Sentenza n. 43 del 1960
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SENTENZA N. 43

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti promossi con i seguenti ricorsi:

1) ricorso proposto dal Ministro dei lavori pubblici, notificato il 10 marzo 1960, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 17 successivo ed iscritto al n. 3 del Registro ricorsi 1960, per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Provincia di Bolzano e nei confronti della Regione Trentino-Alto Adige, sorto a seguito della deliberazione 2 febbraio 1960 della Giunta provinciale di Bolzano e del decreto 4 febbraio 1960 del Presidente della Giunta medesima, con i quali atti é stata revocata la nomina del dott. Marcello D'Amico a Commissario straordinario dell'Istituto provinciale per le case popolari nella Provincia di Bolzano ed é stato nominato, in sua sostituzione, il dott. Gustavo Messner;

2) ricorso proposto dal Presidente della Giunta regionale del Trentino-Alto Adige, notificato il 21 marzo 1960, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 23 successivo ed iscritto al n. 4 del Registro ricorsi 1960, per conflitto di attribuzione tra la Regione Trentino-Alto Adige e lo Stato, sorto a seguito del decreto del Ministro dei lavori pubblici 20 gennaio 1960 con il quale é stato nominato il dott. Marcello D'Amico Commissario straordinario dell'Istituto provinciale per le case popolari nella Provincia di Bolzano.

Udita nell'udienza pubblica del 25 maggio 1960 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Luigi Tavassi La Greca, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per il Ministro dei lavori pubblici, l'avv. Giuseppe Guarino, per la Regione Trentino-Alto Adige e per la Provincia di Bolzano, e l'avv. Feliciano Benvenuti, per la Regione Trentino-Alto Adige.

 

Ritenuto in fatto:

 

1. - Con decreto 20 gennaio 1960, n. 797 (pubblicato in sunto nella Gazzetta Ufficiale 27 gennaio 1960, n. 21), il Ministro dei lavori pubblici, ritenuto che l'amministrazione dell'Istituto autonomo per le case popolari della Provincia di Bolzano si presentasse "in condizioni evidentemente anormali in conseguenza delle dimissioni rassegnate dal Presidente dell'Ente e della scadenza dell'incarico di più membri del Consiglio di amministrazione" onde ne risultava "compromesso il normale funzionamento", e ritenuto che fosse, pertanto, opportuna una temporanea gestione straordinaria dell'Istituto, - consentita, date le circostanze, dall'art. 3 legge 1 marzo 1952, n. 113, scioglieva l'amministrazione ordinaria e nominava Commissario governativo per la gestione straordinaria dell'Istituto, per la durata di sei mesi, il Vice Prefetto dott. Marcello D'Amico, il quale si insediava nell'ufficio il 25 gennaio.

2. - Il 26 gennaio 1960 fu depositata la sentenza di questa Corte n. 2 del 22 gennaio 1960, che definiva il giudizio promosso dalla Regione Trentino-Alto Adige in ordine alla legittimità costituzionale delle norme di attuazione dello Statuto, emanate col D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 28.

In relazione al terzo comma dell'art. 6, la sentenza, dopo aver ritenuto non fondati i motivi che si riferivano alla prima parte del comma stesso, giudicava invece (punto 9) fondata la censura relativa all'ultima parte del terzo comma, secondo la quale "rimangono ferme le attribuzioni delle amministrazioni dello Stato di intesa con le Province di Trento e di Bolzano in ordine alla nomina degli organi amministrativi degli istituti stessi" (cioè degli istituti autonomi per le case popolari). Nella sentenza si legge che "Non si può disconoscere che, col mantenere immutata al riguardo la competenza degli organi statali, si viene ad istituire un penetrante controllo sugli organi amministrativi degli istituti anzidetti. Controllo che non appare conforme alla logica del sistema, seguito dal decreto legislativo impugnato, dato che trasferisce alle Province i poteri di vigilanza sugli istituti autonomi, riservandola al Ministero per i lavori pubblici, per quanto attiene alle case costruite a totale carico dello Stato; e prevede inoltre (art. 5) che le Province stesse possano costituire una Commissione di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica per l'esercizio delle funzioni amministrative, di cui al primo comma dell'art. 131 del T.U. del 1938.

"Sotto tale aspetto, pertanto, é palese la menomazione dei poteri che vengono a subire le Province; alle quali, per armonia di sistema, dovrebbe spettare l'iniziativa delle nomine anzidette, provvedendo, ovviamente, d'accordo con lo Stato, nella forma dell'intesa, già adottata da altre norme di attuazione e dall'art. 11 del decreto impugnato".

Di conseguenza la Corte dichiarava l'illegittimità costituzionale della riferita disposizione contenuta nell'ultima parte del terzo comma dell'art. 6.

3. - A seguito di questa sentenza, e ritenendo fondata in essa la competenza della Provincia, con decreto 4 febbraio 1960 (pubbl. nel Boll. uff. della Regione T. - A. A. 9 febbraio 1960, n. 6), il Presidente della Giunta provinciale di Bolzano, in esecuzione della deliberazione della Giunta 2 febbraio 1960, n. 193/3954, disponeva:

"1) É nominato Commissario straordinario dell'Istituto provinciale per le case popolari, in sostituzione del vice-Prefetto ispettore dott. Marcello D'Amico, revocato da tale carica, il funzionario dell'amministrazione provinciale di Bolzano dott. Gustav Messner;

"2) Il nuovo Commissario straordinario ha il compito di svolgere l'ordinaria gestione dell'Istituto provinciale per le case popolari e di predisporre l'adeguamento dello statuto dell'Istituto alla nuova situazione giuridica creatasi in seguito all'emanazione delle norme di attuazione in materia di case popolari ed alla sentenza della Corte costituzionale del 22 gennaio 1960, n. 2, in particolare per quanto concerne la composizione degli organi amministrativi collegiali e le modalità della loro nomina".

4. - Il Ministro dei lavori pubblici - all'uopo delegato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, con nota del 13 febbraio 1960 -, con ricorso per regolamento di competenza, notificato il 10 marzo 1960 al Presidente della Giunta provinciale di Bolzano e al Presidente della Giunta della Regione Trentino-Alto Adige, ha sollevato conflitto di attribuzione in dipendenza della citata deliberazione della Giunta provinciale di Bolzano e del decreto del Presidente della Giunta medesima chiedendo, in via preliminare, la sospensione dei provvedimenti impugnati, e, nel merito, la dichiarazione della "illegittimità costituzionale dei provvedimenti medesimi, i quali hanno invaso la sfera di competenza statale, con tutte le conseguenziali statuizioni di legge".

5. - A sua volta il Presidente della Giunta regionale T.-A. A., con ricorso notificato il 21 marzo 1960 al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dei lavori pubblici, ha sollevato conflitto di attribuzione in dipendenza del decreto del Ministro dei lavori pubblici 20 gennaio 1960, n. 797, chiedendo, in via preliminare, la sospensione del provvedimento impugnato, e, nel merito, la dichiarazione di appartenenza alla Provincia del potere esercitato dallo Stato e, di conseguenza, l'annullamento del provvedimento impugnato, per aver invaso la competenza costituzionale della Provincia.

6. - Questa Corte esaminò congiuntamente, nella camera di consiglio del 5 aprile u. s., le due istanze di sospensione, e con ordinanza n. 21, depositata il 6 aprile, mentre respinse quella presentata dalla Regione, accolse quella presentata dallo Stato, e ordinò la sospensione della delibera della Giunta provinciale 2 febbraio 1960 e del decreto del Presidente della Giunta 4 febbraio 1960.

7. - Resta ora da trattare il merito dei due ricorsi.

Nel ricorso proposto dal Ministro dei lavori pubblici, l'Avvocatura dello Stato deduce la violazione degli artt. 134 Cost.; 5, n. 2, 11, n. 11, 13, 55 e 95 Statuto spec. T.-A.A.; 39 e 42 legge n. 87 del 1953; 1, n. 6, 3, secondo comma, 4 e 6 delle norme di attuazione di cui al D.P.R. n. 28 del 1959.

In particolare osserva, in primo luogo, che la Provincia di Bolzano "credendo di poter far leva sulla sentenza n. 2 del 1960", ha revocato, con propri provvedimenti, un atto emanato da organi statali da essa ritenuto viziato di incompetenza: in tal modo avrebbe violato gli artt. 134 Cost., 39 e 42 legge n. 87 del 1953 e 27 delle Norme integrative, i quali, per l'eventuale invasione da parte dello Stato della sfera di competenza della Provincia, prevedono il rimedio specifico del ricorso per regolamento di competenza. Inoltre il potere di scioglimento dell'amministrazione ordinaria e di nomina di un Commissario straordinario, rientrando nel potere di controllo sugli organi degli enti locali, spetterebbe allo Stato e non alla Regione o alla Provincia. Comunque, eliminata, a seguito della sentenza n. 2 del 1960, la seconda parte del terzo comma dell'art. 6 D.P.R. n. 28 del 1959, sarebbe sorta la necessità di una nuova norma di attuazione, la quale non potrebbe essere emanata che dallo Stato (art. 95 Statuto). A ogni modo, pur ammesso che, accanto alla vigilanza del Ministero dei lavori pubblici - sicuramente prevista dalla prima parte del terzo comma dell'art. 6 delle norme di attuazione per quanto concerne le attribuzioni dell'I. A. C. P. in ordine alle case popolari costruite a totale carico dello Stato - potesse sussistere un potere di vigilanza della Provincia per le case non costruite dallo Stato, data la coesistenza di due poteri promananti da enti diversi, sarebbe indispensabile anche sotto questo profilo "una disciplina unitaria da affidarsi a nuove norme di attuazione", di competenza statale ex art. 95 Statuto.

Aggiunge, anzi, l'Avvocatura che gli Istituti autonomi per le case popolari rientrerebbero nel n. 6 dell'art. 1 delle norme di attuazione di cui al D. P. R. n. 28, il quale, adeguandosi al disposto dell'art. 55 Statuto, stabilisce che restano alla competenza legislativa dello Stato i settori concernenti "l'ordinamento e il funzionamento degli enti e istituti che hanno per fine la costruzione e la gestione di case economiche e popolari e che svolgono la loro attività anche al di fuori del territorio della Regione". Donde l'esclusione di ogni competenza provinciale in relazione agli istituti stessi.

Infine, l'Avvocatura osserva che i provvedimenti impugnati non sono stati preceduti da alcuna intesa o accordo con gli organi statali, nonostante l'affermazione contenuta nella sentenza n. 2 della Corte, in base alla quale la nomina degli amministratori degli istituti dovrà aver luogo "d'accordo con lo Stato nella forma dell'intesa".

Tali argomenti sono stati ribaditi dall'Avvocatura dello Stato in una memoria depositata il 12 maggio 1960, la quale si sofferma in particolare a dimostrare che la spettanza alla Provincia del potere di nomina degli organi ordinari dell'Istituto non importa che a essa spetti anche il potere di scioglimento di tali organi e di nomina di quelli straordinari; quest'ultimo potere inerisce, infatti, all'attività di controllo, e alla Provincia di Bolzano il potere di controllo sugli enti locali spetterebbe - ai sensi dell'art. 48, n. 5, dello Statuto - solo in relazione agli atti e non anche in relazione agli organi, essendo il controllo sugli organi espressione di un potere istituzionalmente e gelosamente statale.

In questo giudizio non si é costituita la Regione, ma solo la Provincia di Bolzano.

Con deduzioni depositate il 26 marzo 1960 essa obbietta, in primo luogo, che, con l'entrata in vigore delle norme di attuazione contenute nel decreto n. 28 del 1959 che regolano l'intera materia delle case popolari, sarebbe avvenuto il trasferimento alla Provincia della potestà amministrativa in tutta tale materia.

Osserva poi che, quando é eliminata una norma eccezionale, cade l'ostacolo che sussisteva per l'applicazione della norma generale: onde, dichiarata illegittima l'ultima parte dell'art. 6 del decreto n. 28 del 1959, dovrebbero trovare applicazione gli artt. 11 e 13 Statuto speciale e 1, 3 e 6 delle norme di attuazione, in base ai quali spetterebbe alla Provincia "la competenza esclusiva, legislativa e amministrativa, in materia di case popolari e, in particolare, nel settore degli I. A. C. P.".

La revoca, da parte della Provincia, del precedente Commissario nominato dallo Stato non conterrebbe alcuna invasione di competenza altrui o inosservanza di norme costituzionali, essendo stata adottata nell'esercizio di un potere riconosciuto alla Provincia dalla sentenza n. 2, intervenuta quando il Commissario statale era già in carica, senza che lo Stato potesse più adottare alcun provvedimento nei confronti di lui (dato appunto il trasferimento dei poteri alla Provincia).

Poiché la vigilanza e la tutela sugli enti locali non spetta allo Stato, ma é attribuita alla Giunta provinciale dall'art. 48, n. 5, Statuto speciale, alla stessa spetterebbero i poteri effettivamente esercitati nel caso in esame.

Siccome l'I.A.C.P. di Bolzano é un ente locale, é chiaro che esso non rientra fra quelli indicati nel n. 6 dell'art. 1 delle norme di attuazione, in relazione ai quali lo Stato ha conservato integre le sue potestà.

A seguito della sentenza n. 2 della Corte, non esisterebbe de jure condito alcun obbligo della Provincia, nel provvedere alla nomina degli organi amministrativi dell'I. A. C. P., di procedere di intesa con lo Stato; il che, peraltro, non esclude che de jure condendo possa essere stabilito quest'obbligo, conforme alle indicazioni della Corte.

In una memoria depositata il 12 maggio 1960, la difesa della Provincia, mentre riafferma le argomentazioni contenute nelle deduzioni del 26 marzo, aggiunge che, qualora dovesse escludersi che la materia dello scioglimento dell'amministrazione ordinaria dell'I.A.C.P. di Bolzano e della sostituzione di essa con un'amministrazione straordinaria spetti oggi alla competenza amministrativa della Provincia ai sensi dell'art. 3 del D.P.R. n. 28 del 1959, si porrebbe la questione della legittimità costituzionale dell'art. 3 legge 1 marzo 1952, n. 113 (che la Corte dovrebbe sollevare incidentalmente), dato che tale disposizione, emanata dopo l'entrata in vigore dello Statuto T.-A.A., contrasterebbe con gli artt. 11 e 13 di questo, attribuendo al Ministro dei lavori pubblici una competenza appartenente alla Provincia di Bolzano. Né varrebbe obbiettare che nel 1952 non erano state ancora emanate le norme di attuazione dello Statuto in materia di case popolari, giacché, "se é vero che l'assenza di norme di attuazione impedisce il trasferimento alla Provincia delle competenze disciplinate da leggi anteriori allo Statuto, essa tuttavia non consente allo Stato di regolare ex novo la materia con norme difformi dallo Statuto".

8. - Nel ricorso proposto dalla Regione Trentino - Alto Adige viene lamentata la violazione, da parte del provvedimento statale impugnato, degli artt. 13, 48, n. 5, e 54, Statuto speciale e 1, 3 e 6 del decreto n. 28 del 1959.

Il decreto ministeriale 20 gennaio 1960, col quale lo Stato ha proceduto per suo conto alla nomina del Commissario dell'I. A. C. P. di Bolzano, avrebbe violato le norme di attuazione, invadendo la competenza costituzionale della Provincia, giacché: a) al momento della emanazione di esso era in vigore l'ultima parte del terzo comma dell'art. 6 delle norme di attuazione, che per la nomina degli organi amministrativi da parte dello Stato imponeva l'intesa con la Provincia; b) dichiarata illegittima la citata disposizione di carattere eccezionale, non può trovare applicazione il diritto anteriore all'emanazione delle norme di attuazione, ma occorre far riferimento ai principi desumibili sia dallo Statuto sia dalle altre norme di attuazione non dichiarate illegittime. Scomparsa la deroga, é venuto meno l'ostacolo che si frapponeva all'efficacia dei precetti generali e in particolare dell'art. 3 del decreto n. 28 che dà attuazione agli artt. 11 e 13 Statuto speciale e trasferisce in concreto alla Provincia le attribuzioni di cui al T.U. dell'edilizia popolare.

Il provvedimento impugnato violerebbe comunque l'art. 48 dello Statuto, che demanda alla Provincia la vigilanza (e quindi il potere di nomina di commissari) sugli enti ed istituti locali.

Esso violerebbe infine l'art. 54 dello Statuto, dovendosi considerare la iniziativa ed il concorso attivo della Provincia nella nomina, come uno specifico mezzo per assicurare l'uguaglianza dei gruppi linguistici nella costituzione dell'organo straordinario di un ente pubblico locale, quale é l'I.A.C.P. di Bolzano.

Nella sue deduzioni depositate il 29 marzo 1960, l'Avvocatura dello Stato sostanzialmente contrappone al ricorso della Regione gli stessi argomenti portati nel proprio ricorso del quale già si é riferito.

Aggiunge però che la nomina del Commissario straordinario é provvedimento di carattere eccezionale ed autonomo, che non fa capo al potere di nomina dei "normali organi amministrativi" dell'I.A.C.P. che, secondo l'ultima parte del terzo comma dell'art. 6 del decreto n. 28 del 1959, doveva essere esercitato dallo Stato, "d'intesa" con la Provincia, e secondo la sentenza n. 2 di questa Corte dovrà essere esercitato dalla Provincia d'intesa con lo Stato.

A quest'ultimo riguardo la Regione, in una memoria depositata il 12 maggio (nella quale, prima di tutto, conferma che l'oggetto della propria impugnativa non é lo scioglimento del vecchio Consiglio di amministrazione dell'Istituto, ma solo la nomina del Commissario straordinario), obbietta che la disposizione dell'art. 6, dichiarata illegittima dalla Corte, non fa alcuna distinzione tra organi normali e straordinari. Comunque, posto che la disposizione non riguardasse gli organi straordinari, dovrebbe, una volta di più, ricavarsene che la competenza alla nomina di questi spetterebbe alla Provincia ex art. 3 del decreto n. 28, giacché tale articolo attribuisce alla Provincia tutte le competenze amministrative già statali in materia di case popolari, salvo le deroghe degli articoli successivi.

Nella memoria inoltre la Regione contesta che vi sia analogia tra il presente caso e quello deciso con la sentenza di questa Corte 29 marzo 1960, n. 14, che dichiarò infondata la denuncia di illegittimità dell'art. 7 D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 97 (norme di attuazione dello Statuto T. - A. A. in materia di assistenza e beneficenza), il quale attribuisce allo Stato la potestà di scioglimento delle amministrazioni degli enti di assistenza e beneficenza, "oltre che per motivi di ordine pubblico, anche nei casi di persistenti violazioni di leggi": l'analogia mancherebbe, dato che il potere statale di scioglimento previsto dal citato decreto avrebbe carattere sostitutivo, potendo essere esercitato solo "se gli organi regionali non provvedono entro tre mesi dalla richiesta del Commissario del Governo".

Quanto all'osservazione dell'Avvocatura secondo la quale, data la coesistenza, negli Istituti per le case popolari, di funzioni di pertinenza regionale e di pertinenza statale, e la vigilanza statale sugli Istituti prevista accanto a quella regionale dall'art. 6 D.P.R. n. 28, in ogni caso i controlli repressivi sugli organi degli Istituti dovrebbero necessariamente esser disciplinati da norme di attuazione destinate a tener conto di tale coesistenza, la memoria obbietta, da un lato, che l'osservazione é de jure condendo e non de jure condito, e, dall'altro, che appunto dal testo in vigore dell'art. 6 (dal quale é stata eliminata l'ultima parte) si ricava che nel Trentino Alto Adige lo Stato ha competenza solo per una "vigilanza ristretta all'attività", e non anche per un controllo sugli organi degli Istituti.

Nessun altro argomento é stato portato dalla Avvocatura dello Stato, oltre quelli contenuti nelle deduzioni e nella memoria della quale già si é riferito a proposito dell'altro ricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con decreto 20 gennaio 1960, impugnato dalla Regione Trentino-Alto Adige, il Ministro dei lavori pubblici, richiamandosi all'art. 3 della legge 1 marzo 1952, n. 113 (modificativo dell'art. 27 T. U. edilizia popolare ed economica 28 aprile 1938, n. 1165), si é proposto di assicurare, mediante un'amministrazione straordinaria, il "normale funzionamento" dell'Istituto per le case popolari della Provincia di Bolzano, che - come si afferma nel decreto (e in questa sede non importa accertare se ciò corrisponda o meno alla realtà) - non era più in grado di funzionare in regime di amministrazione ordinaria a causa delle dimissioni del presidente e della scadenza dei termini di durata in carica di vari componenti del consiglio.

A sua volta la Provincia di Bolzano, con la deliberazione del 2 febbraio 1960 della sua Giunta e col decreto del 4 febbraio del Presidente della Giunta (esecutivo di quella deliberazione), entrambi impugnati dallo Stato, revocando il Commissario straordinario nominato col menzionato decreto del Ministro dei lavori pubblici, e sostituendolo con un altro Commissario straordinario di propria scelta, ha ritenuto di far uso di un potere ad essa derivante dal sistema delle norme di attuazione dello Statuto T. - A. A., approvate col D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 28, così come modificato in conseguenza della sentenza di questa Corte 26 gennaio 1960, n. 2.

Al fine di decidere sui conflitti di competenza sorti a seguito dei provvedimenti della Provincia di Bolzano e dello Stato impugnati in questa sede, occorre appunto esaminare quest'ultimo sistema, limitatamente ai poteri dello Stato e delle Province nel settore degli Istituti autonomi delle case popolari.

2. - L'art. 3 del D.P.R. n. 28 dispose, tra l'altro, il trasferimento alle Province del Trentino-Alto Adige (con alcune eccezioni) delle attribuzioni amministrative in materia di edilizia popolare ed economica che il T.U. 28 aprile 1938, n. 1165, e successive modificazioni e integrazioni demandano, nel rimanente territorio dello Stato, al Ministero dei lavori pubblici. Fece però "salvo quanto disposto negli articoli seguenti".

Uno degli articoli seguenti, l'art. 6, a sua volta, dopo essersi, ai primi due commi, preoccupato della conservazione, nella Regione, degli Istituti autonomi per le case popolari, del loro patrimonio, delle loro attribuzioni, e della posizione degli assegnatari degli alloggi di loro pertinenza, al terzo comma, da un lato (primo periodo), riservò allo Stato e alle Province la vigilanza sugli atti posti in essere dagli Istituti rispettivamente nell'esercizio di attività di pertinenza statale o provinciale, e, dall'altro (secondo periodo), conservò allo Stato - "d'intesa con le Province" - le precedenti attribuzioni "in ordine alla nomina degli organi amministrativi" degli Istituti.

Dal terzo comma dell'art. 6 risultava, dunque, un sistema armonico, ispirato, in primo luogo, a fare in modo che le Province non potessero in alcun modo ingerirsi nei settori di attività degli Istituti di esclusiva pertinenza statale, e, in secondo luogo, ad evitare che, per quel che riguarda i provvedimenti da adottare nei confronti degli Istituti in quanto unità indivisibili, la volontà provinciale fosse la sola determinante, con assoluta esclusione dello Stato. Si volle, cioè, evitare che quest'ultimo potesse essere estromesso in via assoluta in relazione ad alcuna delle manifestazioni della vita degli Istituti, in ordine alle quali fosse in qualche modo interessato. Si intese, in sostanza, realizzare un sistema in cui la direzione e la responsabilità della vita degli Istituti fosse rimessa, congiuntamente, allo Stato e alla Provincia: e ciò, appunto, in quanto gli Istituti espletano insieme compiti di pertinenza provinciale e compiti di pertinenza statale (v. la sentenza n. 2 del 1960 di questa Corte). Se l'art. 6 non conteneva - come si vedrà - l'intera disciplina della materia (onde é necessaria la emanazione di ulteriori norme di attuazione), da esso traspare evidente questa direttiva, pienamente conforme alle norme dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, alla legislazione generale della materia e ai principi del diritto pubblico.

L'art. 3 del D.P.R. n. 28, che, nel trasferire alle Province le competenze amministrative già statali in importanti settori dell'edilizia popolare ed economica, fece salve le disposizioni degli articoli successivi, espressamente non volle incidere nel campo soggetto al sistema armonico or ora descritto. E, se é vero che la più volte citata sentenza n. 2 di questa Corte ha fatto venir meno la seconda parte del terzo comma dell'art. 6, tale caducazione non può importare, come conseguenza, un accrescimento delle competenze attribuite alle Province dall'art. 3. La Corte ha dichiarato illegittimo il modo in cui l'art. 6 aveva regolato il sistema di partecipazione dello Stato e delle Province alla nomina degli amministratori degli Istituti, ma non ha affatto dichiarato illegittima la proposizione dell'art. 3, in base alla quale le ingerenze statali nel settore degli Istituti non rientrano tra le attribuzioni trasferite alle Province dallo stesso articolo. É priva di base, dunque, la tesi secondo la quale la caducazione dell'ultima parte del terzo comma dell'art. 6 avrebbe prodotto l'effetto di far passare alla competenza delle Province la materia regolata dalla disposizione annullata.

La conseguenza della caducazione dell'ultima parte del terzo comma dell'art. 6 non ha potuto essere se non il ripristino della situazione normativa preesistente a quella norma di attuazione dello Statuto, e cioè il riacquisto della operatività delle disposizioni precedentemente in vigore circa la competenza per la "nomina degli organi amministrativi" degli Istituti (art. 27 T.U. edilizia popolare ed economica e art. 4 Statuto tipo approvato con R. D. 25 maggio 1936, n. 1049).

Né può valere, in contrario, l'osservazione delle difese della Regione e della Provincia di Bolzano, secondo la quale in tal modo si determinerebbe un assurdo, e cioè che la dichiarazione di illegittimità, da parte della Corte, della disposizione dell'art. 6, a suo tempo impugnata dalla Provincia, anziché giovare a quest'ultima (facendo venir meno la preminenza statale nell'esercizio della competenza concorrente prevista dalla norma), la avrebbe danneggiata (ripristinando la precedente competenza esclusiva dello Stato). L'assurdo non esiste. Il solo risultato che si può aver di mira quando si solleva una questione di legittimità costituzionale di un atto normativo é quello di fare in modo che dall'ordinamento venga eliminata una norma incostituzionale, e non anche quello di fare in modo che sopravviva la norma più conveniente. Inoltre, nella specie, il risultato avuto di mira con l'impugnativa era quello della eliminazione di una norma d'attuazione di carattere permanente: e tale risultato é stato conseguito e non per nulla pregiudicato dal ripristino temporaneo (in attesa della emanazione di nuove norme di attuazione) della preesistente normazione.

3. - A questo punto occorre però aggiungere che - come si é resa conto la stessa Avvocatura dello Stato - il provvedere in ordine all'amministrazione straordinaria di un ente inerisce a una funzione diversa da quella relativa alla nomina degli amministratori ordinari (cui, nella specie, si riferiva la parte venuta meno del terzo comma dell'art. 6 del D.P.R. n. 28). Ciò é particolarmente evidente in quei casi in cui l'amministrazione straordinaria sia attuata per ragioni di ordine pubblico o di sicurezza nazionale, e in quelli in cui sia attuata per ragioni di controllo repressivo; ma non é meno evidente in quei casi nei quali - come nella specie - il provvedimento é ispirato da ragioni di carattere conservativo, e precisamente dal fine di assicurare il normale funzionamento dell'ente, altrimenti impossibile. Infatti, per ragioni istituzionali, il potere di adottare provvedimenti per una amministrazione straordinaria a fini conservativi non può spettare se non all'organo o all'ente cui compete la direzione e la responsabilità l'"alta sorveglianza", come si diceva una volta: v. l'art. 44 legge 17 luglio 1890, n. 6972, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) del settore nel quale é inserito l'ente della cui amministrazione si tratta (v. infatti, ad es., l'art. 46 legge sulle ist. pubbl. di assist. e benef., cit.; l'art. 1, terzo comma, del regolamento comunale e provinciale 12 febbraio 1911, n. 297; il testo attuale dell'art. 27 T.U. edil. pop. ed econ., più volte cit.). E tale direzione e responsabilità non sempre compete agli stessi soggetti cui spetta la nomina degli amministratori ordinari. Il che appunto si verifica nel campo degli Istituti delle case popolari, nel quale, mentre la direzione e responsabilità del settore - a prescindere per il momento dalle Regioni ad autonomia speciale - compete al Ministero dei lavori pubblici, il potere ordinario di nomina degli amministratori fa capo a svariati soggetti (ai sensi dell'art. 27 T.U. edilizia popolare ed economica e dell'art. 4 dello Statuto tipo approvato col R. D. 25 maggio 1936, n. 1049, soltanto il presidente, il vice-presidente e uno dei consiglieri degli Istituti autonomi per le case popolari sono nominati dal Ministro dei lavori pubblici, mentre gli altri componenti del consiglio di amministrazione sono nominati da altre autorità ed enti).

L'aver escluso che nel potere di "nomina degli organi amministrativi" degli Istituti, cui si riferiva la disposizione dell'art. 6 del D.P.R. n. 28 del 1959 caducata dalla Corte con la sentenza n. 2, rientrassero anche i provvedimenti in materia di amministrazione straordinaria, non importa però - come pretenderebbero la Regione e la Provincia - che la materia dell'amministrazione straordinaria degli Istituti sia compresa tra quelle trasferite alla competenza amministrativa della Provincia dall'art. 3. Si é già descritto il sistema che nelle norme di attuazione dello Statuto il legislatore intese realizzare riguardo agli Istituti per le case popolari. Tale sistema - non scalfito in ciò dal venir meno dell'ultima parte del terzo comma dell'art. 6 in conseguenza della sentenza n. 2 di questa Corte - comporta che lo Stato non ha inteso abdicare ai provvedimenti relativi agli Istituti, quando in qualche modo possa avervi interesse, sia pure soltanto indirettamente.

Ove si ponga mente a ciò, e si aggiunga che nel quadro del nostro sistema legislativo i poteri in materia di amministrazione straordinaria, del genere di quelli qui considerati, vengono attribuiti, come si é visto, agli organi ed enti cui é commessa la direzione e responsabilità dell'attività degli enti interessati (i quali, per ciò che riguarda gli Istituti per le case popolari, sono, nel Trentino-Alto Adige, a un tempo, lo Stato - e precisamente il Ministero dei lavori pubblici - e le Province), risulterà chiaro che in materia sono indispensabili, nella Regione Trentino-Alto Adige, delle apposite norme di attuazione, dovendosi coordinare i rispettivi poteri dello Stato e delle Province. Tali norme dovranno integrare il sistema delineato dall'art. 6 del D.P.R. n. 28 del 1959, ma fin dal principio realizzato - come si é avvertito - in modo non compiuto (cfr., per un caso analogo, la recente sentenza n. 19 di questa Corte). Onde, fin quando le norme necessarie non saranno state emanate, dovrà considerarsi in vigore la disciplina preesistente, e precisamente quella prevista dall'art. 27 T.U. edilizia popolare ed economica, e successive modificazioni.

4. - Questa conclusione presuppone superata in senso negativo la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla difesa della Provincia, circa un preteso contrasto tra l'art. 3 della legge 1 marzo 1952, n. 113 (che ha aggiunto al citato art. 27 la disposizione secondo la quale, "quando ricorrano gravi motivi, il Ministro dei lavori pubblici può, con decreto, revocare il presidente dall'incarico e sciogliere il consiglio di amministrazione"), e gli artt. 11 e 13 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (che attribuiscono alle Province di questa Regione competenza legislativa e amministrativa in materia di case popolari). La Corte ritiene, infatti, che tale questione sia manifestamente infondata, onde non é il caso di trattarla in apposito giudizio e di rinviare intanto la presente causa (in conformità di quanto é stato fatto in altro caso con la recente ordinanza n. 22 di questa Corte).

In relazione alla materia che forma oggetto del presente giudizio, le innovazioni introdotte dalla denunciata legge del 1952 sono due: l'una consiste nell'aver sostituito, per i provvedimenti di scioglimento (e quindi per quelli relativi all'amministrazione straordinaria) degli Istituti per le case popolari - provvedimenti già previsti dall'art. 17 del R. D. 30 aprile 1936, n. 1031, in conformità, del resto, coi principi generali in materia di enti pubblici - la competenza ministeriale a quella regia; l'altra - meno rilevante - consiste nell'aver impiegato una formula più sintetica ("gravi motivi") per indicare i casi nei quali detti provvedimenti possono essere adottati (la vecchia formula disponeva che lo scioglimento delle amministrazioni ordinarie degli Istituti potesse aver luogo "quando, richiamate all'osservanza di obblighi loro imposti dalla legge o dallo statuto persistano a violarli, o quando per altri motivi diano luogo a gravi inconvenienti che ne compromettano il regolare funzionamento"). Non si tratta cioè dell'attribuzione allo Stato, ex novo, di competenze che prima non gli appartenevano e che precetti costituzionali destinano a un ente locale, bensì della semplice modificazione della disciplina di una attività già da vecchia data di pertinenza statale.

Orbene, ove una norma costituzionale di contenuto innovativo (come é il caso per quelle relative alle attribuzioni delle Province del Trentino - Alto Adige in materia di case popolari) abbisogni, per diventare operante, di disposizioni di attuazione, come non possono, in virtù della sola emanazione di quella norma, esser ritenute costituzionalmente illegittime, fin quando abbia luogo l'adattamento, le preesistenti norme della materia, temporaneamente sopravviventi, sempre che non urtino contro altri precetti costituzionali, così non lo possono le norme modificative e integrative di queste ultime. Se un comportamento non conforme ai precetti costituzionali può esservi in simili casi, esso consisterà, eventualmente - se e in quanto possa esservi responsabilità nel ritardo -, nella mancata emanazione delle disposizioni di attuazione, ma non certo nella sopravvivenza della normazione preesistente, e nelle eventuali modificazioni di essa, salvo che queste urtino contro altri precetti costituzionali.

5. - Siccome in attesa delle necessarie norme di attuazione dello Statuto regionale in materia di amministrazione straordinaria degli Istituti per le case popolari, finora mai emanate (onde non ha ragion d'essere in proposito la distinzione tra una situazione normativa anteriore e una posteriore alla sentenza n. 2 di questa Corte, sulla quale insiste la difesa della Regione), é tuttora in potere del Ministro dei lavori pubblici di provvedere al riguardo, anche in relazione agli Istituti per le case popolari della Regione Trentino-Alto Adige, ai sensi dell'art. 27 T.U. edilizia popolare ed economica modificato dall'art. 3 legge 1 marzo 1952, n. 113, il ricorso proposto dalla Regione nei confronti del decreto ministeriale 20 gennaio 1960 deve essere dichiarato infondato e deve essere respinto.

Per contro deve essere accolto il ricorso proposto dallo Stato, e devono essere annullati i provvedimenti adottati dalla Provincia di Bolzano rispettivamente il 2 e il 4 febbraio 1960.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando sui conflitti di attribuzione sollevati coi ricorsi n. 3 e 4 del 1960 indicati in epigrafe:

1) riunisce i due ricorsi;

2) dichiara la competenza dello Stato a nominare il Commissario straordinario per assicurare il funzionamento dell'Istituto delle case popolari della Provincia di Bolzano, fin quando non siano emanate in materia norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige;

3) annulla, in conseguenza, la deliberazione 2 febbraio 1960, n. 193/3954, della Giunta provinciale di Bolzano e il decreto del Presidente della Giunta provinciale di Bolzano 4 febbraio 1960, n. 10.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.

 

Depositata in Cancelleria IL 30 giugno 1960.