Sentenza n. 73 del 1960
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 73

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 del T.U. approvato con D. Pres. Reg. sic. 9 giugno 1954, n. 9, e dell'art. 27 della legge reg. sic. 7 dicembre 1953, n. 62, promosso con ordinanza emessa il 5 aprile 1960 dalla Corte costituzionale in due giudizi per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione siciliana, iscritta al n. 51 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 125 del 21 maggio 1960 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 16 del 23 aprile 1960.

Udita nell'udienza pubblica del 23 novembre 1960 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e gli avvocati Carlo Arturo Jemolo e Giuseppe Guarino, per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

In due giudizi per conflitto di attribuzione proposti con ricorsi del 26 giugno 1959 e del 28 luglio 1959, venivano impugnati innanzi a questa Corte, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, rispettivamente il decreto del Presidente della Regione siciliana 23 aprile 1959, n. 146-A, e i decreti del Presidente della Regione siciliana 15 febbraio 1959, n. 77-A, e 22 maggio 1959, n. 184-A. Tutti e tre tali decreti facevano luogo all'annullamento di atti di autorità regionali e di altre autorità locali, nell'esercizio del potere generale di annullamento d'ufficio previsto e regolato dall'art. 6 del T.U. approvato con D. Pres. Reg. sic. 9 giugno 1954, n. 9, al quale facevano espresso richiamo. Nella trattazione dei giudizi l'Avvocatura dello Stato eccepì l'illegittimità costituzionale dell'anzidetto art. 6 nonché dell'art. 27 della legge reg. 7 dicembre 1953, n. 62, dal quale quello traeva legittimazione.

Questa Corte, con ordinanza 5 aprile 1960, n. 22, dopo aver osservato che la mancata impugnativa a suo tempo da parte dello Stato, in via principale, a tutela del proprio ordinamento, dei menzionati artt. 6 e 27, non poteva precludere allo Stato stesso la possibilità di sollevare incidentalmente in giudizio la questione di legittimità costituzionale di quegli articoli al fine di difendere posizioni giuridiche spettantigli in quanto soggetto dell'ordinamento, disponeva la trattazione innanzi a sé della questione di legittimità costituzionale dei citati artt. 6 e 27 (quest'ultimo, "limitatamente agli aspetti per cui é stato trasfuso nell'art. 6 già citato"), in relazione agli artt. 20, 14 e 15 dello Statuto speciale per la Regione siciliana.

Con la stessa ordinanza la Corte procedeva alla riunione dei due giudizi per conflitto di attribuzione e ne rinviava la trattazione, perché questa potesse aver luogo congiuntamente a quella della sollevata questione di legittimità costituzionale.

In data 9 aprile 1960 l'ordinanza fu notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Presidente della Regione siciliana e comunicata al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana. Essa é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 125 del 21 maggio 1960 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione n. 16 del 23 aprile 1960.

Nel giudizio di legittimità costituzionale così instaurato si sono costituiti il Presidente del Consiglio dei Ministri depositando deduzioni in data 23 aprile 1960 e il Presidente della Regione siciliana depositando deduzioni in data 21 maggio 1960.

Per il Presidente del Consiglio dei Ministri l'Avvocatura dello Stato ha, altresì, presentato una memoria in data 19 ottobre 1960.

Nelle deduzioni del 23 aprile l'Avvocatura dello Stato osserva che la giurisprudenza di questa Corte si é costantemente pronunciata nel senso della esclusiva appartenenza al Governo dello Stato del generale potere di annullamento degli atti amministrativi contemplato dall'art. 6 T.U. com. e prov. 3 marzo 1934, n. 383. Ne discende l'illegittimità delle disposizioni legislative della Regione siciliana nei confronti delle quali é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, dato che con esse la Regione, interpretando erroneamente gli artt. 20, 14 e 15 del proprio Statuto speciale, ha inteso attribuirsi - e per giunta in via esclusiva - una potestà di esclusiva competenza statale.

Nelle deduzioni del 21 maggio la Regione ribadisce le argomentazioni contenute nelle difese relative al primo dei due ricorsi per conflitto di attribuzione. Riafferma che quello a suo tempo realizzato col decreto del Presidente regionale fu un potere di annullamento "nell'ambito della medesima amministrazione" e non un annullamento di tipo governativo. Aggiunge che il potere previsto dall'art. 6 T.U. reg. del 1954, n. 9, sarebbe, in effetti, un potere diverso da quello previsto dall'art. 6 T.U. statale n. 383 del 1934, e che, comunque, l'esistenza di un potere generale di annullamento del Governo dello Stato non può escludere la coesistenza di un analogo potere regionale territorialmente limitato. Osserva che, se l'art. 20 attribuisce alla Regione potestà amministrativa in tutti i campi in cui ha potestà legislativa, non si può negare la legittimità di leggi regionali che attribuiscono al Governo regionale la possibilità di annullare provvedimenti amministrativi nei singoli settori ai quali si estende la potestà normativa della Regione, e, in particolare, nella materia del regime degli enti locali, in quella degli enti regionali, in quella delle opere pie (lettere o, p, ed m dell'art. 14 ed art. 15 St. spec.): non possono ammettersi riserve di potere statale oltre quelle previste dallo Statuto; e nello Statuto non esiste alcuna riserva, a favore dello Stato, del potere di annullamento nelle materie di competenza regionale.

A queste ultime osservazioni l'Avvocatura dello Stato replica, tra l'altro, nella memoria del 19 ottobre, che il potere governativo di annullare in ogni tempo gli atti amministrativi illegittimi di qualsiasi autorità non rientra né nel concetto di "ordinamento", né in quello di "controllo" degli enti locali, materie alle quali soltanto é limitata la competenza regionale a riguardo degli enti locali. Tra le altre considerazioni l'Avvocatura aggiunge che la Giunta regionale siciliana non é considerata dallo Statuto come un organo dotato di competenza amministrativa: "anche per queste considerazioni perciò deve escludersi che con gli atti impugnati la Giunta abbia esplicato poteri amministrativi di autotutela, che l'ordinamento regionale non le attribuisce".

L'Avvocatura dello Stato conclude chiedendo che venga dichiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative nei confronti delle quali é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale. La difesa della Regione conclude nel senso opposto.

Nella discussione orale le difese hanno insistito nelle rispettive argomentazioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - Sebbene, per evidenti ragioni di opportunità, i due giudizi sui conflitti di attribuzione, introdotti coi ricorsi del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 giugno 1959 e del 28 luglio 1959 e riuniti con l'ordinanza di questa Corte del 5 aprile 1960, n. 22, siano stati discussi congiuntamente alla questione sollevata con la stessa ordinanza, relativa alla legittimità costituzionale delle norme invocate dalla Regione siciliana a fondamento del potere esercitato con i decreti impugnati dallo Stato coi menzionati ricorsi, la Corte ritiene che, data la diversità dei rispettivi oggetti, le due cause già riunite relative ai conflitti di attribuzione e quella relativa alla questione di legittimità costituzionale siano da decidere con separate sentenze. Pertanto, mentre con altra sentenza di pari data vengono decisi i due giudizi per conflitto di attribuzione, la presente sentenza riguarda unicamente la questione di legittimità costituzionale.

2. - Sia nei propri scritti, sia, particolarmente, nella discussione orale, la difesa della Regione ha insistito nella tesi - già sostenuta prima dell'emanazione dell'ordinanza dalla quale trae origine il presente giudizio di legittimità costituzionale -, secondo la quale la Corte non avrebbe potuto sollevare essa stessa, in un giudizio per conflitto di attribuzione, l'incidente di legittimità costituzionale di una legge che regola la materia, ostandovi l'art. 137 Cost., l'art. 1 legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, gli artt. 23 e segg. legge 11 marzo 1953, n. 87.

La Corte non ritiene precluso dalla propria ordinanza n. 22 il riesame di tale punto. Quando sia investita di una questione di legittimità costituzionale, e da chiunque lo sia, essa ha, infatti, innanzi tutto, il dovere e il potere di esaminare, ai fini della proponibilità della questione, la idoneità del soggetto e dell'atto.

Propostosi ed esaminato il problema dell'ammissibilità del giudizio di legittimità costituzionale in esame, la Corte non può però non riaffermare la infondatezza, in merito, delle obbiezioni sollevate dalla difesa della Regione, ribadendo il proprio convincimento, enunciato nell'ordinanza n. 22. L'art. 1 legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, legittima la Corte a sollevare in via incidentale, in un giudizio per conflitto di attribuzione, la questione della legittimità costituzionale delle disposizioni legislative in base alle quali il conflitto dovrebbe esser risolto, senza che alcuna preclusione possa derivare, al riguardo, dal fatto che il giudizio per conflitto di attribuzione verta tra gli stessi enti, l'uno dei quali avrebbe potuto sollevare, e non sollevò, a suo tempo, in via principale, mediante ricorso contro la legge dell'altro, la questione di cui trattasi. Questo punto é già stato sufficientemente motivato nell'ordinanza n. 22; e la Corte non ritiene di dover modificare quelle argomentazioni o aggiungerne altre.

3. - Allo scopo di risolvere la proposta questione di legittimità costituzionale, é bene esaminare la genesi e la funzione dell'art. 27 della legge reg. 7 dicembre 1953, n. 62, e dell'art. 6 del T.U. approvato col D. Pres. Reg. 9 giugno 1954, n. 9.

L'art. 1 legge reg. 7 dicembre 1953, n. 62, statuiva: "Le disposizioni del Testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, e le successive modificazioni, sono integrate e modificate, nel territorio della Regione siciliana, in conformità degli articoli seguenti".

L'art. 27 della stessa legge aggiungeva: "Le disposizioni contenute nella legislazione in materia comunale e provinciale riguardanti la competenza di organi ed autorità dell'ordinamento generale dello Stato debbono intendersi riferibili, nell'ambito della Regione, agli organi ed autorità regionali sostituiti nell'esercizio della relativa competenza".

L'art. 2 della successiva legge reg. 14 dicembre 1953, n. 67, autorizzava il Governo della Regione al coordinamento della legge stessa con quella n. 62 già ricordata, e, inoltre, "al coordinamento in testo unico della legislazione in materia comunale e provinciale vigente nel territorio della Regione siciliana".

In base a quest'ultima disposizione, fu emanato, con D. Pres. Reg. 9 giugno 1954, n. 9, il "Testo unico della legislazione in materia comunale e provinciale vigente nel territorio della Regione siciliana".

Il Governo regionale si limitò, con tale Testo unico, a ordinare insieme, senza alcuna modificazione, le singole disposizioni normative, di fonte statale e di fonte regionale, allora vigenti ai sensi delle leggi regionali n. 62 e n. 67 del 1953. Nel Testo unico così compilato - che non é una fonte di produzione giuridica, ma una mera fonte di cognizione - é frequente il caso di disposizioni legislative riportate più volte, nelle singole sedi nelle quali sono contenute preesistenti disposizioni cui esse globalmente si riferiscono. Così, appunto, é a dire per l'art. 27 legge reg. n. 62 del 1953, il quale figura, ad es., come ottavo comma dell'art. 5, e come terzo comma dell'art. 6. E altrettanto é a dire per l'art. 2 legge reg. 1 luglio 1947, n. 3, il quale figura, ad es., come ultimo comma sia nell'art. 5 che nell'art. 6 del Testo unico.

In particolare, l'art. 6 del T.U. n. 9 é composto di quattro commi, dei quali i primi due riproducono testualmente i due commi dell'art. 6 del T.U. com. e prov. statale appr. con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, il terzo riproduce testualmente l'art. 27 legge reg. n. 62 del 1953, sopra riportato, e il quarto riproduce testualmente l'art. 2 legge reg. n. 3 del 1947 ("Fino a quando l'Assemblea regionale non avrà proceduto a regolare l'ordinamento amministrativo della Regione, i poteri del Governo regionale sugli enti locali sono esercitati a mezzo degli organi attualmente esistenti secondo le rispettive competenze"). Data la struttura del T.U., é chiaro che le disposizioni inserite nei commi terzo e quarto dell'art. 6 sono da considerare, in quanto tali, operanti soltanto in relazione alle disposizioni inserite nei commi primo e secondo dello stesso articolo.

La genesi e il contenuto dell'art. 6 del T.U. n. 9 rivelano, comunque, che l'intento del legislatore siciliano fu quello di avocare, "nell'ambito della Regione", esclusivamente al Governo regionale il potere governativo generale di annullamento d'ufficio in qualunque tempo degli atti amministrativi di qualsiasi autorità, previsto e disciplinato dall'art. 6 T.U. com. e prov. statale del 1934. É strano, dunque, che una delle tesi difensive della Regione consista nel negare che quello che la Regione si é assunto sia il medesimo potere considerato dall'art. 6 di quest'ultimo testo unico.

4. - Resta da esaminare se, in base al suo Statuto speciale, la Regione siciliana potesse far proprio, nel suo "ambito", il potere di cui si tratta.

Con le sentenze 26 gennaio 1957, n. 24, e 16 aprile 1959, n. 23, questa Corte ha già esaminato e risolto in senso negativo il problema, con riferimento ad altre Regioni (Sardegna e Trentino-Alto Adige). Nella seconda delle riferite sentenze la Corte ha avuto modo di precisare che quello di cui trattasi é un potere di alta amministrazione e inerisce al carattere unitario dell'ordinamento della pubblica Amministrazione nonostante la molteplicità dell'articolazione dell'organizzazione statale in una pluralità di organismi di varia autonomia. In quella occasione fu anche sottolineato che il potere stesso va tenuto ben distinto dai poteri amministrativi di controllo, dato che si caratterizza, rispetto a questi, per la estemporaneità e la discrezionalità, essendo connesso con le mutevoli esigenze e valutazioni dell'interesse pubblico. Da tali caratteristiche la Corte ha tratto la conseguenza che il potere di cui trattasi non può essere esercitato da altri che dal Governo dello Stato (v. anche la sent. 26 novembre 1959, n. 58).

Né la conclusione può esser diversa riguardo alla Regione siciliana. E vero che - come la sua difesa insistentemente afferma - lo Statuto della Regione siciliana (peraltro non ancora completamente tradotto in norme d'attuazione) attribuisce a questa Regione una differenziata e più vasta autonomia. Ma tutto ciò, se vale a farle riconoscere, nel sistema delle autonomie e del decentramento realizzato nel Paese, una posizione di particolare rilievo, non può valere ad attribuirle poteri ulteriori rispetto a quelli statutariamente conferitile. Infatti, é principio cardinale del sistema vigente che le Regioni non siano ammesse ad esercitare altri poteri, fuori di quelli ad esse riconosciuti con norme costituzionali. E ciò comporta, tra l'altro, che non si può ritenere che il Governo regionale sia subentrato, nell'ambito della Regione, a quello statale, se non nei limiti in cui ciò sia stato direttamente o indirettamente previsto dallo Statuto (come, p. es., é avvenuto per il potere di decisione dei ricorsi straordinari).

Perché l'avocazione al Governo regionale, nell'ambito della Regione siciliana, mediante legge di quest'ultima, del potere governativo di annullamento in qualunque tempo degli atti amministrativi di qualsiasi autorità potesse esser considerata costituzionalmente legittima, occorrerebbero delle norme costituzionali che ciò prevedessero. Ma tali norme non esistono.

5. - Né é possibile aderire alla tesi della Regione, secondo la quale la disciplina legislativa del potere di cui trattasi e il potere stesso, non rappresentando questo una "materia" a sé, ma inerendo alle singole "materie" in relazione alle quali può essere esercitato, dovrebbero ritenersi spettare senz'altro alla Regione in relazione a tutte le "materie", che, in base agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto regionale, rientrano nella competenza legislativa e amministrativa della Regione. Si é già visto, infatti, - e se ne sono spiegate le ragioni - che quello in questione é un potere statale di carattere onnicomprensivo, il quale non inerisce ai singoli settori dell'attività amministrativa, e neanche ai poteri di supremazia e di controllo propri dei singoli settori. É da escludere quindi, in mancanza di altre disposizioni costituzionali, che esso sia passato alla Regione pel solo fatto che a questa é stata trasferita la potestà legislativa e amministrativa nelle singole "materie" in ordine alle quali il potere in questione é suscettibile di essere esercitato. Il quesito e la soluzione si pongono in proposito, per la Regione siciliana, in termini per nulla diversi da quelli in cui si pongono per le altre Regioni. Dunque, come é stata necessaria una norma costituzionale ad hoc per il passaggio dallo Stato alla Regione siciliana del potere di decisione dei ricorsi straordinari - il quale é anch'esso un potere onnicomprensivo -, così soltanto una norma costituzionale ad hoc avrebbe potuto importare il trasferimento dallo Stato alla Regione dei poteri in materia di annullamento governativo d'ufficio in qualunque tempo degli atti di qualsiasi autorità amministrativa.

6. - Da quanto precede risulta che l'intero art. 6 del T. U. reg. 9 giugno 1954, n. 9, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo. E del pari deve esserlo l'art. 27 della legge reg. 7 dicembre 1953, n. 62, per il fatto di aver legittimato e reso possibile l'avocazione alla Regione del potere governativo generale di annullamento, e limitatamente a tale suo profilo (in vista del quale, appunto, é stato trasfuso nell'art. 6 cit., diventandone il terzo comma).

L'annullamento va poi esteso - in applicazione dell'art. 27, ult. parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87 - alle disposizioni modificative del terzo comma dell'art. 343 T.U. com. e prov. del 1934, contenuto nell'art. 20 della legge reg. sic. 7 dicembre 1953, n. 62, e alle disposizioni dell'art. 1 della legge reg. sic. 14 dicembre 1953, n. 67, che hanno sostituito il comma così modificato con due nuovi commi. Esso va, inoltre, esteso agli ultimi due commi dell'art. 427 del T.U. reg. 9 giugno 1954, n. 9. Infatti, i commi terzo e quarto dell'art. 343 cit. con le modificazioni introdottevi con le leggi n. 62 e n. 67 di cui si é detto, fanno "salvo" il potere di annullamento del Governo regionale implicato dal cit. art. 27 della legge n. 62, e ne richiamano la disciplina; l'art. 427 del T.U. n. 9 riproduce testualmente (secondo il sistema adottato per la redazione di tale testo unico) il contenuto dell'art. 343 cit., modificato come si é detto. É fuori dubbio, quindi, che l'illegittimità dei commi terzo e quarto dell'art. 343, nel testo anzidetto, e dell'art. 427, deriva (secondo la formula dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87) come "conseguenza della decisione adottata" nei confronti dell'art. 27 legge reg. n. 62 del 1953 e dell'art. 6 T.U. reg. n. 9 del 1954.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale:

- dell'art. 6 e dei commi terzo e quarto dell'art. 427 del T.U. approvato con D. Pres. Reg. sic. 9 giugno 1954, n. 9;

- dell'art. 27 legge reg. sic. 7 dicembre 1953, n. 62, per la parte relativa all'avocazione alla Regione del potere governativo generale di annullamento;

- delle disposizioni dell'art. 20 legge reg. sic. 7 dicembre 1953, n. 62, e dell'art. 1 legge reg. sic. 14 dicembre 1953, n. 67, che introducono modificazioni e aggiunte all'art. 343 T.U. com. e prov. approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI.

 

Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 1960.