Sentenza n. 12 del 1963
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SENTENZA N. 12

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale sarda 26 ottobre 1961 concernente "l'utilizzazione locale degli idrocarburi provenienti dalle coltivazioni in Sardegna", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 31 luglio 1962, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 9 agosto successivo ed iscritto al n. 8 del Registro ricorsi 1962.

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente della Regione autonoma della Sardegna;

udita nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1963 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e l'avv. Pietro Gasparri, per il Presidente della Regione autonoma della Sardegna.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso notificato alla Regione autonoma della Sardegna il 31 luglio 1962 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha impugnato dinanzi alla Corte costituzionale la legge approvata da quel Consiglio regionale il 26 ottobre 1961 - e riapprovata, in sede di rinvio, il 13 luglio 1962 - concernente "l'utilizzazione locale degli idrocarburi provenienti dalle coltivazioni in Sardegna", il cui articolo unico stabilisce che nei disciplinari delle concessioni, accordate ai sensi della legge regionale sarda 19 dicembre 1959, n. 20, sarà inserita una clausola che impegni i concessionari a costruire ed esercire entro un termine fissato, a pena di decadenza, un impianto di raffinazione nel territorio della Regione del minerale prodotto, se la produzione annuale di idrocarburi liquidi raggiunga nell'Isola il quantitativo complessivo di due milioni di tonnellate, e sempre che le riserve siano tali da assicurare l'alimentazione dell'impianto per un congruo numero di anni.

Col ricorso si denuncia in primo luogo la violazione dell'art. 41 della Costituzione perché la legge regionale sarda verrebbe ad incidere in modo grave sull'iniziativa personale dell'operatore economico, sopprimendone la libera autodeterminazione nella creazione ed organizzazione dell'azienda; aggiungendo che, d'altra parte, il vincolo sarebbe stato disposto per fini che esulano dalla previsione del terzo comma dell'art. 41, in quanto riguardano non già la "generale utilità" ma solo un'"utilizzazione locale". Si deduce poi, come secondo motivo dell'impugnazione, la violazione dell'art. 120 della Costituzione in quanto il provvedimento della Regione sarda, imponendo la costruzione e l'esercizio nell'Isola di impianti di raffinazione per il trattamento del minerale prodotto, creerebbe un ostacolo alla libera circolazione delle cose fra le Regioni. Concludendo chiede che venga dichiarata la illegittimità costituzionale della legge regionale impugnata.

La Regione autonoma della Sardegna, in persona del suo Presidente Efisio Corrias, con la rappresentanza e difesa dell'avvocato Pietro Gasparri, si é costituita in giudizio per resistere al ricorso, depositando le proprie deduzioni in cancelleria il 23 agosto 1962. La difesa della Regione eccepisce, in via preliminare. l'invalidità dell'impugnazione perché il Presidente della Giunta regionale non é stato invitato a partecipare, ai sensi dell'art. 47, comma secondo, dello Statuto speciale, alla deliberazione del Consiglio dei Ministri rivolta all'approvazione della stessa. Contesta, comunque, l'ammissibilità del ricorso per quella parte in cui, sostenendo che la legge non persegue fini di utilità sociale, solleva non una questione di legittimità ma un conflitto di ordine politico tra interessi statali ed interessi regionali, di competenza del Parlamento. La difesa della Regione osserva poi, nel merito, che non sussiste l'eccepita violazione dell'art. 41, e ciò perché la legge regionale non pone alcun divieto di esercizio di attività economiche inerenti agli idrocarburi, ma si limita a condizionare l'assunzione di concessioni minerarie aventi per oggetto l'estrazione di idrocarburi alla accettazione dell'impegno di attuare la raffinazione degli stessi in Sardegna, statuendo così non un obbligo bensì un onere, liberamente assunto all'atto della richiesta della concessione, e che rientra nella previsione del terzo comma dell'art. 41, dato che il dare incremento al sorgere d'industrie in una zona arretrata e depressa, realizza di certo un fine sociale. Se si volesse considerare non i fini sociali, ma quell'utilità generale a cui fa riferimento il ricorso (ma che, peraltro, non é menzionata nell'art. 41) si perverrebbe necessariamente ad un'identica conclusione, giacché ha un valore positivo per tutta la nazione il fatto dell'elevamento del tenore di vita sociale di una Regione particolarmente depressa come la Sardegna, in favore della quale si é elaborato uno specifico piano di rinascita. Aggiunge che, se si negasse alla Regione sarda la competenza a dettare una disposizione quale quella impugnata, si svuoterebbe la potestà legislativa ad essa attribuita dall'art. 4, lett. a, dello Statuto speciale in materia di "industria, commercio ed esercizio industriale delle miniere".

La difesa della Regione contesta poi l'asserita violazione dell'art. 120 della Costituzione ed afferma che questa norma, in quanto dettata nei confronti delle Regioni ad autonomia ordinaria, vale anche per le Regioni a Statuto speciale solo ove non risulti sostituita da una disposizione di questo, e quindi non trova applicazione nel caso in esame, in cui l'articolo medesimo, anche se dovesse venire interpretato nel senso fatto valere nel ricorso, é da considerare derogato dall'indicato art. 4, lett. a, dello Statuto sardo. In ogni caso, pur se si consideri rilevante nella specie l'articolo 120 della Costituzione, non per questo risulterebbe dimostrata l'illegittimità costituzionale della legge impugnata poiché essa non frappone alcun ostacolo alla esportazione dei prodotti petroliferi rinvenuti in Sardegna ed alla libera concorrenza nell'Isola fra questi e quelli analoghi di altra provenienza, e neppure limita il diritto degli operatori economici di esercitare l'industria petrolifera in qualunque parte del territorio nazionale, ma richiede solo l'utilizzazione della mano d'opera locale nella raffinazione, e ciò limitatamente al verificarsi delle condizioni previste dalla legge che sono tali da rendere l'utilizzazione stessa economicamente conveniente. Conclude chiedendo il rigetto del ricorso.

Con memoria illustrativa, depositata in data 8 gennaio 1963, l'Avvocatura generale dello Stato rileva innanzi tutto, rispetto all'ammissibilità del ricorso, che nella specie il Presidente della Regione non doveva essere chiamato a partecipare alla seduta del Consiglio dei Ministri nella quale é stata deliberata l'impugnativa, rientrando tale atto nell'attività di controllo riservata allo Stato, ed aggiunge che é altresì inesatta l'affermazione della Regione sarda, secondo cui il ricorso solleverebbe un conflitto di interessi di ordine politico, dato che, al contrario, esso investe una questione di pura legittimità costituzionale. La memoria mette poi in rilievo come la legge impugnata sia in palese contrasto con l'art. 41, perché gli interventi legislativi che questo consente, limitativi dell'iniziativa economica privata, sono riservati allo Stato nell'esercizio della funzione, ad esso solo spettante, della determinazione dell'indirizzo politico generale, secondo sarebbe stato affermato da alcune sentenze della Corte. Contesta poi che il potere vantato dalla Regione possa dedursi dagli artt. 3 e 4 dello Statuto, perché questi subordinano l'attività normativa regionale ai principi stabiliti dalle leggi statali. Quanto alla dedotta violazione dell'art. 120, fa rilevare come la tesi dell'inapplicabilità del medesimo alle Regioni a Statuto speciale urti contro il principio fondamentale dell'unità dello Stato, e come la violazione stessa sia nella specie incontestabile, dato che la legge impugnata impedisce la circolazione del grezzo estratto e toglie la libertà di impiantare l'industria della raffinazione in qualunque parte del territorio nazionale.

Anche la difesa della Regione sarda ha presentato una memoria in data 9 gennaio 1963, con cui, dopo avere nuovamente precisato le ragioni per cui il ricorso é inammissibile (sostenendo che il problema sollevato dalla necessità dell'intervento del Presidente regionale nella seduta del Consiglio dei Ministri potrebbe essere prospettato anche come oggetto di un conflitto di attribuzione, sollevabile, com'é sollevato, in via incidentale nel corso del giudizio sulla legittimità di leggi, e richiedendo conseguentemente l'annullamento della decisione di ricorrere presa dal Consiglio dei Ministri, ai sensi degli artt. 38 e 42 della legge 11 marzo 1953, n. 87), mette in rilievo come l'art. 41 si riferisce all'utilità sociale, non già statale, sicché i programmi, i controlli, i limiti rivolti a conseguire tale utilità possono essere disposti anche con legge regionale, quando gli interessi da tutelare si esauriscano nell'ambito della medesima. Aggiunge che l'art. 4, lett. a, dello Statuto consente alla Regione un potere di programmazione economica nonché la disciplina dell'esercizio industriale delle miniere, e di essa é appunto espressione la legge in esame che vuole incrementare lo sviluppo nell'Isola dell'industria della raffinazione, e che trova base anche nell'art. 3, lett. m, dello Statuto. Quanto all'assunta violazione dell'art. 120 fa osservare come la formula "utilizzazione locale" adoperata dalla legge non vuole esprimere il vincolo al consumo in loco degli idrocarburi sardi, ma anzi tende a favorire l'esportazione, e comunque non pone alcuna remora al giuoco della libera concorrenza cui si riferisce la garanzia dell'art. 120. Insiste nella richiesta di rigetto del ricorso.

Nella discussione orale i rappresentanti delle parti in giudizio hanno svolto ed illustrato i motivi dedotti nelle scritture.

 

Considerato in diritto

 

1. - Devono ritenersi prive di fondamento le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla difesa della Regione.

Infondata appare la prima di esse, poiché (anche a prescindere dall'indagine circa gli effetti sulla validità delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri del mancato intervento alle sue sedute del Presidente della Giunta regionale, nei casi previsti dall'art. 47, ultimo comma, dello Statuto sardo) non può esser dubbio che l'intervento medesimo non sia richiesto allorché il Governo deliberi sul promuovimento della questione di legittimità o di quella di merito nei confronti di una legge deliberata dal Consiglio regionale, ai sensi dell'art. 33 dello Statuto. Infatti, mentre é da escludere che le deliberazioni in tal senso (rivolte come sono ad ottenere il rispetto o della sfera di competenza riservata allo Stato o dei principi sanciti dalla Costituzione, o degli interessi nazionali) possano riguardare "particolarmente" la Regione, e così realizzare la condizione che l'art. 47 richiede per l'intervento in parola, é da osservare che inconsistente é il motivo addotto dalla difesa della Regione a sostegno della pretesa fatta valere, secondo cui dovrebbe essere consentita al Presidente la possibilità di illustrare il proprio punto di vista sui rilievi sollevati dal Governo, dato che tale esigenza viene pienamente soddisfatta attraverso la procedura del riesame prescritta dal citato art. 33 dello Statuto, in seguito al rinvio che di essa dispone il Governo: riesame che, quando si concluda con la riapprovazione, consente di mettere in evidenza tutti i motivi atti a contrastare le censure sollevate dagli organi statali, sicché null'altro può rimanere al Presidente regionale da aggiungere ad essi.

Anche la seconda eccezione va rigettata, apparendo evidente che il ricorso, pel fatto di lamentare la violazione delle norme costituzionali le quali limitano i poteri di intervento della Regione nella sfera dell'iniziativa economica privata, o vietano ogni ostacolo alla libera circolazione delle persone o delle cose fra parte e parte del territorio nazionale, solleva questioni di mera legittimità costituzionale rientranti senza dubbio nella competenza della Corte.

2. - Passando al merito, é da precisare preliminarmente, in ordine al primo motivo di impugnativa, che la questione sollevata é stata chiaramente formulata nel senso di lamentare esclusivamente la violazione dell'art. 41 della Costituzione sotto un triplice profilo: a) della soppressione che la legge regionale dispone di ogni autonomia del privato nella creazione ed organizzazione delle imprese industriali dalla medesima previste; b) del difetto del requisito della "utilità generale" cui l'articolo stesso condiziona gli interventi pubblicistici limitativi dell'iniziativa economica privata; c) della violazione del principio della riserva di legge esclusivamente statale che sarebbe imposta per gli interventi stessi. É vero che nella memoria dell'Avvocatura dello Stato si fa anche menzione degli artt. 3 e 4 dello Statuto sardo, ma ciò non già allo scopo di sollevare un'autonoma censura di violazione di tali disposizioni da parte della legge impugnata, bensì solo per confermare, come ivi é testualmente detto, "l'esattezza dei profili interpretativi dell'art. 41 della Costituzione, cosi come prima delineati, sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale", e cioè solo allo scopo di mettere in rilievo come l'esercizio del potere legislativo conferito alla Regione debba ritenersi subordinato, in ogni sua esplicazione, al rispetto dei principi della Costituzione, ed in particolare di quelli risultanti dal citato art. 41: rispetto che nella specie non si sarebbe avuto.

Cosi delimitati i termini della controversia, ai quali é vincolata la pronuncia richiesta, la Corte ritiene che le censure sollevate non meritano accoglimento.

Bisogna, a riprova di ciò, muovere dalla considerazione che i giacimenti di idrocarburi, oggetto della legge regionale, i quali formano parte, a tenore dell'art. 826 del Cod. civ., del patrimonio indisponibile dello Stato, sono passati, serbando lo stesso carattere, alla Regione sarda, in virtù dell'art. 14 della legge costituzionale del 26 febbraio 1948, n. 3, di approvazione dello Statuto. Tale riserva costituzionale di proprietà offre la possibilità all'ente che ne é titolare, o di procedere direttamente alle ricerche (ed all'eventuale coltivazione della miniera), secondo é previsto dall'art. 13 della legge statale 29 luglio 1927, n. 1443 (non esclusa, ma anzi espressamente considerata dall'art. 43 della Costituzione, e implicitamente dall'art. 41, che fa riferimento in genere all'attività economica "pubblica"), o invece di affidarla a privati concessionari. In relazione al predetto art. 14, l'art. 3, lett. m, dello stesso Statuto ha attribuito alla Regione la competenza primaria di legiferare nella materia delle miniere, sicché a svolgimento della medesima, si é potuto emanare prima una legge regionale integrativa delle norme statali in materia, in data 7 maggio 1952, n. 15 e poi la legge organica 19 dicembre 1959, n. 20, che disciplina, in modo autonomo rispetto alla legge statale 11 gennaio 1957, n. 6, la ricerca e coltivazione degli idrocarburi, adottando il sistema dell'utilizzazione mediante concessioni traslative.

Appare chiaro come, sussistendo un siffatto regime di riserva in ordine ai beni di cui si parla ed alla loro coltivazione, il rapporto fra l'intervento degli enti pubblici e l'iniziativa economica privata non é riconducibile alla fattispecie prevista dall'art. 41. Infatti, quest'ultima attiene alle garanzie necessarie a preservare la libertà di scelta e di svolgimento delle attività economiche proprie dei privati da interventi che la restringano in modo arbitrario, mentre invece quella regolata dalla legge in esame riguarda una situazione del tutto diversa: quella cioè dei privati che, in virtù di una trasmissione di poteri propri della pubblica autorità, vengono ad essere abilitati all'esercizio di attività altrimenti loro precluse, ed a godere così di un ampliamento della loro sfera giuridica, pur nei limiti e secondo le condizioni ritenute dal concedente necessarie alla salvaguardia degli interessi pubblici legati all'utilizzazione del bene.

La legge impugnata, inquadrata come deve essere nello schema dei rapporti ora delineati, ha quali suoi destinatari gli organi amministrativi della Regione stessa, obbligandoli a condizionare le concessioni di coltivazione dei giacimenti di olii minerali all'accettazione da parte degli aspiranti alle medesime di una clausola (in aggiunta alle altre previste dalla legge regionale n. 20 del 1959) secondo cui - ove si verifichino le evenienze previste dalla legge stessa - rimangono vincolati a procedere alla raffinazione del prodotto in loco prima di poterne disporre la vendita. Ciò allo scopo, di evidente pubblica utilità, di incrementare il processo di industrializzazione della Regione, al quale é affidato, in via principale, il superamento dell'attuale stato di depressione economica in cui essa versa.

Pertanto, tale legge non deroga sostanzialmente alla norma dell'art. 10 della citata legge regionale n. 20 del 1959, che, in conformità ad un principio di carattere generale, attribuisce al permissionario di ricerche minerarie la proprietà del prodotto ricavato, poiché invece si limita a richiedere da lui, al momento della concessione, e quindi prima ancora che sorga la pretesa da parte sua al conseguimento di tale proprietà, che il prodotto a lui spettante non possa essere ceduto se non dopo che ne sia avvenuta la raffinazione.

Risultando da quanto si é detto che la disciplina disposta dalla legge impugnata allorché riceverà attuazione, verrà ad esaurire i suoi effetti nella sfera dei rapporti d'indole sostanzialmente contrattuale fra la Regione ed i concessionari, rimanendo condizionata alla libera accettazione da parte di questi ultimi, deve riaffermarsi l'inapplicabilità nella specie dei principi dell'art. 41 della Costituzione e conseguentemente la infondatezza, sotto questo riguardo, delle censure mosse dal ricorso: tanto di quelle che sono state desunte dalla entità delle limitazioni imposte al concessionario, quanto delle altre relative alla mancanza nella specie dei requisiti dell'utilità o dei fini sociali. Non viene neanche in considerazione la questione sollevata nel ricorso stesso circa l'asserita esistenza di una generale riserva di legge statale per l'imposizione di una qualsiasi delle limitazioni consentite dall'art. 41, che si ritiene preclusiva della competenza della Regione, dato che, secondo si é messo in rilievo, non ricorrono nel caso in esame ipotesi di interventi limitativi di tal genere.

Deve poi, sulla base dell'interpretazione data alla legge in esame, escludersi che essa sia rivolta alla formulazione di programmi economici. É da ritenere che la legislazione avente ad oggetto tale specie di programmi sia riservata allo Stato (secondo un principio che del resto risulta riaffermato, per la Regione sarda, dall'art. 13 dello Statuto), ed essa é suscettibile di venire svolta dalla Regione solo nei limiti e secondo le direttive dalla medesima fissate.

É chiaro che le prescrizioni poste dalla legge in esame in ordine alle concessioni di giacimenti di idrocarburi richiedono per il loro svolgimento un'ulteriore normazione riguardante le modalità degli impianti di raffinazione, ed essa, oltre che essere coordinata con le linee generali della politica dell'energia spettante allo Stato, dovrà conformarsi alle disposizioni di cui al D.L. 2 novembre 1933, n. 1741 (convertito nella legge 8 febbraio 1934, n. 367, e regolamento 20 luglio 1934, n. 1303), che impongono l'intervento, negli atti riferentisi al trattamento industriale degli olii minerali, dei Ministeri dell'industria delle finanze, della difesa, cui é affidata la tutela degli interessi ad esso collegati, oltreché delle commissioni previste dalle disposizioni stesse, e presuppongono in conseguenza accordi preventivi con gli uffici predetti, come la Corte ha avuto occasione di statuire con la sentenza 30 dicembre 1958, n. 82.

3. - Passando al secondo motivo del ricorso, é da ritenere inesatta l'affermazione della difesa della Regione secondo cui l'art. 120 della Costituzione trovi applicazione solo nei riguardi delle Regioni a statuto ordinario, mentre per le altre esso potrebbe esplicare effetti solo quando non risulti incompatibile con le disposizioni statutarie; ciò che si asserisce essere avvenuto per la Sardegna in virtù dell'art. 4, lett. a, dello Statuto. Infatti, il principio sancito nell'art. 120 rientra fra quelli fondamentali perché necessari a garantire l'unità e l'indivisibilità della Repubblica, secondo si desume dall'art. 5 della Costituzione e, quindi, si pone quale limite assoluto di ogni specie di autonomia.

Ciò premesso, deve tuttavia escludersi che la legge impugnata incorra nella violazione contestata. Violazione si sarebbe verificata ove essa avesse imposto a privati produttori che la lavorazione o trasformazione di generi ricavati dalla loro attività fosse da effettuare esclusivamente nell'ambito del territorio regionale, risultando palese in tal caso il contrasto con il principio consacrato nell'art. 120 che inibisce ogni misura rivolta a sottrarre coattivamente determinati beni economici al naturale movimento richiesto dalle esigenze della produzione, del commercio o del consumo, quali sono regolate dalle leggi dell'economia.

Ma nessuna censura é, invece, da sollevare allorché la sospensione dell'immissione nel commercio di un dato prodotto della natura fino a quando esso non sia stato sottoposto a lavorazione o trasformazione venga effettuata dal medesimo soggetto proprietario del prodotto stesso. Ciò che appunto si verifica per la legge in contestazione, che affida al concessionario del giacimento quello stesso potere - dovere di trasformazione in loco che la Regione avrebbe potuto attribuire a sé stessa, nel caso di assunzione diretta della gestione del giacimento medesimo. Tale sottrazione temporanea del prodotto grezzo alla circolazione, fino all'avvenuta sua raffinazione, trova sufficiente ed idonea giustificazione in un calcolo di convenienza effettuato dalla Regione. Salvi sempre rimanendo nei confronti dei provvedimenti regionali che dispongano in tal modo i limiti di carattere giuridico che, secondo si é prima detto, sono necessari a coordinare l'attività esplicata dalla Regione nel campo della produzione degli idrocarburi con gli interessi nazionali con essa interferenti. I limiti dell'art. 120 (a voler prescindere da quelli più penetranti che sono da far valere nel caso di lesione dell'interesse nazionale) potrebbero venire in considerazione solo quando si rendesse palese (ciò che nella specie non risulta) che gli oneri imposti al concessionario fossero di tale natura da scoraggiare dall'assunzione delle concessioni, cosi da ripercuotersi dannosamente sulla produzione nazionale dell'energia.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara infondate le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del ricorso;

respinge il ricorso prodotto dal Presidente del Consiglio dei Ministri avverso la legge della Regione sarda 26 ottobre 1961 concernente "utilizzazione locale degli idrocarburi provenienti dalle coltivazioni in Sardegna".

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 1963.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.

 

 

Depositata in cancelleria il 16 febbraio 1963.