Sentenza n. 48 del 1967
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SENTENZA N. 48

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,  

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, del Codice penale, promosso con ordinanza emessa il 5 novembre 1965 dalla Corte d'assise di La Spezia nel procedimento penale a carico di Hartmann Oscar Jurgen e Pude Uwe, iscritta al n. 217 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12 del 15 gennaio 1966.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 1 febbraio 1967 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con due sentenze del Tribunale di Amburgo (9 aprile 1963 e 12 giugno 1964) i cittadini della Repubblica Federale Tedesca Hartmann Oscar Jurgen e Pude Uwe furono condannati, per rapina e per altri reati commessi in territorio italiano, a cinque anni e sei mesi di casa di pena, l'Hartmann, e a cinque anni di detenzione minorile il Pude. Apertosi a carico dei predetti procedimento penale anche in Italia e rinviati al giudizio della Corte di assise di La Spezia, con ordinanza del 5 novembre 1965, la predetta Corte sollevava, a richiesta della difesa, questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, del Codice penale, in riferimento all'art. 10 della Costituzione.

La difesa aveva sostenuto che, essendo l'efficacia preclusiva della sentenza penale irrevocabile (ne bis in idem) principio certo e fondamentale dell'ordinamento giuridico italiano, riconosciuto anche dagli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati moderni, ne deriverebbe che il detto principio "appunto perché comune a tutti gli ordinamenti giuridici statali, dovrebbe essere ritenuto come assunto a principio di diritto internazionale", e come tale vincolante, ai sensi dell'art. 10 della Costituzione, anche l'ordinamento giuridico italiano. Conseguentemente dovrebbe essere riconosciuta in Italia efficacia preclusiva anche alla sentenza straniera che abbia irrevocabilmente giudicato un cittadino straniero per un reato commesso in Italia. L'ordinanza ritiene la questione non manifestamente infondata. "É certo - osserva - che quello del ne bis in idem é principio comune a tutti gli ordinamenti giuridici moderni e democratici, come espressione di insopprimibile esigenza di giustizia. Non si vede quindi perché il ne bis in idem non debba essere considerato quale principio, oltre che dei singoli ordinamenti giuridici, anche dell'ordinamento giuridico internazionale". Alla obbiezione, che l'ordinanza non manca di prospettarsi, di un contrasto fra il riconoscimento di una efficacia preclusiva della sentenza penale straniera e il principio della territorialità della legge e della giurisdizione penale, si risponde "che non é detto che questo ultimo principio debba prevalere sulla esigenza del ne bis in idem". Si rileva infine che l'art. 7 della Convenzione europea sulla estradizione, recepita nel nostro ordinamento con legge 30 gennaio 1963, n. 300, conferisce allo Stato cui l'estradizione é richiesta la facoltà di rifiutarla per un fatto commesso, secondo la sua legge, nel suo territorio. Si aggiunge che l'art. 9 della stessa Convenzione stabilisce che l'estradizione non sarà accordata allorché l'individuo é stato definitivamente giudicato dalle autorità competenti della parte a cui l'estradizione é stata richiesta. L'ordinanza é stata regolarmente notificata e comunicata, e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 12 del 15 gennaio 1966. Si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato con atto di intervento e deduzioni depositati il 27 dicembre 1965.

Fra altre argomentazioni di minor rilievo, ciò che sostanzialmente si obbietta dall'Avvocatura alla tesi dell'ordinanza é che la regola del ne bis in idem, quale ostacolo al rinnovamento del giudizio, ovunque questo si sia verificato, non sembra poter prevalere sul principio della territorialità della legge penale per motivi che, allo stato dei rapporti internazionali, sembrano insuperabili. E ciò in vista delle difformi esigenze che tuttora si manifestano nella vita degli Stati, per la diversa valutazione dei fatti e della loro rilevanza penale. Si afferma il sussistere di una tendenza ad estendere il principio del ne bis in idem anche nei rapporti fra gli Stati, ma si osserva, in pari tempo, che la tendenza va riguardata in relazione alla delicatezza della materia, nel senso di doversi considerare i limiti in cui il principio della res iudicata può essere ammesso nel diritto internazionale. Né alla tesi dell'ordinanza può recare conforto la citata Convenzione sulla estradizione, altro essendo il divieto di giudicare due volte, altro il divieto di estradizione nella ipotesi che l'individuo sia già stato definitivamente giudicato.

 

Considerato in diritto

 

Il principio del ne bis in idem ha la sua validità anche nell'ordinamento internazionale, essendo applicabile alle sentenze dei tribunali internazionali, come é stato ammesso dalla giurisprudenza dei predetti tribunali, e come é richiesto, per i rapporti giuridici internazionali, dalle medesime esigenze che sono a fondamento del principio nei rapporti interni. Tuttavia esso non assume l'estensione e l'efficacia che l'ordinanza di rimessione tende ad attribuirgli.

La Cortedi assise di La Spezia, investita del giudizio a carico di due cittadini tedeschi, autori di rapina e di altri reati commessi in Italia, e già giudicati per questi fatti in Germania, ritiene non manifestamente infondata la questione sollevata dalla difesa, secondo la quale il principio del ne bis in idem, comune a tutti gli ordinamenti giuridici, dovrebbe essere ritenuto come assunto a principio di diritto internazionale e considerato quale norma a cui, ai sensi dell'art. 10 della Costituzione, deve conformarsi l'ordinamento giuridico italiano. Conseguentemente questo dovrebbe riconoscere efficacia preclusiva anche alla sentenza straniera che abbia irrevocabilmente giudicato di un reato commesso in Italia da un cittadino straniero. Viene pertanto sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, del Codice penale, in quanto dispone dover essere giudicato nello Stato, anche se sia stato giudicato all'estero, chiunque, cittadino o straniero, ha commesso un reato nel territorio dello Stato. La norma costituzionale violata sarebbe appunto l'art. 10, primo comma, della Costituzione, in virtù del quale l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

Necessario presupposto del denunziato contrasto sarebbe dunque il carattere attuale, nel principio del ne bis in idem, di norma internazionale generalmente riconosciuta, nell'ampia latitudine che gli si vorrebbe ora attribuire.

Ma a sostegno di questa tesi non viene presentato alcun valido argomento. "Non si vede perché" - si dice nell'ordinanza - il ne bis in idem non debba essere considerato quale principio, oltre che dei singoli ordinamenti giuridici, anche dell'ordinamento giuridico internazionale; "non é detto" che il principio della territorialità debba prevalere sulla esigenza del ne bis in idem: proposizioni che possono, tutta al più, valere come espressione di una tendenza soggettiva dell'interprete, e in certo modo come auspicio per un futuro generale affermarsi del principio, non come positivo argomento per la sua sussistenza attuale.

Ciò che invece effettivamente e attualmente sussiste, e in modo chiaro risulta dai codici penali della generalità degli Stati, é proprio il principio opposto, vale a dire quello della territorialità, di cui sono netta affermazione, nell'ordinamento italiano, gli articoli 6 e seguenti del Codice penale. L'ordinanza, non dissimulandosi questa realtà, sostiene che sia possibile una armonizzazione del principio del ne bis in idem col principio della territorialità, affermando che i due principi "ben possono essere armonizzati tra loro, riconoscendosi che l'autore di un reato commesso nel territorio italiano va punito secondo la legge italiana, tranne il caso che esso sia già stato giudicato per lo stesso reato, con sentenza irrevocabile, da un giudice straniero". Il che però, lungi dal significare una armonizzazione fra i due principi, verrebbe ad esprimere proprio la netta prevalenza di quello che l'ordinanza vuol sostenere, come in modo evidente appare sol che le proposizioni su riportate, senza che ne rimanga alterato il contenuto, vengano enunciate in termini opposti, e cioé: se un giudice straniero ha, con sentenza irrevocabile, giudicato l'autore di un reato commesso nel territorio italiano, questo non va (più) punito secondo la legge italiana.

In realtà, fermo rimanendo che il principio del ne bis in idem é valido, come si é detto, per le sentenze dei tribunali internazionali, per ritenerlo esteso al di là di questo limite non solo non ricorrono elementi favorevoli, ma sussistono fondate ragioni in senso contrario. Ponendosi in una prospettiva ideale, che già trova fervide iniziative e convinti sostenitori, si può auspicare per il futuro l'avvento di una forma talmente progredita di società di Stati da rendere possibile, almeno per i fondamentali rapporti della vita, una certa unità di disciplina giuridica e con essa una unità, e una comune efficacia, di decisioni giudiziarie. Ben diversa tuttavia, pur nel suo continuo evolversi, si presenta la realtà attuale, dove la valutazione sociale e politica dei fatti umani, in ispecie nel campo penale, si manifesta con variazioni molteplici e spesso profonde da Stato a Stato. E ciò in conformità dei diversi interessi e dei variabili effetti e riflessi della condotta degli uomini in ciascuno di essi, con la conseguente tendenza a mantenere come regola, nell'autonomia dei singoli ordinamenti, il principio della territorialità. Una efficacia preclusiva della sentenza penale in campo internazionale presupporrebbe d'altronde, oltre la già rilevata identità di riflessi sociali e politici, anche una assai larga uniformità di previsione dello varie fattispecie penali, e una pressoché identica valutazione, nella coscienza dei popoli, delle varie forme delittuose e della entità e pericolosità della delinquenza in ciascuno Stato; condizioni che non sussistono o non sussistono in misura adeguata. Il che spiega e dà fondamento attuale al permanere del principio della territorialità nelle varie legislazioni. E se in taluni codici (danese, greco, ecc.) é stabilito che nell'infliggere la pena il giudice debba tener conto di quella eventualmente scontata per lo stesso fatto in altro Stato, questa é una particolare norma, suggerita da comprensibili criteri di equità, che conferma il principio stesso.

Infine ritiene la Corte che non abbia fondamento l'argomentazione dell'ordinanza secondo la quale la tesi in essa sostenuta troverebbe conforto negli artt. 7, n. 1, e 9 della Convenzione europea per l'estradizione del 13 dicembre 1957. Il divieto di estradizione - come é evidente - é cosa ben diversa dal divieto di un secondo giudizio sullo stesso fatto. Tuttavia, se si volesse ammettere, in ipotesi, che le due citate disposizioni stiano a significare una tendenza verso il principio del ne bis in idem, bisognerebbe inevitabilmente dedurne che se, soltanto per quello che sarebbe un parziale affermarsi del principio, i vari Stati hanno avvertito la necessità di una apposita convenzione, ciò costituisce argomento tutt'altro che favorevole per ritenere come generalmente riconosciuto il principio stesso nella ben più lata estensione auspicata dall'ordinanza.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, del Codice penale, sollevata dalla Corte di assise di La Spezia, con ordinanza del 5 novembre 1965, in riferimento all'art. 10 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1967.

 

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

Depositata in cancelleria il 18 aprile 1967.