Sentenza n. 76 del 1966
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SENTENZA N. 76

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,  

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 111 e 112 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827; 23 e 24 della legge 4 aprile 1952, n. 218; e 82, primo comma, del D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 24 giugno 1965 dal Pretore di Civitacastellana nel procedimento penale a carico di Di Fiore Gennaro, iscritta al n. 142 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 191 del 31 luglio 1965;

2) ordinanza emessa il 28 giugno 1965 dal Pretore di Filadelfia nel procedimento penale a carico di Sibio Domenico Antonio, iscritta al n. 167 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 223 del 4 settembre 1965;

3) ordinanza emessa il 19 giugno 1965 dal Tribunale di Rovereto nel procedimento civile vertente tra l'Istituto nazionale della previdenza sociale e Pinter Giovanni, iscritta al n. 171 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 223 del 4 settembre 1965.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione dell'I.N.P.S.;

udita nell'udienza pubblica del 1 giugno 1966 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

uditi l'avv. Antonio Giorgi, per l'I.N.P.S., ed il vice avvocato generale dello Stato Dario Foligno, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Le questioni di legittimità costituzionale che formano oggetto del presente giudizio sono state proposte da tre ordinanze, pronunciate rispettivamente dal Pretore di Civitacastellana (24 giugno 1965), dal Pretore di Filadelfia (28 giugno 1965) e dal Tribunale di Rovereto (19 giugno 1965) e concernenti essenzialmente un identico oggetto; precisamente la legittimità costituzionale delle norme che prevedono, a carico di chi abbia omesso il versamento tempestivo di contributi obbligatori all'Istituto nazionale della previdenza sociale, un tipo di sanzione che ha dato luogo a molti dissensi.

Le norme denunciate sono contenute negli artt. 111 e 112 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827; 23 e 24 della legge 4 aprile 1952, n. 218; 82, primo comma, del D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, i quali statuiscono l'obbligo, imposto al datore di lavoro che non abbia provveduto al pagamento dei contributi assicurativi entro i termini stabiliti, di versare anche una "somma aggiuntiva" eguale a quella dovuta per i contributi. I principi costituzionali, che si prospettano violati dalle norme suddette, sono quelli contenuti negli artt. 3, 23, 24, primo comma, e 53 della Costituzione.

Le ordinanze sono state regolarmente notificate, comunicate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 191 e 223 del 1965; si sono costituiti in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, in tutte le cause, nonché l'Istituto nazionale della previdenza sociale, ma soltanto rispetto alla questione rimessa alla Corte dalla ordinanza del Tribunale di Rovereto. Le parti private non si sono costituite.

Nella ordinanza del Pretore di Civitacastellana si osserva che - secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione - la "somma aggiuntiva" é una sanzione di natura civile, che si profila come conseguenza automatica dell'inadempimento o del ritardo, con la duplice funzione di rafforzare l'obbligazione principale e di risarcire il danno arrecato all'I.N.P.S. nella misura stabilita dalla legge con presunzione iuris et de iure; tale risarcimento si risolverebbe in un privilegio, concesso in violazione del principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) ed in contrasto con la giurisprudenza della Corte costituzionale. La violazione dell'art. 23 della Costituzione consisterebbe nel fatto che la legge non contiene criteri idonei a limitare il potere discrezionale dell'Ente nella determinazione della prestazione dovuta, la quale può anche essere ridotta nella misura in caso di tempestiva oblazione.

Nella ordinanza del Pretore di Filadelfia si fa richiamo all'art. 3 della Costituzione, nel senso che le norme denunciate attribuirebbero all'I.N.P.S. una situazione di privilegio ed una disparità di trattamento nei confronti di tutti gli altri soggetti, titolari di diritti patrimoniali derivanti da atti illeciti, e ciò senza che tale disparità trovi giustificazione nella natura del credito ovvero nel carattere del creditore. L'ordinanza ravvisa nella specie anche una violazione del diritto di difesa, osservando che le norme denunciate pongono nei confronti dei datori di lavoro inadempienti "un ostacolo insormontabile a far valere in giudizio le proprie ragioni nel caso in cui l'inadempimento od il ritardo sia stato determinato da impossibilità della prestazione per causa a loro non imputabile".

Nella ordinanza del Tribunale di Rovereto si fa particolare richiamo alla giurisprudenza della Corte costituzionale, osservandosi che nella norma denunciata il potere discrezionale conferito all'I.N.P.S., che si estende dal limite minimo - corrispondente all'ammontare degli interessi moratori - al limite massimo - corrispondente al cento per cento dell'ammontare dei contributi non versati - "appare assoluto, difettando qualsiasi direttiva che possa costituire un criterio limite per la quantificazione della prestazione". Il Tribunale di Rovereto, chiamato a giudicare in relazione ad un procedimento concorsuale (fallimento), pone in rilievo anche il rischio che le disposizioni denunciate importino conseguenze dannose a carico di terzi, vale a dire degli altri creditori ammessi al concorso.

La difesa dell'I.N.P.S. ha sostenuto che la "somma aggiuntiva" ha carattere di risarcimento del danno derivato all'Ente dall'inadempimento o dal ritardo nell'adempimento degli obblighi assicurativi ed é automaticamente determinata e liquidata per garantire l'immediatezza ed evitare lunghe controversie. Essa si inquadra perciò nel sistema del diritto italiano (artt. 1224, 1382 e seguenti del Codice civile), cui non ripugna il metodo della liquidazione preventiva dei danni mediante pattuizioni o precetti di legge, tanto più necessari in materia di oneri e di assicurazioni sociali. Nega infine che esista alcuna discrezionalità nelle decisioni dell'Istituto o del magistrato nella applicazione delle sanzioni e che possano verificarsi violazioni del principio di eguaglianza.

L'Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto che l'obbligazione di corrispondere i contributi assicurativi e il "risarcimento" relativo deriva da un rapporto di diritto pubblico, nel quale l'Istituto agisce come organo dell'amministrazione indiretta per l'assolvimento di pubblica funzione e di pubblico servizio. La sanzione prevista si configura solo lato sensu di natura civile, come ogni altra sanzione patrimoniale non ricollegabile al concetto di pena, perché la norma ha voluto introdurre un indennizzo per il servizio di ricupero verso gli inadempienti. Il rapporto di assicurazione sociale avrebbe fisionomia pubblicistica e pertanto la "somma aggiuntiva" integrerebbe il contenuto di una responsabilità amministrativa, alla quale non sarebbero applicabili i principi della responsabilità civile.

La difesa dello Stato espone infine altre considerazioni su diversi aspetti prospettati nelle ordinanze di rimessione, richiamando le limitazioni poste dalla legge alla discrezionalità dei provvedimenti in discussione e numerose disposizioni dell'ordinamento vigente, che prevedono figure analoghe di rapporti in materia di assicurazioni sociali.

Nella discussione in pubblica udienza i patroni hanno confermato e ribadito le proprie conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

La soluzione delle questioni di legittimità costituzionale sottoposte al giudizio della Corte con le ordinanze sopra indicate presuppone il confronto fra la norma contenuta nell'art. 111, n. 2 e ultimo comma, del D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, ora trasfusa nell'art. 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218, ed i principi sanciti negli articoli 3, 23, 24, primo comma, e 53 della Costituzione. La stretta connessione degli argomenti consente l'esame congiunto dei quesiti proposti dalle ordinanze suddette, che pertanto vengono decisi con unica sentenza.

A parere dei giudici di merito la disposizione che impone al datore di lavoro, il quale non abbia provveduto entro il termine stabilito al pagamento dei contributi all'Istituto nazionale della previdenza sociale, di versare anche una "somma aggiuntiva" pari a quella dovuta per i contributi, ed in particolare la facoltà concessa al Comitato esecutivo dell'Istituto di ridurre discrezionalmente la somma stessa quando venga presentata domanda di oblazione nei termini stabiliti dall'art. 112 del decreto n. 1827 del 1935 (vale a dire, anteriormente alla apertura del dibattimento del giudizio di primo grado), dovrebbero ritenersi in contrasto con le norme contenute nei citati articoli della Costituzione.

Non si può contestare che la natura giuridica del nuovo istituto della "somma aggiunta", introdotto con le disposizioni in esame, ha dato luogo a qualche perplessità nella dottrina.

Si deve soggiungere, però, che la giurisprudenza non ha tardato a riconoscere l'indubbio carattere sanzionatorio della imposizione del pagamento della "somma aggiunta", escludendo nello stesso tempo che tale sanzione abbia carattere penale. Anche se la qualifica di sanzione civile non sembra del tutto appropriata, dovendosi più correttamente ricorrere al concetto di sanzione amministrativa, essa può essere sufficiente tuttavia ad evitare gli inconvenienti che deriverebbero da altre concezioni ancor meno esatte.

D'altra parte, non sembra nemmeno che si possa escludere in modo assoluto che fra gli scopi della norma in discussione sia compreso anche quello di procurare all'Istituto assicurativo un ristoro dei danni provocati dalla inadempienza degli obbligati, tenuto conto del carattere tipico del sistema delle assicurazioni, e in particolare delle assicurazioni sociali obbligatorie. É infatti evidente che tutto il sistema assicurativo, richiedente calcoli attuariali basati su previsioni per grandi numeri, rispetto al rapporto fra l'eventualità dei rischi e la entità dei premi corrisposti, esige la puntualità o, quanto meno, il minimo ritardo nel pagamento di questi; di regola, anzi, l'inadempimento dell'assicurato o di chi per lui determina nei rapporti assicurativi contrattuali la cessazione, definitiva o temporanea, delle prestazioni assicurative.

Si deve tener presente però che nei riguardi delle assicurazioni sociali obbligatorie conseguenze (o misure) di questo genere non sono attuabili, anzi neppure concepibili. L'interesse generale enunciato dal legislatore e garantito dalla Costituzione (art. 38, secondo e quarto comma), assegna carattere pubblicistico e imperativo alle disposizioni che le concernono. Gli enti costituiti per l'esercizio e la prestazioni di tali provvidenze non potrebbero infatti rifiutarle ad alcuno degli assicurati, neppure nei casi di inadempienza totale, da parte degli obbligati diretti o indiretti, al dovere del versamento dei premi. Perciò la sanzione prevista nella norma in esame ha carattere amministrativo anche in relazione allo scopo di indurre i datori di lavoro a soddisfare tempestivamente i propri obblighi, assicurando così agli Istituti previdenziali un ordinato e tempestivo afflusso dei contributi ad essi occorrenti per adempiere le prestazioni imposte dalla legge a favore degli assicurati. Nella ipotesi di abolizione della sanzione stessa, o di una dimostrata insufficienza di essa allo scopo, il legislatore non avrebbe altra via che quella di prevedere altre e più severe sanzioni di carattere penale, rendendo così ancora più onerosi gli obblighi a carico dei datori di lavoro.

Per quanto concerne poi la facoltà concessa all'Istituto di ridurre discrezionalmente la misura della sanzione nei singoli casi, é da osservare anzitutto che anche la norma relativa deve essere interpretata in relazione alla funzione assegnata agli istituti di previdenza sociale. E non sembra dubbio che una certa elasticità nella valutazione della convenienza di "venire incontro" a eventuali proposte degli inadempienti, in modo da facilitare e soprattutto da anticipare la soluzione del conflitto di interessi, evitando lunghi e costosi procedimenti, può giovare tanto all'Ente assicurativo quanto alle controparti.

La eventuale riduzione della misura della "somma aggiuntiva", al pari - del resto - delle dilazioni nei versamenti, può essere proposta dalla amministrazione come anche richiesta dall'inadempiente, e diviene vincolante soltanto se accettata dalla controparte, vale a dire se tanto il contribuente (che teme di dover pagare una somma superiore), quanto l'amministrazione dell'Ente (che può anche dubitare dell'esito del giudizio e deve tener conto, in ogni caso, della durata più o meno lunga del processo nei diversi "gradi di giurisdizione), ritengono opportuno risolvere la controversia mediante una riduzione dell'entità della "somma aggiuntiva".

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riunisce i tre giudizi di legittimità costituzionale promossi con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 111, n. 2 ed ultimo comma, e 112 del R.D. 4 ottobre 1935, n. 1827 (ora art. 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218), in riferimento agli artt. 3, 23, 24, primo comma, e 53 della Costituzione, proposte dal Pretore di Civitacastellana con ordinanza 24 giugno 1965, dal Pretore di Filadelfia con ordinanza 28 giugno 1965 e dal Tribunale di Rovereto con ordinanza 19 giugno 1965.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI

Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

Depositata in cancelleria il 21 giugno 1966.