Sentenza n. 53 del 1958
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 53

ANNO 1958

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 20 dicembre 1956, n. 1422, promosso con ordinanza 31 maggio 1957 del Pretore di Marcianise emessa nel procedimento civile vertente tra Foglia Vincenza e Modesto Raimondo, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 174 del 13 luglio 1957 ed iscritta al n. 66 del Registro ordinanze 1957.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica dell'11 giugno 1958 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

uditi l'avvocato Costantino Mortati per Foglia Vincenza e il vice avvocato generale dello Stato Marcello Frattini per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La sig.ra Vincenza Foglia con citazione 18 aprile 1957 convenne dinanzi al Pretore di Marcianise l'affittuario di un fondo di sua proprietà, Raimondo Modesto, per ottenere il pagamento di L. 74.000, equivalenti al canone, contrattualmente determinato in fasci di canapa 2.60, poi perequato in fasci 2.30 al moggio. Il convenuto eccepì che il canone richiestogli doveva essere ridotto del 30% a norma dell'art. 1 della legge 20 dicembre 1956, n. 1422, che dispone appunto la riduzione in questa misura dei canoni dei fondi rustici in canapa, o in danaro con riferimento al prezzo della canapa, comunque determinati, nelle province della Campania, a decorrere dall'annata agraria 1955-56 e sino al termine dell'annata agraria in corso al momento dell'entrata in vigore d'una nuova legge, contenente norme di riforma dei contratti agrari.

L'attrice sollevò allora la questione di legittimità costituzionale di questa disposizione di legge per violazione degli artt. 3, 23, 24, 25, 42, 101, 102, 104, 108 della Costituzione, in rapporto anche al principio della irretroattività della legge di cui all'art. 11 delle disposizioni preliminari al Codice civile.

Il Pretore di Marcianise, con sua ordinanza 31 maggio 1957, ritenuto che la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla sig.ra Foglia era rilevante, perché non se ne poteva prescindere per la determinazione del quantum dell'obbligazione dedotta in giudizio, osservò in particolare:

a) quanto all'art. 3 della Costituzione, che la riduzione dei canoni d'affitto, disposta dalla legge limitatamente alla Campania, non unica regione in cui vigono tali rapporti, potrebbe importare disparità di trattamento dei cittadini. Ciò tanto più se si consideri il fatto che le Sezioni specializzate agrarie di cui al decreto legislativo 1 aprile 1947, n. 277, e successive modificazioni hanno competenza a stabilire l'equo canone, in conformità delle tabelle annualmente emesse dalle apposite Commissioni tecniche provinciali. Ne deriverebbe che in tal modo sarebbero posti sullo stesso piano, agli effetti della riduzione del 30%, tanto i canoni effettivi onerosi per gli affittuari, quanto i canoni ridotti dalle Commissioni ad una misura equa, in conformità delle ricordate tabelle provinciali;

b) quanto all'art. 24 della Costituzione, che la tutela dei legittimati ad agire in giudizio per la perequazione del canone potrebbe risultare inconciliabile con la indiscriminata riduzione dei canoni "comunque determinati", disposta legislativamente. Questo contrasto potrebbe apparire con particolare evidenza nel caso dei contratti per i quali l'equo canone fosse già stato accertato in base alle tabelle dell'annata agraria 1955-56, scaduta prima dell'entrata in vigore della legge: la riduzione del canone avrebbe allora il carattere d'una vera e propria imposizione e più propriamente di un trasferimento coatto del diritto d'un privato a favore di altri privati. A questo proposito l'ordinanza ritiene che al sindacato della Corte debba essere sottoposta anche la questione dei limiti che il legislatore incontra nel derogare al principio della irretroattività della legge;

c) infine, in relazione all'art. 42 della Costituzione e con particolare riferimento all'annata agraria 1955-56, che la riduzione del 30% anche dei canoni dei quali sia stata accertata l'equità potrebbe risolversi in una forma di espropriazione, senza indennizzo, in danno del proprietario.

In base a questi rilievi il Pretore, rilevato che la questione d'illegittimità costituzionale non era manifestamente infondata, ordinò la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospese il giudizio.

L'ordinanza del Pretore di Marcianise fu notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio, rispettivamente il 3 e il 5 giugno 1957, comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 4 giugno 1957 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 174 del 13 luglio 1957.

2. - Il 24 giugno 1957 si costituì in giudizio il Presidente del Consiglio che eccepì con le proprie deduzioni: in primo luogo, quanto all'art. 3 della Costituzione, che il principio dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge non é violato, se questa parità sia legislativamente disciplinata soltanto per il territorio d'una Regione piuttosto che per tutto il territorio dello Stato; in secondo luogo, quanto all'art. 23 della Costituzione, che la cosiddetta imposizione a carico dei proprietari non sarebbe nel caso una prestazione personale e che comunque sarebbe stata disposta per legge; in terzo luogo, quanto agli artt. 24 e 25 della Costituzione, che, trattandosi di norme che riguardano la libertà d'agire in giudizio e il diritto al proprio giudice naturale, non si vede sotto quale profilo affermarne la violazione; ed infine, che l'intervento legislativo in materia di fitti non costituisce violazione né dell'art. 42, né degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione.

3. - Il 29 luglio 1957 si costituì in giudizio la sig.ra Vincenza Foglia che con le proprie deduzioni si soffermò ad illustrare in modo particolare l'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione, che vizierebbe la norma impugnata sia sotto il profilo della singolarità della legge, in quanto i casi ai quali si applicherebbe la riduzione del 30% sarebbero casi singoli, numerabili ad uno ad uno e non una serie indeterminata ed indeterminabile; sia per l'assenza d'una qualsiasi peculiarità di fatto che possa porsi a fondamento del trattamento differenziato stabilito dalla legge impugnata; sia per il contrasto fra il principio della legislazione vincolistica in materia di contratti agrari che limita gli interventi perequativi ai contratti degli affittuari coltivatori diretti e il principio della legge impugnata che invece favorisce indiscriminatamente tutti gli affittuari, sì che ne risulterebbe una disciplina identica per situazioni che l'intero sistema legislativo considera diverse.

La difesa della sig.ra Foglia insistette poi sulla violazione del principio della irretroattività della legge che avrebbe rilevanza costituzionale se riferito a situazioni consolidate sulla base di giudicati emessi in virtù delle norme anteriormente vigenti. In tali casi la retroattività della legge travolgerebbe l'efficacia dei giudicati e si risolverebbe nella violazione del principio della divisione dei poteri.

Successivamente, con memoria 14 maggio 1958, la difesa della sig.ra Vincenza Foglia ha ulteriormente illustrato il primo motivo delle proprie deduzioni specialmente riguardo alla possibilità d'identificare i limiti della valutazione che compete al legislatore in ordine alla diversità delle situazioni di fatto, con particolare riferimento ai lavori preparatori della legge, ai fini del controllo di costituzionalità diretto ad impedire che situazioni riconosciute in astratto pari nel sistema legislativo siano trattate diversamente dalla legge in casi concreti, quando per nessuno degli aspetti rivestiti essi si discostino dalla norma.

La memoria ha poi rinnovato la censura della legge n. 1422 del 1956, sotto il riguardo della violazione dell'art. 24 della Costituzione, in quanto un provvedimento di riduzione automatica dei canoni non potrebbe che precludere il ricorso alle procedure giurisdizionali, garantito in via generale a tutela dei diritti delle parti contraenti.

A questo riguardo la difesa della sig.ra Foglia segnala la legge 9 luglio 1957, n. 601, che, interpretando la legge 20 dicembre 1956, n. 1422, esclude espressamente il ricorso per la perequazione del canone dei contratti d'affitto dei fondi rustici delle province della Campania, ridotti del 30% a termini della legge n. 1422 del 1956. Questa legge d'interpretazione autentica non introdurrebbe nel sistema alcun elemento legislativo nuovo perché l'esclusione della difesa giudiziaria, che si afferma costituzionalmente illegittima, sarebbe già contenuta nella legge del 1956 di cui la legge n. 601 del 1957 non contiene, del resto, che una interpretazione.

4. - Anche l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria nei termini prescritti.

Con questa memoria le osservazioni della difesa della sig.ra Foglia a proposito della violazione dell'art. 3 della Costituzione sono esaminate e criticate quali accuse d'ingiustizia sostanziale della legge, cioè quali aspetti d'una questione irrilevante ai fini della legittimità costituzionale. Infatti le censure della sig.ra Foglia mirano a porre in luce che la legge impugnata non elimina le disparità esistenti e che può ridurre anche i canoni equi. Ma tutto ciò sarebbe estraneo al principio dell'uguaglianza che riguarderebbe invece l'applicazione della legge ai cittadini che si trovino nella stessa situazione soggettiva e non anche la considerazione delle condizioni particolari che possono giustificare una disciplina legislativa differenziata.

A questo riguardo l'Avvocatura dello Stato ha ricordato - a suo avviso ad abundantiam - che le tabelle delle Commissioni tecniche provinciali sarebbero legate a criteri locali, iniqui rispetto a quelli di altre regioni canapicole della Repubblica e che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione, le Sezioni agrarie specializzate per la determinazione dell'equo canone sono competenti a giudicare soltanto dell'eccessiva onerosità del contratto per sopravvenuti eventi straordinari ed imprevedibili e non anche dell'onerosità originaria dei contratti medesimi. Perciò, in definitiva, anche sotto il profilo della giustizia intrinseca, l'impugnato provvedimento legislativo avrebbe mirato ad eliminare un'eccessiva disuguaglianza di trattamento dei canapicultori della Campania, gravemente pregiudicati da condizioni locali, piuttosto che a stabilire per essi una disciplina privilegiata.

Quanto al richiamo agli artt. 23 e 42, l'Avvocatura dello Stato ha replicato con l'insegnamento della giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale la riduzione legislativa dei canoni non turba l'equilibrio dei corrispettivi contrattuali perché mira anzi proprio a tutelarlo, quando sia stato turbato. Ha richiamato inoltre la sentenza di questa Corte n. 118 del 1957 che si sarebbe pronunziata in senso favorevole alla tesi dell'Avvocatura, sia per quanto riguarda la natura delle prestazioni divenute coattive nei contratti privati in seguito ad una sopravvenuta disciplina legislativa, sia a proposito del fenomeno espropriativo che erroneamente sarebbe stato riscontrato nella mutata disciplina della struttura sinallagmatica del rapporto.

Infine, a proposito della violazione del principio della irretroattività delle leggi sotto il profilo segnalato sopra, l'Avvocatura dello Stato ha eccepito che, mentre per i giudicati dei Tribunali ordinari la questione non si porrebbe, perché in questi casi il titolo in base al quale agirebbe il proprietario sarebbe la sentenza e non il contratto, per le sentenze delle Sezioni specializzate, che si limitano ad accertare quale sia la misura equa del canone in seguito agli eventi sopravvenuti che abbiano sconvolto l'equilibrio del contratto, neppure sarebbe esatto parlare d'efficacia retroattiva della legge sul giudicato. Difatti le sentenze delle Sezioni specializzate non toccano i termini dell'originaria onerosità dei contratti, che rimane immutata, anche se un elemento del contratto, cioè il canone, sia stato giudiziariamente modificato in funzione degli eventi sopravvenuti. Perciò la riduzione ope legis del canone, che é invece in funzione dell'onerosità originaria, sarebbe irrilevante per i giudicati delle Sezioni specializzate e non si potrebbe quindi parlare d'efficacia retroattiva della legge n. 1422 del 1956.

Ciò a prescindere dalla considerazione che le eccezioni d'illegittimità per violazione del principio dell'irretroattività della legge sarebbero estranee al giudizio di costituzionalità, salvo che in materia penale.

5 - Alla pubblica udienza dell'11 giugno 1958 le parti hanno illustrato le rispettive tesi difensive, insistendo segnatamente sulla questione di legittimità costituzionale della legge impugnata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1. - La prima questione di legittimità costituzionale proposta con l'ordinanza del Pretore di Marcianise é quella dell'asserito contrasto tra la legge impugnata e l'art. 3 della Costituzione o, più esattamente, il principio dell'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge che quell'articolo consacra. Le altre questioni che l'ordinanza pure solleva sono, per lo meno in parte, derivate da questa o si fondano su questa, dalla cui risoluzione, pertanto, dipende quella della causa. E che sia così, sembrano ritenere tanto la difesa dello Stato, quanto quella della Foglia la quale, segnatamente, su questo punto ha insistito sia negli scritti difensivi, sia nella discussione orale.

2 - La Corte ha già avuto occasione di chiarire il valore e il significato del "principio di eguaglianza". L'obbligo del legislatore di trattare in modo eguale i cittadini non esclude, secondo la Corte, che esso possa dettare norme diverse per regolare situazioni diverse, adeguando la disciplina giuridica ai differenti aspetti della vita sociale. Così la Corte non ha ritenuto costituzionalmente illegittima una legge che, distinguendo tra dottori e ragionieri esercenti la "professione di commercialista", ha dettato regole diverse per la relativa iscrizione negli albi professionali (sent. n. 3 del 16 gennaio 1957); e un identico giudizio ha dato della legge, che, distinguendo tra immobili adibiti ad uso di abitazione e immobili destinati ad altro uso, ha regolato diversamente i relativi rapporti di locazione (sent. n. 28 del 22 gennaio 1957). Ma codesta interpretazione contiene implicita l'affermazione (che, più che un'ulteriore elaborazione del principio, ne costituisce un aspetto), che a situazioni diverse non può essere imposta un'identica disciplina legislativa. Una legge che pareggiasse situazioni che sono oggettivamente diverse, violerebbe, del pari, il principio dell'uguaglianza e contrasterebbe con le ripetute affermazioni della Corte, secondo le quali é da ritenere costituzionalmente legittimo il diverso regolamento legislativo di situazioni diverse.

La diversità delle due ipotesi é, in realtà, una diversità meramente apparente, che non toglie la loro sostanziale identità, la quale, perciò, esige una concorde soluzione del problema di legittimità costituzionale, che esse possono proporre in riferimento al principio contenuto nell'art. 3 della Costituzione.

Vero é che la giurisprudenza di questa Corte ha anche costantemente affermato che la valutazione delle diverse situazioni é riservata al potere discrezionale del legislatore e sottratta perciò al giudizio di legittimità costituzionale. Ma é anche vero che non si contraddice a queste affermazioni, né si compiono valutazioni di natura politica, e nemmeno si controlla l'uso del potere discrezionale del legislatore, se si dichiara che il principio dell'eguaglianza é violato, quando il legislatore assoggetta ad una indiscriminata disciplina situazioni che esso stesso considera e dichiara diverse.

3 - Ritiene la Corte che tale sia appunto il caso della legge 20 dicembre 1956, n. 1422. La disciplina dell'affitto dei fondi rustici risulta in primo luogo dal decreto legislativo lo aprile 1947, n. 277. Con questo decreto sono state istituite in ciascuna provincia Commissioni tecniche, composte anche di rappresentanti delle categorie interessate, col compito di stabilire per l'intera provincia o "per le singole zone in cui la provincia dovesse venire ripartita ai fini dell'omogeneità delle condizioni ambientali, degli ordinamenti aziendali, dei rapporti tra proprietà locatrice e impresa affittuaria e della produttività dei terreni per ogni formula contrattuale in uso", "l'ammontare del canone da dover considerare normale ed equo sulla base di un'oggettiva indagine delle condizioni economiche della produzione indicando anche i limiti al di là dei quali vi sia ragione di considerare la sperequazione grave" (art. 2). Con questo decreto furono anche istituite Commissioni arbitrali competenti a decidere le controversie relative alla materia regolata nel decreto stesso (art. 9), secondo criteri fissati nell'art. 1, ultimo capoverso. Successivamente, con legge 18 agosto 1948, n. 1140, le Commissioni tecniche provinciali ebbero il compito, sostanzialmente identico a quello loro affidato dal decreto del 1947, di determinare "l'ammontare del canone da considerarsi equo sulla base di un'oggettiva indagine delle condizioni economiche della produzione, con particolare riguardo ai costi colturali ed all'imponibile della mano d'opera" (art. 2). A queste Commissioni fu assegnato un termine per pronunciarsi sull'equità del canone (art. 2), termine prorogato con legge 3 giugno 1949, n. 321, la quale, contemporaneamente, autorizzò il Ministero per l'agricoltura a sciogliere le Commissioni che non si fossero pronunziate nel termine, e a sostituirle con Commissioni tecniche straordinarie composte di 3 membri di sua nomina (art. 3). Infine, alle Commissioni arbitrali previste presso ciascun Tribunale dall'art. 9 del decreto legislativo del 1947, n. 277, furono sostituite le Sezioni specializzate (art. 4 della legge 18 agosto 1948, n. 1140).

Ora il legislatore del 1956 ha ritenuto che l'applicazione di questo sistema aveva portato ad una diversa determinazione dell'ammontare dei "canoni di affitto dei fondi rustici in canapa o in denaro con riferimento al prezzo della canapa": lo si ricava dalle stesse parole della legge che, assoggettando tali canoni "comunque determinati" a una riduzione del 30%, presume l'esistenza di canoni perequati e di canoni non perequati, in generale determinati in qualsiasi misura e per qualsivoglia via. Ma é evidente che codesta parificazione di situazioni che lo stesso legislatore assume come diverse, non può dirsi in armonia col principio dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge quale é stato consacrato nell'art. 3 della Costituzione: da che deriva che la legge del 20 dicembre 1956, n. 1422, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

4. - Dalla dichiarata illegittimità costituzionale della legge impugnata discendono due conseguenze. La prima é che le altre questioni di legittimità costituzionale sollevate con l'ordinanza del Pretore di Marcianise sarebbero esaminate inutiliter e possono perciò essere tralasciate. La seconda, che deve dichiararsi, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale della legge 9 luglio 1957, n. 601, che ha escluso il ricorso di perequazione del canone previsto dall'art. 5 del decreto legislativo 1 aprile 1947, n. 277, e successive modifiche e integrazioni "quando il canone sia stato ridotto del 30% a termini della legge 20 dicembre 1956, n. 1422". L'intimo nesso che lega questa legge all'altra del 1956 é di per sé evidente e non ha bisogno di dimostrazione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge 20 dicembre 1956, n. 1422, intitolata "Riduzione dei canoni di affitto dei fondi rustici composti in canapa nelle province della Campania", in riferimento all'art. 3 della Costituzione; e, conseguentemente, della legge 9 luglio 1957, n. 601.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1958.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO -  Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 14 luglio 1958.