Sentenza n. 128 del 1963

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SENTENZA N. 128

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, 17, 44, 46, 47, 50, 54, 58, 76, dal 91 al 95 e 97 del disegno di legge concernente l'ordinamento dei Comuni, approvato dal Consiglio regionale della Regione Trentino-Alto Adige il 7 novembre 1962, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri notificato il 23 novembre 1962, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 3 dicembre successivo ed iscritto al n. 14 del Registro ricorsi 1962.

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente della Regione Trentino-Alto Adige;

udita nell'udienza pubblica del 5 giugno 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

uditi il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e l'avv. Feliciano Benvenuti, per il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso notificato il 23 novembre 1962 il Presidente del Consiglio dei Ministri, su conforme delibera del Consiglio del 16 novembre, ha impugnato gli artt. 4, 17, 44, 46, 47, 50, 54, 58, 76, dal 91 al 95 e 97 del disegno di legge concernente l'ordinamento dei Comuni, approvato dal Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige il 7 novembre 1962, cui era stato rinviato dal Governo per il riesame a norma dell'art. 49, secondo comma, dello Statuto Trentino- Alto Adige.

Il ricorso é stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 320 del 15 dicembre 1962 e nel Bollettino Ufficiale della Regione Trentino-Alto Adige n. 53 del 25 dicembre 1962.

Nel ricorso il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, sostiene quanto segue:

L'art. 4 del disegno di legge suddetto disciplina l'uso della lingua tedesca nei rapporti fra cittadini e pubblica Amministrazione, ed invaderebbe quindi la competenza statale, cui é riservata la potestà di legiferare nella materia dell'uso pubblico della lingua tedesca. Ed anche se, in effetti, i commi secondo e successivi del detto articolo riproducono le norme emanate dallo Stato con il D.P.R. 8 agosto 1959, n. 688, il vizio denunziato permane, giacché, in caso di modifica della disciplina dell'uso del tedesco da parte dello Stato, nascerebbe contrasto tra le norme regionali e le nuove norme statali.

L'art. 17 attribuisce alla Giunta regionale il potere di sciogliere il Consiglio comunale "quando compia gravi o ripetute violazioni di legge o non corrisponda all'invito della Giunta provinciale di sostituire la Giunta o il Sindaco per le stesse ragioni, o quando non sia in grado di funzionare". Ma tale potere sanzionatorio, secondo l'Avvocatura, competerebbe soltanto allo Stato, trovando il suo fondamento nella tutela di interessi di carattere generale coordinati alla stessa funzionalità dell'ordinamento statale, e si configurerebbe quindi come un potere politico collegato ai supremi organi dello Stato. L'Avvocatura richiama in proposito la sentenza n. 40 del 1961 della Corte costituzionale che avrebbe enunciato criteri restrittivi nell'interpretazione dell'art. 43 dello Statuto della Regione Valle d'Aosta, che pure attribuisce espressamente alla Giunta regionale il potere di sciogliere i Consigli comunali, mentre nessuna facoltà del genere é prevista nello Statuto Trentino-Alto Adige.

L'art. 44 stabilisce l'obbligo dei Comuni e degli altri enti locali di fornire alla Regione ed alle Provincie dati statistici ed informazioni e di eseguire indagini per conto della Regione e delle Provincie medesime. Ma, afferma l'Avvocatura, la Corte costituzionale con la sentenza n. 52 del 1961 ha stabilito la competenza dello Stato in materia di rilevazioni demografiche e statistiche in genere, e specie per quelle che comportano un obbligo di informazione a carico dei cittadini.

Gli artt. 46, 47 e 54, i quali riguardano, rispettivamente, la composizione e le attribuzioni dell'amministrazione comunale straordinaria, la sostituzione da parte di questa di eletti a speciali funzioni e l'esclusività del controllo sostitutivo e straordinario sugli organi attribuiti alla Giunta regionale e alle Giunte provinciali, sarebbero evidentemente connessi per materia con l'art. 17, e risulterebbero egualmente viziati di illegittimità costituzionale.

L'art. 50, prosegue l'Avvocatura nel ricorso, al primo comma, stabilisce che le deliberazioni della Giunta e dei Consigli comunali diventano esecutive qualora, nel previsto termine, la Giunta provinciale non ne richieda il riesame o se, in tale sede, vengano confermate a maggioranza assoluta, ed aggiunge, al secondo comma, che la deliberazione non può essere annullata per vizio di legittimità già esistente nella prima deliberazione. Con ciò, secondo l'Avvocatura, si verrebbe a violare il principio generale del diritto dello Stato di annullamento degli atti illegittimi.

L'art. 54, poi, oltre che per l'accennata connessione per materia con l'art. 17, risulterebbe altresì viziato di illegittimità costituzionale sotto altro profilo, giacché, stabilendo l'esclusività del controllo sugli atti e sugli organi comunali da parte della Giunta regionale e di quelle provinciali, finirebbe con l'attribuire alle Giunte medesime anche il potere generale di annullamento spettante invece esclusivamente al Governo in forza dell'art. 6 del T.U. 3 marzo 1934, n. 383.

L'art. 58, continua l'Avvocatura, attribuisce al Presidente della Giunta provinciale il potere di emanare ordinanze di carattere contingibile ed urgente in materia di edilizia, polizia locale ed igiene, per motivi di sanità o di sicurezza pubblica. Con ciò, peraltro, secondo l'Avvocatura, sarebbe violato l'art. 46 dello Statuto regionale che limita la competenza del Presidente della Giunta provinciale alle sole materie della "sicurezza ed igiene pubblica".

L'art. 76 poi sottrarrebbe a qualsiasi controllo le delibere delle Giunte comunali concernenti le spese necessarie per la conservazione del patrimonio, quelle sostenute dall'economo, quelle periodiche e quelle relative a fondi a calcolo. Questa disposizione urterebbe così contro quanto risulta dalla corrispondente legislazione dello Stato, circa la generalità del controllo di legittimità.

Secondo l'Avvocatura, inoltre, con gli artt. da 91 a 95, il disegno di legge impugnato avrebbe posto un'organica disciplina delle contravvenzioni alle disposizioni contenute nei regolamenti comunali ed alle ordinanze emesse dal Sindaco, stabilendo la pena di lire 5.000 di ammenda, salva diversa disposizione di legge, regolando i casi e la procedura per l'oblazione e per l'inoltro dei verbali al Pretore, e dettando altresì disposizioni circa la notifica del decreto di condanna, sui diritti relativi e sulla ripartizione dei proventi delle ammende.

Queste disposizioni, rileva l'Avvocatura, incidono nelle materie penale e processuale sottratte alla competenza regionale. Ed anche se si tratta di una materiale recezione delle norme statali corrispondenti, in caso di modifica della disciplina relativa da parte dello Stato verrebbe indubbiamente a verificarsi un contrasto fra la nuova disciplina statale e gli articoli in esame.

Infine l'art. 97, attribuendo agli elettori la facoltà di promuovere le azioni ed i ricorsi alle giurisdizioni amministrative che spettino al Comune, innanzi tutto darebbe all'azione popolare una configurazione diversa da quella prevista dalle leggi statali, consentendola appunto agli elettori anziché ai contribuenti; inoltre, inciderebbe sulla materia del diritto processuale, riservata allo Stato, e sembrerebbe altresì limitare l'azione popolare ai soli procedimenti giurisdizionali amministrativi, esorbitando, anche sotto tali aspetti, dalla competenza legislativa regionale.

Conclude pertanto l'Avvocatura chiedendo dichiararsi costituzionalmente illegittimi, e conseguentemente annullarsi, tutti gli articoli come sopra impugnati del suddetto disegno di legge regionale.

2. - La Regione Trentino-Alto Adige, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Feliciano Benvenuti e Giorgio Franco, previa deliberazione della Giunta regionale del 27 novembre 1962, si é costituita in giudizio, depositando le deduzioni nella cancelleria della Corte il 15 dicembre 1962.

La Regione resiste al ricorso osservando, quanto all'articolo 4 del disegno di legge impugnato, che l'articolo si limita a riportare testualmente le disposizioni dello Statuto e delle norme di attuazione sull'uso della lingua tedesca. Il che, mentre da un lato si spiegherebbe con l'esigenza sistematica di raccogliere tutte le disposizioni concernenti l'ordinamento comunale in una legge di notevole importanza e proporzioni come quella in esame, dall'altro, nulla aggiungendo e nulla togliendo alla disciplina della materia, escluderebbe la natura di norma regionale autonoma del detto art. 4. In senso analogo avrebbe già deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 23 del 1957.

Né varrebbe obbiettare, come fa l'Avvocatura, che una eventuale modifica della disciplina dell'uso della lingua tedesca da parte dello Stato potrebbe portare ad un contrasto tra l'emananda disciplina e l'art. 4 in esame. Invero, secondo la Regione, il primo comma dello stesso art. 4 stabilisce che la regolamentazione dell'uso del tedesco é dettata "ai sensi degli artt. 84 e 85 dello Statuto Trentino-Alto Adige, nonché delle norme di attuazione dello stesso Statuto di cui al D.P.R. 8 agosto 1959, n. 688", onde ogni variazione della detta disciplina statale in materia dovrebbe automaticamente comportare la corrispondente variazione nella disciplina regionale. Che se poi variassero le norme statutarie, a maggior ragione non potrebbe ipotizzarsi alcun contrasto con la disciplina regionale, giacché le nuove norme costituzionali non potrebbero non sovrapporsi a tutte le norme di legge, statali e regionali, vigenti in materia.

In relazione all'impugnativa dell'art. 17, la Regione, pur senza nascondersi la delicatezza della questione concernente l'esclusiva spettanza allo Stato del potere sanzionatorio di scioglimento delle amministrazioni comunali, contesta la tesi dell'Avvocatura rilevando che alla Regione, in virtù dell'art. 5, n. 1, dello Statuto, spetta la potestà legislativa concorrente in materia di ordinamento dei Comuni, onde, ai sensi dell'art. 13 dello stesso Statuto, che attribuisce alla Regione, nelle materie ed entro i limiti della potestà legislativa, la corrispondente potestà amministrativa, dovrebbero anche ritenersi trasferiti alla Regione i poteri sostitutivi con i quali si esercita il controllo anche politico sugli enti locali. Né varrebbe richiamarsi alla sentenza n. 40 del 1961 della Corte costituzionale, menzionata dall'Avvocatura, perché essa concerne una decisione relativa alla Regione Valle d'Aosta, non estensibile quindi analogicamente alla questione in esame. Comunque, in quella sentenza, la Corte costituzionale si sarebbe limitata a riconoscere allo Stato il potere di scioglimento dei Consigli comunali "per motivi di ordine pubblico", in relazione ai quali soltanto sarebbe lecito parlare di poteri sanzionatori di natura politica. Pertanto, siccome le ipotesi di scioglimento previste nell'art. 17 impugnato riflettono invece motivi di diversa natura, ed essenzialmente tecnici e funzionale, in relazione ai quali sarebbe arbitrario richiamarsi a poteri di natura politica, dovrebbe escludersi qualsiasi violazione della sfera di competenza statale.

Circa l'art. 44, osserva la Regione che la sentenza n. 52 del 1961, cui l'Avvocatura si richiama, per affermare che spetta solo allo Stato la competenza per tutto ciò che riguarda le rilevazioni demografiche e statistiche in genere, in realtà, oltre ad escludere che le Regioni e le Provincie con autonomia legislativa siano sottoposte al parere vincolante dell'Istituto centrale di statistica per la progettazione e per l'attuazione di ricerche statistiche, avrebbe riconosciuto alla Provincia di Bolzano poteri in materia di indagini statistiche quale mezzo al fine dell'esercizio della potestà legislativa provinciale, stabilendo un'esclusione solo per quelle materie su cui insistono interessi statali, o che si svolgono in un campo che la Costituzione e la legge riservano allo Stato o ad altri enti diversi della Provincia.

Pertanto, poiché nel disegno di legge impugnato non si conterrebbero riferimenti alla materia demografica, riconosciuta fra quelle di interesse statale con la detta sentenza, l'eccezione dell'Avvocatura sarebbe infondata, potendosi al più ritenere viziate quelle future disposizioni che, in attuazione dell'art. 44, ordinassero indagini statistiche su materie di interesse dello Stato.

Per quanto riguarda poi tutti gli altri articoli come sopra censurati nel ricorso, osserva preliminarmente la Regione che essi non hanno formato oggetto di rinvio da parte del Governo a norma dell'art. 49 dello Statuto Trentino-Alto Adige, e che pertanto, da un lato, il disegno di legge dovrebbe ritenersi definitivamente approvato in detti articoli, o dall'altro, dovrebbe comunque ammettersi che alle disposizioni ivi contenute il Governo ha fatto acquiescenza.

Passando al merito riflettente questi articoli, osserva che la censura di illegittimità sollevata contro il secondo comma dell'art. 50 del disegno di legge prescinde dall'esistenza del "principio generale della impugnabilità degli atti amministrativi" il quale verrebbe meno solo di fronte al potere generale di annullamento spettante al Governo a norma dell'art. 6 della legge comunale e provinciale del 1934.

Comunque, la censura medesima non terrebbe conto del meccanismo del controllo di merito mediante richiesta di riesame, che non consentirebbe, nella fase della deliberazione confermativa in sede di rinvio del provvedimento amministrativo respinto, l'ulteriore esercizio di un potere di controllo di legittimità.

Riguardo all'art. 54, la Regione nega che con esso si sia voluto attribuire agli organi regionali il potere di annullamento spettante al Governo a norma dell'art. 6 della legge comunale e provinciale del 1934, ed all'uopo precisa che la norma impugnata si riferisce esclusivamente al controllo della Giunta regionale e delle Giunte provinciali, ossia al solo controllo amministrativo, onde resterebbe escluso il controllo politico extra ordinem di cui al citato art. 6 della legge comunale e provinciale del 1934.

Anche in relazione all'art. 58, la Regione nega che con esso si siano attribuiti alle autorità provinciali poteri più ampi di quelli previsti dallo Statuto. Infatti, poiché l'art. 46 dello Statuto attribuisce poteri di ordinanza contingibile ed urgente "in materia di igiene pubblica e sicurezza pubblica", sarebbe indubitabile che in tale previsione rientrino anche i poteri di ordinanza in quei casi che richiedono un pronto intervento dell'autorità in relazione all'edilizia (ad es. ordine di demolizione di edificio pericolante), senza che per questo possa configurarsi la violazione lamentata dall'Avvocatura.

Infine, per quanto riguarda gli articoli da 91 a 95, la Regione rileva che essi riproducono fedelmente le disposizioni in materia contenute nella legge comunale dello Stato. Aggiunge poi che, comunque, l'Avvocatura, a parte talune inesattezze terminologiche e sostanziali (nel ricorso si confonderebbero, a dire della Regione, sanzioni penali ed amministrative, e si parlerebbe di interferenze della legge sul diritto processuale civile, anziché penale), avrebbe omesso di precisare l'oggetto della censura ed incorrerebbe quindi nella inammissibilità del motivo di impugnazione.

Analogamente, in relazione all'art. 97 nel ricorso si muoverebbero censure incomprensibili, per cui resterebbe oscuro l'oggetto del ricorso, con la conseguente inammissibilità dell'impugnazione.

Conclude pertanto la difesa della Regione chiedendo la reiezione del ricorso.

3. - L'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria illustrativa con cui si ribadiscono e sviluppano le censure mosse alle disposizioni del disegno di legge impugnato.

In particolare, quanto all'art. 4, l'Avvocatura insiste nell'affermare che non tratterebbesi di puro e semplice rinvio alle norme statali vigenti in materia di uso pubblico della lingua tedesca, bensì di una normazione autonoma fondata su una asserita competenza regionale, ed aggiunge che lo Statuto contiene la regolamentazione completa dell'uso della lingua tedesca, onde non potrebbe farsi luogo al riguardo che a norme di attuazione, di esclusiva competenza statale, anche in vista dell'art. 84 dello Statuto stesso, che espressamente riserva a leggi dello Stato la disciplina della materia. E l'Avvocatura, in proposito, si richiama alla giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze nn. 1 e 46 del 1961).

Quanto all'art. 17, l'Avvocatura precisa che lo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige non prevede, a differenza di quello della Regione Valle d'Aosta, un potere di scioglimento dei Consigli comunali da parte delle autorità regionali, ma, con gli artt. 5, n. 1, e 13, si limiterebbe a riconoscere alla Regione un potere di controllo sugli atti delle amministrazioni comunali, e non sulle persone.

Quanto all'art. 44, l'Avvocatura osserva che, data l'ampia portata delle disposizioni ivi contenute, esso deve considerarsi attributivo agli organi regionali di una competenza generale circa le rilevazioni e indagini statistiche, mentre, con la sentenza n. 52 del 1961, la Corte avrebbe solo riconosciuto un limitato potere al riguardo alla Provincia, con esclusione delle materie di interesse statale.

L'Avvocatura contesta poi, in fatto e in diritto, l'eccezione di inammissibilità formulata dalla Regione sulla base dell'asserita omissione della richiesta di riesame per gli artt. 50, 54, 58, 76, 91 a 95, 97 del disegno di legge in esame. La contesta, in fatto, affermando che "il Governo formulò, per numerosissime disposizioni del disegno di legge, osservazioni da tenere presenti in sede di riesame del disegno di legge". La contesta, in diritto, sostenendo che non risulterebbero previste sanzioni di inammissibilità per il caso in cui il Governo non abbia specificamente indicato, nella richiesta di rinvio, i motivi di illegittimità di singole norme della legge regionale. Ed infatti, secondo l'Avvocatura, mentre il motivo del rinvio investirebbe il disegno di legge nella sua unità, denunciandone l'eccesso dai limiti della competenza regionale, il ricorso successivo avrebbe lo scopo di precisare l'impugnativa, e solo in esso il Governo sarebbe tenuto a specificare quali sono le disposizioni di legge viziate. Invero, solo negli artt. 23, 31, 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sul funzionamento della Corte costituzionale, concernenti il procedimento relativo alle questioni di legittimità costituzionale, sarebbe prevista la specifica indicazione delle disposizioni impugnate, mentre nulla di simile risulterebbe dagli artt. 127 della Costituzione e 49 dello Statuto speciale, che regolano la speciale procedura del rinvio con richiesta di riesame dei disegni di legge regionali.

L'Avvocatura insiste poi sui rilievi formulati a carico dell'articolo 50, precisando che l'esclusione ivi prevista del controllo di legittimità riguarderebbe atti non ancora divenuti definitivi, per effetto del rinvio operato dall'organo di controllo ai fini di un riesame di merito, onde a torto la difesa della Regione parlerebbe, nella specie, di inoppugnabilità dell'atto amministrativo.

Quanto all'art. 54 l'Avvocatura, oltre alla già eccepita attribuzione alla Regione del potere generale di annullamento, che spetterebbe invece esclusivamente al Governo, lamenta altresì che con il detto articolo si attribuirebbero alla Regione i controlli anche sugli organi del Comune, esclusi invece dalla competenza regionale.

Circa gli artt. 91 a 95, nel ribadire le già esposte censure, precisa che in essi sarebbero stabilite sanzioni indubbiamente di carattere penale e non amministrativo, trattandosi di "ammende" per cui é prevista "l'oblazione" e, secondo i casi, l'invio del verbale di contravvenzione al Pretore.

Per il resto, l'Avvocatura si richiama a quanto esposto nelle precedenti deduzioni.

4. - Anche la difesa della Regione ha presentato una memoria illustrativa, con la quale ribadisce e sviluppa ampiamente le deduzioni svolte in precedenza.

In particolare, quanto all'art. 4, pur non contestando la competenza esclusiva dello Stato in materia di disciplina dell'uso della lingua tedesca, afferma che nulla vieterebbe che una norma gerarchicamente subordinata, come quella regionale in esame, ripeta, per maggior chiarezza, le norme superiori alle quali si uniforma, quali appunto sarebbero le norme statutarie e di attuazione trasfuse nell'art. 4.

Quanto all'art. 17, afferma che lo scioglimento dei Consigli comunali rientrerebbe nella competenza sull'ordinamento dei Comuni attribuita dall'art. 5, n. 1, dello Statuto alla Regione Trentino-Alto Adige, in quanto nel concetto di "ordinamento" dovrebbe ricomprendersi ogni potere normativo inteso a regolare la vita dell'ente dalla nascita all'estinzione, così come appunto é previsto dalla legge comunale e provinciale. Ciò sarebbe confermato dal fatto che le norme di attuazione dello Statuto hanno attribuito alla Regione Trentino-Alto Adige il potere di scioglimento delle amministrazioni degli enti di assistenza e beneficenza, pur essendo la competenza regionale in materia "niente di diverso" da quella sull'ordinamento dei Comuni.

Ed in proposito la difesa della Regione ricorda altresì che la Sicilia ha disciplinato lo scioglimento dei consigli comunali con la legge regionale concernente il "regime degli enti locali".

Né avrebbe rilievo il fatto che, nella materia dell'ordinamento dei Comuni, la Regione Trentino-Alto Adige ha una potestà legislativa secondaria, giacché con ciò si dovrebbe solo ritenere che la Regione é tenuta, in materia, a seguire criteri analoghi a quelli stabiliti dalle leggi dello Stato, ma pur sempre nell'esercizio di una sua competenza legislativa. Ed anche se, nell'ordinamento statale, lo scioglimento dei consigli comunali é disposto con decreto del Presidente della Repubblica, da ciò potrebbe evincersi solo la rilevanza del provvedimento, ma non l'esclusività della competenza dello Stato, giacché si tratterebbe di un decreto di natura formalmente e sostanzialmente amministrativa, e, come tale, rientrante nella competenza spettante alla Regione a norma degli artt. 5, n. 1, e 13 dello Statuto.

Né potrebbe osservarsi che lo scioglimento é riservato allo Stato secondo i principi della legislazione statale, onde a questi dovrebbe uniformarsi la legislazione concorrente della Regione Trentino-Alto Adige. Secondo quest'ultima, infatti, non da qualsiasi legge statale, in quanto sancisca poteri degli organi governativi, potrebbe desumersi un principio di riserva del genere. Inoltre la competenza degli organi amministrativi prevista da leggi statali anteriori allo Statuto non potrebbe considerarsi come principio vincolante per il legislatore regionale, in vista della strumentalità dell'attribuzione stessa, che necessariamente, per tale sua natura, deve essere contingente e destinata a mutare col cambiamento delle strutture costituzionali ed amministrative.

Quanto all'art. 50, la Regione precisa che, secondo il sistema di controllo mediante la richiesta di riesame ivi prevista, é stabilito che il controllo di legittimità delle deliberazioni dei consigli e delle giunte comunali deve avvenire sulla prima deliberazione, con le modalità ed i termini all'uopo dettati dalla stessa legge, onde sarebbe ovvio l'escluderlo in relazione a quei vizi che non siano stati rilevati in quella sede e, eventualmente, seguitino ad affettare la seconda deliberazione adottata dai predetti organi in sede di riesame. Ciò sarebbe confermato dall'art. 48 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, che sancisce il principio secondo cui la nuova deliberazione può essere annullata solo per vizi di legittimità attinenti alla sua regolarità formale, il che escluderebbe la possibilità di riesaminare, in questa fase, i profili di illegittimità della prima deliberazione.

Quanto all'art. 58, osserva la Regione che il contenuto del potere di ordinanza di urgenza attribuito dallo Statuto del Trentino-Alto Adige (art. 46) ai Presidenti della Giunta provinciale dovrebbe intendersi in conformità dei criteri informatori dell'istituto stabiliti nella legislazione statale, che fa riferimento anche alle materie dell'"igiene, polizia e edilizia". Onde la mancanza di esplicita menzione di tali materie nella norma statutaria non potrebbe significare esclusione delle stesse, tanto più che ciò che caratterizza i provvedimenti ex art. 46 dello Statuto Trentino-Alto Adige sarebbe appunto la contingibilità, cioé l'impossibilità di una esauriente precisazione preventiva, onde la qualificazione delle relative materie avrebbe più che altro carattere indicativo. Inoltre la distinzione delle ordinanze a seconda delle materie - sicurezza e igiene pubblica, di competenza del Presidente della Giunta provinciale, da un lato, polizia locale ed edilizia, che, esclusa la competenza del Presidente della Giunta regionale, dovrebbe spettare al Commissario del Governo, dall'altro - sarebbe contraria ad una visione armonica ed unitaria delle competenze in materia e si rivelerebbe comunque praticamente inattuabile.

D'altra parte, se l'art. 46 dello Statuto si riferisce espressamente alla sicurezza ed igiene pubblica, senza espressamente menzionare la sanità, che invece figura, accanto alla sicurezza, fra i motivi che legittimano l'emanazione delle ordinanze nella legge comunale e provinciale, non può dedursene l'intenzione di escludere tali motivi dall'ambito delle ordinanze d'urgenza perché non potrebbe trovarsi al riguardo alcuna giustificazione, mentre ne rimarrebbe vulnerata l'unità dell'istituto, così come é tradizionalmente e pacificamente inteso sulla base dell'ordinamento vigente.

Quanto all'art. 76, la Regione osserva che nella legge in esame, l'intero sistema delle procedure amministrative in materia di bilancio dei Comuni é stato semplificato (artt. 22, n. 3; 42; 7l; 81), e che in particolare alle giunte (art. 22, n. 2) sarebbe demandata, in materia di erogazione della parte ordinaria delle spese, una funzione di rigida esecuzione della volontà del consiglio. Il che escluderebbe l'obbligatorietà del controllo anche secondo i principi della legislazione statale. A maggior ragione tale esclusione risulterebbe giustificata, secondo la Regione, ove si consideri che le spese contemplate nell'art. 76 sono indispensabili e di modesta entità. E, in ogni caso, il principio della generalità del controllo di legittimità sulle deliberazioni comunali sarebbe oggi notevolmente attenuato in virtù della legge 9 giugno 1947, n. 530, con cui si é stabilita la regola della presunzione di validità delle deliberazioni delle giunte e dei consigli comunali in sostituzione della concreta, formale manifestazione di volontà dell'organo di controllo, costituita in precedenza dal così detto "visto di legittimità" del Prefetto. Nella procedura di controllo, invero, assumerebbe oggi funzione preminente la pubblicazione della delibera nell'albo comunale, in base alla quale resterebbe in ogni caso garantita la possibilità di annullamento delle deliberazioni illegittime in sede di esame da parte della Giunta provinciale "mediante l'istituto della denuncia, che resterebbe aperto ad ogni cittadino".

Quanto agli articoli da 91 a 95 la Regione insiste nell'affermare che si tratterebbe di una pura e semplice recezione delle norme statali, tendente unicamente a conferire la massima completezza al testo legislativo regionale. E, d'altra parte, la preminenza delle norme statali rispetto a quest'ultimo, escluderebbe il pericolo di contrasti fra la legge regionale e le eventuali norme modificate dalla legge statale.

Osserva infine la Regione, che nessuna eccezione di illegittimità costituzionale é stata sollevata contro gli articoli da 125 a 129 della legge siciliana sull'ordinamento degli enti locali, che, similmente a quella in esame, riproduce le norme penali dettate in materia di contravvenzione ai regolamenti comunali dagli artt. 106 a 110 del T.U. della legge comunale e provinciale del 1934.

 

Considerato in diritto

 

1. - La censura mossa contro l'art. 4 del disegno di legge regionale in esame é fondata.

Non vi é dubbio che la materia dell'uso della lingua tedesca nella vita pubblica della Regione Trentino-Alto Adige rientri nella competenza legislativa dello Stato. La Corte costituzionale ha chiaramente riconosciuto tale principio con la sentenza n. 46 del 1961, la quale ha rilevato come il Costituente abbia inteso affidare solo allo Stato la disciplina dell'uso della lingua tedesca, e ciò allo scopo di meglio effettuare il coordinamento fra l'esigenza della protezione delle caratteristiche etniche e dello sviluppo culturale di quel gruppo alloglotto e l'altra della parità di trattamento con gli altri gruppi. Desumeva questo la Corte dall'art. 84 dello Statuto, che ha fatto rinvio alle disposizioni dello Statuto stesso ed alle leggi speciali della Repubblica per la regolamentazione dell'uso della lingua tedesca nella vita pubblica: "formula questa comprensiva di tutte le manifestazioni le quali implichino contatti con uffici pubblici o con enti dipendenti o collegati con lo Stato".

Vero é che l'impugnato art. 4 riproduce la regolamentazione dell'uso della lingua tedesca quale é posta dagli artt. 84 e 85 dello Statuto e dal D.P.R. 8 agosto 1959, n. 688, concernente norme di attuazione dello Statuto in materia di uso della lingua tedesca: regolamentazione che riflette appunto l'uso del tedesco sia nei rapporti dei cittadini di lingua tedesca con gli organi ed uffici pubblici locali, sia nello svolgimento dei compiti istituzionalmente affidati agli organi ed uffici stessi. Onde obbietta la difesa della Regione che, riportando l'art. 4 le citate disposizioni statutarie e le norme del decreto presidenziale, per soddisfare ad una esigenza puramente sistematica di raccogliere nella organica legge regionale sull'ordinamento dei Comuni anche le disposizioni sull'uso pubblico della lingua tedesca, la censura perderebbe ogni valore. Ma l'obiezione non ha fondamento, perché, se é pur vero che riproducendo esattamente il contenuto delle norme statali, nulla il disegno di legge regionale ha innovato per quanto riguarda la concreta disciplina della materia, nel senso che non ha posto norme diverse per contenuto da quelle vigenti, é peraltro da ritenere che, non limitandosi la disposizione ad un puro e semplice richiamo alle norme statali, ma riproducendone autonomamente il contenuto, sia pure in forma testuale, la Regione ha fatto proprie le regole relative, esercitando in ordine ad esse la propria potestà legislativa e imprimendo quindi alle stesse una forza di legge ulteriore e diversa da quella originaria, cioé la forza di legge regionale. Onde appare esatto il rilievo dell'Avvocatura circa la possibilità che un eventuale mutamento della disciplina statale non trovi riflesso nella legge regionale, appunto per la delineata autonomia delle norme in questa contenute.

Né vale richiamarsi alla sentenza n. 23 del 1957 della Corte, per sostenere l'irrilevanza della disciplina di cui all'art. 4 impugnato. É vero che la detta sentenza ha ritenuto che l'art. 4 della legge regionale sarda 16 luglio 1956, che reca disposizioni relative all'esercizio di funzioni amministrative in materia di pesca, quando stabilisce che, circa le attribuzioni dei consorzi, "si applicano integralmente le norme di cui agli artt. 10 e 11 del D.P.R. 13 luglio 1954, n. 747, e quelle di cui al D.P.R. 3 maggio 1955, n. 449", non invade la sfera di competenza legislativa dello Stato, perché "trattasi di un richiamo che nulla aggiunge e nulla toglie alla disciplina legislativa esistente in virtù di queste norme". Ma é chiaro che, in quel caso, si era di fronte ad una fattispecie sostanzialmente diversa da quella in esame. Invero la norma regionale esaminata nella sentenza n. 23 ora menzionata si limita ad un semplice richiamo delle leggi statali che regolano la materia, citate esclusivamente negli estremi necessari per la loro identificazione, con l'evidente intenzione di semplicemente rinviare l'interprete alla disciplina posta dalle norme statali "come tali", senza operare quella reazione materiale della normazione statale che invece è stata indubbiamente posta in essere con l'impugnato art. 4 del disegno di legge regionale in esame, e tanto meno quindi quella modificazione delle norme statali in norme regionali che, invece, l'art. 4 impugnato ha provocato. Né soddisfa la giustificazione di carattere sistematico accennata dalla difesa della Regione, in quanto, in un testo legislativo riguardante l'ordinamento dei Comuni, la normazione contenuta nell'art. 4, che concerne l'uso della lingua tedesca nei rapporti con tutti gli enti pubblici operanti nella Regione, appare quanto meno non necessaria, dato che la materia é completamente regolata dalle leggi statali.

2. - Riguardo all'impugnativa dell'art. 17, si osserva che la tesi della difesa della Regione non é attendibile, non potendosi ritenere esatta l'affermazione su cui essa si fonda, secondo la quale, spettando alla Regione in virtù dell'art. 5 dello Statuto la potestà legislativa concorrente in materia di ordinamento dei Comuni, ed in virtù dell'art. 13 dello Statuto stesso la corrispondente potestà amministrativa, dovrebbe ritenersi attribuito alla Regione, in toto, ogni potere di controllo sulle amministrazioni comunali, ivi compreso quindi il potere sanzionatorio estrinsecantesi nello scioglimento dei Consigli comunali in caso di gravi o ripetute violazioni di legge, di mancata adesione all'invito della Giunta provinciale di sostituire la Giunta o il Sindaco per le stesse ragioni, o di impossibilità di funzionamento.

É noto, infatti, che il potere di rimozione dei sindaci e di scioglimento delle amministrazioni comunali e provinciali per motivi di ordine pubblico e di persistente violazione di legge era attribuito dalla legge comunale e provinciale del 1915 (rispettivamente, artt. 149 e 323) al Governo del Re, ed era attuato con decreto reale, e cioé dell'organo che si trovava al vertice della gerarchia statale. Ora tale potere, che spetta ugualmente al Governo, viene esercitato con decreto del Presidente della Repubblica, che é il "Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale" (Costituzione, art. 87). Si rende evidente, quindi, la somma importanza annessa dalla legge dello Stato a tale forma di intervento che, per incidere sul funzionamento di organi elettivi pubblici operanti in seno ad enti autarchici, come il sindaco, il Consiglio comunale e quello provinciale, incide anche sui fondamentali diritti dei cittadini.

Né par dubbio che i casi di scioglimento dei Consigli comunali indicati nella norma impugnata rientrino o siano riconducibili al concetto di ripetuta violazione di legge che giustifica lo scioglimento nelle norme statali, poiché rispondono allo stesso interesse della preservazione della legalità che sta alla base di quelle norme. Perciò, siccome ai sensi dell'art. 5, n. 1, dello Statuto Trentino-Alto Adige la Regione ha competenza legislativa in materia di ordinamento dei Comuni appunto "entro i limiti dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato", devesi concludere che la materia dello scioglimento dei Consigli comunali nei casi indicati nella norma impugnata resta esclusa dalla competenza legislativa regionale.

Non può, in contrario, aver rilevanza l'art. 48, n. 5, dello Statuto, che attribuisce alla Provincia la "vigilanza e tutela" sulle amministrazioni comunali, giacché tale espressione non può riferirsi al particolare tipo di controllo in esame che, per le peculiari ragioni che lo provocano, attinenti direttamente alla salvaguardia dei principi di legalità e di funzionalità degli organi operanti in seno ad enti autarchici, attinge all'interesse generale dello Stato nella sua unità, e trascende la sfera cui si riferiscono la "vigilanza e la tutela", che riflettono i consueti schemi di controllo, sia pure anche repressivo e sostitutivo, e si differenziano da quel controllo straordinario che coinvolge così profondi mutamenti nella vita del Comune.

A questi concetti si riferiva la Corte costituzionale quando affermava, con la sentenza n. 14 del 1960, che é "interesse generale, cui non può non riconoscersi importanza essenziale e fondamentale..., la tutela dell'ordine giuridico derivante dall'osservanza delle leggi, che obbliga tutti i cittadini e, innanzi tutto, i pubblici poteri ed i pubblici enti ed istituti": onde - prosegue la sentenza - "se lo Stato non può disinteressarsi dell'ordine pubblico, non può certamente rimanere indifferente di fronte a persistenti violazioni di legge". E bisogna ricordare anche la sentenza n. 24 del 1957 della Corte, che ha escluso la competenza della Regione sarda in materia di controllo sugli organi dei Comuni e delle Provincie, sulla basilare considerazione che i provvedimenti che colpiscono le persone... "sono espressione di un potere sostanzialmente disciplinare e quindi presuppongono un rapporto di supremazia gerarchica sia pure improprio dell'ente al quale appartiene l'organo di controllo, sull'ente controllato,... di per sé inconciliabile con le nozioni di autonomia ed autarchia che sono proprie del Comune e della Provincia, e perciò può essere riconosciuto ed affermato soltanto se sia stato eccezionalmente imposto da una norma di legge".

Applicando questi concetti alla specie in esame, e non potendosi ravvisare nello Statuto Trentino-Alto Adige la norma di legge che imponga il detto rapporto, deve, anche per questa via, ritenersi fondata la censura mossa nel ricorso.

Non sembra poi che la sentenza n. 40 del 1961 - che la difesa della Regione oppone -, con la quale la Corte, esaminando il conflitto di attribuzione sorto tra lo Stato e la Regione Valle d'Aosta in relazione allo scioglimento del Consiglio comunale di Champorcher, deliberato da quella Giunta regionale per motivi di ordine pubblico, ebbe a riconoscere che "lo scioglimento degli organi degli enti locali deve competere alla Regione quando causa del provvedimento sia la persistente violazione della legge, ed allo Stato quando la causa risieda nella tutela dell'ordine pubblico", possa recare argomento alla tesi della Regione, giacché riflette lo specifico ordinamento costituzionale statutario della Valle d'Aosta, il quale espressamente reca, tra l'altro, all'art. 43, l'attribuzione del potere di scioglimento dei Consigli comunali alla Giunta regionale, a differenza di tutti gli altri Statuti speciali.

Gli artt. 46 e 47 del disegno di legge impugnato, siccome riguardano materia strettamente connessa a quella dell'art. 17, in quanto disciplinano l'esercizio dell'amministrazione comunale straordinaria, seguono evidentemente la sorte della norma da cui sono retti; e pertanto, ritenuta illegittima quella per gli ora detti motivi, eguale vizio deve in essi riconoscersi, in base alla richiesta dell'Avvocatura e in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

3. - L'impugnativa dell'art. 44 é anch'essa da ritenersi fondata.

In sostanza l'Avvocatura lamenta che quest'articolo violerebbe la competenza dello Stato in materia di rilevazioni demografiche o statistiche in genere, ponendo a carico dei Comuni e degli enti ed istituti locali l'onere di fornire alla Regione ed alle Provincie dati statistici ed informazioni che interessano le medesime o che si riferiscono alle attività dei Comuni e degli enti ed istituti locali, e di eseguire le indagini che in merito vengono loro affidate dalla Regione o dalla Provincia.

Ora la Corte, con la sentenza n. 52 del 1961, ha segnato chiari limiti alla potestà della Provincia e della Regione di imporre indagini o richiedere prestazioni di dati statistici, delineando l'esclusione di tali poteri ogni volta che essi tocchino materie su cui insistano anche interessi statali o si svolgano in un campo che la Costituzione o la legge riservano allo Stato o ad enti derivanti da quelli regionali. Ed in base a tale criterio ha ritenuto esclusa dalla competenza provinciale la raccolta di dati demografici, sulla considerazione della statualità del censimento e del servizio anagrafico.

La norma impugnata, nella sua attuale generica formulazione, non pone praticamente limiti alla facoltà di richiesta di dati statistici e di indagini relative, attribuita alla Regione o alla Provincia, che sono genericamente autorizzate a pretendere "dati statistici ed informazioni che interessano le medesime", ed a richiedere le relative indagini.

La mancanza di qualsiasi precisazione in ordine al contenuto della facoltà così attribuita, si traduce nella possibilità che le richieste, oltreché spaziare nei campi più diversi, si possano riferire a materie, con valore generale e ufficiale, che riguardino i fini e gli effetti delle statistiche di interesse statale, e perciò di competenza statale, che esulano quindi dalla competenza della Regione della Provincia.

Di talché non par dubbio che, nella sua attuale formulazione, la norma impugnata abbia invaso la competenza dello Stato e, come tale, debba essere dichiarata illegittima.

4. - Rispetto agli altri articoli, la difesa della Regione ha rilevato, nelle sue deduzioni, che essi non avrebbero formato oggetto di rinvio da parte del Governo al Consiglio regionale; ma, a parte ogni indagine circa la fondatezza di tal rilievo, sta di fatto che l'Avvocatura afferma, e non é contraddetta dalla difesa della Regione, che il disegno di legge avrebbe dato luogo, in sede di rinvio, a numerosissime osservazioni, riguardanti appunto i vari articoli, da tener presenti per il riesame da parte del Consiglio regionale. In siffatte condizioni, ritiene la Corte che convenga passare all'esame degli articoli stessi.

La censura relativa all'art. 50 non si appalesa fondata.

Il sistema di controllo fissato nel disegno di legge in esame in relazione alle deliberazioni dei Consigli e delle Giunte comunali prevede un controllo di legittimità, che si attua mediante un potere di annullamento, da parte della Giunta provinciale, esercitabile entro quindici giorni dalla data di comunicazione dei provvedimenti stessi alla Giunta provinciale, decorso inutilmente il quale termine le delibere diventano esecutive (art. 49). É previsto, inoltre, un controllo di merito che si esplica mediante una richiesta di riesame che può essere rivolta dalla Giunta provinciale alla Giunta o al Consiglio comunale, entro trenta giorni dal ricevimento della delibera. Ove, nonostante la richiesta, l'organo competente riconfermi la deliberazione, essa diventa esecutiva, dopo la pubblicazione, e salvo il controllo di legittimità. E, aggiunge la disposizione in esame: "la deliberazione non può essere annullata per vizio di legittimità già esistente nella prima deliberazione".

Pertanto vi sono due distinte fasi di controllo, l'una riguardo alla legittimità, l'altra relativa al merito, che si svolgono ciascuna secondo le testé descritte diverse modalità. In particolare é da notare che l'esercizio del controllo di legittimità é previsto indipendentemente dalla richiesta di riesame, riservata invece al controllo di merito, e che la possibilità di pronunciare l'annullamento si esaurisce nel termine di quindici giorni dal ricevimento della delibera. Invece il controllo di merito, cui si riferisce l'art. 50, si snoda nella doppia fase della richiesta di riesame, da effettuare entro trenta giorni dal ricevimento della delibera, e della rinnovazione della deliberazione, confermativa o meno di quella rinviata.

Ora, l'avere escluso che nella fase di controllo di merito, e precisamente in relazione alla deliberazione confermativa di quella rinviata, possano rilevarsi quei vizi di legittimità che eventualmente già si trovassero nella prima deliberazione, equivale, in sostanza, a dire che il vizio di legittimità che non sia rilevato nella fase di controllo di legittimità della prima deliberazione non può essere rilevato nella fase di controllo di merito, ove seguiti a sussistere nella seconda deliberazione. Il che equivale altresì a dire che il vizio di legittimità che non sia stato rilevato nei modi e nei termini di legge, nella sua appropriata sede di controllo, é sottratto oramai al sindacato. Il che sembra in armonia con i principi accolti in materia di controllo di legittimità degli atti amministrativi; giacché se é vero che l'annullabilità degli stessi per i vizi relativi é alla base del nostro ordinamento amministrativo, é anche vero che sono tassativamente stabiliti termini e modi per il relativo esercizio, in violazione dei quali il controllo non può essere effettuato.

Né può dirsi che la disposizione in esame interferisca, come sembra sostenga l'Avvocatura, con il potere generale di annullamento spettante al Governo in base all'art. 6 del T. U. 3 marzo 1934, n. 383, che si muove in tutt'altro campo di quello cui si riferisce la disposizione impugnata, inserita nel contesto di quelle che comunemente formano il sistema normativo dei controlli ordinari di legittimità e di merito delle deliberazioni dei Consigli comunali. Il controllo generale in parola, infatti, é nato ed opera "con la precipua funzione di contribuire a mantenere, nonostante la molteplicità degli organismi dotati di varia autonomia, il carattere unitario della pubblica Amministrazione della quale costituisce un mezzo di autotutela", e pertanto "non attiene all'organizzazione dei Comuni e delle Provincie e neppure al sistema di controllo su di essi", tanto che "non può ritenersi né cessato nei confronti degli enti locali del Trentino-Alto Adige, né trasferito alla Regione" (sentenza della Corte n. 23 del 1959).

5. - Queste ultime considerazioni escludono altresì la fondatezza della censura mossa contro l'art. 54 del disegno di legge, secondo cui "i controlli di legittimità e di merito sugli atti degli enti ed istituti locali, nonché i poteri di inchiesta, di controllo sostitutivo e di controllo straordinario sugli organi attribuiti dalla presente legge, dalle norme di attuazione dello Statuto e da leggi speciali regionali e provinciali alla Giunta regionale od alla Giunta provinciale sostituiscono tutti i poteri di controllo esercitati da qualsiasi altra autorità e sotto qualsiasi forma". Ed in effetti, dal testo della norma sembra indubitabile che con essa il legislatore regionale abbia inteso riferirsi esclusivamente a quei controlli ordinari (salvo il controllo straordinario sugli organi, di cui si dirà) che, con la legge in esame, sono attribuiti appunto alla Giunta regionale o alla Giunta provinciale, fra i quali ovviamente non può farsi rientrare, come teme l'Avvocatura dello Stato, il menzionato potere generale di annullamento di cui all'art. 6 della legge comunale e provinciale, per le sopra cennate caratteristiche che lo differenziano dagli altri mezzi di controllo sui Comuni e le Provincie nella Regione Trentino-Alto Adige.

Il detto art. 54, peraltro, nella parte in cui trae fondamento dalla attribuzione alla Regione dei poteri di "controllo straordinario" di cui all'art. 17, é connesso a questo, e quindi, in tale parte, in ordine alla quale é rilevabile la detta correlazione, segue evidentemente le sorti dell'art. 17. Pertanto, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, devesi dichiarare la illegittimità del riferimento al controllo straordinario sugli organi.

6. - Quanto all'art. 58, l'Avvocatura ha rilevato che esso sarebbe in contrasto con l'art. 46 dello Statuto, che attribuisce al Presidente della Giunta provinciale la facoltà di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di sicurezza ed igiene pubblica nell'interesse delle popolazioni di uno o più Comuni, in quanto prevederebbe a favore del Presidente della Giunta provinciale più ampi poteri di quelli statutari, estendendo il potere di ordinanza "in materia di edilizia, polizia locale ed igiene pubblica".

Ma tal rilievo non é fondato, in quanto é agevole osservare che la norma statutaria si ricollega alle norme consimili contenute nella legge comunale e provinciale (artt. 20 e 55 della legge com. e prov. 1934), che attribuiscono al Prefetto poteri di ordinanza in materia di edilizia, polizia locale e igiene per motivi di sanità o di sicurezza pubblica, interessanti l'intera Provincia o più Comuni della medesima (si veda, in proposito, sentenza della Corte costituzionale n. 72 del 1961), sostituendo la competenza del Presidente della Giunta provinciale a quella del Prefetto. Onde l'omissione nello Statuto delle materie "edilizia" e "polizia", su cui fonda appunto la sua censura l'Avvocatura, non può ritenersi come mirante ad escludere dall'ambito delle competenze del Presidente della Giunta provinciale quelle materie, che formano invece parte integrante della competenza affidata al Prefetto, e che pertanto é presumibile che il legislatore costituente, sia pure con formula incompleta, abbia voluto integralmente trasferire al Presidente della Giunta regionale. D'altra parte non sarebbe logico ritenere escluse dalla detta competenza la polizia locale, che invece l'art. 16 dello Statuto attribuisce proprio al detto Presidente, e l'edilizia, che, come é dimostrato dal testo della legge comunale e provinciale (art. 20, sopra richiamato), il legislatore già aveva ritenuta strettamente collegata a quella della polizia locale e dell'igiene, nel perseguimento dei fini di sanità e sicurezza pubblica, allora come ora perseguiti attraverso l'istituzione del potere d'ordinanza in questione.

7. - Per quanto riguarda l'art. 76 del disegno di legge impugnato, é da rilevare che questo articolo, al secondo comma, dispone che "sono impegnate e liquidate dalla Giunta comunale, nei limiti di competenza, le spese necessarie per la conservazione del patrimonio, quelle sostenute dall'economo, quelle ricorrenti periodicamente e quelle relative a fondi a calcolo", e che le relative deliberazioni sono "non soggette a controllo".

Quest'ampia formulazione della norma non lascia adito a dubbi sul suo significato, nel senso che ad essa non può attribuirsi altro contenuto se non quello di sottrarre ad ogni controllo, e quindi anche a quello di legittimità, le deliberazioni medesime, le quali, anche se attinenti alle speciali categorie di spese sopra elencate, sono pur sempre deliberazioni della Giunta comunale e riguardano la disposizione del pubblico danaro.

É noto che, secondo l'art. 97 del T.U. della legge comunale e provinciale, modificato dall'art. 3 della legge 9 giugno 1947, n. 530, le deliberazioni del Consiglio e della Giunta comunale, non soggette a speciale approvazione, divengono esecutive dopo la pubblicazione nei modi di legge e l'invio al Prefetto, il quale, "entro venti giorni dal ricevimento, deve pronunciare l'annullamento delle deliberazioni che ritenga illegittime". Ciò vuol dire che, secondo la legge dello Stato, é prevista una funzione di vigilanza, affidata al Prefetto, tendente ad accertare la conformità alla legge delle deliberazioni stesse.

Ora, anche se la formula della legge del 1947 ha innovato sulle disposizioni del T.U. della legge comunale e provinciale del 1934 in materia, che prevedevano un atto positivo di riconoscimento della legittimità, consistente nel cosiddetto visto prefettizio di legittimità, é certo che, tanto nelle disposizioni abrogate ora citate, quanto in quelle attualmente in vigore, é sostanzialmente enunciato un principio di carattere generale, secondo cui le deliberazioni dei Consigli e delle Giunte comunali sono tutte soggette ad un controllo di legittimità.

Onde la potestà legislativa della Regione Trentino-Alto Adige in materia di ordinamento dei Comuni, che é prevista dall'art. 5, n. 1, dello Statuto nei limiti, fra l'altro, come già é stato ricordato, "dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato", deve indubbiamente essere conforme al principio suddetto.

Deve, d'altra parte, aggiungersi che, a norma dell'art. 48, n. 5, dello Statuto Trentino-Alto Adige, compete alla Giunta provinciale "la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali". Tale disposizione costituzionale risulterebbe violata dalla norma in esame, la quale, sottrae appunto una zona dell'amministrazione comunale alla vigilanza suddetta, nell'ambito della quale non può non rientrare il riscontro della legittimità delle deliberazioni del Consiglio e della Giunta comunale, inteso nella sua portata generale sopra accennata.

Deve, dunque, essere dichiarata la illegittimità dell'art. 76.

In conseguenza, in applicazione del disposto dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere dichiarata anche la illegittimità costituzionale del richiamo alle delibere di cui all'art. 76, contenuto nel primo comma dell'art. 49, con il quale si intende escludere l'invio alla Giunta provinciale delle delibere in parola, sulle quali devesi appunto esercitare il controllo di legittimità.

8. - In relazione alla censura, secondo cui gli articoli da 91 a 95 della legge regionale in esame, riproducenti pressoché letteralmente la normazione statale in materia di contravvenzioni ai regolamenti comunali, e che, secondo l'Avvocatura, avrebbero così operato una illegittima reazione materiale della normazione stessa, vertente in materia sottratta alla competenza regionale, si richiama, innanzi tutto, quanto innanzi si é accennato circa gli effetti della reazione materiale di norme statali nella legislazione regionale.

Non sembra infatti che, nella specie, possa dubitarsi che realmente, come nel caso dell'art. 4 sopra esaminato, il legislatore regionale, riproducendo le disposizioni degli articoli da 106 a 110 del T.U. della legge comunale e provinciale del 1934, modificate dall'art. 9 della legge 9 giugno 1947, n. 530, abbia fatto propria la relativa disciplina, convertendo in norme regionali le regole relative.

Ma, a parte ciò, i detti articoli del disegno di legge riguardano la materia penale e processuale: dall'art. 91, che stabilisce la pena dell'ammenda per le contravvenzioni ai regolamenti comunali, agli artt. 92 e 93, che regolano i vari casi ammessi ad oblazione, all'art. 94, che fissa la procedura per il caso di mancata oblazione, con particolare riferimento all'invio degli atti al Pretore, all'art. 95, che detta i criteri per la ripartizione dei proventi delle ammende, assegnandoli in parte al Comune ed in parte agli agenti accertatori.

Ed é noto che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (v. sentenze n. 6 del 1956; n. 1 del 1957; n. 21 del 1957; n. 23 del 1957; n. 39 del 1957; n. 58 del 1959; n. 23 del 1961; n. 90 del 1962), é ormai indubitabile l'esistenza di una riserva assoluta di legge statale in materia penale e processuale. In particolare la Corte ha anche, da ultimo, ritenuto che le Regioni non possono garantire penalmente l'osservanza delle proprie norme rinviando alle sanzioni stabilite da leggi dello Stato (sentenza n. 58 del 1959), e ha deciso pure che non possono disporre circa la destinazione dei proventi delle ammende (sentenza n. 39 del 1957). Onde può affermarsi che gli ora indicati articoli del disegno di legge impugnato concernenti materia penale e processuale eccedono la competenza regionale e sono pertanto illegittimi.

9. - Per quanto riguarda, infine, le censure mosse contro l'art. 97, si osserva che il rilievo della loro indeterminatezza, mosso dalla difesa della Regione, non ha consistenza. L'Avvocatura chiaramente ha osservato che la norma impugnata avrebbe dato all'azione popolare una configurazione diversa da quella prevista nelle leggi statali, attribuendola agli elettori, anziché ai contribuenti, e limitandola alla sola giurisdizione amministrativa, e che comunque invaderebbe una sfera di competenza riservata allo Stato, trattandosi di disciplina di materia di diritto processuale civile.

I motivi della censura sono quindi riconducibili ad un evidente eccesso della competenza legislativa della Regione, giacché questa, nell'esercitarla, é tenuta a rispettare i principi stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 5 dello Statuto); onde eccede dalla competenza stessa (cfr. sentenza Corte costituzionale n. 30 del 1959) non soltanto se legifera in materie non comprese nell'elencazione delle norme di competenza statutaria, ma anche quando la Regione emana disposizioni legislative in contrasto con i detti principi.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando sul ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri contro la Regione Trentino-Alto Adige, riguardante il disegno di legge 7 novembre 1962 sull'ordinamento dei Comuni:

dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 4, 17, 44, 76, secondo comma, 91, 92, 93, 94, 95 e 97 del detto disegno di legge;

dichiara, in applicazione del disposto dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimità costituzionale degli artt. 46 e 47; del riferimento al controllo straordinario sugli organi, contenuto nell'art. 54; e del richiamo alle delibere di cui all'art. 76, contenuto nel primo comma dell'art. 49;

dichiara non fondata l'impugnazione degli artt. 50, 54 (salvo la dichiarazione di illegittimità, di cui sopra, del riferimento al controllo straordinario sugli organi) e dell'art. 58.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 13 luglio 1963.