Sentenza n. 20 del 1961
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SENTENZA N. 20

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dal Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige il 24 novembre 1959, e nuovamente approvata il 14 luglio 1960, concernente l'esercizio da parte della Regione delle funzioni amministrative in materia di utilizzazione di acque pubbliche, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 5 agosto 1960, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 10 agosto 1960 ed iscritto al n. 16 del Registro ricorsi 1960.

Vista la costituzione in giudizio del Presidente della Regione Trentino-Alto Adige;

udita nell'udienza pubblica del 15 marzo 1961 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il ricorrente, e gli avvocati Arturo Piechele e Feliciano Benvenuti, per il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige.  

Ritenuto in fatto 

Con ricorso notificato alla Regione Trentino-Alto Adige il 5 agosto 1960 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha impugnato in questa sede la legge approvata da quel Consiglio regionale il 24 novembre 1959 - ed (a seguito di rinvio da parte del Commissario dello Stato) nuovamente approvata il 14 luglio 1960 - "concernente l'esercizio da parte della Regione delle funzioni amministrative in materia di utilizzazione di acque pubbliche".

Il ricorso si basa essenzialmente sul fatto che la legge impugnata considera di spettanza della Regione il riconoscimento, la concessione e la rinnovazione delle "grandi derivazioni", a esclusione di quelle a scopo idroelettrico, mentre dagli artt. 9, 10 e 62 dello Statuto regionale risulta chiaramente che - in conformità dei principi desumibili dalla Costituzione e dal complesso di tutti gli Statuti delle Regioni speciali - le disposizioni dell'art. 5, n. 5, e dell'art. 38, n. 2 - secondo le quali la Regione ha competenza legislativa e amministrativa in materia di " utilizzazione delle acque pubbliche" - sono da considerare operanti limitatamente alle sole "piccole derivazioni", con esclusione di ogni sorta di "grandi derivazioni", essendo riservata allo Stato ogni competenza relativa a queste. In tali sensi sono del resto le norme di attuazione dello Statuto approvato con D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574. Ciò comporta l'illegittimità costituzionale dell'intera legge impugnata, e, comunque, sicuramente, quella degli artt. 1, 3, 4, 5, 7, 8 e della disposizione transitoria e, "per espressa connessione con queste disposizioni", degli artt. 2 e 9.

Con specifico riferimento all'art, 4 - che per le grandi derivazioni prevede un parere obbligatorio (ma non vincolante) del Magistrato delle acque - il ricorso deduce, inoltre, in via subordinata, la violazione dell'art. 5 St., in quanto la disposizione non rispetta gli interessi nazionali, "omettendo di considerarli e, quindi, di predisporre le opportune misure per la loro adeguata valutazione e tutela". Al riguardo osserva che tale profilo attiene alla legittimità e non al merito della legge impugnata; comunque, ove dovessero sussistere dubbi in proposito, fa istanza che la Corte decida, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione, se la questione sia di competenza sua o del Parlamento.

Con riferimento allo stesso art. 4 il ricorso deduce, inoltre, la violazione dell'art. 95 St., in quanto la Regione si é arrogato il potere di dettar disposizioni circa l'attività di un organo statale, quale é il Magistrato delle acque.

Quest'ultima violazione - aggiunge il ricorso - é comune all'art. 7 della legge, che prevede un parere del Genio civile sulle domande di concessione.

Il ricorso conclude per la dichiarazione di illegittimità dell'intera legge, o, quanto meno, delle disposizioni di essa riguardanti le grandi derivazioni.

Il ricorso é stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 216 del 3 settembre 1960 e nel Bollettino Ufficiale della Regione del 6 settembre 1960.

Il 29 agosto 1960 si é costituita innanzi a questa Corte, per resistere al ricorso, la Regione Trentino-Alto Adige. Nelle sue deduzioni, dopo una disamina delle disposizioni degli Statuti delle altre Regioni a statuto speciale riguardanti la materia del demanio idrico e delle relative concessioni, la difesa regionale osserva che alla potestà del Trentino-Alto Adige in materia di "utilizzazione delle acque pubbliche", contemplata dall'art. 5, n. 5, dello Statuto regionale, non esistono altri limiti se non quelli previsti dagli artt. 9 e 10, i quali riguardano le sole concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico. Che, ove lo Statuto avesse voluto limitare la competenza regionale alle piccole derivazioni, "non avrebbe concesso quasi niente": infatti, non avrebbe soddisfatto "le richieste della costituenda Regione e dei sui rappresentanti, le quali trovavano sicuro fondamento nella legislazione ex austriaca in materia di acque pubbliche, in vigore nella Regione fin dopo l'annessione": "nel 1948, se non tutte indistintamente le piccole derivazioni di acque pubbliche, certamente la stragrande maggioranza delle stesse o erano regolarmente concesse o di fatto sfruttate da lungo tempo, previa presentazione delle relative domande di riconoscimento del diritto"; onde "la parte delle acque pubbliche eventualmente sfuggite allo sfruttamento delle grandi imprese idroelettriche non poteva certo avere un particolare interesse per la Regione". Da queste considerazioni la difesa regionale trae la conseguenza che gli artt. 9 e 10 dello Statuto non possono essere intesi se non nel senso di una limitazione del potere dello Stato alle grandi derivazioni a scopo idroelettrico. Né lo Stato potrebbe invocare in proprio favore l'art. 62 St., trattandosi di disposizione di carattere finanziario, giustificata dal fatto che, sebbene l'utilizzazione delle acque spetti alla Regione, il demanio idrico appartiene nondimeno allo Stato ai sensi dell'art. 57.

Con riferimento ai motivi d'impugnativa riflettenti in particolare gli artt. 4 e 7 della legge, la difesa della Regione osserva, innanzi tutto, che non sussiste violazione dell'art. 5 St. sotto il profilo di omessa presa in considerazione degli interessi nazionali: la legge, avendo "adottato integralmente" le norme del T.U. sulle acque pubbliche, ha impegnato l'Amministrazione regionale "alla esatta valutazione di tutti gli interessi"; comunque "il vizio di merito potrebbe se mai - esistere nel futuro provvedimento della Giunta regionale da emettersi in esecuzione della legge". Non sussiste, poi, alcuna violazione dell'art. 95 St., in primo luogo, perché già sono state emanate in materia le norme statali di attuazione (art. 8 sgg. del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574); in secondo luogo, perché la legge regionale si limita a "confermare lo svolgimento dei compiti già assegnati" a certi organi dello Stato dalle vigenti disposizioni statali.

La difesa regionale conclude per il rigetto del ricorso.

In data 23 febbraio 1961 l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria, nella quale, attraverso un ampio esame dei vari Statuti regionali, si tende a dimostrare l'esistenza di un principio costituzionale generale di riserva allo Stato della materia delle grandi derivazioni di acque pubbliche. Tale principio risulta testualmente e tassativamente confermato nello Statuto Trentino-Alto Adige e, particolarmente, negli artt. 57, 62, 9 e 19, nonché nelle disposizioni di attuazione approvate col D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574 e segnatamente negli artt. 8, 9, 10 e 15. In base alle anzidette norme statutarie i diritti e i poteri della Regione in materia di grandi derivazioni sono assai limitati: alla Regione spetta, per le concessioni idroelettriche, intervenire nell'istruttoria, impugnare eventualmente i provvedimenti adottati dallo Stato, ricevere una certa aliquota dell'energia prodotta e imporre un certo tributo sull'energia stessa; per le altre grandi derivazioni (alle quali certamente si riferiscono il quinto e il sesto comma dell'art. 10 St.) é, invece, riconosciuta alla Regione una posizione preferenziale nella concessione.

L'Avvocatura insiste, inoltre, nella tesi secondo cui, attribuendo alla Regione la competenza a provvedere sulle grandi derivazioni senza alcuna previa intesa con gli organi statali, la legge impugnata esorbita dal limite territoriale e non rispetta l'interesse nazionale, data l'inscindibile unità col territorio extraregionale dei corsi di acque e del sistema idrografico cui appartengono. La mancanza di disposizioni di coordinamento (né può essere considerata tale quella dell'art. 4 della legge impugnata, che prevede un parere obbligatorio, ma non vincolante, del Magistrato delle acque) viene a incidere fatalmente negli interessi nazionali e in quelli delle altre Regioni.

La difesa della Regione, a sua volta, con una memoria depositata il 24 febbraio 1961 insiste nelle proprie tesi.

Premesso che né dalla Costituzione, né dagli Statuti delle altre Regioni può ricavarsi un principio costituzionale di riserva allo Stato della materia delle grandi derivazioni, e che anzi dal complesso della legislazione - regionale e non - risulta proprio l'opposto, si sostiene in essa che la Regione Trentino-Alto Adige, pur non essendo titolare del demanio idrico (dato che l'art. 57 St. riconosce allo Stato la titolarità di tutto il demanio idrico, senza alcuna esclusione) dispone - ex art. 5, n. 5, St. - di una potestà legislativa concorrente, ed - ex art. 13 - di una potestà amministrativa, sulla "utilizzazione" del demanio stesso: potestà le quali si estendono perciò a ogni genere di derivazioni, salvo quelle espressamente escluse dagli artt. 9 e 10, che sono soltanto le grandi derivazioni a scopo idroelettrico (principio accolto nelle stesse norme di attuazione dello Statuto approvate col D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, artt. 8-15): lo Stato é proprietario dei beni, la Regione dispone della utilizzazione; e la prima di tali proposizioni non deve far considerare inconciliabile con la seconda il fatto che l'art. 62 St. stabilisce che, per le grandi derivazioni, lo Stato cede alla Regione i nove decimi del canone annuale.

In ordine alla denuncia di violazione dell'art. 5 St. da parte dell'art. 4 della legge impugnata, la difesa regionale osserva che il riferimento in essa contenuto agli interessi nazionali che sarebbero stati lesi é quanto mai generico: il che "ictu oculi denota l'incompetenza della Corte in merito"; "né potrebbe, in ogni caso, spettare alla Corte la competentia competentiae, dato che non si specifica in alcun modo in che cosa si concreti e consista il preteso vizio di merito; la competenza spetta, quindi, su questo punto, esclusivamente al Parlamento".

Nella udienza di discussione l'Avvocato dello Stato e il difensore della Regione hanno insistito nelle rispettive ragioni e conclusioni.  

Considerato in diritto

1. - Col primo motivo del ricorso il Presidente del Consiglio dei Ministri lamenta che la legge regionale impugnata, movendo dal presupposto che le concessioni di "grande derivazione" di acque pubbliche (art. 6 T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775) per usi diversi da quello idroelettrico rientrino nelle attribuzioni della Regione, abbia disciplinato la materia di tali concessioni.

Il motivo é infondato e non può essere accolto.

É vero che, a differenza che in altre Regioni, le acque pubbliche esistenti nel Trentino-Alto Adige continuano, ai sensi dell'art. 57 St. spec. Trentino-Alto Adige, ad appartenere completamente ed esclusivamente al demanio dello Stato; né tale situazione di diritto risulta menomata dal fatto che lo Stato é tenuto, in base all'art. 62, a cedere alla Regione i nove decimi dell'importo dei canoni annuali riscossi per le concessioni di grande derivazione accordate per qualunque scopo. Ma l'appartenenza di tutte le acque pubbliche allo Stato non importa che tutte le competenze normative e amministrative relative alle acque stesse siano di spettanza dello Stato (principio questo già affermato dalla Corte con le sentenze 23 gennaio 1957, n. 23, e 8 luglio 1958, n. 49, sia pure con riferimento ad altri beni pubblici e ad altre Regioni). Infatti, l'art. 5 St. spec. attribuisce alla Regione la potestà legislativa in materia di "utilizzazione delle acque pubbliche" (n. 5), di "opere idrauliche della quarta e quinta categoria" (n. 7) e di "opere di bonifica" (n. 8), mentre l'art. 11, n. 12. attribuisce alle Province di Trento e di Bolzano la potestà legislativa in materia di "porti lacuali"; e, ai sensi dell'art. 13, in tutte le anzidette materie é da riconoscere, rispettivamente alla Regione e alle Province, anche potestà amministrativa.

Per quanto, poi, riguarda quella particolare "utilizzazione" delle acque pubbliche che ha luogo mediante concessioni di "grande derivazione", occorre ulteriormente tener presenti le disposizioni degli artt. 9 e 10 dello Statuto speciale, integrate dalle norme di attuazione contenute negli artt. 8-16 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574.

Nell'interpretazione di tali disposizioni esiste profondo contrasto tra le parti, sostenendo il Presidente del Consiglio dei Ministri che, in base ad esse, tutte le concessioni di grande derivazione rientrerebbero nella competenza dello Stato, mentre la Regione sostiene che a questo sarebbero state riservate le sole concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico. Pur non mancando di rilevare la non perspicuità della formulazione dei testi legislativi (e segnatamente dei commi quinto e sesto dell'art. 10 dello Statuto e degli artt. 10 e 15 delle norme di attuazione, la lettera dei quali può apparire, a prima vista, favorevole alla tesi dello Stato), la Corte ritiene che l'interpretazione esatta sia quella sostenuta dalla Regione. Essa é suffragata da considerazioni di ordine logico e sistematico; ed é significativo che risulti condivisa, sia per quanto riguarda le norme statutarie, che per quanto si riferisce alle disposizioni di attuazione, dalla relazione della Commissione interministeriale che ebbe a suo tempo a rielaborare il progetto predisposto dalla Commissione mista per le disposizioni di attuazione.

In favore della interpretazione che la Corte ritiene di accogliere appaiono decisive soprattutto due considerazioni. La prima, in ordine logico, é che l'art. 9 St. offre alla Regione tutta una serie di garanzie a tutela dei propri interessi inerenti al settore delle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico (garanzie riguardanti sia lo svolgimento della procedura di concessione, sia la possibilità di impugnativa dei provvedimenti amministrativi); e sarebbe veramente singolare che uguali garanzie non fossero accordate alla Regione anche in relazione alle altre concessioni di grande derivazione, qualora anche queste fossero dallo Statuto considerate di competenza dello Stato. La seconda - di ordine sistematico - é che, qualora effettivamente avesse voluto riservare allo Stato la competenza per tutte le concessioni di grande derivazione (e non soltanto per quelle a scopo idroelettrico), il legislatore costituente non si sarebbe limitato a inserire le uniche disposizioni dalle quali possa desumersi tale competenza (di ordine generale rispetto a quella riguardante le sole concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico) nel quinto e nel sesto comma di un articolo (il 10), il quale ne segue, nello Statuto, un altro (il 9), che riguarda unicamente le concessioni a scopo idroelettrico, ed esso stesso si occupa sicuramente di queste sole concessioni in tutti gli altri suoi commi (tanto nei primi quattro, che precedono, quanto nel settimo, che segue quelli in questione); ma ben altra autonomia e risalto avrebbe dato a siffatte disposizioni di portata generale. Ancor meno spiegabile sarebbe, poi, il sistema seguito dal legislatore, qualora dovesse ritenersi che nei commi quinto e sesto dell'art. 10 lo Statuto abbia voluto riferirsi non (come autorizzerebbe, se mai, a pensare la lettera legislativa) a tutte le concessioni di grande derivazione, ma (come pare sostenere l'Avvocatura dello Stato) soltanto a quelle non aventi scopo idroelettrico: in tal caso, infatti, dato che i primi quattro commi dell'articolo si riferiscono espressamente alle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, il legislatore avrebbe dovuto, nel quinto e nel sesto comma parlare, per contrapposizione, non puramente e semplicemente di "concessioni di grande derivazione", bensì di "altre" concessioni di grande derivazione, oppure di concessioni di grande derivazione "per altri scopi", ovvero avrebbe dovuto usare una analoga espressione di contrapposizione.

Ritiene perciò la Corte che nel territorio del Trentino-Alto Adige, in base allo Statuto regionale e alle relative norme di attuazione, sono riservate ai poteri dello Stato le sole concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, mentre sono di competenza della Regione tutte le concessioni di piccola derivazione e, inoltre, le concessioni di grande derivazione per utilizzazione diversa da quella idroelettrica.

2. - Appaiono, invece, fondate - e vanno esaminate unitariamente - le doglianze del Presidente del Consiglio dei Ministri relative al fatto che, attraverso la legge impugnata, la materia delle concessioni idriche di competenza della Regione viene ad essere disciplinata senza che esista alcun effettivo strumento di coordinamento degli interessi locali con quelli della rimanente parte del territorio nazionale, e che - nell'intento di realizzare qualcosa che possa tener luogo del necessario coordinamento la legge stessa detti norme (artt. 4 e 7) destinate a regolare la partecipazione di uffici statali, quali il Magistrato delle acque e il Genio civile, a procedure culminanti in provvedimenti regionali, in tal modo invadendo il campo delle norme di attuazione dello Statuto regionale, riservate allo Stato dall'art. 95 dello Statuto stesso.

La prima di tali doglianze attiene indubbiamente alla legittimità e non al merito: essa, infatti, non denuncia la lesione di interessi nazionali, ma semplicemente la mancata predisposizione dei meccanismi giuridici occorrenti per la coordinazione dei molteplici interessi, locali e non locali, concorrenti in ordine all'utilizzazione delle acque pubbliche che scorrono nel territorio del Trentino-Alto Adige. Si é, quindi, fuori dell'ipotesi di ricorso per motivi di merito prevista dall'art. 127, ultimo comma, della Costituzione e dall'art. 49, sesto comma, dello Statuto Trentino-Alto Adige e la competenza a giudicare della questione spetta indubbiamente a questa Corte.

Passando alla sostanza dell'impugnativa, la Corte ritiene unitario il fondamento e il carattere delle doglianze qui esaminate.

In ordine alla esigenza inderogabile che in materia vengano emanate norme volte al coordinamento dei vari interessi affidati alla cura della Regione e a quella dello Stato - interessi da realizzare attraverso adeguate procedure, con la partecipazione degli organismi a essi preposti in base ai rispettivi ordinamenti - non può sussistere alcun dubbio; lo stesso legislatore regionale mostra, nella legge impugnata, di darsi carico di tale esigenza, dato che la legge contempla, nelle procedure preordinate alle concessioni di competenza regionale, la partecipazione di certi organi dello Stato. I corsi d'acqua che scorrono nel Trentino-Alto Adige, a differenza da quelli delle Regioni isolane, generalmente attraversano anche altri territori dello Stato, o si versano in corsi d'acqua che a loro volta attraversano altri territori; le loro acque, in relazione all'ulteriore percorso, sono, dunque, soggette al potere di autorità diverse da quelle della Regione. E, siccome é di immediata evidenza e di comune nozione l'esigenza di considerare e trattare con visione unitaria i vari problemi inerenti a un unico corso d'acqua e al relativo bacino, é chiaro che, per soddisfare tale esigenza allorché il corso d'acqua sia soggetto, nei suoi vari tratti, a poteri di autorità diverse, é indispensabile la coordinazione dell'esercizio di tali poteri. É del pari chiaro però che, quando, come nella specie, trattisi di coordinare poteri statali coi poteri riconosciuti statutariamente a una Regione, la coordinazione non può esser realizzata se non attraverso norme di attuazione delle disposizioni statutarie (v., tra le altre, le sentenze di questa Corte 19 gennaio 1957, n. 15, e 31 marzo 1960, n. 19). E, per regola inderogabile, la competenza a emanare siffatte norme di attuazione spetta allo Stato (v. al riguardo, oltre la sent. n. 19 del 1960, già citata, la sent. 21 gennaio 1957, n. 23), non diversamente da quanto avviene per tutte le altre norme di attuazione. Per la Regione Trentino-Alto Adige, ciò é disposto espressamente nell'art. 95 dello Statuto.

Per quanto riguarda le concessioni di acque pubbliche, come col secondo comma dell'art. 8 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, le disposizioni di attuazione dello Statuto si sono occupate della coordinazione dei poteri statali con quelli regionali nel caso di pendenza di domande concorrenti di competenza rispettivamente dello Stato e della Regione riguardanti concessioni da accordare nel territorio della Regione, così dovranno occuparsi della coordinazione dei poteri statali riguardanti il territorio extraregionale con i poteri regionali riguardanti il territorio della Regione. Infatti, fin quando a tale indispensabile coordinazione non si sarà provveduto con norme di completamento delle disposizioni di attuazione finora emanate (le quali, mentre contengono, nel secondo comma dell'art. 8 e negli artt. 9-16, una disciplina completa dei rapporti tra lo Stato e la Regione in ordine alle concessioni di competenza statale nel territorio della Regione, si limitano, nel primo comma dell'art. 8, in ordine alle concessioni di competenza della Regione, a una mera enunciazione di tale competenza, e sono perciò, al riguardo, insufficienti), la Regione non sarà in condizione di esercitare i poteri normativi e amministrativi statutariamente riconosciutile in materia (vedasi ancora la sent. n. 19 del 1960, già citata).

Se ciò comporta il dovere dello Stato di integrare sollecitamente, sotto il profilo in questione, le disposizioni di attuazione dello Statuto, comporta, a un tempo, che la legge regionale, che forma oggetto della controversia in esame, é da considerare illegittima. E l'illegittimità investe non soltanto gli artt. 4 e 7, ma l'intera legge, in quanto con essa, anticipando i tempi, e prescindendo dalle indispensabili norme statali di coordinamento, la Regione ha ritenuto di poter regolare in modo autonomo la materia delle concessioni idriche di sua spettanza, e di potere essa stessa disciplinare le modalità del coordinamento con i poteri statali e della partecipazione di organi statali alle procedure destinate a concludersi coi provvedimenti di concessione di propria competenza.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

in parziale accoglimento del ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri indicato in epigrafe:

dichiara, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, l'illegittimità costituzionale della legge approvata dal Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige il 24 novembre 1959, e nuovamente approvata il 14 luglio 1960, concernente l'esercizio da parte della Regione delle funzioni amministrative in materia di utilizzazione di acque pubbliche.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 31 marzo 1961.