Sentenza n. 12 del 1960
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SENTENZA N. 12

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 2, 5 e 6 della legge 30 agosto 1868, n. 4613, dei connessi articoli del regolamento d'esecuzione di cui al R.D. 16 aprile 1874, n. 1906, e dell'art. 1 della legge 4 luglio 1895, n. 390, promossi con le ordinanze del 15 dicembre 1958 del Conciliatore di Brescello e del 30 maggio 1959 del Conciliatore di Castelfranco Emilia, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 14 marzo 1959, n. 64, e del 30 ottobre 1959, n. 239, ed iscritte ai nn. 11, 51 e 95 del Registro ordinanze 1959;

Viste le dichiarazioni d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 3 febbraio 1960 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi.

 

Ritenuto in fatto

 

Con quarantuno ordinanze in data 15 dicembre 1958, emesse dal Giudice conciliatore di Brescello e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 14 marzo 1959; e con ordinanza del 30 maggio 1959 del Giudice conciliatore di Castelfranco Emilia, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 3 ottobre 1959, é stata sollevata la questione della legittimità costituzionale della legge 30 agosto 1868, n. 4613. Sospesi i giudizi in corso e rinviati gli atti a questa Corte, si costituì in giudizio, con atti di intervento e deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato del 12 gennaio e del 7 agosto 1959, il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Le ordinanze del Giudice conciliatore di Brescello si limitano a rilevare "che la legge 30 agosto 1868, n. 4613, reca disposizioni che contrastano o quanto meno mal si armonizzano con quanto stabilito dagli artt. 23 e 53 della Costituzione della Repubblica Italiana". L'ordinanza del Giudice conciliatore di Castelfranco Emilia, invece, premesse alcune generiche considerazioni sul carattere anacronistico della legge impugnata, presenta sul merito della questione sollevata le seguenti specifiche deduzioni:

1) L'art. 2, lett. c) e d), della legge 30 agosto 1868 é in contrasto con gli artt. 13 e 16 della Costituzione, in quanto l'obbligo, da parte dei cittadini precettati di recarsi al cantiere di lavoro importa una restrizione della libertà personale, e la imposizione di pedaggi costituisce limitazione della libera circolazione sulle strade comunali;

2) Lo stesso art. 2, lett. a), b), c), d), é in contrasto con l'art. 23 della Costituzione perché in forza di esso si avrebbe la imposizione di una prestazione non in base alla legge, tenuto presente che l'espressione "in base alla legge" deve intendersi anche nel senso che la legge indichi i criteri e i limiti, variabili da caso a caso per la particolarità della materia, della potestà di imposizione: il che, secondo l'ordinanza, importerebbe la illegittimità costituzionale della legge nella sua totalità;

3) L'art. 5 della legge impugnata é in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto limita l'assoggettamento alla prestazione d'opera ai capi famiglia, i quali devono essere di sesso maschile e non femminile, mentre il predetto art. 3 pone il principio della eguaglianza fra i due sessi;

4) Il medesimo art. 5 é in contrasto con l'art. 4, comma secondo, della Costituzione, in quanto l'obbligo di abbandonare per quattro giorni la propria attività per prestare l'opera imposta dal Comune importa violazione del principio per il quale ogni cittadino deve svolgere un attività o una funzione secondo la propria scelta;

5) Il medesimo art. 5 é in contrasto con gli artt. 38 e 41 della Costituzione, essendo il cittadino sottratto alla sua normale attività per una attività da esso non scelta e perché non é prevista l'assicurazione in caso di infortunio;

6) Lo stesso art. 5 é in contrasto altresì con l'art. 53 della Costituzione, il quale stabilisce che il sistema tributario deve essere informato a criteri di progressività;

7) L'art. 6 della impugnata legge, in quanto dispone che le contestazioni relative al ruolo delle prestazioni di opere sono decise inappellabilmente dal Conciliatore, é in contrasto con l'articolo 113 della Costituzione.

Nelle sue deduzioni, svolte negli atti di intervento del 22 gennaio e 7 agosto 1959 e successivamente in una memoria del 15 novembre 1959, l'Avvocatura generale dello Stato, premesso che le ordinanze del Conciliatore di Brescello sono del tutto generiche, che trascurano ogni indagine sulla rilevanza della questione e omettono di indicare le disposizioni che sarebbero viziate di illegittimità costituzionale, rileva che tutte le ordinanze trascurano del tutto la circostanza che l'art. 2 della legge 30 agosto 1868 non e più in vigore, e che pertanto la facoltà dei Comuni di disporre prestazioni personali deriva attualmente dall'art. 93 del T.U. della legge comunale e provinciale, approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, di cui non é denunziata la illegittimità costituzionale, limitandosi le ordinanze a promuovere la questione della legittimità costituzionale della legge 30 agosto 1868, n. 4613, dell'art. 1 della legge 4 luglio 1895, n. 390, nonché del regolamento di esecuzione approvato con R. D. 16 aprile 1874, n. 1906, in ordine al quale, peraltro, si deduce la inammissibilità della questione, trattandosi di norma non avente efficacia di legge. Nel merito si osserva dall'Avvocatura che la questione non può avere alcun riferimento agli artt. 13 e 16 della Costituzione, ma se mai all'art. 23. Detto articolo espressamente prevede che possono, in base alla legge, essere imposte prestazioni personali, oltre che patrimoniali. La legge impugnata d'altra parte determina rigorosamente il soggetto della prestazione, il presupposto del tributo, l'oggetto e il limite massimo della prestazione stessa. Nemmeno vi é possibilità di riscontrare contrasto fra la legge impugnata e gli artt. 3, 4,13, 38, 41 e 53 della Costituzione. La dignità sociale e l'eguaglianza dinanzi alla legge dei cittadini di sesso femminile non sono minimamente scalfite dal fatto che la legge li esoneri da queste prestazioni obbligatorie, così come, d'altronde, sono esonerati dalla prestazione del servizio militare. Né sussiste il contrasto con il secondo comma dell'art. 4 della Costituzione, sia perché questo prevede il dovere, non il diritto, del cittadino di svolgere un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società, sia perché la norma si riferisce all'attività normale, da esercitarsi a propria scelta, e non vieta che prestazioni personali di carattere diverso siano imposte al cittadino per esigenze di interesse pubblico. Erroneamente é invocato l'art. 41 della Costituzione, il quale non si riferisce alle prestazioni obbligatorie e riguarda l'attività economica che ogni cittadino é libero di esplicare entro i limiti fissati dalla legge. Per ciò che riguarda l'art. 38 della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato osserva che se le norme sulle prestazioni obbligatorie non prevedono espressamente l'obbligo del datore di lavoro di assicurare il lavoratore contro gli infortuni, tuttavia non escludono questo dovere da parte del Comune ove il lavoro sia effettivamente prestato. Si esclude anche il contrasto con l'art. 53 della Costituzione perché, a parte il fatto che la legge impugnata determina in effetti la prestazione con criteri di progressività, adeguandola alla capacità contributiva dei cittadini, la progressività indicata dall'art. 53 si riferisce al sistema tributario e non ai singoli tributi. Nemmeno é a parlarsi di illegittimità dell'art. 6 della legge in relazione all'art. 113 della Costituzione, perché il sistema della doppia giurisdizione in materia tributaria non é certamente imposto dalla Costituzione, e perché l'art. 113 non ha alcun riferimento alla ripartizione della giurisdizione fra i vari suoi organi. Tutto ciò ove non si ritenga di dover accedere alla tesi accolta dalle Sezioni unite della Corte di cassazione e dal Consiglio di Stato in sede consultiva, secondo la quale l'art. 6 in questione, per quanto riguarda la procedura contenziosa, deve ritenersi abrogato dagli artt. 277 e seguenti del testo unico della finanza locale, approvato con R.D. 14 settembre 1931, n. 1175.

É da tener presente infine che, nella citata memoria, l'Avvocatura dello Stato avverte che l'intervento della Presidenza del Consiglio é stato determinato non tanto dalle prestazioni d'opera di cui alla legge del 1868, che si ammette siano in parte superate dalle attuali condizioni politico-economiche, quanto piuttosto in relazione ai gravi e pregiudizievoli riflessi che una soluzione della questione nel senso della illegittimità costituzionale della legge n. 4613 del 1868 potrebbe avere sulle molteplici altre prestazioni personali attualmente imposte, o che in futuro potrebbero apparire necessarie. E ciò non tanto e non soltanto per ciò che riguarda il servizio militare obbligatorio, quanto per tutte le varie prestazioni personali in materia tributaria (denunzia, trasmissione di atti, ispezioni), per le prestazioni di assistenza alla forza pubblica nella flagranza di reati o alla pubblica autorità in casi di calamità naturali o di altre pubbliche necessità, ecc.

 

Considerato in diritto

 

Data l'identità dell'oggetto la Corte ritiene che le due cause siano da decidere con unica sentenza.

Preliminarmente si osserva, per quanto riguarda le ordinanze del Giudice conciliatore di Brescello, che l'Avvocatura dello Stato, pur lamentando, sin dall'atto d'intervento del 22 gennaio 1959, il difetto di ogni indagine sulla rilevanza, non sembra prospettare in proposito una formale obbiezione, visto che nell'atto medesimo ammette che, non ostante la generalità delle ordinanze, possano ritenersi denunziati quanto meno gli artt. 5, 6 e 7 della legge 30 agosto 1868, n. 4613. Ampiamente motivata risulta poi, sotto ogni aspetto, l'ordinanza del Giudice conciliatore di Castelfranco Emilia.

Nemmeno si presenta attendibile il rilievo dell'Avvocatura in ordine all'art. 2 della impugnata legge, che si assume non essere più in vigore, ritenendo la Corte di dover confermare su questo punto il principio affermato in più sentenze, cioè che la eventuale abrogazione di una legge non vale a escludere il giudizio sulla questione di legittimità costituzionale della legge stessa quando sia ritualmente proposta.

Circa i vari punti di contrasto con la Costituzione, prospettati nell'ordinanza del Giudice conciliatore di Castelfranco Emilia ritenuta la improponibilità della questione nella parte riguardante il regolamento approvato con R.D. 16 aprile 1874, n. 1906, il quale, come atto non avente forza di legge, non rientra nei casi previsti dall'art. 134 della Costituzione, la Corte é d'avviso che le denunciate ragioni di illegittimità costituzionale non abbiano fondamento.

In primo luogo é da considerare che non esiste nella Costituzione, in via di principio generale, un divieto al legislatore di imporre prestazioni personali - divieto che avrebbe colpito esigenze fondamentali della vita dello Stato, quali, ad esempio, l'obbligo del servizio militare, dichiarato dalla stessa Costituzione nell'art. 52, e l'obbligo di altre prestazioni personali in molte pubbliche evenienze - ché anzi l'art. 23 della Costituzione regola espressamente la imposizione di prestazioni personali, con lo stabilire che essa non può aver luogo se non in base alla legge; e non é dubbio che la prestazione d'opera dei cittadini per la costruzione e sistemazione delle strade comunali sia stata a suo tempo disposta in base alla legge, e con la determinazione concreta di condizioni e limiti, attinenti ai soggetti e all'oggetto della prestazione, alla misura massima di essa, alle sue modalità e alla eventuale sua conversione in prestazione patrimoniale.

Ferma la rispondenza della impugnata legge al principio generale dell'art. 23, nemmeno può dirsi che essa con le norme particolari che sono state denunziate venga in qualche modo a realizzare un contrasto con altri articoli della Costituzione. Erroneamente é stato invocato l'art. 13, riguardante il principio della inviolabilità della libertà personale, perché, come si desume da tutto il contesto dell'articolo, esso non riguarda genericamente le limitazioni cui in vario modo il cittadino può essere sottoposto nello svolgimento della sua attività, ma specificamente si riferisce alla libertà personale intesa come autonomia e disponibilità della propria persona, così come, oltre tutto, può dedursi dal fatto che l'art. 13 pone limiti alla detenzione, alla ispezione e perquisizione personale, al massimo della carcerazione preventiva.

Nemmeno é sostenibile un contrasto del citato art. 2 della legge con l'art. 16 della Costituzione, perché il principio della libera circolazione dei cittadini nel territorio dello Stato non é minimamente leso da quelle restrizioni alla circolazione stradale che, come il diritto di pedaggio, siano fondate sulla soddisfazione di altri diritti per rimborso di spese di costruzione, manutenzione, ecc.

Né vale la pena di indugiare sull'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione, per avere l'art. 5 della legge impugnata limitato l'obbligo della prestazione personale ai cittadini di sesso maschile, in quanto é evidente che la limitazione stessa fu dettata dalla particolare considerazione della minore idoneità fisica degli individui di sesso femminile, e quindi con una limitazione che costituisce nel modo più evidente un trattamento di vantaggio.

É stata anche lamentata una violazione dell'art. 4 della Costituzione, in quanto le quattro giornate di lavoro imposte ai cittadini dall'art. 5 della legge impugnata non costituirebbero una attività di propria scelta. É agevole rilevare che l'invocato articolo della Costituzione innanzi tutto si riferisce al dovere, e non al diritto, di svolgere una attività o una funzione nell'interesse sociale; e, in secondo luogo, che il principio della scelta di una attività, intesa come manifestazione del concorso di ciascuno alla vita e al progresso sociale, non può dirsi leso dalle limitazioni che l'attività del cittadino può subire per la tutela di altri interessi e di altre esigenze sociali.

Nessun fondamento hanno poi le altre asserzioni relative a una pretesa violazione degli artt. 38, 41 e 53 della Costituzione. Il sancire infatti l'obbligo delle prestazioni personali senza disporre in pari tempo l'assicurazione per i casi di infortunio non implica il divieto di tale assicurazione, né esclude che a tale esigenza si possa ottemperare in forza di altre disposizioni di legge. Né può dirsi che sia violato il principio della libertà della iniziativa economica privata, non potendo un tal principio, che ha attinenza allo svolgimento normale dell'attività del cittadino, reputarsi leso dalla particolare limitazione inerente all'obbligo della prestazione personale di quattro giornate annuali di lavoro, sostituibili per giunta col pagamento di una tassa, ai sensi dell'art. 7 dell'impugnata legge. Non é poi nemmeno a parlarsi di una violazione del principio della progressività, che riguarda, come é noto, il sistema tributario in genere e non i singoli tributi.

Infine é da escludersi anche ogni fondamento nell'affermazione che l'art. 6 della legge impugnata, nel disporre che le contestazioni relative al ruolo delle prestazioni d'opera debbano esser decise inappellabilmente dal Conciliatore, venga a trovarsi in contrasto con l'art. 113 della Costituzione, articolo che riguarda tutt'altro argomento e cioè la tutela giurisdizionale dei diritti dei cittadini contro gli atti della Pubblica Amministrazione. Una maggiore attinenza con la materia in questione avrebbe potuto avere, se mai, l'art. 111 della Costituzione, ma anche questo articolo non contiene alcuna norma con cui possa veramente dirsi in contrasto la disposizione relativa alla inappellabilità delle decisioni del Conciliatore innanzi ricordata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza nei procedimenti riuniti indicati in epigrafe:

1) dichiara improponibile la questione nella parte riguardante il regolamento approvato con R.D. 16 aprile 1874, n. 1906;

2) dichiara non fondata la questione, proposta con le ordinanze del 15 dicembre 1958 del Giudice conciliatore di Brescello e del 30 maggio 1959 del Giudice conciliatore di Castelfranco Emilia, sulla legittimità costituzionale degli artt. 2, 5, e 6 della legge 30 agosto 1868, n. 4613, e dell'art. 1 della legge 4 luglio 1895, n. 390, in riferimento agli articoli 3, 4, comma secondo, 13, 16, 38, comma secondo, 41, 53, 113 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 marzo 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI     Giuseppe BRANCA.                                                                              

 

Depositata in Cancelleria il 23 marzo 1960.