata soltanto in considerazione della sua sostanziale non incidenza sul diritto del cittadino di agire e difendersi in giudizio.

Invece, secondo la difesa del Ministero, sarebbe proprio il riconoscimento della legittimità del primo comma a condurre, per coerenza sistematica, al riconoscimento della legittimità anche del terzo comma.

Entrambi gli assunti non sono approvabili.

Non il primo, perché i motivi posti dalla Corte a base della precedente decisione non sono stati interpretati nel loro esatto significato, posto che nella norma allora denunciata vennero posti in evidenza i "profili particolari" che giustificano razionalmente, in luogo di una identità di posizione di tutti i soggetti davanti alla legge, una disciplina differenziata rispetto allo Stato, senza che vi risulti vulnerato il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.

Non il secondo, perché, pur nell'ambito di uno stesso sistema generale, ogni norma vi ha la sua particolare ragion d'essere che, senza contraddire al sistema, si presenti dettata da specifiche finalità da conseguire.

Pertanto, il principio di razionalità della norma, che ha qualificato l'indagine contenuta nella precedente sentenza, deve anche qui operare, ma rapportato, con giudizio autonomo, ad una diversa situazione giuridica.

4. - Si assume, da parte dell'Avvocatura, che la razionalità della norma in esame deriva dalla considerazione che l'irregolare notifica di atti giudiziari alla pubblica Amministrazione, incidendo sulla distribuzione della competenza tra i vari uffici dell'Avvocatura dello Stato, verrebbe a violare un principio d'ordine pubblico, non suscettibile di alcuna sanatoria: per cui, non solo ragioni organizzative pratiche, ma soprattutto ragioni dipendenti dalla funzione dell'Avvocatura di rappresentante organica dell'Amministrazione statale nel processo e di domiciliatala ex lege nei singoli uffici territorialmente competenti, postulerebbero l'inderogabilità assoluta della norma.

La Corte osserva che questi argomenti, se possono giustificare il rigore della norma e la comminatoria di nullità per la sua inosservanza, non esauriscono la questione di legittimità costituzionale qui proposta, la quale importa un ampliamento dei limiti d'indagine, verso altra direzione.

A prescindere dal non congruo richiamo a principi d'ordine pubblico, si comprendono le ragioni ispiratrici della norma, in funzione dell'elevata posizione assegnata nell'ordinamento all'Avvocatura, il cui precipuo compito é quello di "provvedere alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato" (art. 13 R.D. n. 1611 del 1933).

Si comprendono anche le ragioni pratiche che derivano dalla ripartizione in uffici circoscrizionali, ognuno con l'assegnazione di compiti e competenze, territorialmente distribuiti per ovvie esigenze di ripartizione di lavoro, senza tuttavia che il principio della unitarietà basilare della funzione venga ad esserne intaccato.

Ma, tanto ammesso e ritenuto, resta aperto il problema se, diversamente da quanto stabilito per le vertenze giudiziarie fra privati, la tutela delle funzioni dell'Avvocatura di Stato debba estendersi anche al di là della dimostrazione che, per fatto volontario della stessa, detta tutela risulti egualmente salvaguardata e non elusa. Ciò sempre e soltanto al fine di saggiare la razionalità e quindi la costituzionalità della norma speciale in esame, che, unilateralmente, appare escludere qualsiasi sanatoria.

Che la nullità di atti del processo civile non possa mai essere pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo cui é destinato e che la Costituzione del convenuto sani ogni vizio della citazione risulta testualmente dagli artt. 156 e 164 del Codice di procedura civile.

La stessa regola vige nel processo penale, dove pur prevale l'interesse pubblico, e ciò sia per quanto riguarda la sanatoria generale degli atti nulli, per raggiungimento dello scopo, sia per quanto riguarda la nullità delle citazioni a giudizio e loro notificazioni (art. 187, terzo comma, e 188, primo comma, del Codice di procedura penale).

Si tratta di principi introdotti nel sistema degli atti processuali attraverso ampia elaborazione che ha posto in evidenza la funzione dell'atto ai fini dello svolgimento e giusta definizione del processo. Per cui, se il vizio d'origine nell'atto é rimasto senza conseguenze per fatti concludenti sopravvenuti, l'interesse ad una persistente rilevazione di nullità deve cedere di fronte alla realtà di una avvenuta sanatoria.

Esempio tipico ed evidente é, appunto, il caso, (come quello che ha dato luogo al presente giudizio) in cui sia proprio l'ufficio dell'Avvocatura presso il quale avrebbe dovuto essere notificata l'impugnativa per cassazione, a provvedere, in luogo di affidarsi alla rilevabilità d'ufficio del vizio, alla regolare Costituzione in giudizio, mediante controricorso, corredato di tutti gli atti e fascicoli delle fasi di merito: dando così la dimostrazione di essere in grado, per fatto volontario, di esercitare il diritto di difesa.

Mancherebbe di razionalità ritenere che, nelle cause in cui sia parte una pubblica Amministrazione, difesa dall'Avvocatura di Stato, la suesposta regola di Senatoria, che vige per la generalità dei cittadini, debba subire una eccezione, non assistita da alcun logico fondamento.

La difesa dell'Amministrazione conserva bensì, sotto altri riguardi, le sue prerogative istituzionali, ma non quella qui discussa che, sul piano del contraddittorio processuale, la porrebbe in posizione di disparità di trattamento, contro lo stesso fatto proprio compiuto.

5. - Di conseguenza, il terzo comma dell'art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, nei limiti in cui esclude la suddetta sanatoria della nullità di notificazione, va dichiarato illegittimo, perché contrastante con l'art. 3 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale del terzo comma dell'art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, nei limiti in cui esclude la sanatoria della nullità di notificazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.

 

Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI -  Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI -  Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

Depositata in cancelleria il 8 luglio 1967.