Sentenza n. 54 del 1967
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SENTENZA N. 54

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo unico del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, nella parte in cui rende obbligatorio erga omnes l'art. 30 del contratto collettivo nazionale di lavoro 24 luglio 1959, promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre 1965 dal Pretore di Cavalese nel procedimento penale a carico di Rossi Domenico, iscritta al n. 213 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 326 del 31 dicembre 1965.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 1 febbraio 1967 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con verbale in data 20 agosto 1965 l'ispettore Pietro Candela, addetto all'Ispettorato del lavoro di Trento, elevava una contravvenzione a certo Domenico Rossi, titolare di una impresa edilizia di Pozza di Fassa, avendo accertato che tale imprenditore non aveva corrisposto a diversi lavoratori da lui dipendenti le retribuzioni loro spettanti entro il termine di quindici giorni dalla scadenza; per uno di essi, Giovanni Battista Pederiva, il ritardo sarebbe stato - a quanto si legge nel verbale - addirittura di circa 9 mesi, essendo cessato il rapporto di lavoro fin dal 30 novembre 1964.

L'ispettore riferiva di essersi recato presso il cantiere della ditta e di avere accertato che essa é soggetta alla osservanza delle disposizioni sul trattamento economico e normativo degli operai dipendenti dalle imprese esercenti attività edilizia, contenute nel contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato il 24 luglio 1959 ed esteso erga omnes con D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032. La ditta stessa infatti esercita attività di costruzioni edili o non risulta iscritta all'albo delle imprese artigiane. Si fa presente inoltre che, a norma dell'art. 30 del contratto collettivo citato, essa avrebbe dovuto provvedere a liquidare le retribuzioni non oltre i quindici giorni dalla scadenza dei periodi di paga cui esse si riferivano.

Dal verbale risulta infine che la ditta stessa, diffidata formalmente a liquidare le somme dovute e ad esibire la relativa documentazione, non dette alcun riscontro alla diffida ricevuta.

Con ordinanza emessa il 26 ottobre 1965 il Pretore di Cavalese sospendeva il giudizio, sollevando d'ufficio la questione della legittimità costituzionale dell'articolo unico del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, per la parte in cui rende obbligatorio erga omnes l'art. 30 del contratto collettivo nazionale di lavoro 24 luglio 1959, in relazione all'art. 76 della Costituzione.

Si osserva nella ordinanza che il fatto attribuito all'imputato consiste nel non avere pagato ai suoi dipendenti la retribuzione pattuita entro il termine previsto dall'art. 30 del contratto collettivo suddetto; che per una persona non iscritta alla associazione dei datori di lavoro che stipulò con la categoria dei lavoratori il contratto collettivo, il ritardo nel pagamento o il mancato pagamento della retribuzione sembra costituire inadempimento di una obbligazione civile prevista dall'art. 2099 del Codice civile, piuttosto che violazione dei minimi inderogabili del trattamento economico pattuito con i suoi dipendenti; che il prestatore di lavoro può far valere il suo diritto alla retribuzione citando in giudizio l'obbligato davanti al competente giudice civile; che, pertanto, il termine entro il quale deve essere soddisfatta l'obbligazione non sembra corrispondere alla specifica finalità che la legge intendeva raggiungere ed assicurare, così che la norma in questione avrebbe ecceduto i limiti della delega contenuta nell'art. 1 della legge n. 741 del 1959, nella parte che rende obbligatorio erga omnes l'art. 30 del contratto collettivo nazionale di lavoro.

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale (n. 326 del 31 dicembre 1965).

É intervenuto in giudizio solo il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, che ha sostenuto decisamente la tesi della evidente infondatezza della questione proposta, richiamando in particolare la giurisprudenza della Corte costituzionale sull'argomento.

Alla udienza del 1 febbraio 1967 é intervenuto il rappresentante della Avvocatura generale dello Stato, che ha ribadito gli argomenti e le conclusioni esposti nell'atto di intervento.

 

Considerato in diritto

 

La Corte non ritiene fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Cavalese, né può considerare validi gli argomenti addotti nella motivazione dell'ordinanza, con la quale la questione di legittimità é stata proposta.

La menzione del fatto che l'imputato Domenico Rossi non fosse iscritto all'Associazione costruttori edili non é rilevante, trattandosi di contratto collettivo esteso erga omnes, né può giustificare - non soltanto in sede di processo civile, ma anche ed ancor più in sede penale - l'enorme ritardo (circa nove mesi in uno dei casi riferiti nella esposizione del fatto) nel pagamento dei salari, che soprattutto nei riguardi di semplici operai hanno precipuo carattere alimentare e perciò devono essere corrisposti entro breve tempo dalla prestazione del lavoro (precisamente entro quindici giorni dalla scadenza, a norma del contratto collettivo nazionale di lavoro esteso erga omnes con il D.P.R. n. 1032 del 1960).

Né la Corte può considerare accettabile la tesi, esposta nella ordinanza di rimessione, che la disposizione in esame non corrisponda "alla specifica finalità che la legge intendeva raggiungere ed assicurare, così che la norma in questione avrebbe ecceduto i limiti della delega", essendo noto ed ovvio che i contratti collettivi hanno sempre avuto, fin dalla loro origine, anzitutto il fine di garantire ai lavoratori subordinati un trattamento economico minimo, non esposto alle falcidie, che avrebbero facilmente potuto essere provocate dalla concorrenza fra gli stessi lavoratori.

Si può convenire con la tesi sostenuta nell'ordinanza, che il mancato o ritardato pagamento della retribuzione costituisca - anche - inadempimento di una obbligazione civile, prevista dall'art. 2099 del Codice civile; ma si deve subito aggiungere che il legislatore ha ritenuto opportuno, ed anzi necessario, rafforzare le garanzie a favore della parte più debole e bisognosa, introducendo, accanto all'azione civile - che richiede spesso molto tempo e non poche spese prima che si pervenga alla sentenza definitiva ed al possesso del titolo esecutivo - la previsione di una sanzione penale, più pronta ed assai più efficace. Né occorre dire che la previsione e la scelta della sanzione, anche penale, nonché del tipo e della misura di essa, rientra pienamente nei poteri del legislatore.

D'altra parte, la tesi che l'esercizio dell'azione civile da parte di un lavoratore subordinato, al fine di ottenere il pagamento di una retribuzione non percepita da molti mesi, e che - come si é osservato - ha carattere alimentare, sia la soluzione più adeguata alle situazioni previste, non sembra davvero convalidata dalla esperienza, a tutti nota, della lentezza e della durata dei procedimenti, nei loro diversi gradi, né potrebbe comunque essere presa in considerazione in questa sede.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, nella parte in cui rende obbligatorio erga omnes l'art. 30 del contratto collettivo nazionale di lavoro 24 luglio 1959, in relazione all'articolo 76 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1967.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI 

 

Depositata in cancelleria il 5 maggio 1967.