Sentenza n. 170 del 1963
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SENTENZA N. 170

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 506, 507, 508, 509 e 510 del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 30 maggio 1962 dal Pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Monti Michele, iscritta al n. 54 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 16 marzo 1963.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 20 novembre 1963 la relazione del Giudice Michele Fragali;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Un'ordinanza emessa il 30 maggio 1962 dal Pretore di Milano, pervenuta a questa Corte il 1 marzo 1963, ha prospettato l'illegittimità costituzionale degli artt. 506, 507, 508, 509 e 510 del Cod. proc., penale che consentono al Pretore, nei casi ivi previsti, di pronunziare la condanna con decreto senza procedere al dibattimento e regolano il relativo procedimento. Ha ritenuto il Pretore che, non essendo prescritto che si nomini il difensore al denunciato prima di emettere il decreto, resta violato il diritto alla difesa garantito dall'art. 24, comma secondo, della Costituzione; il quale diritto non può ritenersi tutelato dalla possibilità di proporre opposizione, sia perché questo atto istituisce uno stadio ulteriore del procedimento, diverso da quello che conduce alla condanna, sia perché i brevissimi termini entro cui l'opposizione é proponibile non creano presupposti di un'idonea difesa allorché manchi la possibilità che questa sia assunta da un soggetto, quale il difensore, tecnicamente capace.

2. - L'ordinanza fu emessa nel dibattimento e venne pertanto notificata solo al Presidente del Consiglio dei Ministri (29 settembre 1962): venne comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento in data 2 ottobre 1962.

3. - Nel giudizio così promosso l'imputato non si é costituito, ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il quale, per un verso, ha richiamato la sentenza di questa Corte del 22 marzo 1962, n. 29, secondo la quale il diritto di difesa deve ritenersi garantito ogni qualvolta é assicurata la possibilità di tutelare in giudizio le proprie ragioni e di farsi assistere dal difensore e, per altro verso, ha fatto presente che il procedimento per decreto consente alla parte di farsi assistere dal difensore pure nella fase che precede la condanna, anche mediante la presentazione di memorie. Quando la parte non nomina un suo difensore per assisterla nel corso di tale fase, esprime un comportamento non diverso da quello che attua ove non comparisca nella fase di opposizione, i cui effetti legali sono stati dichiarati legittimi da questa Corte (sentenza 8 marzo 1957, n. 46) perché conseguenti ad una condotta volontaria del soggetto. Se, nella fase anteriore alla condanna, non é previsto l'obbligo della nomina di un difensore, ciò accade perché l'esercizio del diritto di proporre opposizione dà all'interessato la possibilità di chiedere il giudizio con la sicurezza di tutte le garanzie processuali; e nemmeno la brevità dei termini previsti per l'opposizione incide sulla salvaguardia del diritto di difesa, non sussistendo, fra l'altro, uno strumento di misura che permetta di condurre una indagine di congruenza.

4. - Alla pubblica udienza del 20 novembre 1963 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha insistito nelle osservazioni proposte.

 

Considerato in diritto

 

1. - É infondato che il procedimento penale per decreto, così com'é regolato negli articoli denunciati, menomi il diritto alla difesa garantito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

L'opposizione prevista nell'art. 507, secondo e terzo comma, del Codice di procedura penale, rende esperibile quel diritto nella stessa sede dibattimentale di primo grado in cui si sarebbe esercitato ove non fosse stato emesso il decreto di condanna, e con la medesima ampiezza che avrebbe potuto assumere nel procedimento ordinario; e non vale perciò obiettare che la difesa, per regola costituzionale, deve essere possibile in ogni grado del processo. Mediante l'opposizione, la parte é anzi in grado di svolgere le sue ragioni nella conoscenza della valutazione data dal giudice alle risultanze processuali, e non soltanto sulla base della contestazione o della notizia di un'accusa; il che é di agevolazione anziché di pregiudizio.

Nemmeno ha pregio rilevare che non é garantito il diritto di difesa nella fase anteriore al decreto di condanna. Ove il Pretore decida di emettere questo decreto, la parte ha notizia formale del procedimento soltanto quando riceve la notifica della pronunzia; solo da quel momento la legge perciò deve apprestare un modo, di difesa, e ben si spiega allora come l'opposizione al decreto sia il mezzo formale di far valere le proprie ragioni. Peraltro la legge né vieta alla parte che in qualsiasi modo abbia avuto, conoscenza del procedimento di presentare al Pretore le sue difese, né vieta al Pretore di escuterle e, prima di emettere il decreto, di sentire la parte e di prenderne in considerazione le istanze.

Questa Corte ha deciso (sentenza 8 marzo 1957, n. 46) non solo che il diritto alla difesa va inteso esclusivamente come possibilità effettiva del suo esperimento, ma altresì che non lo ferisce né lo pregiudica la legge che ne adegua le modalità di esercizio alle speciali caratteristiche di struttura del singolo procedimento, essendo sufficiente che della difesa vengano realizzati lo scopo e la funzione: per quanto si é detto, a codesti criteri, risponde pienamente il sistema del procedimento penale per decreto, e deve perciò ritenersi che esso non violi in nessun modo il principio invocato dal Pretore di Milano.

2. - Qualora non venga proposta opposizione, il decreto penale diviene esecutivo, non perché l'ordinamento dà valore ad una pronunzia emessa senza che si sia dato modo alla parte di dedurre le proprie ragioni, ma perché la parte, non opponendosi alla condanna, ha ritenuto di non avere motivi da far valere contro l'apprezzamento delle risultanze processuali espresso dal giudice e la qualificazione che ne ha dato; così come essa riconosce di non avere interesse a rimuovere gli effetti del decreto, quando, proposta opposizione, non compaia all'udienza fissata per il dibattimento senza giustificato motivo.

Con riguardo a questa seconda ipotesi, in cui l'inattività della parte é semplicemente parziale, questa Corte, nella citata sentenza 8 marzo 1957, n. 46, ha deciso che legittimamente l'art. 510, primo comma, del Codice di procedura penale, in vista del comportamento dell'opponente, fa obbligo di disporre l'esecuzione del decreto di condanna ed esclude, quindi, che il diritto di difesa possa esercitarsi ai fini di un riesame del merito. A fortiori deve ritenersi legittimo prescrivere, come fa l'art. 507, terzo comma, del Cod. proc. penale, che, decorso inutilmente il termine stabilito per la proposizione dell'opposizione, il decreto di condanna diviene esecutivo: in questo caso l'inerzia della parte é assoluta e perciò, più chiaramente che nell'altro, essa riconosce di non aver alcun interesse alla difesa.

Non deve perciò opinarsi che resti leso questo diritto quando esso non può svolgersi perché la legge ragionevolmente ritiene o presume che la parte, con il proprio contegno processuale, ha dimostrato di non avere ragioni da far valere o si sia preclusa la possibilità di farne valere.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 506, 507, 508, 509 e 510 del Codice di procedura penale, proposta dal Pretore di Milano con ordinanza del 30 maggio 1962, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

MICHELE FRAGALI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1963.