Sentenza n. 66 del 1964
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SENTENZA N. 66

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei ricorsi riuniti promossi dal Presidente della Giunta regionale siciliana:

1) ricorso notificato il 12 febbraio 1964, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 24 febbraio 1964 ed iscritto al n. 2 del Registro ricorsi 1964, per conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato, sorto per effetto dell'ordinanza 14 dicembre 1963, con la quale il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha sospeso il decreto 4 dicembre 1963, n. 177, del Presidente dell'Assemblea regionale siciliana;

2) ricorso notificato il 31 marzo 1964, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale l'11 aprile 1964 ed iscritto al n. 4 del Registro ricorsi 1964, per conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato, sorto per effetto della sentenza 2 maggio-15 luglio 1963, con la quale la Corte di cassazione a Sezioni unite ha dichiarato la competenza giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana a provvedere sul ricorso di Moscato Giovanni avverso il decreto 9 gennaio 1961 del Presidente dell'Assemblea regionale siciliana.

Udita nell'udienza pubblica del 10 giugno 1964 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

uditi gli avvocati Luigi Maniscalco Basile e Salvatore Orlando Cascio, per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento instaurato dal signor Amintore Ambrosetti per l'annullamento del decreto 4 dicembre 1963 del Presidente dell'Assemblea regionale siciliana col quale gli veniva negata l'ammissione al concorso a quattro posti di segretario presso l'Assemblea (bandito con decreto 11 maggio 1963), il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana con ordinanza del 14 dicembre 1963 ha sospeso l'esecuzione del provvedimento impugnato.

Il Presidente della Giunta regionale siciliana, autorizzato con deliberazione 8 febbraio 1964 della Giunta, ha presentato ricorso a questa Corte ai sensi dell'art. 134 della Costituzione e degli artt. 39, 41 e 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la risoluzione del conflitto di attribuzione determinatosi fra lo Stato e la Regione per effetto della predetta ordinanza.

Nel relativo atto - notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 12 febbraio 1964 e depositato il 24 successivo - il Presidente della Giunta regionale, costituitosi con la difesa degli avvocati Luigi Maniscalco Basile e Salvatore Orlando Cascio, premesso di aver avuto conoscenza dell'ordinanza attraverso la comunicazione fattagliene dal Presidente dell'Assemblea regionale in data 8 febbraio 1964, ha chiesto che la Corte, risolvendo l'insorto conflitto, a) "dichiari che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana non ha il potere di sindacare gli atti con i quali l'Assemblea regionale siciliana realizza la propria organizzazione e provvede all'ordinamento del personale"; b) pronunzi l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

2. - Con altro ricorso, notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 31 marzo e depositato l'11 aprile 1964, il Presidente della Giunta regionale siciliana, autorizzato con deliberazione della Giunta adottata nella seduta dell'8 febbraio 1964, e difeso dagli avvocati Luigi Maniscalco Basile e Salvatore Orlando Cascio, ha chiesto che questa Corte risolva il conflitto di attribuzione sorto fra lo Stato e la Regione siciliana per effetto della sentenza 2 maggio-15 luglio 1963 con la quale la Corte di cassazione a Sezioni unite ha dichiarato la competenza giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana a provvedere sulla causa promossa innanzi a quell'organo dal dott. Giovanni Moscato per l'annullamento del decreto 9 gennaio 1961 del Presidente dell'Assemblea regionale siciliana col quale era stata disposta nei suoi confronti la revoca dall'impiego di vice direttore dell'Assemblea.

Nel ricorso il Presidente della Giunta regionale dichiara di aver avuto conoscenza della predetta sentenza attraverso la lettera, depositata in copia conforme, con la quale in data 8 febbraio 1964 il Presidente dell'Assemblea regionale gliene diede comunicazione, e presenta conclusioni analoghe a quelle del ricorso precedente, chiedendo che la Corte statuisca che il Consiglio di giustizia amministrativa non ha nella materia de qua il potere di sindacato giurisdizionale e annulli la sentenza impugnata.

3. - Nei due ricorsi il Presidente della Giunta denunzia la violazione degli artt. 64, 66, 68 e 116 della Costituzione; degli artt. 11-19 dello Statuto della Regione siciliana; dell'art. 5 del D. L. 6 maggio 1948, n. 654; dell'art. 26 del T. U. 26 giugno 1924, n. 1054, e degli artt. 1 e 362 del Codice di procedura civile; denunzia altresì un eccesso di potere giurisdizionale.

Nei motivi posti a fondamento delle conclusioni il ricorrente deduce che l'affermazione della giurisdizione del Consiglio di giustizia amministrativa - riconosciuta nella sentenza della Corte di cassazione e presupposta nell'ordinanza del Consiglio di giustizia amministrativa - viola la sfera di competenza dell'Assemblea regionale, la quale, avendo esclusivamente attribuzioni legislative ed essendo organo politico, non può essere soggetta a controlli giurisdizionali ordinari o speciali. Nell'ambito della Regione siciliana, organizzata a somiglianza dello Stato, sono nettamente distinti, come si evince dallo Statuto, gli organi del potere legislativo e gli organi del potere esecutivo, e la Regione nel suo complesso non é ente amministrativo, ma politico. L'Assemblea, a differenza dei Consigli delle altre Regioni, esplica esclusivamente attività legislativa e le argomentazioni svolte dalla Cassazione in base all'art. 117 della Costituzione per dedurne la natura unitaria e amministrativa della Regione urtano contro il disposto di quelle norme dello Statuto siciliano (artt. 14-19) le quali, realizzando le particolari forme di autonomia previste dall'art. 116 della Costituzione, conferiscono direttamente all'Assemblea le funzioni legislative. Dalla natura di corpo politico deriva, secondo il ricorrente, che al Parlamento della Regione va riconosciuta quell'autonomia e quell'indipendenza dal potere giudiziario che non sono contestate al Parlamento della Repubblica, giacché l'identità delle funzioni non può non comportare identità di disciplina e, in particolare, l'insindacabilità giurisdizionale dei provvedimenti organizzativi dell'Assemblea. Non trattandosi di atti subbiettivamente amministrativi, non può esservi giurisdizione del Consiglio di giustizia amministrativa, essendo questa limitata (art. 5 del D. L. 6 maggio 1948, n. 654) al sindacato degli atti di autorità amministrative aventi sede nel territorio della Regione. Né , a parere del ricorrente, potrebbe affermarsi la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria in base all'art. 24 della Costituzione, giacché il principio enunciato in questa norma deve essere contemperato con le richiamate esigenze istituzionali di indipendenza e richiede perciò norme procedurali di struttura che consentano la tutela nell'ambito della stessa organizzazione del corpo politico. Il regolamento interno degli uffici, del personale e dei servizi dell'Assemblea siciliana già contiene norme adeguate a garantire questa tutela; e se in ipotesi queste fossero insufficienti, ciò non potrebbe comportare l'attribuzione del sindacato ad un potere diverso da quello dell'Assemblea.

4. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri - al quale i due ricorsi sono stati ritualmente notificati - non si é costituito.

5. - Nelle due memorie, di identico contenuto, depositate il 25 maggio 1964, la difesa della Regione analizza la natura del conflitto denunziato, tratta dell'autonomia, autarchia e autocrinia come prerogative costituzionali delle assemblee legislative, enuncia i motivi a fondamento della tesi che le stesse prerogative spettano all'Assemblea regionale siciliana e muove infine vari rilievi critici alla motivazione della sentenza della Cassazione.

Quanto al primo punto, secondo la difesa del ricorrente, i due ricorsi denunziano un conflitto fra Stato e Regione che include un conflitto fra organi appartenenti a due poteri diversi (legislativo ed esecutivo) e sono ammissibili in quanto i due poteri non appartengono entrambi alla Regione, ma l'uno allo Stato, l'altro alla Regione. Trattandosi di conflitto fra enti non si richiede che l'atto provenga da organo superiorem non recognoscens (il che peraltro sussiste nel conflitto determinato dalla sentenza della Cassazione) e la legittimazione spetta al Presidente della Giunta regionale ed al Presidente del Consiglio dei Ministri indipendentemente dall'organo dal quale l'atto proviene e qualunque sia la denunziata violazione di competenza. Si aggiunge che Presidente del Consiglio dei Ministri e Presidente della Regione, oltre a rappresentare i due rispettivi enti, rappresentano anche i singoli organi tra i quali il conflitto é sorto: nel caso in esame il Presidente della Regione rappresenta la Regione e in particolare il potere legislativo dell'Assemblea (e, essendo quest'ultima costituzionalmente legittimata a legiferare in via esclusiva su determinate materie, la difesa delle sue prerogative é anche difesa del potere legislativo dello Stato), mentre il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresenta lo Stato e in particolare il potere giudiziario (egli rappresenta, si afferma, il Capo dello Stato che, in quanto Presidente del Consiglio superiore della Magistratura, é anche Capo del potere giudiziario).

In relazione al secondo punto, la difesa della Regione rileva che l'indipendenza delle Camere, costituzionalmente garantita, trova la sua ragione nell'attività politica (o attività libera nel fine) esercitata dalle due assemblee e si estrinseca nel potere di auto- regolamento (c. d. autonomia), che comprende sia la potestà di autoamministrarsi (c. d. autarchia) che quella di autogiudicarsi (c. d. autocrinia o autodicastia o autodichia). Tale potere riconosciuto nell'art. 61 dello Statuto Albertino, é presupposto dall'art. 64 della Costituzione; si pone come fonte di norme primarie; deriva da una riserva di regolamento che sottrae alla legislazione ordinaria tutto quanto attiene alla organizzazione dell'organo; si riferisce non solo al funzionamento interno dell'Assemblea, ma anche agli uffici ed alla regolamentazione dei rapporti con i funzionari e comprende la disciplina del sindacato per violazione delle norme. Circa quest'ultimo aspetto non si può ravvisare un ostacolo negli artt. 113 e 24 della Costituzione. É certa l'inapplicabilità del primo, perché le assemblee legislative non rientrano nel concetto di pubblica Amministrazione; ed é inconcludente il richiamo del secondo, perché non si nega la tutela dei diritti dei dipendenti delle Assemblee, ma solo si afferma che essa trova la sua disciplina nelle norme regolamentari: e se queste fossero carenti o insufficienti, non per questo si potrebbe violare la riserva di regolamento col riconoscere il sindacato dell'autorità giudiziaria.

Gli stessi principi, secondo il ricorrente, valgono per tutti gli organi dei quali la Costituzione vuole garantire l'indipendenza, come dimostra la circostanza che la potestà autoregolamentare va riconosciuta alla stessa Corte costituzionale proprio in considerazione della natura delle sue funzioni; e, in particolare, le sarebbe spettata la potestà di autodichia anche se non fosse stata emanata la legge 11 marzo 1953, n. 87, che espressamente la contempla (art. 14).

L'esame della posizione costituzionale dell'Assemblea regionale siciliana condurrebbe, secondo la difesa della Regione, a conclusioni identiche. L'Assemblea é investita del potere di legiferare in modo esclusivo in varie materie e le leggi emanate vanno identificate con quelle dello Stato, sicché dal punto di vista qualitativo la sua funzione é uguale a quella delle Camere. Anche all'Assemblea regionale é stata attribuita una potestà regolamentare (art. 4 dello Statuto siciliano) la cui natura si desume dall'art. 4 del D. L. C. P. S. 25 marzo 1947, n. 204, che temporaneamente applicò le norme regolamentari dell'Assemblea Costituente e, fra queste, quella relativa alla convalida degli eletti, nella quale si evidenzia il potere di autodichia che é tipico degli organi costituzionalmente indipendenti.

Nell'ultima parte la memoria contesta l'esattezza dei motivi che la Cassazione ha posti a fondamento della sua sentenza. Si nega, anzitutto, che la Regione siciliana possa essere assimilata alle altre Regioni e addirittura a quelle c. d. di diritto comune; si afferma che, in base allo Statuto siciliano, le varie attività regionali non vanno riferite alla Regione nel suo complesso, ma ai singoli organi (e in particolare l'attività legislativa va imputata all'Assemblea regionale); si sostiene che la Regione siciliana é un ente politico e l'Assemblea é corpo politico, risolvendosi le sue attribuzioni esclusivamente nell'attività legislativa e in atti di indirizzo e sindacato politico; si assume che il regolamento prevede un adeguato sistema di garanzie per i dipendenti, più minuzioso di quello predisposto nei regolamenti delle Camere e che comunque - il che si esclude - se si dovessero riscontrare lacune o insufficienze ciò non potrebbe comportare l'ablazione dei poteri di autodichia spettanti all'Assemblea. La Regione, infine, contesta che dalle norme regolamentari in vigore possa desumersi, come la Cassazione ha fatto, che il regolamento stesso presupponga l'applicazione del diritto comune per quanto riguarda la tutela giurisdizionale in materia di pubblico impiego. Ciò non si ricava dalla circostanza che non vien fatto rinvio al regolamento delle Camere ma alla legge sugli impiegati statali, perché il regolamento dell'Assemblea ha ricopiato quasi alla lettera quello del Senato, né dal fatto che si dispone che sui ricorsi contro la pubblicazione del ruolo di anzianità il Presidente decide "definitivamente": tale formula, infatti, lungi dal poter essere presupposto della giurisdizione del Consiglio di giustizia é stata integralmente recepita da quella adoperata nei regolamenti per il personale delle Camere.

6. - Nella pubblica udienza gli avvocati Luigi Maniscalco Basile e Salvatore Orlando Cascio hanno ulteriormente illustrato i motivi dei ricorsi ed hanno insistito nelle conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - I due ricorsi, discussi congiuntamente nell'udienza pubblica, prospettano la stessa questione e vanno conseguentemente riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Dalla valutazione complessiva dei ricorsi, dei motivi posti a loro fondamento e dei provvedimenti chiesti alla Corte risulta che il presente conflitto si configura come conflitto di attribuzione fra Regione e Stato (ai sensi dell'art. 134 della Costituzione e dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87), ha per oggetto la questione se allo Stato spetti la potestà giurisdizionale sugli atti dell'Assemblea regionale siciliana relativi alle vicende del rapporto di impiego dei propri dipendenti e va deciso con riferimento alle norme costituzionali che, secondo quanto si assume, garantirebbero l'indipendenza e le prerogative dell 'Assemblea e sarebbero state violate dai due atti giurisdizionali che hanno dato causa al conflitto.

Ciò posto, é evidente che il tema da decidere non é quello se nel caso in esame spetti o meno al Consiglio di giustizia amministrativa la giurisdizione, ma l'altro, preliminare e più ampio, se gli atti dell'Assemblea relativi all'oggetto innanzi specificato siano esenti dalla giurisdizione in generale e, quindi, dalla corrispondente potestà dello Stato. In altri termini occorre accertare se il principio secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, affermato in via generale dall'art. 24, primo comma, della Costituzione (e ribadito nell'art. 113, primo comma, con riferimento agli atti della pubblica Amministrazione), incontri un limite nelle garanzie o prerogative di indipendenza che il ricorrente afferma vadano riconosciute all'Assemblea regionale.

3. - La difesa della Regione parte dal presupposto che la posizione costituzionale dell'Assemblea regionale sia identica a quella delle due Camere del Parlamento, e ne fa discendere la conseguenza che identiche debbano essere, ed in effetti siano, le prerogative. L'Assemblea regionale, si afferma, é un corpo politico al pari delle Camere, in quanto esplica un'attività politica che si estrinseca nella emanazione di atti legislativi aventi efficacia identica a quella dei corrispondenti atti dello Stato; e, si aggiunge, in base a norma costituzionale (art. 4 dello Statuto siciliano) essa ha lo stesso potere di regolamento che comprende, così come é indiscusso per le Camere, non solo la potestà di organizzazione delle funzioni e degli uffici, ma anche il sindacato sugli atti che violino le norme poste nell'esercizio di quel potere.

Questa tesi, valutata nei singoli argomenti e nel suo insieme, non può essere accolta.

La Corte non dubita che l'Assemblea regionale siciliana non possa essere configurata come organo amministrativo, giacché le sue attribuzioni - così come delineate nello Statuto che realizza le particolari forme di autonomia previste nell'art. 116 della Costituzione - sono o legislative (artt. 14-19 dello Statuto siciliano) o politiche (artt. 9, primo comma, e 20, secondo comma), e mai amministrative (cfr. sent. n. 2 del 15 gennaio 1959) fino al punto che anche il potere regolamentare di esecuzione delle leggi é demandato al Governo regionale (art. 12, terzo comma). Ma da ciò non deriva che l'Assemblea regionale possa essere parificata alle Camere né sotto il profilo della equivalenza degli atti legislativi né sotto quello, più lato e comprensivo, della c. d. attività di indirizzo politico.

É in proposito da osservare che l'attività della Regione, anche quando é manifestazione di legislazione "esclusiva", incontra vari limiti nella legislazione statale, che discendono o da esplicite previsioni degli Statuti o, come la Corte più volte ha avuto modo di affermare (cfr., ad es., sent. n. 49 del 4 aprile 1963 e sent. n. 4 del 24 gennaio 1964), dal principio fondamentale di unità della Repubblica enunciato nell'art. 5 della Costituzione (cfr. anche art. 1 dello Statuto siciliano), con la necessaria conseguenza che nel quadro delle fonti le leggi regionali, anche se emanate nelle materie riservate, non possono essere poste sullo stesso piano delle leggi statali.

Questa conclusione trova adeguata giustificazione nella constatazione che, per quanto lo Statuto siciliano conferisca alla Regione un'ampia autonomia, questa non é da confondere con la sovranità che resta attributo dello Stato. La Corte ha affermato, anche in decisioni riguardanti la legislazione regionale "esclusiva", che la Regione resta inquadrata nello Stato e subordinata allo Stato (cfr. sentenza n. 9 del 1957), e con giurisprudenza costante (cfr. sentenze nn. 124 del 1957; 2 e 32 del 1960; 66 del 1961; 46 del 1962) ha in via generale accertato che la competenza delle Regioni é strettamente limitata alle materie quali sono elencate negli Statuti speciali, restando escluso che, rispetto a queste, possano valere criteri finalistici che non risultino da valutazioni del tutto obiettive del loro contenuto. Questo indirizzo giurisprudenziale ha trovato conferma nella recente sentenza n. 56 del 9 giugno 1964, nella quale la Corte, enunciando a proposito della legislazione della Regione Trentino-Alto Adige un principio generale, ha ribadito che le Regioni sono enti con fini predeterminati e inderogabilmente fissati.

Viene così delineata netta e profonda la differenza esistente fra attività legislativa regionale e attività legislativa statale, perché solo questa ultima può essere considerata libera nel fine, salvo i casi in cui un fine sia stato prestabilito in una norma costituzionale. Ed é conseguentemente chiaro che il vigente ordinamento costituzionale non consente l'assimilazione delle funzioni dell'Assemblea regionale alle funzioni delle Camere: le prime, infatti, appaiono manifestazione di autonomia politica costituzionalmente riconosciuta e delimitata, le seconde invece sono espressione del potere di indirizzo politico generale, alla determinazione del quale il Parlamento, anche attraverso la legislazione, partecipa, e che la Costituzione, predisponendo il controllo di merito sulla legislazione regionale (art. 127), considera prevalente.

4. - Dai richiamati principi consegue che, come all'Assemblea regionale siciliana non può attribuirsi la stessa posizione costituzionale delle Camere, così al potere regolamentare ad essa conferito dall'art. 4 dello Statuto siciliano non può riconoscersi la stessa sfera di effetti che si attribuiscono al potere regolamentare che a ciascuna delle due Camere deriva dall'art. 64 della Costituzione.

L'esame delle norme costituzionali conferma questa conclusione e dimostra come al Parlamento vengono garantite forme di indipendenza e prerogative ben più ampie di quelle concesse ai Consigli regionali e all'Assemblea siciliana.

Per la Camera dei Deputati e per il Senato della Repubblica gli artt. 64, primo comma, 66 e 68 della Costituzione delineano nel loro insieme un compiuto ed ampio sistema di garanzie, che non ha riscontro nelle norme riguardanti gli enti regionali. Per le Regioni in genere, infatti, la Costituzione (art. 122, quarto comma) sancisce solo la irresponsabilità dei consiglieri per le opinioni espresse e per i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni (cfr. anche art. 6 dello Statuto siciliano; art. 25 dello Statuto sardo; art. 24 dello Statuto Val d'Aosta; art. 22 dello Statuto Trentino-Alto Adige; art. 16 dello Statuto Friuli - Venezia Giulia) e per le Regioni ad autonomia speciale gli Statuti si limitano ad attribuire ai Consigli (per la Sicilia all'Assemblea) il potere di dettarsi un regolamento (art. 4 dello Statuto siciliano; art. 19 dello Statuto sardo; art. 25 dello Statuto Trentino-Alto Adige; artt. 18 e 21 dello Statuto Friuli - Venezia Giulia).

Manca, come si vede, una norma costituzionale che, come avviene per le Camere in base all'art. 66 della Costituzione, attribuisca ai Consigli regionali, anche di Regioni a statuto speciale, il giudizio definitivo dei titoli di ammissione dei loro componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. E di maggior rilievo é la circostanza che non c'é principio o disposizione costituzionale che riconosca ai componenti dei Consigli regionali l'immunità quale risulta prevista dall'art. 68 della Costituzione per i membri del Parlamento. Va anzi ricordato che, per quanto riguarda specificamente i Deputati dell'Assemblea siciliana, la giurisprudenza (Cassazione, Sezioni unite, camera di consiglio 10 dicembre 1949) ritenne che tale prerogativa non si ricavasse né esplicitamente né implicitamente dal vigente ordinamento e che l'Alta Corte per la Regione siciliana (sentenza 16 - 20 marzo 1961, n. 38) giudicò illegittimo l'art. 64 della legge regionale (20 marzo 1951, n. 29) che espressamente la introduceva. Ora, se si considera che l'immunità é conferma dell'indipendenza dell'organo nei confronti degli altri poteri e come essa getti luce su tutto il complesso delle garanzie costituzionali accordate alle Camere, é agevole dedurre dalla sua mancanza la dimostrazione che il sistema costituzionale non ha inteso attribuire all'Assemblea regionale quelle stesse prerogative che spettano al Parlamento.

5. - Le esposte considerazioni inducono a ritenere che né dai principi né dalle norme costituzionali é dato ricavare, nella materia in esame, un limite al diritto che a tutti l'art. 24 della Costituzione riconosce. E che tale diritto non possa essere soddisfatto, come invece assume la difesa della Regione, dalle norme che all'uopo sarebbero predisposte nel Regolamento dell'Assemblea, si ricava dalle considerazioni già esposte, alle quali va aggiunto che l'art. 24 della Costituzione, quando parla del diritto di "agire in giudizio", non può non riferirsi alla funzione giurisdizionale così come regolata dagli artt. 101 e seguenti della Costituzione, e che, comunque, come la Corte ha affermato fin dalla sentenza n. 4 del 15 giugno 1956, la Regione non ha competenza a dettare norme in tema di giurisdizione.

Pervenendo a queste conclusioni non si nega all'Assemblea regionale siciliana l'indipendenza nella misura necessaria ad assicurare il libero esercizio delle sue funzioni legislative e politiche: il potere di regolamento, infatti, offre la possibilità di dettare norme di organizzazione dei servizi e degli uffici e di disciplina dei rapporti coi dipendenti secondo l'autonomo apprezzamento che l'Assemblea fa delle proprie esigenze, ed il sindacato giurisdizionale sulla conformità dei singoli atti a queste norme non appare in verità tale da turbare quella libertà.

6. - Accertato che spetta allo Stato la giurisdizione nella materia in esame, il presente giudizio resta definito.

Decidere, infatti, a quale organo dello Stato essa vada in concreto riconosciuta esorbita dall'oggetto e dai limiti del conflitto di attribuzione fra Regione e Stato e rientra nelle questioni di giurisdizione che il vigente ordinamento riserva alla competenza della Corte di cassazione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

letto l'art. 134 della Costituzione; letti gli artt. 39, 41 e 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87;

dichiara che spetta allo Stato la giurisdizione sugli atti dell'Assemblea regionale siciliana relativi ai rapporti di impiego dei propri dipendenti.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 30 giugno 1964.