Sentenza n. 68 del 1967
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SENTENZA N. 68

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,  

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 204, secondo comma, e 222, primo comma, del Codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 15 luglio 1965 dalla sezione istruttoria presso la Cortedi appello di Genova nel procedimento penale a carico di Raffo Davide Dino, iscritta al n. 201 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 297 del 27 novembre 1965;

2) ordinanza emessa il 9 novembre 1965 dal Giudice istruttore del Tribunale di Siena nel procedimento penale a carico di Ceccarelli Enrico ed altri, iscritta al n. 220 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12 del 15 gennaio 1966;

3) ordinanza emessa il 16 novembre 1965 dalla sezione istruttoria presso la Cortedi appello di Genova nel procedimento penale a carico di Sartini Augusto, iscritta al n. 221 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12 del 15 gennaio 1966;

4) ordinanza emessa il 26 maggio 1966 dal Pretore di Pieve di Cadore nel procedimento penale a carico di Viverit Marcello, iscritta al n. 129 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 27 agosto 1966.

Visto l'atto di costituzione di Ceccarelli Enrico;

udita nell'udienza pubblica del 15 febbraio 1967 la relazione del Giudice Michele Fragali;

udito l'avv. Giuseppe Sabatini, per il Ceccarelli.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La sezione istruttoria presso la Cortedi appello di Genova, con ordinanze del 15 luglio e 16 novembre 1965, ha proposto questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 204 del Codice penale e del primo comma dell'art. 222 stesso Codice, in relazione all'art. 13 della Costituzione. Ha sostenuto che le norme penali, le quali dispongono il ricovero in un manicomio giudiziario, per un tempo non superiore a due anni, dell'imputato prosciolto per infermità psichica nei casi di delitti non colposi per cui la legge stabilisce la pena pecuniaria o la reclusione per un tempo non superiore a due anni, presumono la pericolosità sociale del prosciolto e impediscono al giudice di esercitare, nell'ambito delle previsioni legislative, quei poteri di discrezionale apprezzamento delle singole situazioni e di emettere quei motivati provvedimenti che la Carta costituzionale invece espressamente gli riserva in modo esclusivo. Secondo le due ordinanze, il contrasto delle norme denunciate con il dettato costituzionale appare poi accentuato dalla considerazione che, mentre al giudice é sottratta ogni discrezionale valutazione circa l'applicabilità e la durata minima della misura di sicurezza, la facoltà di ridurre concretamente, nei singoli casi, la durata minima é accordata ad un organo del potere esecutivo, ossia al Ministro di grazia e giustizia.

Anche il giudice istruttore del Tribunale di Siena, con ordinanza 9 novembre 1965, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del predetto art. 222 del Codice penale, in relazione all'art. 204 stesso Codice; e pure ad avviso di lui tali articoli sono in contrasto con l'art. 13 della Costituzione, già invocato dalle altre ordinanze, perché la garanzia alla libertà personale costituita dal provvedimento motivato dall'autorità giudiziaria risulta svuotata d'ogni contenuto quando l'autorità giudiziaria non ha il potere di valutare se applicare o meno la sanzione al caso concreto. Ritiene però l'ordinanza che le norme denunziate contraddicano altresì: a) con l'art. 32 della Costituzione, apparendo contrario al rispetto della persona umana ed alla tutela della salute mentale dell'individuo rinchiudere per lungo tempo persona attualmente sana di mente in un manicomio giudiziario; b) con l'art. 27, comma terzo, della Costituzione perché l'applicazione indiscriminata della predetta misura di sicurezza si risolve in un trattamento contrario al senso di umanità, ed é negativa ai fini della rieducazione del ricoverato; c) con l'art. 24, comma secondo, della Costituzione perché la presunzione di pericolosità ope legis pregiudica, in senso sostanziale se non formale, il diritto alla difesa dell'imputato.

A tali ordinanze ha fatto richiamo il Pretore di Pieve di Cadore il 26 maggio 1966, e sulla base di esse egli ha promosso la medesima questione di legittimità costituzionale; l'ordinanza si limita però a motivare sul pregiudizio dei principi della libertà personale e del diritto alla difesa, e quindi sull'art. 13 e sull'art. 24, comma secondo, della Costituzione.

2. - É comparsa innanzi a questa Corte solo la parte privata interessata al procedimento di cui all'ordinanza del giudice istruttore di Siena.

Ha dedotto anzitutto che la questione trova causa nella costante interpretazione delle norme denunciate, secondo cui, nei casi ivi previsti non é consentito al giudice un apprezzamento sulla pericolosità attuale del prosciolto, neanche nel caso di ritenuta guarigione; ha ribadito le ragioni esposte dal giudice di Siena, e aggiunto che la causa giuridica della restrizione della libertà personale costituita dalla misura di sicurezza di cui si discute non può esaurirsi in una presunzione invincibile e non trova fondamento nell'esigenza della sicurezza sociale in relazione alle condizioni del soggetto quando questo presupposto più non esiste; ha rilevato altresì che financo nel caso di emissione del mandato o di ordine di cattura obbligatorio, il provvedimento deve essere motivato; ha fatto capo anche all'art. 111 della Costituzione.

3. - All'udienza del 15 febbraio 1967 la difesa del Ceccarelli ha illustrato e ribadito le proprie tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte ravvisa l'opportunità di decidere con unica sentenza le cause promosse dalle ordinanze sopra citate, che hanno trattato un medesimo argomento.

E ritiene che le questioni proposte non siano fondate.

2. - La Corte non può che riportarsi alla sua sentenza 3 marzo 1966, n. 19, per ciò che riguarda l'assunto secondo il quale la c.d. presunzione assoluta di pericolosità sociale di cui all'art. 204, secondo comma, del Codice penale, preclude l'accertamento, da parte del giudice, dei presupposti dai quali deriva la restrizione della libertà personale. In quella sentenza si rilevò che il Codice non esclude la necessità di un concreto accertamento della pericolosità, nelle ipotesi che, data la varietà dei caratteri soggettivi, sfuggono a tipizzazione; osservò inoltre che, in confronto di condizioni le quali non esigono particolari accertamenti del giudice, o che da lui sono state già accertate o che comunque consentono una valutazione obiettiva uniforme, ragionevolmente, anche per garantire una eguaglianza di trattamento, la legge ha dettato una regola vincolante, in un significativo e proporzionato rapporto con il dato da apprezzare. Non v'é ragione per modificare questo convincimento.

Non vale obiettare, come ha rilevato la Corte di Genova, che il sistema dell'art. 204, secondo comma, e dell'art. 222 del Codice penale, facendo derivare dalla legge un apprezzamento uniforme del valore di determinate condizioni sanitarie del prosciolto, si risolve nel togliere al giudice la facoltà di emettere motivati provvedimenti sulla concreta pericolosità sociale di colui che si vuole sottoposto a misura di sicurezza: appaga sufficientemente l'esigenza di una motivazione del provvedimento, l'enunciazione in esso della sussistenza, nel caso concreto, delle circostanze previste dalla legge. Non può formare materia del giudizio di legittimità costituzionale il controllo della discrezionalità usata dal Codice nel dare regolamento preventivo e generale alle situazioni di cui si discute: tale regolamento attua un sistema di difesa sociale correlativa al fatto che ha dato luogo al procedimento penale e alle condizioni sanitarie dell'imputato riscontrate in quella sede, e deve necessariamente presupporre mere probabilità. In materia, all'accertamento di un pericolo effettivo non si può tendere, ed una certezza non si può ottenere nemmeno quando la valutazione di pericolosità é fatta dal giudice.

Ai fini dell'attuale giudizio é sufficiente mettere in rilievo che le conseguenze tratte dalla legge non hanno i caratteri dell'assolutezza, perché la misura può essere revocata ove la pericolosità abbia a ravvisarsi cessata. La possibilità di tale revoca é però presa in considerazione dalla legge con l'opportuna cautela di un tempo minimo di osservazione medica del prosciolto; che é la sola idonea a permettere un giudizio sperimentale circa la effettività e la stabilità del mutamento prospettato a giustificazione dell'istanza di revoca della misura. Il minimo stabilito dalla legge si risolve cioè in un minimo di osservazione sullo stato sanitario del soggetto; quella osservazione che il giudice dovrebbe disporre prima di escludere la pericolosità, se, nell'ipotesi, egli avesse una discrezionalità, e che nessun perito giudiziario, nella stessa ipotesi, potrebbe esonerarsi dal compiere, non potendo l'accertamento essere il risultato di diagnosi affrettate o accidentali od estemporanee.

Né ha valore che la revoca della misura é pronunziata dal Ministro della giustizia, anziché da un giudice: l'attribuzione ad un organo del potere esecutivo di tale competenza non é infatti elemento che sostiene il sistema e, se mai, può prestarsi ad un controllo separato della sua legittimità costituzionale, controllo non promosso dal giudice a quo.

3. - Non maggiore fondamento hanno gli altri profili dati alla questione dal giudice istruttore di Siena e dal pretore di Pieve di Cadore.

L'art. 32 della Costituzione non ha connessione con l'argomento, perché l'internamento, essendo disposto a fine di cura, e, prima ancora, di controllo dello stato sanitario del soggetto, non può essere ritenuto in antitesi all'esigenza di tutela della salute dello stesso. Né é esatto che la misura viene disposta per persona sana; la legge la prescrive sulla base di situazioni accertate durante il processo. Pertanto é pure infondato che essa provvede senza rispetto della persona umana: nelle ordinanze non viene indicata alcuna norma dalla quale possa desumersi che il trattamento riservato al ricoverato ex art. 222 del Codice penale ne abbia a disprezzo la persona.

Quest'ultima considerazione fa ravvisare senza base pure il richiamo fatto dai giudici di merito all'art. 27, terzo comma, della Costituzione; a parte il fatto che questo articolo si riferisce soltanto alla pena, e non considera le misure di sicurezza, proprio perché ex se esse tendono ad un risultato che eguaglia quella rieducazione cui deve mirare la pena.

Neppure si sorregge il richiamo fatto all'art. 24, comma secondo, della Costituzione. La garanzia costituzionale inerente alla difesa é riconosciuta nei limiti e nell'ambito della configurazione che ai diritti deriva dal diritto sostanziale (4 giugno 1964, n. 43, 4 dicembre 1964, n. 111, 8 aprile 1965, n. 30). Nella specie la difesa é piena ai fini della verifica giurisdizionale delle condizioni alla cui sussistenza la legge affida la giustificazione dell'irrogazione della misura; tali condizioni disegnano una situazione materiale, e non si riferiscono al modo di svolgersi del processo attraverso il quale la misura può essere disposta, e quindi al modo di quella tutela giurisdizionale cui appartiene il diritto di difesa.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riunite le cause promosse con le ordinanze della sezione istruttoria della Corte d'appello di Genova in data 15 luglio e 16 novembre 1965, del giudice istruttore del Tribunale di Siena in data 9 novembre 1965 e del Pretore di Pieve di Cadore in data 26 maggio 1966;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 204, secondo comma, e 222, primo comma, del Codice penale, proposta con le ordinanze predette, in riferimento agli artt. 13, primo e secondo comma, 24, secondo comma, 27, secondo comma, e 32 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1967.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA -  Michele FRAGALI Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI  

 

Depositata in cancelleria il 9 giugno 1967.