Sentenza n. 46 del 1959
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SENTENZA N. 46

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 15 febbraio 1958, n. 74: "Regolamentazione dei canoni livellari veneti", promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 31 ottobre 1958 dal Pretore di Montagnana nel procedimento civile vertente tra Centin Norma, Brianza Luigia e Dalla Francesca Mario, iscritta al n. 39 del Registro ordinanze del 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 288 del 29 novembre 1958;

2) ordinanza emessa l'11 novembre 1958 dal Pretore di Este nel procedimento civile vertente tra Trentinaglia de Daverio Italo e Fornasiero Antonio, iscritta al n. 40 del Registro ordinanze del 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 312 del 27 dicembre 1958;

3) ordinanza emessa il 9 dicembre 1958 dal Pretore di Padova nel procedimento civile vertente tra Faccin Maria e Bonato Alessandro, iscritta al n. 52 del Registro ordinanze del 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26 del 31 gennaio 1959.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 3 giugno 1959 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

uditi l'avv. Antonio Sorrentino per Centin Norma, Brianza Luigia e Trentinaglia de Daverio Italo, gli avvocati Carlo Arturo Jemolo e Luigi De Villa per Faccin Maria e il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel giudizio civile pendente davanti al Pretore di Montagnana tra Centin Norma e Brianza Luigina contro Dalla Francesca Mario, ed avente per oggetto il pagamento di un canone livellare per il godimento di un terreno sito in territorio d'Este, veniva sollevata la questione di legittimità costituzionale della legge 15 febbraio 1958, n. 74: "Regolamentazione dei canoni livellari veneti", perché in contrasto con gli articoli 3 e 42, terzo comma, della Costituzione.

La citata legge stabilisce, nell'articolo 1, che, a decorrere dall'annata agraria 1957-58, i canoni dei livelli costituiti nelle province di Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Udine, Venezia, Verona e Vicenza, prima dell'entrata in vigore del Codice civile del 1865, non possono essere superiori al triplo del reddito dominicale del fondo sul quale gravano, e detta, nei successivi articoli, norme per l'affrancazione del canone e per la divisione del prezzo d'affranco.

Il Pretore, ritenuta la rilevanza della sollevata questione e la sua non manifesta infondatezza, con ordinanza del 31 ottobre 1958, Sospendeva il giudizio e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale per la decisione relativa.

L'ordinanza pretorile si richiama alle deduzioni delle attrici, secondo le quali la legge del 1958, n. 74, si applica ai soli canoni livellari del Veneto e del Friuli, mentre questi non presentano alcuna caratteristica speciale, tale da giustificare un trattamento differenziato per una parte soltanto di quegli istituti che oggi sono assunti sotto la disciplina dell'enfiteusi. Il che potrebbe configurare una violazione del principio di eguaglianza.

Quanto poi alla lamentata violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, si osserva che la citata legge potrebbe configurare una forma di espropriazione della proprietà fondiaria verso un indennizzo parziale e senza che ricorrano quei motivi di interesse generale, che soli possono giustificare l'esproprio.

L'ordinanza, iscritta al n. 39 del registro delle ordinanze del 1958, veniva notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri con atto del 7 novembre 1958, comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento con atto del 6 dello stesso mese e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del successivo giorno 29.

L'identica questione veniva sollevata nel giudizio vertente tra Trentinaglia de Daverio Italo e Fornaserio Antonio, pendente davanti al Pretore d'Este ed avente, anch'esso, per Oggetto il pagamento di un canone livellare per il godimento di un terreno in territorio d'Este.

Anche in quel giudizio, il Pretore, ritenuta la rilevanza della sollevata questione e la sua non manifesta infondatezza, con ordinanza dell'il novembre 1958, rimetteva gli atti alla Corte costituzionale, osservando, tra l'altro, che la disciplina particolare dettata dalla legge del 1958 per i livelli del Veneto e del Friuli, senza tener conto che in molte regioni d'Italia esistono situazioni del tutto identiche, potrebbe configurare una violazione del principio sancito nell'art. 3 della Costituzione, tanto più che i relatori "della ricordata legge pare non siano riusciti a dimostrare perché solo i livelli veneto-friulani debbano essere trattati in tale modo". Né a quel Giudice appariva manifestamente infondata l'incostituzionalità della legge sotto il profilo della violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto Si consentirebbe l'espropriazione della proprietà fondiaria verso un indennizzo parziale e senza che si riscontrino quei motivi di interesse sociale che, soli, possono giustificare l'esproprio.

L'ordinanza del Pretore d'Este, iscritta al n. 40 del registro ordinanze dell'anno 1958 della Corte costituzionale, veniva notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri il 15 novembre 1958, comunicata ai Presidenti delle due Camere legislative il 13 stesso mese e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del giorno 27 del mese successivo.

Infine, la medesima questione di legittimità costituzionale della legge 15 febbraio 1958, n. 74, veniva sollevata nel giudizio pendente davanti al Pretore di Padova, vertente tra Faccin Maria e Bonato Alessandro ed avente ad oggetto il pagamento di un canone livellare. Anche questa ordinanza, che ha la data del 9 dicembre 1958, e porta il n. 52 del registro ordinanze 1958, é stata notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri il 15 dicembre 1958, comunicata ai Presidenti delle due Camere il 20 dello stesso mese e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio 1959.

Le signore Centin e Brianza, costituite nel giudizio iscritto al n. 39 del registro ordinanze, sostengono, con le deduzioni depositate il 20 novembre 1958, che la legge 15 febbraio 1958, n. 74, nel fissare nell'art. 1 limitatamente al Veneto ed al Friuli, l'ammontare dei canoni livellari posti in essere anteriormente all'entrata in vigore del Codice civile del 1865, in misura non superiore al triplo del reddito dominicale, determinato a norma del decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, é in contrasto sia con l'art. 3 che con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione.

Per quanto riguarda il contrasto con l'art. 3 si rileva che la citata legge viola il principio dell'eguaglianza per più aspetti. Anzitutto, perché la sua sfera di applicazione é limitata alle sole province indicate nell'art. 1, mentre dagli atti parlamentari risulterebbe che i livelli veneti non presentano affatto caratteristiche sostanziali tali da differenziarli da altri istituti similari e da giustificare, di conseguenza, il trattamento particolare stabilito dalla legge. É vero che nella relazione Rosini si pongono in rilievo alcune cause specifiche al territorio considerato, ma altre sono generiche e si riferiscono a tutto il territorio nazionale.

In secondo luogo nella relazione Gui sulla proposta di legge, sfociata poi nella legge del 1958, si parla di una maggiore diffusione dell'istituto nel Veneto, ma non di una sua diversa caratterizzazione.

Inoltre la legge in questione Stabilisce un trattamento differenziato solo per i "livelli", il che vale a dire soltanto per una parte di quegli istituti che oggi sono assunti sotto la disciplina della enfiteusi, con esclusione, pertanto, di istituti sostanzialmente identici in vigore nelle stesse provincie contemplate dalla legge del 1958.

Questo particolare trattamento - si sostiene dalla parte - viola il principio di eguaglianza, principio che, secondo l'interpretazione datane dalla Corte costituzionale, da ultimo con la sentenza n. 53 del 1958, se non vieta al legislatore di dettare norme diverse per regolare situazioni che esso ritiene diverse, é però violato quando la ragione giustificatrice di un trattamento differenziato in situazioni di fatto uguali o di un trattamento eguale in situazioni di fatto diverse, sia esclusa dalla stessa legge che quei trattamenti dispone.

Quanto, poi, alla lamentata violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, osserva la parte, la citata legge consente l'espropriazione della proprietà fondiaria verso un indennizzo parziale e senza che si riscontrino quei motivi di interesse sociale che soli possono giustificare l'esproprio.

Per queste considerazioni si chiede che venga dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge 15 febbraio 1958, n. 74.

Alla stessa conclusione perviene il signor Trentinaglia de Daverio Italo, costituitosi nel giudizio iscritto al n. 40 del Registro ordinanze del 1958.

Con le deduzioni depositate in cancelleria il 28 novembre 1958, e con la memoria depositata il 20 maggio 1959, la difesa del Trentinaglia sostiene che i soli elementi differenziali che si possono desumere dai lavori preparatori, si riducono al nome, alla data ed alla localizzazione territoriale. In relazione a tutti e tre questi elementi la legge sarebbe incostituzionale.

Quanto al nome, infatti, le stesse relazioni parlamentari riconoscono che al nome di livello non corrisponde, nel nostro diritto, un istituto giuridico peculiare, che presenti una propria autonomia rispetto alla enfiteusi.

Quanto alla data, si sostiene che questa é in manifesta contraddizione con le risultanze dei lavori preparatori. Infatti, la proposta Rosini aveva per oggetto i livelli costituiti anteriormente al 1 gennaio 1812, data di entrata in vigore del Codice austriaco, perché, ignorando questo i livelli, se dopo quella data fosse stato costituito qualche livello, dovrebbe trattarsi di un contratto enfiteutico vero e proprio. La legge del 1958, invece, assume come elemento differenziale cronologico, la data del 1865, che, stando alle dichiarazioni del proponente, non sarebbe affatto differenziale.

Quanto, infine, alla delimitazione territoriale, si osserva che le così dette particolarità dei livelli Veneti - quali emergono dagli atti parlamentari - riguarderebbero più che altro l'origine storica e la maggiore diffusione dell'istituto nel Veneto e nel Friuli, ma non inciderebbero sul contenuto sostanziale del rapporto, sì da giustificare una disciplina giuridica differenziata. Del resto - aggiunge la difesa del Trentinaglia - al legislatore (v. relazione Gui) non sfuggì la mancanza di una diversità sostanziale fra i livelli e le enfiteusi, e tra i livelli veneti e quelli esistenti in altre regioni; come ad esso non sfuggì la preoccupazione di un contrasto della nuova regolamentazione con il principio di eguaglianza, tanto che la Commissione Giustizia della Camera espresse l'avviso di rivedere tutti gli istituti assimilabili ai livelli, dovunque esistenti.

Vero é che nel nostro ordinamento non mancano esempi di disposizioni legislative, riferentisi all'enfiteusi, limitate ad alcune zone territoriali; ma si trattava di norme determinanti speciali condizioni per la concessione in enfiteusi, da parte di enti pubblici, di terre incolte, al fine di favorire lo sviluppo agricolo delle rispettive zone.

Ora, la legge in questione, prescindendo da fondati motivi di utilità generale, darebbe luogo ad un vero e proprio privilegio, anche perché essa é rivolta a disciplinare casi, non già determinabili in futuro, ma addirittura determinati in anticipo.

Né si dica - prosegue la difesa del Trentinaglia - che il trattamento differenziato di cui alla legge del 1958 é giustificato dallo scopo di conseguire il "razionale sfruttamento del suolo e di conseguire equi rapporti sociali", perché la riduzione del canone, i diversi criteri di determinazione dello stesso, la mutata disciplina della sua divisibilità non sono riconducibili alla nozione di quegli "obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata" cui si riferisce l'art. 44 della Costituzione, il quale, peraltro, riguarda la riforma fondiaria e non già quella agraria.

In ordine ai limiti del sindacato di costituzionalità, se é vero che alla Corte é precluso ogni apprezzamento sul merito dei criteri differenziali assunti dal legislatore, é pur vero che essa può sempre procedere all'accertamento della manifesta sussistenza o insussistenza dei presupposti di fatto della legge ovvero della eventuale manifesta illogicità delle disposizioni emanate, desumibili dallo stesso testo normativo, in sé e nei suoi rapporti con altri testi connessi, o dalle dichiarazioni che provengono dallo stesso legislatore. Fondamentale, in quest'ordine di idee la sentenza n. 53 dei 1958 della Corte.

Per quanto attiene, infine, alla lamentata violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, la difesa del Trentinaglia osserva che é stato violato l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto Si consente l'espropriazione della proprietà fondiaria verso un indennizzo parziale e senza che si riscontrino quei motivi di interesse sociale che soli possono giustificare l'esproprio.

In tutte e tre le cause é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale negli atti di intervento depositati il 26 novembre ed il 3 dicembre 1958 ed il 4 gennaio 1959, e nelle successive memorie depositate il 21 maggio 1959, sostiene che la lamentata violazione degli articoli 3 e 42, terzo comma, della Costituzione, non sussiste.

Rileva l'Avvocatura che la norma dell'art. 3 della Costituzione poggia su un criterio di uguaglianza di trattamento di tutti i consociati, ma non esclude che il legislatore possa dettare norme diverse per regolare situazioni diverse, secondo quanto ha affermato la Corte costituzionale nelle sentenze nn. 3 e 28 del 1957. E tale, appunto, sarebbe la situazione regolata dalla legge 15 febbraio 1958, n. 74. Difatti, dalla relazione Rosini emergono le particolari esigenze dei livelli nel Veneto e nel Friuli, che richiedono una disciplina giuridica differenziata rispetto a quella dei comuni livelli e delle comuni enfiteusi. Questi elementi consistono in ciò: 1) i livelli del Veneto e del Friuli differiscono dalle enfiteusi esistenti in dette regioni; 2) i canoni livellari veneti incidono profondamente sulle condizioni di quei lavoratori, creando una situazione anacronistica. Per cui, la legge in questione, lungi dal violare il principio di uguaglianza, lo realizza effettivamente, attuando un ristabilimento di equilibrio nel campo delle prestazioni livellari Non solo, ma essa costituisce un punto di partenza per un ulteriore perfezionamento della disciplina legislativa di situazioni differenziate.

Al caso di specie, perciò, non é applicabile il principio affermato nella sentenza n. 53 del 1958, ma quelli fissati nelle sentenze nn. 3 e 28 del 1957. Nella fattispecie in esame, infatti, si fa semplicemente un trattamento speciale per rapporti giuridici che si svolgono in determinate province, perché sussistono motivi per una disciplina legislativa differenziata.

E la valutazione di questi motivi particolari e della diversità di situazione é riservata al potere discrezionale del legislatore e sottratta, perciò, al sindacato di legittimità costituzionale.

Venendo al secondo motivo di censura, sostiene l'Avvocatura che nella specie non sussiste alcuna violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, perché qui non si tratta di espropriazione, cioè del sacrificio, di carattere "particolare", di un diritto patrimoniale, nell'interesse della collettività, ma di dare, con una norma di carattere astratto ed applicabile a tutta una categoria di ipotesi, una disciplina legislativa diversa a rapporti giuridici in corso, disciplina che incide soltanto sulla misura di uno degli elementi del rapporto: il canone enfiteutico. E poiché il privato non ha diritto alla immutabilità del sistema giuridico che disciplina i rapporti da esso instaurati, una diversa regolamentazione di tali rapporti non può costituire violazione di un principio costituzionale a suo danno. Al riguardo l'Avvocatura dello Stato si richiama alla sentenza n. 118 del 1957 della Corte costituzionale.

Conclude l'Avvocatura, chiedendo che l'eccezione di illegittimità sia respinta e sia dichiarata la piena costituzionalità della legge in questione.

Nello stesso senso conclude la signora Faccin Maria, costituita nel presente giudizio, per la causa iscritta al n. 52 del registro ordinanze del 1958, sostenendo nelle deduzioni e nella successiva memoria, depositate, rispettivamente, il 29 gennaio ed il 21 maggio 1959, che la legge in questione non é in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, perché il principio di eguaglianza dei cittadini, come persone, non ha nulla a che vedere con la misura maggiore o minore di oneri o con la limitazione di redditi, che i cittadini possono subire per il fatto di possedere beni, diritti reali od oneri reali nell'una o nell'altra provincia. Che anzi lo spirito della Costituzione, con la creazione delle Regioni e concedendo ad esse il potete normativo, ha voluto invece rendere ancora più frequente che in passato la differenziazione di obblighi e di diritti economici, di situazioni economiche, da regione a regione.

Venendo al caso di specie, non può farsi questione di legittimità costituzionale, scopo della legge del 1958 essendo stato quello di dare una particolare disciplina a situazioni del tutto particolari o non riconducibili sotto lo schema generale dell'enfiteusi né dei livelli esistenti in altre regioni. Sicché, ragioni non soltanto economiche, ma anche storiche e giuridiche, giustificano appieno la legge in questione.

D'altra parte va considerato che la legge in esame é scaturita da due iniziative diverse per confluire, poi, in un nuovo testo unificato, per cui non si può considerare come "mens legis" qualsiasi affermazione che si trovi fatta dai presentatori della proposta di legge. Il provvedimento quindi fu emanato a ragion veduta con la persuasione di fare un trattamento particolare ad un caso Veramente particolare.

E la valutazione delle particolari situazioni rientra nel potere discrezionale del legislatore, e se essa può dar luogo a rilievi di carattere politico, non involge questioni di legittimità costituzionale.

Quanto, infine, alla lamentata violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, nel caso in esame non si tratta di espropriazione, cioè di trasferire autoritariamente un bene da un soggetto ad un altro, ma di disciplinare un rapporto sinallagmatico, definendo la misura dei reciproci rapporti delle parti. Il caso di specie, cioè, si presenta negli stessi termini della questione definita con la sentenza della Corte costituzionale n. 118 del 1957.

La difesa della Faccin conclude, pertanto, perché sia dichiarata la piena legittimità costituzionale della legge del 1958.

All'udienza i difensori hanno svolto le rispettive conclusioni, nelle quali hanno dichiarato di insistere.

 

Considerato in diritto

 

Le tre cause, congiuntamente discusse all'udienza, possono essere definite con unica sentenza, identiche essendo le questioni in esame.

Tali questioni possono essere così riassunte nei loro termini essenziali:

1) La legge 15 febbraio 1958, n. 74, concernente la regolamentazione dei canoni livellari veneti, violerebbe il principio di uguaglianza posto dall'art. 3 della Costituzione, disciplinando in maniera particolare i livelli veneti. La violazione si estrinsicherebbe sotto due aspetti: la legge impugnata darebbe, da un lato, una disciplina speciale, limitatamente ad una zona del territorio dello Stato (Veneto e Friuli), a situazioni che non presenterebbero alcuna peculiarità nei confronti di identiche situazioni esistenti nelle altre parti del territorio nazionale; dall'altro lato, la legge farebbe un trattamento differenziato solo per i livelli, mentre istituti sostanzialmente identici, vigenti nel medesimo ambito regionale, ne sono rimasti esenti.

2) La legge impugnata sarebbe in contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto disporrebbe espropriazioni non giustificate da ragioni di pubblico interesse e senza adeguato corrispettivo.

Le parti sono concordi nel ritenere che il principio di uguaglianza, consacrato nell'art. 3 della Costituzione, non consente che la legge venga a creare, tanto sul terreno dei diritti delle persone quanto su quello di ogni altro diritto o interesse, ingiustificati privilegi a favore o contro i cittadini che si trovino in determinate situazioni. La parti che sostengono l'illegittimità della legge impugnata non negano, in via di principio, che, quando sussistano giustificate ragioni, il legislatore possa emanare norme destinate a zone limitate del territorio nazionale, ma, contestando nel caso in esame la idoneità o addirittura la esistenza di tali ragioni, invocano dalla Corte un controllo tendente ad accertare se le dette ragioni sussistano o se siano adeguate. All'incontro, le parti che patrocinano la legittimità della legge sostengono che la Corte non possa compiere queste indagini senza entrare nell'ambito di un inammissibile sindacato del potere discrezionale del legislatore. In linea subordinata, i sostenitori della legittimità della legge espongono le ragioni che giustificherebbero la particolare disciplina data ai livelli veneti.

Di fronte ai diversi motivi che sono stati addotti per dimostrare il contrasto tra la legge impugnata e l'art. 3 della Costituzione, la Corte non può che richiamarsi ai principi che ha già avuto occasione di affermare in numerose sentenze (nn. 3, 28 e 118 del 1957 e n. 53 del 1958).

Alla stregua di tali principi i motivi addotti per contestare la legittimità della legge 15 febbraio 1958 non sono fondati.

Non si può, infatti, sostenere che la disciplina particolare dei livelli nelle province del Veneto e del Friuli sia sfornita di qualsiasi giustificazione. Anche se si debba ammettere che i livelli veneti non presentino, nel loro intrinseco carattere, una figura diversa da quella degli istituti similari delle altre Regioni, una cosa resta certa e cioè che nel Veneto e nel Friuli questi pesi alla proprietà fondiaria hanno una notevole consistenza economica che li contraddistingue, mentre nelle altre Regioni essi sono normalmente tanto esigui che spesso ne é addirittura antieconomica la riscossione.

Accertata questa idonea ragione della legge, ogni altra critica non può avere qui ingresso, si fondi essa sul fatto che non in tutte le province venete la situazione dei livelli sarebbe identica quanto alla consistenza economica dei canoni o si riferisca essa al fatto che in qualche altra zona del territorio nazionale sussisterebbero situazioni analoghe a quella delle province venete. Così pure non si può in questa sede esaminare se sia o non sia esatto che i canoni livellari riducibili debbano essere quelli costituiti anteriormente al Codice civile austriaco del 1812 e non quelli costituiti anteriormente al Codice civile italiano del 1865. Codeste indagini porterebbero a giudicare non se la legge sia conforme alla Costituzione, ma se la legge sia giusta, equa, opportuna, completa, tecnicamente ben fatta, ecc.: campo, questo, riservato all'esclusivo apprezzamento del legislatore, che ne assume piena ed intera la responsabilità politica.

É stato anche osservato che al nome "livello" non corrisponde nel diritto positivo vigente (e, del resto, non corrispondeva nel passato) né un istituto giuridico che presenti una sua propria autonomia rispetto all'enfiteusi. né un fenomeno giuridico abbracciante una serie di rapporti di un certo tipo con connotati specifici, univoci ed unilaterali. La legge impugnata mostrerebbe, inoltre, nel suo stesso testo, una intrinseca contraddittorietà: per un verso, disciplinando con l'art. 3 la determinazione del canone e la conseguente misura del prezzo di affrancazione, altererebbe gravemente la regolamentazione finora comune a tutti i rapporti enfiteutici (articoli 957 e segg. del Codice civile; legge 11 giugno 1925, n. 998; legge 1 luglio 1952, n. 751); mentre, per altro verso, mediante il meccanismo degli articoli 4 e 5 verrebbe ad uniformare il rimanente regime giuridico dei livelli a quello delle enfiteusi costituite dopo il 1941, disponendo la divisibilità del canone e della affrancazione, ammessa anche al di fuori delle condizioni di cui all'art. 143 delle disposizioni transitorie del vigente Codice civile.

A questi rilievi é da opporre che, una volta riconosciuto che il legislatore, nel legittimo esercizio del suo potere, ha enucleato un certo fenomeno, scegliendo come criterio di identificazione quello del "nome" (nel senso che la legge sarà applicata a quelle prestazioni che risultano qualificate come livelli), tale criterio, qualunque possa esserne la valutazione sotto ogni altro aspetto, non é criticabile sotto l'aspetto della legittimità costituzionale: non si vede, infatti, quale contrasto il criterio stesso presenti nei confronti della norma costituzionale invocata.

Vero é che, per una parte, la disciplina data dalla legge impugnata ai livelli veneti accosta ancora di più il trattamento di essi a quello dell'enfiteusi ed é anche vero che, per un'altra parte, il trattamento stesso ne viene differenziato. Ma questa constatazione, lungi dal dimostrare che sussista una contraddizione, conferma che l'istituto é stato dal legislatore considerato nella sua autonomia e disciplinato con criteri autonomi, che in parte coincidono ed in parte contrastano con la disciplina giuridica dell'enfiteusi e degli altri istituti similari.

Questa stessa osservazione vale per togliere pregio ad un altro argomento connesso con quello ora esaminato. É stato sottolineato, specialmente nella difesa orale, un contrasto tra la legge impugnata e l'ordinamento giuridico vigente, contrasto che apparirebbe grave specialmente nei confronti della legge 1 luglio 1952, sopra citata. Ma, anche ammettendo l'esistenza di tale contrasto, non si può dire che esso assuma rilevanza costituzionale dal momento che si é riconosciuto che la particolarità del caso giustificava una particolare disciplina.

Non sussiste la violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione.

Con una precedente sentenza di questa Corte (2 luglio 1957, n. 118) si é affermato che espropriare significa trasferire autoritativamente un bene da un soggetto ad un altro e che pertanto non realizza una espropriazione la legge che si limita a disciplinare un rapporto sinallagmatico, definendo un certo profilo delle obbligazioni delle parti. Ora, non é necessario verificare se, rispetto ai livelli veneti, ci si trovi di fronte a rapporti sinallagmatici, identica, comunque, essendo la ratio della ricordata decisione della Corte e dell'attuale decisione. In entrambi i casi si tratta di situazioni, di fronte alle quali il legislatore ha ritenuto di dettare una disciplina da cui deriva un sacrificio economico per una delle categorie che interferiscono in un certo rapporto.

Se, in situazioni del genere, il legislatore sopprimesse, nella sostanza o nella forma, i diritti di questa categoria, potrebbe sorgere un problema di legittimità costituzionale. Ed in tal senso sono state mosse doglianze contro la legge impugnata: nel senso, cioè, che essa avrebbe sacrificato al di là di ogni giusta misura i diritti di una delle due categorie interessate. Ma, a prescindere se questa doglianza possa essere inquadrata sotto l'aspetto della violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, é da rilevare che nel caso in esame la legge non ha privato, senza corrispettivo, dei propri diritti una categoria di cittadini a favore di un'altra categoria, ma ha inteso ridurre ad equità la misura di certe prestazioni. Che la riduzione sia stata troppo drastica, come si assume da una parte, non é un fatto che possa essere valutato in sede di legittimità costituzionale. Anche di fronte a questa doglianza, la ragione del decidere é la medesima che più volte é stata esposta nella presente causa: non può la Corte sindacare se la misura con cui i canoni livellari sono stati ridotti sia o non sia giusta od equa, restando questa valutazione riservata esclusivamente al legislatore.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con un'unica sentenza sui procedimenti elencati in epigrafe:

dichiara non fondata la questione, proposta con le ordinanze 31 ottobre 1958 del Pretore di Montagnana, 11 novembre 1958 del Pretore di Este, 9 dicembre 1958 del Pretore di Padova, sulla legittimità costituzionale della legge 15 febbraio 1958, n. 74, concernente la regolamentazione dei canoni livellari veneti, in riferimento agli articoli 3 e 42, terzo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1959.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI  - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.

 

Depositata in cancelleria il 15 luglio 1959.