Sentenza n. 112 del 1964
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SENTENZA N. 112

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

 Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

 Prof. ANTONINO PAPALDO   

 Prof. NICOLA JAEGER

 Prof. GIOVANNI CASSANDRO

 Prof. BIAGIO PETROCELLI

 Dott. ANTONIO MANCA

 Prof. ALDO SANDULLI

 Prof. GIUSEPPE BRANCA

 Prof. MICHELE FRAGALI

 Prof. COSTANTINO MORTATI

 Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

 Dott. GIUSEPPE VERZÌ

 Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

 Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 553, n. 2, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 15 aprile 1964 dal Pretore di Salò nel procedimento penale a carico di Gelmini Ettore, iscritta al n. 88 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 144 del 13 giugno 1964.

Udita nella camera di consiglio del 6 novembre 1964 la relazione del Giudice Aldo Sandulli.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza in data 15 aprile 1964, emessa nella qualità di giudice dell'esecuzione, il Pretore di Salò, cui Gelmini Ettore, condannato con sentenza passata in giudicato a pena detentiva e pecuniaria per contravvenzione a norme sulla circolazione stradale, aveva presentato istanza di nuovi accertamenti ai sensi dell'art. 557, terzo comma, del Codice di procedura penale, al fine di ottenere dalla Corte di cassazione la revisione del processo in applicazione dell'art. 554, n. 3, dello stesso Codice, ha disposto la rimessione degli atti a questa Corte per la risoluzione della questione relativa alla legittimità costituzionale della disposizione dell'art. 553, n. 2, del Codice di procedura penale, che esclude la revisione delle condanne per reati contravvenzionali fuori dei casi in cui il condannato sia stato dichiarato contravventore abituale o professionale.

L'anzidetto precetto contrasterebbe con gli artt. 3 e 24 della Costituzione in quanto l'esclusione della possibilità di revisione nei casi indicati urterebbe con le regole costituzionali della eguaglianza e della assicurazione a tutti della protezione giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. Né sarebbe valido obiettare che i reati contravvenzionali non gettano una luce sinistra sul condannato. Posto che ciò possa valere per le contravvenzioni punite con la sola ammenda, non potrebbe invece valere per quelle punite con l'arresto, data la quasi assoluta assimilazione del regime di questa pena detentiva a quello della reclusione, con cui vengono puniti i delitti (artt. 23 e 25 del Codice penale), e dato che a ben poca cosa si ridurrebbe la stessa diversità di trattamento delle due pene ai fini della applicazione della sospensione condizionale (artt. 163- 64 del Codice penale).

L'ordinanza é stata notificata all'imputato il 22 aprile 1964, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia il 23 aprile, al Presidente del Consiglio dei Ministri il 20 aprile. Essa é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 15 aprile, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 144 del 13 giugno 1964.

Nessuno si é costituito nel giudizio innanzi a questa Corte.

 

Considerato in diritto

 

 

Ritiene la Corte che, nell'esercizio della competenza demandatagli dall'art. 557, terzo comma, del Codice di procedura penale, il giudice dell'esecuzione (diversamente dai casi di cui questa Corte ha avuto a occuparsi con le sentenze nn. 29 del 1962 e 69 del 1964) non sia legittimato a promuovere una questione di legittimità costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Il giudice dell'esecuzione, allorquando viene richiesto di nuovi accertamenti a sostegno di una domanda di revisione presentata, ai sensi dell'art. 554, n. 3, dello stesso Codice, nei confronti di una sentenza penale di condanna divenuta irrevocabile, esplica una funzione meramente istruttoria - e perciò accessoria -, in vista e al servizio di un giudizio riservato in modo esclusivo alla Corte di cassazione.

Non diversamente dalle altre ipotesi di giudizio di revisione, anche nel caso in esame, destinataria della istanza di revisione é la Corte di cassazione (art. 557, primo comma); questa poi, nell'esercizio del potere di ordinare le indagini e gli atti che ritiene utili (art. 558, secondo comma), può disporre anche quei medesimi accertamenti che il giudice dell'esecuzione abbia eventualmente ritenuto di rifiutare; infine soltanto essa può pronunciare sul rito e sul merito della domanda di revisione, anche quando questa sia inammissibile o manifestamente infondata (art. 558, terzo comma).

Il giudice dell'esecuzione non dispone per contro di alcuna potestà decisoria. Il procedimento che si svolge davanti ad esso non assolve un ruolo introduttivo e tanto meno un ruolo condizionante rispetto al giudizio di revisione. Né rispetto a questo l'esito di quel procedimento é mai in grado di esplicare un'azione preclusiva.

Precisata in tal modo la relazione dei due procedimenti, é evidente che non può avere alcun peso, ai fini che qui interessano, il fatto che il giudice dell'esecuzione possa non dar corso alla domanda di nuovi accertamenti presentatagli dall'interessato, allorquando la ritenga infondata (art. 557, terzo comma). Ciò egli fa sempre nell'esercizio di un potere meramente istruttorio, strumentale e non condizionante.

Vista in questa luce, la posizione del giudice dell'esecuzione nell'esercizio della funzione prevista dall'art. 557, terzo comma, del Codice di procedura penale, non si differenzia sostanzialmente, sotto il limitato profilo in esame, da quella del giudice istruttore nel processo civile, al quale, appunto per il carattere meramente strumentale e non decisorio della sua funzione, questa Corte ha negato il potere di proporre questioni di legittimità costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (sentenze nn. 109 del 1962 e 44 del 1963).

La stessa ratio consiglia a dichiarare ora inammissibile la questione di legittimità costituzionale proposta nel giudizio in esame dal giudice dell'esecuzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale, proposta dal Pretore di Salò con l'ordinanza indicata in epigrafe, dell'art. 553 del Codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 1964.

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

Depositata in Cancelleria il 11 dicembre 1964.