Sentenza n. 15 del 1962
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SENTENZA N. 15

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14, primo comma, del D.L.C.P.S. 5 agosto 1947, n. 871, promosso con ordinanza emessa il 9 dicembre 1960 dal Pretore di Aosta nel procedimento penale a carico di Berthod Salomone Giuseppe, iscritta al n. 3 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 31 del 4 febbraio 1961.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 24 gennaio 1962 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi l'avvocato Fortunio Palmas, per Berthod Salomone Giuseppe, e il vice avvocato generale dello Stato Achille Salerni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Berthod Salomone Giuseppe il Pretore di Aosta emetteva l'ordinanza 9 dicembre 1960, pubblicata alla presenza dell'imputato e della parte civile, con la quale rinviava a questa Corte la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 14, comma primo, del decr. legisl. 5 agosto 1947, n. 871, istitutivo dell'Ente Parco Nazionale del Gran Paradiso, nella parte in cui dispone che i contravventori al divieto di esercitare la caccia e la pesca entro il perimetro del Parco sono puniti con l'ammenda pari al quintuplo del valore degli animali uccisi o feriti, calcolato in base al prezzo della selvaggina viva. Il Pretore osservava che la norma denunziata é in contrasto con il secondo comma dell'art. 25 della Costituzione, il quale sancisce il principio della legalità della pena, in quanto subordina la misura di questa ad una determinazione di valore che, per la peculiarità del bene, non avente prezzo di libero mercato, deve necessariamente essere lasciata alla libera discrezione di organi tecnici; vale a dire, dello stesso Ente Gran Paradiso, o, quanto meno, di una commissione internazionale di esperti. Il Pretore rilevava, inoltre, che la norma suddetta, in effetti, lascia alla parte danneggiata dal reato, che é l'Ente Parco Gran Paradiso, la determinazione concreta della pena; la quale é destinata inevitabilmente a seguire le fluttuazioni di valore che la selvaggina può subire, per l'incidenza di fattori diversi ed extragiuridici, venendo a perdere il carattere di certezza quantitativa, componente della certezza legislativa espressa nella formula nulla poena sine praevia lege penali codificata nel predetto art. 25, comma secondo, della Costituzione.

L'ordinanza, il 14 dicembre 1960, veniva comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati; il 19 dicembre 1960 veniva notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri; veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 4 febbraio 1961, n. 31.

2. - Nelle deduzioni presentate il 17 febbraio 1961, il Berthod aderiva ai motivi esposti nell'ordinanza e aggiungeva che la disposizione denunziata rimette la misura della pena ad un apprezzamento contingente del giudice, come é lo stabilire caso per caso il prezzo della selvaggina viva; né si può ritenere che questo prezzo é fissato dall'Ente Parco Gran Paradiso per delegazione legislativa, perché ciò sarebbe costituzionalmente illegittimo.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, intervenuta il giorno 8 gennaio 1961, deduceva che la pena, nella specie, é prevista e comminata in limite certo e definito quando la legge statuisce che deve essere proporzionata al valore del bene leso e, quindi, con riferimento ad un elemento obiettivo; che la sanzione si rapporta, come per ogni altro reato, alla gravità dell'evento; che la determinazione concreta dell'ammenda é deferita al giudice, non alla discrezionalità di soggetti estranei all'ordinamento giurisdizionale. Il giudice può procedere con tutti i mezzi di prova all'accertamento del valore del bene, potendo l'imputato non accettare il valore determinato in via tecnica; né vale opporre le difficoltà della valutazione, perché esse non contraddicono al principio della predeterminazione legale della misura della pena. Nemmeno é esatto, soggiunge l'Avvocatura, che non esiste prezzo di mercato per la selvaggina di stanza nel Parco, essendo risaputo che l'Ente gestore, per ragioni di selezione o di svecchiamento, dispone periodicamente la vendita a terzi financo degli stambecchi, facendo capo a prezzi di mercato nazionale o estero; e, del resto, quando il prezzo della selvaggina viva non fosse accertabile, varrebbe il minimo dell'ammenda, non inferiore a diecimila lire, stabilita dalla norma denunziata.

3. - Nelle memorie depositate il giorno 11 gennaio 1962 la difesa del Berthod e l'Avvocatura dello Stato hanno ribadito le osservazioni su riferite.

L'Avvocatura ha però preliminarmente sostenuto che l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, se ha fatto proprio il principio nullum crimen sine lege, non ha sancito quello della legalità della pena, che é nella seconda parte dell'art. 1 del Codice penale, essendo state soppresse dal suo testo originario le parole "e con la pena in essa prevista"; in modo che non si può ritenere costituzionalmente illegittima una norma la quale, descritta la fattispecie delittuosa, stabilisca una pena per la cui determinazione il giudice deve ricorrere ad elementi desumibili da indagini peritali.

Nel corso della discussione svoltasi all'udienza del 24 gennaio 1962 le parti comparse hanno illustrato gli assunti contenuti negli scritti sopra ricordati.  

Considerato in diritto 

1. - Deve disattendersi l'assunto dell'Avvocatura dello Stato. secondo cui non sarebbe costituzionalmente garantito il principio della legalità della pena sancito nell'art. 1 del Codice penale.

L'art. 25, secondo comma, della Costituzione, al quale si richiamano l'ordinanza del Pretore di Aosta e la difesa del Berthod, affermando che nessuno può essere punito se non in forza di legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso, non soltanto proclama il principio della irretroattività della norma penale, ma dà fondamento legale alla potestà punitiva del giudice. E poiché questa potestà si esplica mediante l'applicazione di una pena adeguata al fatto ritenuto antigiuridico, non si può contestare che pure la individualizzazione della sanzione da comminare risulta legata al comando della legge.

Non ha valore opporre, come sostiene l'Avvocatura, che nella formulazione definitiva del citato art. 25, secondo comma, della Costituzione, é rimasta soppressa la frase "e con le pene da essa (legge) stabilite". Si desume dai lavori preparatori della Costituzione che tale soppressione fu proposta ed approvata per evitare che, nel caso di successione di norme penali, rimanesse pregiudicato il principio dell'applicazione della norma più favorevole al reo; onde non può farsene scaturire un effetto che influisca sulla estensione sostanziale del principio di legalità.

2. - Il quale non tende a rendere prevedibile quale sia la sanzione nella quale si incorre per ciascun reato, come ha ritenuto la difesa del Berthod nella discussione orale, né implica che la legge debba determinare in modo rigido la pena da infliggere in concreto. L'individualizzazione della pena da parte del giudice, infatti, non può prescindere dalla considerazione della gravità del reato e della personalità del reo; donde é nel carattere della sanzione penale che essa sia prefissata dalla legge in maniera da consentirne l'adeguazione alle circostanze concrete. E non risulta che la Costituzione abbia ricevuto una nozione di pena diversa da quella accolta nelle leggi penali anteriori.

Non deve allora ritenersi illegittima la norma denunziata che prevede una pena pecuniaria commisurata al valore del bene che é oggetto della tutela penale e, quindi, all'ammontare del danno arrecato; essa vuole rapportare la pena alla gravità del reato di cui quel valore é un serio indice. La pena pecuniaria proporzionale é ritenuta compatibile con il principio di legalità (artt. 1 e 27, Cod. pen.), e la Costituzione non ha regole che contrastano con tale sistema.

Non é esatto il rilievo contenuto nell'ordinanza del Pretore e ripreso dal Berthod, per cui la norma che commisura la pena al valore del bene protetto, sostanzialmente rimette la concreta determinazione della sanzione a criteri estranei alla convinzione del giudice e a soggetti non investiti di una funzione giurisdizionale. Per quanto il giudice, nel caso predetto, possa valersi di esperti, onde acquisire al processo gli elementi utili alla formazione del suo convincimento circa la quantità della pena da irrogare, non resta preclusa una sua libera valutazione del risultato delle operazioni disposte; ed é perciò sempre il giudice che, nella ipotesi in esame, conclude il processo logico sul quale ha base la sua sentenza, pur se fa propri i risultati delle indagini svolte dai tecnici e i pareri che essi hanno manifestato.

Non meno inesatto é ritenere che il valore del bene tutelato é un dato estraneo alla esperienza del giudice. Quel valore é un elemento certo se la lesione ha per oggetto una cosa avente un prezzo di mercato; ma non é un estremo meno obiettivo quando la sua precisazione richiede accertamenti e valutazioni, perché queste ogni volta dovranno risultare da richiami a fonti di cui il giudice é tenuto a controllare la verità e la fondatezza.

3) - Infine, é destituita di qualsiasi rilevanza anche la obiezione, mossa dall'ordinanza e alla quale fa eco la difesa del Berthod, secondo cui, nella specie, il valore della selvaggina uccisa o ferita viene, nella sostanza, desunto da giudizi deferiti allo stesso Ente gestore del Parco Gran Paradiso.

Il fondamento dell'obiezione sta in un riferimento a regolamenti all'uopo emanati dall'Ente in forza dell'art. 5 del decr. legisl. 5 agosto 1947, n. 871. Ma questi regolamenti, non esibiti alla Corte, sarebbero, se mai, espressione di una autonomia amministrativa; e perciò le valutazioni che, in base ad essi, compisse l'Ente predetto, non impedirebbero al giudice di ricercare altrimenti i dati necessari alla sua decisione.

Non potrebbero vincolare la pronunzia giudiziaria nemmeno i criteri di valutazione stabiliti dal "Conseil international de la chasse", ai quali ha fatto richiamo l'Avvocatura dello Stato, che possono essere sostituiti da esperienze di diversa natura e provenienza, se ritenute più convincenti. Così come liberamente il giudice formerà il suo convincimento nei casi, ipotizzati dalla difesa del Berthod, ma contestati dall'Avvocatura, in cui la selvaggina uccisa o ferita, essendo di specie rara, non avrebbe un suo mercato.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma primo, del decr. legisl. 5 agosto 1947, n. 871, in relazione all'art. 25, secondo comma, della Costituzione. 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 1962.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Deposito in cancelleria il 12 marzo 1962.