Sentenza n. 122 del 1963
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SENTENZA N. 122

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 458, 435 e 436 del Cod. proc. penale, promosso con ordinanza emessa il 19 novembre 1962 dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento penale a carico di Re Emidio e Sulpizi Marcello, iscritta al n. 202 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 332 del 29 dicembre 1962.

Udita nella camera di consiglio del 7 maggio 1963 la relazione del Giudice Michele Fragali.

 

Ritenuto in fatto

 

Dal Tribunale di Ascoli Piceno il 19 novembre 1962 é stata proposta a questa Corte questione di legittimità costituzionale dell'art. 458 del Cod. proc. penale, che stabilisce la competenza del giudice procedente a conoscere del reato di falsa testimonianza, perizia o interpretazione, commesso durante un dibattimento, nei casi in cui possa applicarsi la disposizione del primo capoverso dell'art. 435 dello stesso Codice. Il Tribunale ha osservato che il procedimento previsto nell'art. 458 suddetto é condizionato alla norma dell'art. 436; che, in base alla prima ipotesi di questo articolo, l'accertamento dei presupposti della competenza é sostanzialmente rimesso al prudente apprezzamento del giudice; che questo apprezzamento interviene successivamente alla commissione del reato; e che perciò il sistema contrasta con il principio della certezza del giudice sancito nell'art. 25 della Costituzione.

L'ordinanza é stata notificata il 26 novembre 1962 al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati il 21 novembre 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 29 dicembre 1962, n. 332.

Innanzi a questa Corte nessuno si é costituito o é intervenuto in giudizio.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione sottoposta alla Corte é sorta a proposito dell'art. 458 del Cod. proc. penale, che riguarda la falsa testimonianza, perizia o interpretazione rilevata nel corso di un dibattimento.

Il Tribunale di Ascoli Piceno ha espressamente collegato il citato art. 458 soltanto all'art. 435, che riguarda i reati commessi in udienza. Ma l'art. 458 é condizionato pure dall'art. 436, che detta eccezioni alla regola generale della competenza del giudice procedente; e una di esse é quella che deroga alla competenza del giudice del dibattimento a causa della natura del reato o per altre gravi ragioni.

Su questa eccezione si appunta sostanzialmente il dubbio sollevato nell'ordinanza del Tribunale di Ascoli Piceno; nella quale infatti si sostiene, pur senza riferirsi all'art. 436, che, nella sostanza, la competenza a conoscere dei reati di udienza si radica secondo il prudente apprezzamento del giudice e perciò in base a un criterio che contrasta con il principio di certezza proclamato nell'art. 25 della Costituzione.

Questo assunto non é validamente sorretto.

2. - L'art. 436 del Cod. proc. penale nell'escludere la competenza del giudice procedente per il motivo della natura del reato o per altri gravi motivi, intende far riferimento a dati idonei ad una valutazione oggettiva: la possibile varietà di casi non avrebbe consentito una elencazione completa, e tutti perciò sono stati racchiusi in due categorie, aventi ciascuna una propria delimitazione, per quanto di ampia estensione. La norma cioé obbliga il giudice procedente a portare il suo esame su fatti specifici che hanno in se stessi la forza di provocare lo spostamento della competenza, per la razionalità della loro inclusione in una delle categorie previste; e ciò vuol dire che il giudice, nell'applicare l'art. 436, non deve creare le ipotesi che radicano la sua competenza o la competenza di altro giudice, ma deve valutare liberamente i fatti che gli si oppongono o che egli rileva, per accertare se essi possono ricomprendersi nelle categorie previste dalla norma.

Diversi erano i casi dell'art. 30 del Cod. proc. penale e dell'articolo 234 dello stesso Codice, su cui la Corte ha già espresso il suo giudizio nelle sentenze 3 luglio 1962, n. 88, e 7 giugno 1962, n. 110. L'art. 30 suddetto prescriveva che il processo poteva essere rimesso al giudice inferiore sulla sola previsione della quantità di pena che avrebbe potuto essere inflitta nella pronuncia finale, e quindi in forza di una delibazione fondata su discrezionali giudizi di congruenza; il citato art. 234 del Cod. proc. penale demandava al procuratore generale della Corte di appello una scelta del giudice competente per l'istruttoria non limitata da criteri legali. L'art. 436 invece, nell'ipotesi denunciata dal Tribunale di Ascoli Piceno, permette di derogare alla competenza del giudice di udienza soltanto quando il reato "non può" essere giudicato con procedimento immediato, e quindi in presenza di fatti che impediscono obiettivamente una immediatezza di cognizione e che il giudice valuta con pronunzia soggetta a gravame anche per il motivo della competenza.

L'ipotesi che é oggi all'esame della Corte é meglio accostabile all'altra, riferentesi all'art. 55 del Cod. proc. penale, decisa con sentenza 27 aprile 1963, n. 50; la quale muoveva pure da esigenze che non avrebbero potuto essere indicate con esauriente elencazione di casi, e che perciò dovevano necessariamente ricondursi a categorie generiche. La Corte ha ritenuto che al sistema non ostava l'art. 25 della Costituzione; e tale giudizio deve ripetere per la fattispecie oggi in esame, perché essa ritiene che una ripartizione legale del potere giurisdizionale non determina incertezza sul giudice competente se attribuisce scelte condizionate all'accertamento della sussistenza di presupposti di fatto indicati dalla norma, in modo da consentire alle parti di far valere ogni ragione di proprio interesse.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 458 e degli artt. 435 e 436 del Cod. proc. penale, proposta dal Tribunale di Ascoli Piceno con ordinanza del 19 novembre 1962, in riferimento all'art. 25 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 28 giugno 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

MICHELE FRAGALI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 9 luglio 1963.