Sentenza n. 77 del 1963
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SENTENZA N. 77

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, 5, 6 e 9 della legge della Regione siciliana 9 aprile 1954, n. 10, promosso con ordinanza emessa il 18 maggio 1962 dal Tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra la Società per azioni "'A Zagara" e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 133 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 203 dell'11 agosto 1962 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 39 del 18 agosto 1962.

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società "'A Zagara" e dell'Amministrazione delle finanze dello Stato e l'atto di intervento del Presidente della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 3 aprile 1963 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per l'Amministrazione delle finanze dello Stato, l'avv. Guido Aula, per la Società "'A Zagara", e l'avv. Camillo Ausiello Orlando, per il Presidente della Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

In data 16 giugno 1956 l'Ufficio del registro di Bisacquino ammise la registrazione a tassa fissa, in via provvisoria, di un atto con il quale la Società per azioni "'A Zagara" aveva acquistato 9.000 mq. di area edificabile destinata alla costruzione di un grande albergo turistico.

Successivamente, però, e precisamente in data 8 ottobre 1958, lo stesso Ufficio del registro ingiunse alla Società di pagare la somma di lire 18.443.000 quale imposta su detto atto di compravendita.

La Società "'A Zagara", con atto notificato in data 8 novembre 1958, propose davanti al Tribunale di Palermo opposizione alle ingiunzioni ricevute e, nei riguardi di quella sopra menzionata, dedusse la violazione degli artt. 3, 5, 6 e 9 della legge regionale 9 aprile 1954, n. 10, sostenendo che - in mancanza di una pronuncia negativa dell'autorità amministrativa competente a concedere il beneficio fiscale ai sensi dell'art. 5 della legge stessa - l'ammissione provvisoria al beneficio non avrebbe potuto essere revocata.

Con ordinanza emessa il 18 maggio 1962 il Tribunale di Palermo sollevava d'ufficio la questione della legittimità costituzionale della legge regionale 9 aprile 1954, n. 10, considerando l'esame delle disposizioni di questa rilevante per la decisione della causa principale ed osservando che la illegittimità di tali disposizioni, emesse in contrasto con l'art. 117 della Costituzione e l'art. 17 dello Statuto della Regione, era già stata riconosciuta con la decisione della Corte costituzionale n. 60 del 24 novembre 1958, che aveva dichiarato illegittima la proroga delle disposizioni stesse, concessa con la legge regionale siciliana 12 maggio 1958, n. 16, proprio in considerazione del contenuto normativo della legge del 1954, n. 10, oggetto della proroga.

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 203 dell'11 agosto 1962 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 39 del 18 agosto 1962.

Si costituivano in giudizio la Società "'A Zagara" e il Ministero delle finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e faceva intervento il Presidente della Regione siciliana.

Nelle loro deduzioni e nelle successive memorie tanto la Società quanto la Regione opponevano, in via pregiudiziale, la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, sostenendo la irrilevanza di essa rispetto al giudizio principale e l'erroneità del richiamo all'art. 117 della Costituzione contenuto nell'ordinanza del Tribunale di Palermo; nel merito chiedevano che la questione fosse dichiarata infondata.

L'Avvocatura generale dello Stato replicava contestando sia le eccezioni pregiudiziali che gli argomenti di merito e richiamando ampiamente la giurisprudenza della Corte.

All'udienza del 3 aprile 1963 i difensori delle parti e l'Avvocato dello Stato ribadivano gli argomenti esposti nelle deduzioni e nelle memorie.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le eccezioni di inammissibilità della questione proposta dalle difese della parte privata e della Regione non possono essere accolte. La Corte costituzionale ha costantemente ritenuto e più volte chiarito che il giudizio sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale di una norma rispetto alla controversia principale compete al giudice investito della controversia stessa e chiamato ad applicare la norma in questione. Tale giudizio deve basarsi ovviamente su adeguati motivi, risultanti dal testo dell'ordinanza; ma costituisce già una motivazione adeguata l'affermazione contenuta in tale testo che per decidere la controversia il giudice riterrebbe di dover applicare quella norma, ove non fosse insorto il dubbio sulla sua legittimità costituzionale.

Nella specie l'ordinanza contiene il rilievo, che la Società "'A Zagarà " aveva fondato la sua opposizione deducendo la violazione degli artt. 3, 5, e 9 della legge regionale 9 aprile 1954, n. 10, e chiedendone quindi essa stessa l'applicazione, di guisa che l'accertamento della legittimità costituzionale della legge medesima costituiva un presupposto della decisione sul merito. Di conseguenza, non si può contestare che la rilevanza della questione rispetto al giudizio principale é stata riconosciuta e motivata adeguatamente nella ordinanza di rimessione degli atti alla Corte.

Per le stesse ragioni la Corte non può prendere in considerazione la tesi sostenuta negli atti difensivi, secondo la quale la legge regionale n. 10 del 1954 avrebbe cessato da tempo di spiegare la sua funzione, cosicché non le sue norme, ma altre disposizioni sarebbero state applicabili ai rapporti in contestazione. A prescindere dalla facile osservazione che l'intervento in questo giudizio della parte privata e l'impegno dimostrato dalla sua difesa inducono a ritenere che essa abbia un notevole interesse all'applicazione di quelle norme, e con ciò stesso ammetta implicitamente la rilevanza della questione rispetto al giudizio principale, si deve riaffermare anche in questa occasione il principio, già chiarito altra volta (sentenza n. 4 del 16 gennaio 1959), che il sindacato della Corte costituzionale può e deve essere esercitato tutte le volte che di " efficacia" (art. 136 Cost.) e di "applicazione" (art. 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87) della legge possa parlarsi, indipendentemente dall'avvenuta abrogazione della medesima, la quale "efficace" ed "applicabile" resta, pur sempre, entro i limiti consacrati dai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo.

2. - Passando ad esaminare il merito della causa, la Corte osserva che le disposizioni, rispetto alle quali l'ordinanza del Tribunale di Palermo ha proposto questione di legittimità costituzionale, non hanno costituito finora oggetto diretto di esame da parte della Corte stessa. Questa però ha avuto occasione di dichiarare la illegittimità di una legge regionale successiva - approvata dall'Assemblea della Regione siciliana il 21 marzo 1958 e promulgata il 12 maggio 1958 - recante "proroga delle agevolazioni fiscali di cui alla legge regionale 9 aprile 1954, n. 10, concernente l'incremento delle attrezzature turistiche, climatiche e termali della Regione"; e nella sentenza (19 novembre 1958, n. 60), con la quale venne dichiarata tale illegittimità, la Corte ebbe a motivare la reiezione delle eccezioni di improcedibilità proposte dalla difesa della Regione e desunte dalla mancata impugnazione della legge prorogata osservando che "se una legge temporanea, pur essendo costituzionalmente illegittima, non fu, a suo tempo, impugnata per qualsiasi ragione, ciò non preclude il potere del Commissario dello Stato di impugnare le norme delle quali la successiva legge ha protratta nel tempo l'efficacia", e ciò in quanto "il vizio di costituzionalità della legge prorogata si ripresenta, autonomamente, nel contenuto normativo della legge di proroga".

Dopo un ampio e minuzioso esame delle disposizioni della legge impugnata, la Corte ne rilevava la illegittimità costituzionale sotto un duplice aspetto: anzitutto perché "nella sfera delle leggi tributarie dello Stato manca una disposizione che contenga un tipo di esenzione, cui possano riferirsi le norme della legge prorogata per dedurne la legittimità costituzionale"; in secondo luogo perché "nel sistema della legislazione statale le leggi tributarie hanno carattere di specificità ... lo stesso principio deve, con maggior rigore, trovare applicazione per le esenzioni fiscali, le quali costituiscono una eccezione alla regola, che impone il dovere di corrispondere quel determinato tributo... alle esenzioni prevedute dalla legge impugnata manca il requisito della specificità quanto all'oggetto, perché i benefici fiscali sono accordati a qualsiasi attività ed anche a generiche iniziative con finalità turistiche (art. 1); manca inoltre la specificità quanto alle categorie che possono fruire delle agevolazioni tributarie, perché le esenzioni e riduzioni delle imposte sono accordate a società di qualunque specie, anche trasformate, a enti e a privati, la cui attività sia diretta ad incrementare, comunque, le industrie turistiche (articoli 1, 2, 3)".

Questioni in parte analoghe si sono presentate anche successivamente alla Corte, in un giudizio per conflitto di attribuzione elevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri in riferimento ad un decreto del Presidente della Regione siciliana 10 aprile 1959, n. 6, con il quale si estendevano taluni benefici fiscali e, in particolare, si riproduceva integralmente il contenuto della legge regionale dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la ricordata sentenza (n. 60 del 19 novembre 1958).

In questo secondo giudizio la Corte osservava: "il decreto presidenziale impugnato ha indubbiamente esorbitato dai limiti di competenza della Regione... Quel decreto ha rinnovato la concessione di agevolazioni tributarie a categorie di imprese, per le quali questa Corte aveva dichiarato illegittime le proroghe dei benefici accordati precedentemente, perché la concessione di esso non rientrava nella potestà tributaria conferita alla Regione dallo Statuto speciale. Né essa ritiene che sussistano motivi sufficienti per ammettere che tale concessione ulteriore, ritenuta illegittima quando era stata disposta con leggi regionali, sia oggi legittima perché accordata mediante un decreto del Presidente della Regione"(sentenza 9 giugno 1960, n. 39).

Proposta ora la questione della legittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 3, 5, 6 e 9 della legge 9 aprile 1954, n. 10, si deve osservare che l'ordinanza del Tribunale richiama tanto l'art. 117 della Costituzione quanto l'art. 17 dello Statuto speciale della Regione siciliana. Il richiamo all'art. 117 é frutto di una svista, perché questa norma concerne le Regioni a statuto ordinario e, pertanto, non si applica alla Sicilia; ma dall'art. 17 dello Statuto speciale la Corte ha precisamente desunto i criteri dei quali ha fatto applicazione nella ricordata sentenza n. 60 del 1958, ed é evidente che - come si desume del resto anche dal testo di questa - gli argomenti validi per dichiarare la illegittimità della legge di proroga sono ancora più efficaci a dimostrare la illegittimità di quella prorogata, sottoposta ora soltanto al giudizio della Corte. Le norme denunciate devono, pertanto, essere riconosciute illegittime.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinge le eccezioni pregiudiziali dedotte dal Presidente della Regione siciliana e dalla Società "' A Zagarà ";

dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 3, 5, 6 e 9 della legge della Regione siciliana 9 aprile 1954, n. 10.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1963.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.

 

 

Depositata in cancelleria il 30 maggio 1963.