Sentenza n. 41 del 1965
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SENTENZA N. 41

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 522, ultima parte, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 giugno 1964 dal Tribunale di Locri nel procedimento penale a carico di Crapanzano Michele, iscritta al n. 120 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 182 del 25 luglio 1964.

Udita nella camera di consiglio del 16 marzo 1965 la relazione del Giudice Michele Fragali.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Tribunale di Locri (ordinanza 4 giugno 1964) ha contestato la legittimità costituzionale dell'art. 522, ultima parte, del Codice di procedura penale, nel punto cioè in cui prescrive che il giudice di appello decide in merito inappellabilmente quando riconosce erronea la pronuncia di quello di primo grado che abbia dichiarato estinto il reato o che abbia dichiarato che l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita.

L'ordinanza osserva che la norma suddetta viola l'art. 24 della Costituzione perché priva l'imputato di un grado del giudizio, in difformità dal sistema generale che risulta dall'art. 36 del Codice di procedura penale, nel testo modificato dalla legge 18 giugno 1955, n. 517; perciò é lesiva del diritto di difesa.

L'ordinanza é stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 24 giugno 1964 (l'imputato era presente all'udienza) e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica rispettivamente il 22 ed il 24 giugno 1964. É stata poi pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 182 del 25 luglio 1964.

Nessuno si é costituito innanzi a questa Corte.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione deve reputarsi limitata all'ultima parte dell'art. 522 del Codice di procedura penale, a quella cioè che attribuisce al giudice di appello la potestà di decidere sul merito quando riconosca erronea la sentenza del primo giudice con la quale sia stato dichiarato estinto il reato o sia stato dichiarato che l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita.

Rimane esclusa cioè dall'oggetto dell'odierno giudizio la parte della norma denunciata che non ammette l'appello avverso la sentenza di merito pronunziata nella nuova fase: questa esclusione non é espressamente fatta nella ordinanza del giudice a quo, ma risulta dal modo come é stata posta la questione di legittimità (sentenza 21 giugno 1960, n. 44).

Il tema di tale inappellabilità riguarda soltanto la fase successiva alla pronunzia di merito; e non é supponibile che il Tribunale ne abbia ritenuto rilevante l'esame ai fini di tale pronunzia. É da credere perciò che esso abbia inteso che fosse più conforme al precetto costituzionale invocato, anziché il suo obbligo di pronunziare sul merito, come prescrive l'art. 522, ultima parte, del Codice di procedura penale, quello di rinviare la causa al giudice di primo grado dopo avere accertato la erroneità della sentenza appellata per ciò che concerne le questioni pregiudiziali in essa decise. Il richiamo che nell'ordinanza si fa all'art. 36 del Codice di procedura penale conferma tale giudizio.

2. - La questione prospettata non ha però fondamento.

Altra volta questa Corte ha deciso (sentenza 8 marzo 1957, n. 46) che il diritto di difesa si configura come possibilità effettiva dell'assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le istanze e le ragioni delle stesse.

Nel quadro di sviluppo di questa valutazione, non si può sistemare, fra gli impedimenti ad una ampia esplicazione del contraddittorio e della difesa, l'attribuzione al giudice di appello della potestà di pronunciare sul merito in una fattispecie nella quale quello di primo grado ha esaurito la sua funzione unicamente con la decisione di questioni preliminari: il giudice al quale si é data quella potestà é quello stesso che sarebbe stato chiamato al riesame del merito ove il merito fosse stato trattato nella sentenza di primo grado, ed é per una esigenza di economia processuale che é imposto al magistrato di appello di trattenere il processo, in ipotesi in cui in primo grado non si siano consumate nullità. Il diritto di difesa, in tali casi, é stato assicurato innanzi al primo giudice perché la parte non ha avuto, in quella fase, alcun limite alla discussione del merito; e viene inoltre assicurato innanzi al secondo giudice, perché quest'ultimo ha un potere di piena cognizione del merito, sia pure entro l'ambito dei motivi di appello dedotti dal Pubblico Ministero, ed ha anche il potere di rinnovare il dibattimento, così da escutere le ulteriori prove che fossero pertinenti e rilevanti ai fini del migliore risultato di giustizia.

Non é tanto la doppia istanza che garantisce la completa difesa, ma piuttosto la possibilità di prospettare al giudice ogni domanda ed ogni ragione che non siano legittimamente precluse; e la norma denunciata non toglie questa possibilità quando, nell'ipotesi da essa prevista, affida l'esame del merito al giudice di appello, anziché rimetterlo a quello di primo grado in applicazione di quanto in via generale é prescritto nell'art. 36 del Codice di procedura penale. A prescindere dal discutere se il principio del doppio grado di giurisdizione trovi una garanzia costituzionale, non é, del resto, vano ricordare che esso non suole essere inteso nel senso che tutte le questioni di un processo debbano essere decise da due giudici di diversa istanza, ma nel senso che deve essere data la possibilità di sottoporre tali questioni a due giudici di istanza diversa, anche se il primo non le abbia tutte decise; e per giunta quel principio non trova una formulazione recisa ed assoluta.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 522, ultima parte, del Codice di procedura penale, proposta dal Tribunale di Locri con ordinanza del 4 giugno 1964, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 31 maggio 1965.