Sentenza n. 73 del 1963
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SENTENZA N. 73

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 30, secondo comma, della legge 5 luglio 1961, n. 641, contenente disposizioni sulle pubbliche affissioni e sulla pubblicità affine, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 5 marzo 1962 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra la Società "S.P.I.C.A." (Società partenopea imbottigliamento confezioni alimenti S.p.A.), la ditta "Pubblicità Cavalieri "ed il Comune di Bracciano, iscritta al n. 125 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 203 dell'11 agosto 1962;

2) ordinanza emessa il 14 giugno 1962 dalla Corte d'appello di Bologna nel procedimento civile vertente tra la Società "Liquigas ", la ditta "A.L.P.I." (Azienda lavori pubblicitari italiani) ed il Comune di Forlì, iscritta al n. 140 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 252 del 6 ottobre 1962.

Visti gli atti di costituzione in giudizio della ditta " Pubblicità Cavalieri e della Società "Liquigas";

udita nell'udienza pubblica del 20 marzo 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;

uditi l'avv. Enrico Allorio, per la ditta "Pubblicità Cavalieri", e l'avv. Willy Bagnoli, per la Società "Liquigas".

 

Ritenuto in fatto

 

Nel procedimento civile vertente fra la Società "S.P.I.C.A." (Società partenopea imbottigliamento confezioni alimenti S.p.A.), la ditta " Pubblicità Cavalieri" ed il Comune di Bracciano, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 5 marzo 1962, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, capoverso, della legge 5 luglio 1961, n. 641, in relazione agli artt. 5 e 23 della Costituzione.

Nell'ordinanza si premette che, con sentenza n. 36 del 17 giugno 1959, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 2 luglio 1959, questa Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 2 del D.L. 8 novembre 1947, n. 1417, per la parte concernente la pubblicità effettuata dai privati con mezzi propri e senza alcuna prestazione del Comune; e si premette altresì che la materia é stata completamente ridisciplinata dalla legge 5 luglio 1961, n. 641, la quale, però, all'art. 30 dispone che per le affissioni e la pubblicità affine, effettuate prima o dopo il 3 luglio 1959, e per le quali non sia stato pagato ai Comuni alcun diritto od imposta, come previsto dalle norme generali e locali precedentemente in vigore, i Comuni stessi avranno diritto di chiedere gli arretrati in base alle tariffe vigenti alla data del 2 luglio 1959.

Ciò posto, aderendo alla tesi prospettata dalla difesa della Società "S.P.I.C.A.", l'ordinanza rileva che sembra sia stato ancora una volta violato l'art. 23 della Costituzione attribuendo efficacia alle tariffe stabilite con regolamenti emessi in virtù di una norma dichiarata viziata di illegittimità costituzionale. Rileva altresì che detta norma " appare in sostanza diretta a convalidare e sanare i soli regolamenti comunali (emessi in base alle precedenti disposizioni) vigenti alla data del 2 luglio 1959, e non contiene le tariffe in quelli stabilite entro limiti generali ed uniformi, tanto che per avventura talune tariffe potrebbero ben essere superiori ai limiti massimi generali fissati nella nuova legge; onde potrebbe ritenersi che la norma dell'art. 30 costituisca una disposizione legislativa con caratteristiche di provvedimento singolare, in contrasto con gli artt. 5 e 23 della Costituzione".

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 203 dell'11 agosto 1962.

Nel presente giudizio, si é costituita soltanto la ditta "Pubblicità Cavalieri", in persona del suo titolare Giuseppe Alberto Cavalieri, rappresentato e difeso dagli avvocati A. Lucangeli, G. C. Valli, E. Filippi ed E. Allorio.

Nelle deduzioni ritualmente depositate in cancelleria, la difesa del Cavalieri fa presente che l'art. 30, capoverso, della legge 5 luglio 1961, n. 641, non lascia arbitro ogni singolo Comune di determinare la misura del tributo, siccome faceva la norma già dichiarata incostituzionale; al contrario, stabilendo che i Comuni avevano diritto di chiedere gli arretrati in base alle tariffe vigenti alla data del 2 luglio 1959, non soltanto verrebbe a sottrarre all'arbitrio dei Comuni stessi la determinazione dell'ammontare del tributo, ma fisserebbe, caso per caso, la misura delle singole tariffe. Dal che deriverebbe la conformità della norma al precetto dell'art. 23 della Costituzione, atteso che questo impone soltanto al legislatore di dettare un criterio astratto onde vincolare in qualche modo l'esercizio del potere di imposizione.

Né varrebbe obbiettare che l'imposta é determinata in misura identica a quella delle tariffe adottate dai Comuni in periodo di applicazione della legge dichiarata incostituzionale. E ciò perché tali tariffe, ferma la loro illegittimità sulla base della legge incostituzionale, sarebbero state tuttavia non già ratificate, ma assunte in fatto come base per il tributo da applicarsi secondo la nuova legge.

Né avrebbe rilievo, altresì, la circostanza che la determinazione ex novo dell'imposta, da valere per le situazioni antefatte, sia stata effettuata con una previsione per relationem, anziché con una enunciazione diretta nel contesto della legge. Tratterebbesi di modalità di formulazione della norma, che non incide sull'effettivo contenuto di essa.

Secondo la difesa del Cavalieri inoltre: 1) eccepire che il Parlamento non può avere fatta propria una congerie di delibere comunali delle quali ignorava persino il contenuto, si risolverebbe in una petizione di principio, inconsistente come dimostrazione della asserita illegittimità costituzionale; 2) il ripetuto art. 30 non può darsi sia in contrasto neppure con gli art. 5 e 114 della Costituzione perché - a parte che il riconoscimento delle autonomie locali si risolve in una norma programmatica - starebbe di fatto che il legislatore, assumendo quale parametro della imposizione retroattiva e transitoria le tariffe vigenti alla data del 2 luglio 1959, ha fatto propri i limiti di tassazione già adottati da ciascun Comune, secondo criteri di valutazione e di opportunità dettati dalle diverse situazioni ed esigenze delle singole amministrazioni comunali. Di conseguenza, adottando siffatto procedimento, il legislatore non soltanto avrebbe agito nel pieno rispetto delle autonomie locali , ma avrebbe spinto questo riconoscimento al punto da assumere, in fatto, le tariffe deliberate dai singoli Comuni come volontà propria ai fini di determinare la misura della imposizione.

Nel procedimento civile vertente fra la Società "Liquigas", la ditta "A.L.P.I." (Azienda lavori pubblicitari italiani) ed il Comune di Forlì, la Corte d'appello di Bologna, con ordinanza del 14 giugno 1962, sollevava questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 30, capoverso, della legge 5 luglio 1961, n. 641, in relazione, non soltanto all'art. 23, ma anche agli artt. 3 e 136 della Costituzione.

In detta ordinanza si rileva che con l'art. 30 suindicato viene attribuita piena efficacia alle disposizioni legislative illegittime anche per il tempo successivo alla sentenza della Corte costituzionale. Il che fa sorgere il dubbio che la norma in esso contenuta sia in contrasto con l'art. 136 della Costituzione, in virtù del quale la disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione della Corte costituzionale nella Gazzetta Ufficiale. E tale dubbio investe l'accertamento della esistenza dei limiti sostanziali, conseguenti, per il potere legislativo, alle pronunce della Corte costituzionale.

Secondo la Corte d'appello di Bologna, poi, l'art. 30 della nuova legge ripropone la questione di legittimità costituzionale precedentemente sollevata per l'art. 2 del D.L. n. 1417 del 1947, in quanto esso sarebbe parimenti in contrasto con l'art. 23 della Costituzione perché non conterrebbe alcun limite alla potestà impositrice dei Comuni. Né tale limite potrebbe individuarsi nelle tariffe vigenti al 2 luglio 1959, perché queste, deliberate dai singoli Comuni sotto l'impero delle precedenti disposizioni legislative che non prevedevano alcun limite, sono manifestazioni di illimitata discrezionalità.

Osservato che il richiamo alle tariffe vigenti al 2 luglio 1959 non può intendersi come imposizione di un tributo determinato dal Parlamento per relationem, dovendosi escludere che il legislatore abbia potuto far proprie, con un positivo atto della sua volontà, le numerose e svariate tariffe vigenti nei diversi Comuni d'Italia, nell'ordinanza si mette in rilievo come siffatto sistema conduca ad una varietà di imposizioni in casi manifestamente analoghi, e sarebbe quindi in contrasto con il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, sancito dall'art. 3 della Costituzione.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 252 del 6 ottobre 1962.

Nel giudizio davanti questa Corte si é costituita soltanto la "Liquigas S.p.a." in persona del suo vice direttore generale e: legale rappresentante ing. Luigi Bianchi, rappresentato e difeso dagli avvocati Willy Bagnoli e Giuseppe Vitali.

Nelle deduzioni depositate in cancelleria la "Liquigas" lamenta la violazione dell'art. 136 della Costituzione, osservando che in tanto il Parlamento potrà dare efficacia ad una disposizione legislativa già dichiarata incostituzionale, in quanto la chiami a fare parte di una nuova norma che ne elimini la incostituzionalità. Nella ipotesi che il vizio abbia natura prettamente formale, la sua eliminazione sarà facilmente attuabile: ove invece il difetto sia sostanziale, concerna cioé l'intrinseco contenuto della disposizione abrogata, la nuova legge, onde non ribadire la violazione del principio costituzionale, dovrà modificare il precetto normativo. Nella specie non vi é dubbio che la disposizione abrogata avesse un contenuto intrinsecamente in contrasto con l'art. 23 della Costituzione e che illegittime sono le tariffe deliberate in esecuzione di quella norma. Il richiamo puro e semplice, effettuato nella nuova legge, nulla innova al loro contenuto, che rimane illegittimo, per di più con effetto retroattivo. E lamenta, quindi, la "Liquigas" anche la violazione dell'art . 23 della Costituzione. Ribadita, infine, la disparità dei criteri adottati nella determinazione del tributo dai vari Comuni e la facilità di ottenere dai medesimi considerevoli e reiterate riduzioni, la Liquigas deduce anche la violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Sia la ditta "Cavalieri " che la " Liquigas" hanno presentato memorie illustrative nelle quali, sostanzialmente, si ripetono le argomentazioni svolte nelle deduzioni.

 

Considerato in diritto

 

L'ordinanza del Tribunale di Roma e quella della Corte d'appello di Bologna sottopongono all'esame di questa Corte la stessa questione, onde i due giudizi vanno riuniti e definiti con una unica sentenza.

La sentenza di questa Corte n. 36 del 16 giugno 1959, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 2 del D.L.C.P.S. 8 novembre 1947, n. 1417, limitatamente alle tariffe relative alla pubblicità affine (forme pubblicitarie effettuate dal privato con mezzi propri e senza alcuna prestazione da parte del Comune) ha tolto ogni efficacia alla norma di legge ed ha posto nel nulla anche le tariffe già approvate, sicché dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza é venuto meno il potere dei Comuni di riscossione di quel tributo. Il vizio del suindicato art. 2, riconosciuto dalla sentenza, non era un semplice vizio di forma, ma atteneva direttamente alla sostanza del tributo, imposto dai Comuni con illimitati poteri discrezionali, con diversità di criteri e con metodi talvolta arbitrari.

Allo scopo di adeguarsi al precetto costituzionale, la legge del 5 luglio 1961, n. 641, ha indicato criteri idonei a delimitare la discrezionalità dei Comuni nella imposizione tributaria, ha adottato una classifica dei vari Comuni, ha fatto distinzione fra le varie forme di pubblicità e fra i mezzi adoperati, ed ha fissato limiti precisi al tributo. Soltanto la norma transitoria dell'art. 30, emanata allo scopo di sopperire alla vacatio nella riscossione del tributo nel periodo di tempo intercorso fra la data di pubblicazione della sentenza e la entrata in vigore della nuova legge, si discosta dai criteri e dai limiti indicati dalla stessa legge, e concede ai Comuni il diritto di chiedere gli arretrati "in base alle tariffe vigenti alla data del 2 luglio 1959".

Dall'esame di questa norma transitoria chiaramente risulta che - a scopo fiscale - si é ridata vita alle vecchie tariffe fino all'entrata in vigore della nuova legge e di conseguenza si é ridata nuova efficacia giuridica a quella norma illegittima, che tale efficacia aveva perduto in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale. Evidente appare, dunque, il contrasto fra l'effetto della sentenza, che toglie efficacia, e l'impugnato articolo di legge che convalida e sana, senza aggiungere, modificare, cambiare nulla. Non soltanto l'oggetto stesso della nuova disposizione, ma anche i termini di inconfondibile significato "chiedere gli arretrati", ed "i Comuni stessi avranno diritto", nonché il preciso riferimento al "diritto od imposta come previsto dalle norme generali e locali precedentemente vigenti " dimostrano alla evidenza la volontà del legislatore di non accettare la immediata cessazione dell'efficacia giuridica della norma illegittima, ma di prolungarne la vita sino all'entrata in vigore della nuova legge. Il che non é affatto consentito dal rigore della norma dell'art. 136 della Costituzione, sulla quale poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima. E proprio in considerazione della fondamentale importanza per il nostro ordinamento giuridico di questo precetto costituzionale, la Corte trova altresì opportuno porre in rilievo che esso non consente compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione.

Né la prospettata tesi - secondo la quale l'art. 30 avrebbe recepito per relationem il contenuto delle tariffe esistenti alla data del 2 luglio 1959, assumendole come dati di fatto a parametro di una nuova imposizione tributaria retroattiva e transitoria - può essere accolta.

Ed invero, nulla autorizza a ritenere, anche per le ragioni suesposte, che il legislatore abbia fatto proprie quelle tariffe viziate dalla illegittimità della norma da cui traevano origine e caratterizzate dalla più grande varietà.

Né la Corte ritiene che la situazione di carenza legislativa, alla quale la norma dell'art. 30 intendeva ovviare, possa indurre a diverse conclusioni nella valutazione costituzionale della norma impugnata, quando si tenga presente che erano pur consentiti altri rimedi per raggiungere lo scopo.

Va, pertanto, dichiarata la illegittimità costituzionale della impugnata norma in riferimento all'art. 136 della Costituzione, rimanendo in questa dichiarazione assorbiti gli altri profili di illegittimità denunziati dalle ordinanze del Tribunale di Roma e della Corte d'appello di Bologna in riferimento agli artt. 3, 5 e 23 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 30, secondo comma, della legge 5 luglio 1961, n. 641, contenente disposizioni sulle pubbliche affissioni e sulla pubblicità affine, in riferimento all'art. 136 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1963.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.

 

 

Depositata in cancelleria il 30 maggio 1963.