Sentenza n. 40 del 1965
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SENTENZA N. 40

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la Seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 35, ultimo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646, promosso con ordinanza emessa il 20 marzo 1964 dalla Corte dei conti - Sezione III giurisdizionale - su ricorso proposto dall'Ospedale civile Vittorio Emanuele Il di Catania contro il Ministero del tesoro, iscritta al n. 105 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 157 del 27 giugno 1964.

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Ospedale civile Vittorio Emanuele Il di Catania e del Ministero del tesoro;

udita nell'udienza pubblica del 17 febbraio 1965 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi gli avvocati Paolo Torrisi e Domenico Schiavone, per l'Ospedale, ed il vice avvocato generale dello Stato Giorgio Macioti, per il Ministero del tesoro.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Ai fini della decisione di un ricorso proposto dall'Ospedale civile Vittorio Emanuele Il di Catania contro il Ministero del tesoro, direzione generale degli istituti di previdenza, in opposizione a decreti ministeriali che avevano ripartito il carico della pensione di quiescenza relativa ad alcuni salariati dell'Ospedale, la Corte dei conti (ordinanza 20 marzo 1964 della III sezione giurisdizionale) ha mosso dubbi sulla legittimità costituzionale degli artt. 34 e 35, ultimo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646, in relazione all'art. 3 della Costituzione. L'art. 34 della predetta legge del 1962 dispone che i salariati degli enti locali i quali, anteriormente al 1 gennaio 1938, abbiano prestato soltanto servizio senza obbligo di iscrizione e senza iscrizione facoltativa e successivamente abbiano conseguito nomina regolare, debbono essere iscritti alla rispettiva Cassa di previdenza soltanto se, ai fini della loro iscrizione obbligatoria, in base alle norme in vigore alla data di assunzione, era richiesto unicamente il requisito della nomina regolare. Il successivo art. 35, ultimo comma, dà a tale disposizione valore di interpretazione autentica di quella precedente, contenuta nell'art. 34 della legge 24 maggio 1952, n. 610, che, a sua volta, con norma pure espressamente qualificata interpretativa dell'art. 5, ultimo comma, della legge 25 luglio 1941, n. 934, aveva affermato essere obbligatoria l'iscrizione predetta a decorrere dalla data d'assunzione, per i salariati che, anteriormente al 1 gennaio 1938, avessero prestato soltanto servizi senza obbligo di iscrizione e senza iscrizione facoltativa e che successivamente avessero conseguito nomina regolare pur se avente carattere temporaneo.

La Corte dei conti ha considerato che la norma denunciata unicamente mira ad escludere dalla iscrizione obbligatoria i salariati dipendenti dalle istituzioni di assistenza e beneficenza, per i quali, come condizione per la partecipazione obbligatoria alla cassa di previdenza, era richiesto, oltre il requisito della nomina regolare, anche il diritto ad acquistare la stabilità. Essa pertanto, più che interpretare la precedente legge del 1952, che era in armonia con la posizione previdenziale del personale in questione determinata dalle disposizioni precedenti e in particolare dal citato art. 5 della legge 25 luglio 1941, n. 934, ha introdotto una nuova situazione normativa modificando quella posizione; di tal che l'affermazione legislativa che la norma nuova ha valore di interpretazione autentica appare soltanto un espediente per attribuire al suo dettato una efficacia retroattiva. La Corte ha soggiunto che la norma denunciata é venuta a peggiorare la posizione di una categoria di salariati, i quali erano in condizioni soggettive ed oggettive identiche agli altri non esclusi; e ha in tal modo determinato una palese disparità di trattamento tra i salariati degli enti locali, a seconda che il loro collocamento a riposo fosse avvenuto prima o dopo la sua entrata in vigore.

L'ordinanza é stata notificata alle parti, al Procuratore generale della Corte dei conti e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 25 maggio 1964; é stata comunicata ai Presidenti delle Camere il 5 giugno successivo. É stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 157 del 27 giugno 1964.

Si sono costituiti in giudizio tanto l'Ospedale Vittorio Emanuele Il di Catania (15 luglio 1964) quanto il Ministero del tesoro (16 luglio 1964); non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

2. - L'Ospedale ha ribadito le osservazioni svolte dalla Corte dei conti, ed ha specificato che questa ha fatto consistere la contrapposizione dei salariati delle istituzioni di beneficenza e di quelli dei comuni e delle amministrazioni provinciali, nel fatto che, per costoro, la iscrizione era obbligatoria anche se avessero avuto unicamente il requisito della nomina regolare, e per gli altri occorreva invece l'ulteriore requisito della nomina con diritto alla stabilità; la legge 24 maggio 1952, n. 610, invece aveva compreso nell'obbligo di iscrizione entrambi i gruppi.

La norma impugnata, conclude l'Ospedale, si é perciò proposta di creare disuguaglianza in un tempo in cui, per la legge vigente, esisteva eguaglianza, determinando una situazione di disparità nel seno di una stessa categoria di salariati, financo tra coloro che al tempo della pubblicazione della legge nuova avevano avuto liquidati i loro diritti e coloro per i quali, a quel tempo, la liquidazione era pendente.

3. - Il Ministero del tesoro ha rilevato che la norma denunciata, intervenendo quando era dubbio se l'art. 34 della legge 24 maggio 1952, n. 610, potesse riferirsi ai salariati delle opere pie assunti prima del 1 gennaio 1938 e nominati successivamente a tale data anche in via temporanea, ha inteso determinare i requisiti richiesti dall'ordinamento anteriore per la iscrizione alla cassa di previdenza di quei lavoratori, che, ab initio, si erano trovati in una posizione giuridica diversa da quella che era stata fatta agli altri salariati degli enti locali: sotto questo profilo la questione proposta risulta manifestamente infondata.

A volere poi ammettere che la norma impugnata abbia effettivamente la portata che le é stata attribuita dalla Corte dei conti, la differenza di disciplina, secondo il Ministero, non incide sul diritto a pensione di tutti i gruppi di salariati, ma esclusivamente sulla ripartizione fra ospedale e cassa di previdenza dell'onere concernente il trattamento di quiescenza di alcuni dipendenti del primo e, a prescindere dalla circostanza che l'ordinanza non investe affatto questo problema, non é concepibile un principio di parità di trattamento nella ripartizione di oneri economici fra enti pubblici; i quali si pongono tutti semplicemente come gestori del pubblico danaro, e non come portatori di interessi propri rispetto ai quali possa concepirsi quell'esigenza di parità. La ripartizione degli oneri é stata fatta in proporzione di periodi determinati dalla legge, e in questa determinazione la legge non incontrava alcun limite derivante dall'art. 3 della Costituzione, potendo essa liberamente assegnare a ciascun ente l'onere parziale di singole erogazioni, così come liberamente fra essi aveva distribuito le funzioni di previdenza.

Nella specie, per giunta, secondo il Ministero, l'onere non va tutto a gravare sull'ospedale, per la quota da esso dovuta, perché é stata fatta salva la facoltà di una sua sostituzione nei diritti acquisiti dal lavoratore verso l'Istituto nazionale per la previdenza sociale per il periodo non assistito da iscrizione alla cassa.

Il Ministero del tesoro aggiunge infine che non sarebbe ingiustificata una discriminazione di trattamento fra salariati delle opere pie e salariati degli altri enti locali: le due diverse categorie di enti hanno differenze di struttura, di finalità e di posizione giuridica, in funzione della maggiore o minore intensità dell'interesse pubblico rispettivamente affidato alle cure di ciascuno, e l'asserita disparità di trattamento dei salariati collocati a riposo dopo la legge interpretativa e quelli liquidati anteriormente é una conseguenza di fatto, che dovrebbe essere eliminata mercé la revisione delle pensioni antiche.

4. - Tanto l'Ospedale quanto il Ministero del tesoro il 4 febbraio 1965 hanno depositato memorie, nelle quali hanno confermato i rispettivi punti di vista.

L'Ospedale, per dimostrare il carattere innovativo dell'art. 34 della legge del 1962, ha ancora rilevato che esso applica "le disposizioni della legge anteriore" solo a quei salariati, per i quali, ai fini dell'iscrizione obbligatoria, in base alle norme in vigore alla data di assunzione, era richiesto unicamente il requisito della "nomina regolare", mentre queste norme riguardavano "anche" quei salariati che, "comunque assunti", avevano prestato servizio senza obbligo di iscrizione e senza iscrizione facoltativa e che successivamente avevano conseguito nomina regolare; la legge anteriore richiede il requisito di un'assunzione "comunque", la legge denunciata esige il requisito dell'assunzione "con nomina regolare", donde ha innovato, non interpretato.

L'innovazione riflette non soltanto il modo di ripartizione dell'onere della pensione, ma anche il trattamento dei pensionati, perché la norma concerne i salariati degli istituti di beneficenza aventi servizio anteriore al 10 gennaio 1938, i quali conseguirebbero il diritto a godere della pensione degli istituti di previdenza solo con la nomina in pianta stabile: senza questa norma a loro spetterebbero solo gli assegni dell'I.N.P.S. La precedente norma invece li accomunava ai salariati degli altri enti locali.

5. - All'udienza del 17 febbraio 1965 le parti comparse insistettero nelle loro deduzioni e ne illustrarono il contenuto.

 

Considerato in diritto

 

1. - Deve anzitutto essere presa in esame la deduzione del Ministero del tesoro per cui la Corte dei conti, dovendo decidere soltanto sul modo di ripartire, fra l'Ospedale di Catania e la Cassa di previdenza per i dipendenti degli enti locali, il debito inerente al trattamento pensionistico dei salariati degli istituti di beneficenza, non poteva ricercare se le norme regolatrici di quella ripartizione avevano un contenuto tale da riflettere disuguaglianza di trattamento tra tali salariati e i salariati degli altri enti pubblici locali.

Il Ministero del tesoro ritiene in sostanza che l'Ospedale non possa far valere un diritto alla parità di trattamento con la Cassa di previdenza, perché é erogatore di pubblico danaro in base ad una competenza amministrativa assegnatagli nell'esercizio di un potere discrezionale di organizzazione. Una deduzione di tale contenuto si risolve però nel porre in dubbio il rapporto fra la questione di legittimità costituzionale e la questione che forma oggetto del processo a quo; quindi nel contestare che la prima sia rilevante ai fini della decisione sulla seconda.

In argomento questa Corte deve osservare che la rilevanza della questione di legittimità é stata affermata dalla Corte dei conti per il modo stesso come é stata proposta (sentenza 21 giugno 1960, n. 44). La Corte dei conti ha ritenuto che fosse necessario decidere se il trattamento fatto dalle norme impugnate ai creditori della pensione rispettasse il principio di eguaglianza perché ha creduto che quel trattamento fosse la ragione del criterio adottato per la ripartizione dell'obbligazione pensionistica fra gli enti debitori, che era la materia sulla quale doveva pronunziarsi; aveva cioè ritenuto che, se illegittimo fosse stato il modo di quel trattamento, illegittimo sarebbe stato anche il modo di questa ripartizione. La rilevazione, sia pure implicita, di tal rapporto di dipendenza esaurisce l'esame preliminare di rilevanza che doveva essere fatto sulla questione, e la Corte costituzionale non può sindacare il giudizio emesso in ordine a tale esame.

2. - Nel merito, questa Corte, pur essendo suo compito anche quello di intendere la portata e il contenuto delle disposizioni ad essa denunciate (sentenza 19 febbraio 1965, n. 11), perché il controllo di legittimità di una norma ordinaria, implicando il suo raffronto con una della Costituzione, ha per suo logico e indefettibile presupposto l'accertamento del significato di entrambe, ritiene tuttavia che, nella specie, sia inutile ricercare il significato della norma denunciata onde accertare se questa sia di carattere interpretativo, come sostiene il Ministero del tesoro, o di valore innovativo, come é nell'opinione della Corte dei conti e dell'Ospedale di Catania.

Se la norma stessa avesse efficacia interpretativa, la questione di legittimità proposta dovrebbe riferirsi anche alle disposizioni che in ipotesi essa intendeva interpretare e diverrebbe allora necessario decidere se l'asserita violazione del principio di eguaglianza sia da riscontrare in queste norme prima che in quella interpretativa. Si tratterebbe allora di prendere in esame l'art. 34 della legge 24 maggio 1952, n. 610, concernente miglioramenti ai trattamenti di quiescenza a favore degli iscritti e dei pensionati degli istituti di previdenza, e addirittura l'art. 9 della legge 25 luglio 1941, n. 934, sull'ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni ai salariati degli enti locali, nonché l'art. 4, parte seconda, del R.D. 14 aprile 1926, n. 679, che approva l'ordinamento della Cassa stessa; e la Corte costituzionale dovrebbe decidere se, nella disciplina del rapporto pensionistico riguardante i salariati degli istituti di beneficenza, le leggi predette abbiano rispettato il principio di eguaglianza, così come dovrebbe accertare se tale parità sia stata osservata riguardo alla norma denunciata quando ad essa si desse valore innovativo. Donde la inanità dell'indagine proposta dal Ministero del tesoro.

3. - Quali che siano le norme suscettibili di essere investite per illegittimità costituzionale, questa Corte ritiene che il principio di parità non é stato violato sotto nessuno dei profili considerati dalla Corte dei conti; gli unici che in questa sede possono essere valutati.

Non é infatti priva di razionalità una disparità di trattamento pensionistico tra i salariati degli istituti di beneficenza e quelli degli altri enti locali. Differenze tra quegli istituti e questi enti sussistono con riferimento alla natura, all'attività, al modo di finanziamento, al diverso contenuto dell'interesse pubblico che hanno competenza a realizzare, alla diversa natura di questo interesse e al diverso grado della sua intensità; ed é ovvio che tali dissomiglianze debbono ripercuotersi sul trattamento di ciascuno dei due gruppi di salariati, i cui compiti rispettivi sono peraltro differenziati in relazione altresì alle varie esigenze che prospettano le funzioni di ognuna delle categorie di enti dai quali i salariati dipendono. Tanto più quelle difformità debbono ripercuotersi sul rapporto di lavoro di ciascun gruppo, in quanto varie sono le possibilità finanziarie degli enti sui quali grava il carico complessivo della pensione (quelli datori di lavoro e quelli pensionistici), e in vario grado tali enti possono sopportare quel carico. É compito soltanto della legge ordinaria valutare gli interessi in giuoco e graduarne secondo gli aspetti concreti la disciplina, non avendo il principio costituzionale di eguaglianza sottratto al legislatore la potestà di riconoscere le differenze che la realtà esprime e di adeguare ad esse le proprie determinazioni (sentenza 26 giugno 1957, n. 105).

La disparità di fatto che risulta dall'applicazione del criterio di ripartizione impugnato, a seconda che il trattamento dei pensionati sia stato irrevocabilmente determinato prima o dopo l'entrata in vigore della norma denunciata, é quella che talora si collega al succedersi delle leggi; e non é eliminabile in sede di controllo di legittimità costituzionale ove non risultino lesi diritti fondamentalmente garantiti.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 35, ultimo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646, contenente modifiche agli ordinamenti degli istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro, proposta dalla Corte dei conti con ordinanza 20 marzo 1964, in riferimento all'art. 3 dalla Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 31 maggio 1965.