Sentenza n. 23 del 1961
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SENTENZA N. 23

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

Composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri con ricorso notificato il 28 marzo 1960, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 1 aprile 1960 ed iscritto al n. 6 del Registro ricorsi 1960, per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione siciliana, sorto a seguito del decreto del Presidente della Regione siciliana 15 febbraio 1960, n. 55/A, concernente: "Diritto della Società "À Zagara" a gestire nel Kursaal di Taormina tutte le attività economiche già esercitate in Libia dall'E.T.A.L.".

Udita nell'udienza pubblica del 22 marzo 1961 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e gli avvocati Natale Ciancio e Giuseppe Guarino, per il Presidente della Regione siciliana.  

Ritenuto in fatto 

1. - In accoglimento di un'istanza della Società "À Zagara", il Presidente della Regione siciliana emanava il decreto 15 febbraio 1960, n. 55/A, col quale, affermando di esercitare poteri che come organo decentrato dello Stato gli deriverebbero dal R.D. 18 marzo 1944, n. 91, e successive modificazioni, e dal D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, riconosceva il diritto della predetta Società a svolgere, nel Kursaal di Taormina, tutte le attività economiche già esercitate in Libia dall'E.T.A.L., compreso il gioco d'azzardo. Ciò in analogia di quanto aveva fatto il 3 aprile 1946 il Presidente della Valle d'Aosta a detta dello stesso Sottosegretario per l'interno (seduta della Camera dei Deputati dell'8 febbraio 1960) e in conformità del decreto 27 aprile 1949, n. 1, dell'Assessore per il turismo e lo spettacolo della Sicilia, della cui esecuzione lo stesso decreto del Presidente della Regione siciliana incaricava il Prefetto di Messina.

In riferimento a questo decreto del Presidente della Regione siciliana il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione con ricorso notificato il 28 marzo 1960. La Regione siciliana, a sua volta, si é costituita con deduzioni depositate il 16 aprile 1960.

2. - La difesa dello Stato ricorda, in primo luogo, che l'E.T.A.L. era stato autorizzato, con decreto interministeriale 30 aprile 1947, ad esercitare in Italia le attività economiche già esercitate in Libia, ma solo quelle a cui si riferisce l'art. 1 del R.D. 31 maggio 1935, n. 1410, nelle quali non figura il gioco d'azzardo; che perciò né l'E.T.A.L., né tanto meno i suoi subconcessionari (il Guarnaschelli, prima, poi la Società "À Zagara") avrebbero mai potuto esercitare in Italia il gioco d'azzardo; che, comunque, l'autorizzazione era stata revocata, per l'E.T.A.L. e, a fortiori, per i suoi aventi causa, col decreto interministeriale del 3 marzo 1951.

Del resto, quanto alla Società "À Zagara", a parere dell'Avvocatura dello Stato, la sentenza 26 novembre 1959, n. 58, della Corte costituzionale ha già precisato che l'autorizzazione in favore della predetta Società era contenuta esclusivamente nel decreto del Presidente della Regione siciliana n. 203/A del 1959, ormai annullato, e non nel decreto 27 aprile 1949, n. 1, dell'Assessore per il turismo e lo spettacolo, o tanto meno nel decreto interministeriale del 30 aprile 1947, a cui la ricollega il provvedimento impugnato.

D'altronde, che tale autorizzazione non potesse assolutamente derivare dal decreto 1949, n. 1, dell'Assessore per il turismo e lo spettacolo, secondo la difesa dello Stato, é ormai sicuro: infatti, questo provvedimento non ha avuto efficacia per mancata registrazione e lo Stato non aveva interesse ad impugnarlo (sentenza Corte costituzionale n. 58 del 1959); ad ogni modo é stato assorbito dai decreti 10 luglio 1959 e 28 maggio 1959, n. 203/A, perciò, quanto all'esercizio del gioco d'azzardo, é stato travolto con l'annullamento di questi ultimi da parte della Corte costituzionale (cit. sentenza n. 58 del 1959); infine, esso richiamava espressamente, quale presupposto necessario, il decreto interministeriale 30 aprile 1947, che é stato revocato, come s'é detto, col decreto interministeriale del 3 marzo 1951: caduto il presupposto, ha perduto efficacia anche il provvedimento che vi si riferiva.

La difesa dello Stato rileva, inoltre, che il provvedimento impugnato, se si presenta in apparenza come un atto in cui il Presidente della Regione, quale organo di decentramento statale, accerta e dichiara il diritto della Società "À Zagara" a esercitare attività economiche, compreso il gioco d'azzardo, in realtà non si limita ad accertare questo preteso diritto, ma contiene esso stesso un autorizzazione regionale a gestire la casa da gioco.

Dato ciò, il Presidente della Regione, disponendo in materia riservata alla legge dello Stato, avrebbe invaso un campo che rientra nella competenza esclusiva di quest'ultimo (sentenza n. 58 del 1959, della Corte costituzionale).

D'altra parte, il provvedimento sarebbe illegittimo anche se lo si dovesse interpretare, alla luce della sua formulazione e del suo preambolo, come un atto di accertamento emanato dal Presidente della Regione quale organo di decentramento statale. Infatti, il D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, é stato abrogato dall'art. 20, primo comma, seconda parte, dello statuto speciale per la Regione siciliana (assunto nell'ordinamento costituzionale solo in epoca successiva con legge 26 febbraio 1948, n. 2) e perciò soltanto da quest'ultimo potrebbe essere derivato al Presidente della Regione il potere di svolgere attività amministrativa statale. Ma, se é così, rileva la difesa dello Stato, il Presidente della Regione é andato oltre i limiti contenuti nel cit. art. 20: innanzi tutto, né questa norma né altre gli conferiscono un potere di accertamento, potere che spetta soltanto all'Autorità giudiziaria ordinaria e, in particolare, trattandosi di gioco d'azzardo, al giudice penale, né qui si rientra in quelle ipotesi speciali in cui l'esercizio d'un diritto é subordinato al riconoscimento dell'Autorità amministrativa; in secondo luogo, come stabilisce lo stesso art. 20, l'attività amministrativa si sarebbe dovuta esplicare "secondo le direttive dello Stato", direttive che, invece, non ci sono state, anzi, a quanto si ricava dagli atti più recenti, risulterebbero decisamente contrarie all'esercizio di tale attività.

3. - La difesa della Regione, nelle sue deduzioni, sostiene preliminarmente che in questa fattispecie mancherebbero i presupposti del conflitto di attribuzione e che perciò il ricorso sarebbe inammissibile.

Infatti, il Presidente della Regione, emanando il decreto impugnato, avrebbe agito espressamente come organo di decentramento statale a norma del R.D. 18 marzo 1944, n. 91, e successive modificazioni, nonché del D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, e non come organo regionale: il conflitto attuale, pertanto, riguarderebbe se mai due organi dello Stato, anziché lo Stato e la Regione. Anche se il decreto impugnato dovesse considerarsi, come afferma l'Avvocatura dello Stato, esercizio dei poteri conferiti alla Regione dall'art. 20 dello Statuto speciale per la Regione siciliana esso sarebbe sempre un atto amministrativo statale; di conseguenza, in questo caso mancherebbe un presupposto del conflitto tra lo Stato e la Regione.

In realtà, il Presidente della Regione - rileva la difesa di quest'ultima - non ha utilizzato né poteva utilizzare il cit. art. 20 dello Statuto regionale proprio perché non c'erano le direttive statali a cui si riferisce tale norma; ha utilizzato, invece, i decreti 18 marzo 1944, n. 91, e 30 giugno 1947, n. 567, tanto é vero che li ha richiamati espressamente; ha violato tutt'al più quei decreti, vale a dire precetti contenuti in leggi ordinarie, invece che norme dello Statuto regionale, e perciò, anche se é caduto in violazione di legge o in eccesso di potere, non ha invaso la sfera di competenza costituzionale dello Stato; mancherebbe un altro presupposto del conflitto di attribuzione.

Secondo la difesa della Regione, il ricorso é anche infondato nel merito: il Presidente della Regione, nel provvedimento impugnato, si limitava a dichiarare le conseguenze derivanti da un atto regionale (il decreto) dell'Assessore per il turismo e lo spettacolo (27 aprile 1949, n. 1) esplicando una facoltà che deriva dalla generale capacità dei soggetti giuridici: non gli si potrebbe contestare il potere di compiere ammissioni rispetto a rapporti già in atto. D'altra parte il ricorrente non ha saputo indicare la norma costituzionale che il Presidente della Regione avrebbe violato.

Quanto, poi, al contenuto di tali rapporti, la difesa della Regione insiste sulla legittimità del cit. decreto 27 aprile 1949, n. 1, che, a suo avviso, non doveva essere registrato, non comportando oneri finanziari, e, comunque, é in vigore, non essendo stato impugnato in tempo, né essendo più impugnabile.

4. - La difesa dello Stato, nella memoria depositata il 28 settembre 1960, ribadisce ed illustra le sue tesi.

In particolare, premette che le dichiarazioni fatte in Parlamento, l'8 febbraio 1960, sono state male intese nel preambolo del provvedimento impugnato: esse non contengono un riconoscimento, da parte del Governo, del diritto ad aprire a Saint Vincent una casa da gioco e perciò non costituiscono né un precedente né un argomento analogico da addurre in questa causa.

Respinge l'eccezione d'inammissibilità sia perché la Corte ha già deciso casi in cui la Regione aveva esercitato attività statale decentrata a norma dell'art. 20 dello Statuto speciale per la Regione siciliana (sentenze nn. 9, 11, 17 e 18 del 1957, n. 77 del 1958), sia perché l'analogia della situazione imporrebbe la stessa risposta se il Presidente della Regione col provvedimento impugnato avesse agito nell'esercizio di poteri derivanti da leggi speciali (R.D. 18 marzo 1944, n. 91, e successivi): il supremo organo della Regione, anche nell'esercizio di funzioni statali, conserverebbe sempre, e qui avrebbe conservato, la veste di organo regionale. Perciò il conflitto sarebbe intersoggettivo e non, come eccepisce la Regione, interorganico.

Nel merito l'Avvocatura dello Stato precisa che nemmeno le norme contenute nelle leggi speciali (cit. R. D. n. 91 del 1944 e successivi) attribuiscono al Presidente della Regione il potere di riconoscere diritti.

5. - La difesa della Regione, con memoria depositata il 29 settembre 1960, ribadisce l'eccezione d'inammissibilità del ricorso per mancanza dei presupposti essenziali del conflitto d'attribuzione.

Che il Presidente della Regione siciliana abbia agito come organo di decentramento statale, risulterebbe sia dalla domanda con cui gli si era rivolta la Società "À Zagara", in accoglimento della quale il Presidente emanava il provvedimento impugnato, sia dal richiamo, contenuto in quest'ultimo, alle leggi speciali ricordate poco fa, sia dal fatto che il decreto é stato emesso senza il concorso della Giunta: appunto, l'ultima di quelle leggi (il decreto n. 567 del 1947), che lo Statuto speciale per la Regione siciliana, essendo anteriore, non può avere abrogato, attribuirebbe al Presidente l'esercizio della competenza statale in tutti i casi in cui gli uffici dello Stato abbiano continuato ad esistere; il provvedimento impugnato non sarebbe altro che esercizio di questa competenza e perciò opera di un organo statale.

Del resto, anche se fosse stato emanato a norma dell'art. 20 dello Statuto speciale per la Regione siciliana, si sottrarrebbe al giudizio della Corte costituzionale: mancherebbe ugualmente il conflitto di attribuzione poiché il Presidente regionale avrebbe agito entro la sfera di una competenza attribuitagli da quella norma, poco importa se contro o senza direttive statali.

Infine, qualora il decreto del Presidente della Regione fosse un provvedimento regionale in senso stretto, non sarebbe, comunque, un atto amministrativo: la Regione non faceva che riconoscere come un qualunque privato un diritto preesistente e impegnarsi a non turbarne l'esercizio, cioè a un'attività che, non attenendo alla competenza di diritto pubblico, non potrebbe essere sindacata dalla Corte.

Nel merito, la difesa regionale tra l'altro riafferma che il diritto della Società "À Zagara" deriva a ogni modo dal citato decreto assessoriale n. 1 del 1949, ormai insindacabile: il successivo decreto regionale 28 maggio 1959, n. 203/A, non lo avrebbe assorbito ma confermato e modificato; anche se lo avesse assorbito, l'annullamento del secondo da parte di questa Corte avrebbe riportato in vita il primo, cioè il decreto del 1949. Il quale autorizzava all'apertura della casa da gioco tanto l'E.T.A.L. quanto i suoi subconcessionari, come la Società "À Zagara", di modo che la revoca dell'autorizzazione avvenuta nel 1951 nei confronti dell'E.T.A.L. non avrebbe potuto toccare il diritto già maturato in favore di quella Società. L'affermazione contraria contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. 58 del 1959 non farebbe stato, tra l'altro, perché non é parte del dispositivo.

6. - Nella discussione orale l'Avvocatura dello Stato ha illustrato in breve le sue tesi. Dal canto suo la difesa regionale, oltre che svolgere largamente le proprie, ha osservato che in questo caso, se si nega al provvedimento la qualifica di atto statale, lo si deve necessariamente considerare emanato nell'esercizio di poteri propri, originari della Regione, non derivati ad essa dalla sfera di competenza dello Stato, e perciò tali da non poter invadere questa competenza.  

Considerato in diritto

1. - L'eccezione di inammissibilità, avanzata dalla difesa regionale, si fonda sul presupposto che il provvedimento impugnato sia un atto non propriamente regionale, emesso da un organo decentrato dello Stato, cioè dal Presidente della Regione nell'esercizio di quella potestà amministrativa statale che gli sarebbe stata attribuita dai decreti legislativi luogotenenziali n. 416 del 1944 e n. 50 del 1945 e dal D.L.C.P.S. n. 567 del 1947: i precedenti, l'occasione e il preambolo del provvedimento, che si rifà espressamente a quei decreti, lo qualificherebbero sicuramente come atto statale; rispetto ad esso, perciò, non si potrebbe neanche ipotizzare un conflitto di attribuzione poiché questo non può sorgere tra organi dello stesso potere (nella specie, amministrativo statale).

L'eccezione non merita accoglimento. Infatti, il provvedimento impugnato, nonostante le sue premesse, é un atto regionale, emesso dal Presidente della Regione nell'esercizio di poteri propri, consacrati nell'art. 20, primo comma, prima parte, dello Statuto speciale per la Regione siciliana. Non basta il richiamo espresso ad una legge, contenuto in un atto amministrativo, perché questo si qualifichi come esplicazione dei poteri conferiti dalla legge richiamata. Occorre, invece, guardarne il contenuto e la materia, e tener conto del luogo, del tempo e dei motivi che gli hanno dato ispirazione.

Posto ciò, non si può dimenticare che il decreto Pres. Reg. sic. 15 febbraio 1960, n. 55/A, é stato emanato dal Presidente della Regione siciliana, dopo che altri provvedimenti ad analogo contenuto erano stati presi dallo stesso, o da altri organi della Regione, nell'esercizio della propria competenza istituzionale; né mai, prima d'ora, s'era sentito il bisogno di rifarsi ai tre decreti riguardanti l'esercizio, da parte dell'organo regionale, della potestà amministrativa statale, anzi si era sempre fatto riferimento all'articolo 20 Statuto speciale per la Regione siciliana nel punto che regola proprio quella competenza. Non v'é motivo per credere che il provvedimento impugnato abbia una diversa natura.

2. - D'altro canto la Corte costituzionale con la sentenza n. 58 del 1959 ha già accertato che il decreto interministeriale 30 aprile 1947, che autorizzava l'E.T.A.L. a svolgere attività economiche in Italia, e perciò anche in Sicilia, ha perduto oramai ogni valore in virtù del successivo decreto interministeriale 3 marzo 1951, n. 82. Pertanto, con la sopravvenuta inefficacia del citato decreto del 1947, la materia non é più oggetto di disciplina da parte di norme e di provvedimenti statali; materia, che del resto non soltanto rientra statutariamente nella competenza esclusiva della Regione (cit. artt. 14, lett. n, e 20, primo comma, prima parte), ma, ormai, non può essere disciplinata se non da organi regionali dopo che sono entrate in vigore le relative norme d'attuazione (D.P.R. 9 aprile 1956, n. 510).

Non c'é dubbio che le attività economiche di enti come l'E.T.A.L., o come gli aventi causa di quest'ultimo, siano state sempre autorizzate "allo scopo di incremento turistico e alberghiero", tanto che l'ultimo provvedimento, ora impugnato, e stato preso su proposta dell'Assessore al turismo e allo spettacolo. Perciò i decreti n. 416 del 1944, n. 50 del 1945 e il D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, che attribuisce al Presidente della Regione siciliana l'esercizio di potestà amministrativa statale, data la materia del turismo, almeno in questo caso sono ormai fuori questione: il richiamo che fa ad essi il preambolo dell'atto impugnato é assolutamente privo di valore: tanto più che proprio il D.L.C.P.S. n. 567 del 1947 attribuiva al Presidente della Regione l'esercizio della potestà amministrativa statale "solo in quanto occorre", cioè fuori dell'ambito della diretta potestà regionale.

La stessa esigenza generale di conservazione degli atti amministrativi addita il provvedimento impugnato come un atto della Regione siciliana: ché, se fosse d'un organo statale, potrebbe essere privo d'efficacia riguardando materia, il turismo e lo spettacolo, sottratta alla competenza dello Stato.

3. - Poiché il provvedimento impugnato é un atto regionale, resta da vedere se abbia invaso in qualche modo la sfera della competenza dello Stato. La difesa della Regione lo nega soprattutto perché esso si sarebbe limitato a riconoscere una situazione ed un diritto preesistenti senza apportare innovazioni o mutamenti. Ma neanche questa eccezione può essere accolta.

Infatti, il decreto del Presidente regionale riconosce il diritto della Società "À Zagara" "ad esercitare tutte le attività economiche già esercitate dall'E. T. A. L. in Libia", ma lo riconosce come derivante dal decreto assessoriale 27 aprile 1949, n. 1; dunque, il provvedimento impugnato afferma che sia in pieno vigore quest'ultimo decreto, il quale, invece, come risulta dalla sentenza n. 58 del 1959 della Corte costituzionale, é sicuramente senza effetto perché é stato revocato, nel 1951, il decreto interministeriale del 1947 su cui esso si fondava: una volta che l'E. T. A. L., a datare dal 1951, non poteva più svolgere attività economiche in Italia, essendo venute a cessare le ragioni che ne avevano consigliato l'autorizzazione con l'atto del 1947, non poteva più considerarsi vigente il decreto assessoriale del 1949, che, solo in applicazione di quell'atto, aveva consentito in Sicilia, e specialmente a Taormina, lo svolgimento delle stesse attività. La difesa regionale ritiene che, siccome il decreto assessoriale del 1949 ha esteso l'autorizzazione anche ai subconcessionari dell'E.T.A.L., la revoca del 1951, limitata espressamente al solo E.T.A.L., non abbia toccato il diritto di costoro, ma la tesi non ha fondamento sia perché in generale un'autorizzazione, concessa a un soggetto in quanto egli sia subconcessionario d'un altro, col cadere della concessione di quest'ultimo viene meno per mancanza del suo presupposto, sia perché in particolare il decreto n. 1 del 1949 non autorizzava affatto, direttamente, i subconcessionari dell'E.T.A.L., ma, più precisamente, consentiva che questo svolgesse le attività economiche "anche 'a mezzo di organi dipendenti e di subconcessionari" (art. 2): la sorte di costoro, riguardo a tali attività, era necessariamente legata a quella dell'E.T.A.L.

Il provvedimento impugnato, poiché riconosce come esistente un diritto che in realtà non sussiste e la cui insussistenza é stata già accertata da questa Corte (cit. sentenza n. 58 del 1959) ha un deciso valore innovativo, contiene una vera e propria autorizzazione.

4. - Perciò, in quanto attribuisce alla Società "À Zagara" il diritto di aprire una casa da giuoco così come l'aveva il suo dante causa, cioé l'E. T. A. L., esso deroga agli artt. 718 e segg. Cod. pen., toccando una materia riservata alle leggi dello Stato. Su questo punto la Corte costituzionale non può che riaffermare la propria giurisprudenza e, come ha fatto con la sentenza n. 58 del 1959, annullare il decreto del Presidente regionale.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

pronunciando sul ricorso, proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri con atto notificato il 28 marzo 1960:

a) respinge l'eccezione di inammissibilità dedotta dalla Regione siciliana;

b) dichiara, in accoglimento del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che non spetta alla Regione di emanare provvedimenti in materia di giuochi d'azzardo in deroga a norme penali;

c) annulla per conseguenza il decreto del Presidente della Regione siciliana n. 55/A del 15 febbraio 1960 in quanto esso consente l'apertura d'una casa da giuoco a Taormina. 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 17 maggio 1961