Sentenza n. 6 del 1958
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 6

ANNO 1958

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge regionale siciliana 22 settembre 1947, n. 11, prorogata con leggi successive, promossi con le ordinanze 18 dicembre 1956 del Tribunale di Catania emesse nei procedimenti civili vertenti tra Santonocito Giuseppe contro Russo Velis Salvatore e tra La Rosa Carmelo, Caruso Antonino e D'Urso Rosario contro Russo Velis Salvatore, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 104 del 20 aprile 1957 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 21 del 4 maggio 1957 ed iscritte ai numeri 43 e 44 del Registro ordinanze 1957.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente della Regione siciliana;

udita nella pubblica udienza del 27 novembre 1957 la relazione del Giudice Giuseppe Cappi;

udito l'avv. Francesco Santoro Passarelli, per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto di citazione 2 aprile 1955, i signori La Rosa Carmelo, Caruso Antonino e D'Urso Rosario, mezzadri di un fondo sito in Catania contrada S. Teodoro, coltivato a vigneto, convennero avanti al Tribunale di Catania il signor Russo Velis Salvatore proprietario del fondo.

Gli attori esponevano che la ripartizione del prodotto di detto vigneto per gli anni dal 1948 al 1954 era stata effettuata in ragione del 50% tra mezzadri e concedente; mentre, a norma degli art. 1 legge regionale 22 settembre 1947, n. 11; art. 1 legge regionale lo agosto 1949, n. 44; art. 1 legge regionale 17 giugno 1950 (rectius legge 26 giugno 1950, n. 44), la quota del mezzadro avrebbe dovuto essere maggiorata del 5% da prelevarsi da quella del concedente. Pertanto gli attori chiedevano la condanna del Russo Velis al pagamento in loro favore della complessiva somma di L. 102.498, rappresentata dal valore della suddetta maggiorazione del 5% che non era stata loro corrisposta.

Con citazione nella stessa data 2 aprile 1955, il signor Santo Nocito Giuseppe, altro mezzadro dello stesso podere, citava il Russo Velis avanti lo stesso Tribunale, chiedendo per gli stessi motivi il pagamento di L. 135.102.

Costituitosi, il Russo Velis deduceva preliminarmente il difetto di giurisdizione del Tribunale adito, ma tale eccezione, con sentenza non definitiva di pari data, veniva respinta. Prospettava poi la illegittimità costituzionale della invocata legge regionale 22 settembre 1947, n. 11, e successive conferme, sotto duplice profilo:

a) perché essa esorbita dai poteri legislativi consentiti all'Assemblea regionale, incidendo direttamente su rapporti tra privati;

b) perché contrasta nettamente sia con la legge fondamentale dello Stato (Codice civile) che prevede e disciplina la ripartizione dei prodotti nella mezzadria e nella colonia, sia con la legge eccezionale (19 ottobre 1944, n. 311) che regola la materia della ripartizione dei prodotti.

In ordine all'eccezione di incostituzionalità, il Tribunale, con due distinte ma identiche ordinanze, rilevato che gli stessi attori non si opponevano al rinvio della questione alla Corte costituzionale e ritenuto che tale questione era indubbiamente rilevante per la definizione del giudizio e non appariva manifestamente infondata, in data 18 dicembre 1956 ordinò la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale perché decidesse la seguente precisa questione: "se la disposizione dell'art. 1 legge della Regione siciliana 22 settembre 1947, n. 11, prorogata con le leggi regionali 10 agosto 1949, n. 44, 26 giugno 1950, n. 44, 12 agosto 1951, n. 43, e 26 giugno 1952, n. 16, (art. 3) fino alla entrata in vigore della legge statale di riforma dei contratti agrari, sia stata emanata oltre i limiti della potestà legislativa esclusiva in materia di agricoltura conferita all'Assemblea dall'art. 14 dello Statuto della Regione siciliana, facente parte, in base alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, delle leggi costituzionali della Repubblica e sia quindi costituzionalmente illegittima".

Venivano seguite le rituali e tempestive notifiche e pubblicazioni delle surriferite ordinanze.

Avanti alla Corte si costituiva il Russo Velis col patrocinio dell'avv. Paolo Torrisi, sostenendo la fondatezza della suindicata eccezione di incostituzionalità, concludendo però con il rimettersi al giudizio della Corte.

Con atti 27 marzo 1957, depositati lo stesso giorno nella cancelleria della Corte, interveniva nei giudizi il Presidente della Giunta regionale siciliana, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Francesco Santoro Passarelli, concludendo perché venisse respinta l'eccezione di illegittimità costituzionale.

Per la discussione delle cause veniva fissata l'udienza del 27 novembre 1957.

Non venivano presentate memorie.

Nelle sue deduzioni il signor Salvatore Russo Velis si dava carico che la Corte costituzionale, con varie sentenze, fra cui quella n. 35 del 24 gennaio 1957, aveva risolto in senso positivo la questione della competenza regionale siciliana a disciplinare in certi casi, nella materia dell'agricoltura anche i rapporti privati; aggiungeva però esso deducente di ritenere che "la sensibile materia dei poteri legislativi regionali potrà subire ancora assestamenti al fine di trovare un indirizzo che se da un lato non tolga alla Regione di realizzare più concretamente le aspirazioni autonomistiche, non crei dall'altro, come sembra possa avvenire in Sicilia, un turbamento di fondamentali principi di diritto positivo privatistico, con una graduale sostituzione delle norme del Codice civile".

Dal canto suo il patrocinio della Regione nel suo atto di intervento si riferiva esso pure alle sentenze pronunciate in materia dalla Corte costituzionale, e concludeva pertanto che venissero ritenute costituzionalmente legittime le leggi siciliane impugnate e venisse quindi dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale. A sostegno adduceva il testo dell'art. 14, lett. a, dello Statuto siciliano e il rilievo che in tale lettera a non era cenno della riserva circa la disciplina dei rapporti privati, riserva che figurava invece nella lett. d dello stesso articolo, in riguardo alla materia dell'industria e commercio.

Aggiungeva poi che non si comprenderebbe come la Regione potesse legiferare in materia di agricoltura senza incidere sui rapporti privati di cui l'economia agraria é intessuta.

Infine lo stesso patrocinio osservava che in Sicilia il rapporto di mezzadria ha una particolare configurazione e che, ad ogni modo, si tratta di una disciplina essenzialmente pubblicistica diretta a promuovere lo sviluppo dell'economia agraria siciliana e al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, a tenore dell'art. 44 della Costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte, essendo unica la questione proposta, decide con un'unica sentenza le due cause indicate in epigrafe, che già sono state riunite in udienza dal Presidente per essere congiuntamente discusse.

2. - Le cause riguardano alcune leggi della Regione siciliana, le quali regolano la ripartizione dei prodotti fra concedente e coloni in casi di colonia parziaria. Il Tribunale ha chiesto alla Corte di decidere se tali leggi siano costituzionalmente legittime; si ripropone cioè il quesito della facoltà della Regione siciliana di legiferare sui rapporti privati, specie in materia di agricoltura.

La Corte ha avuto occasione di pronunciarsi ripetutamente in proposito e basterà qui ricordare la più recente sentenza n. 109 del 1957. Dalle direttive già tracciate non vi sono ragioni per discostarsi.

3. - La Corte deve perciò riaffermare anzitutto il principio che, in via normale, la disciplina dei rapporti contrattuali e, in generale, delle materie di diritto privato va riservata alla legislazione statale. Soltanto lo Stato può, con sue leggi, derogare al principio fondamentale dell'autonomia contrattuale e della libertà negoziale (artt. 1322 e 1372 Cod. civ.). Anche se l'art. 5 della Costituzione, che proclama l'unità e l'indivisibilità della Repubblica, si riferisce precipuamente all'unità politica, non può negarsi che tale unità postuli o renda opportuna l'unicità di regime giuridico, giacché l'unità politica potrebbe venire turbata quando l'attività privata dei cittadini ed i rapporti fra di loro fossero regolati da norme giuridiche differenti da luogo a luogo.

4. - A questo principio generale la Corte peraltro non ha escluso che talune deroghe siano eccezionalmente ammissibili - e proprio nella materia di "agricoltura e foreste" alla quale si riferisce la facoltà legislativa esclusiva che é attribuita alla Regione siciliana dalla lettera a dell'art. 14 dello Statuto regionale -, indicando pure limiti e condizioni i quali siffatte deroghe possono consentire.

Questi sono:

a) Eccezionalità di situazioni locali. La semplice temporaneità delle leggi non basta; la temporaneità può valere soltanto come indice della situazione eccezionale che abbia dato causa alle leggi, situazione la quale, appunto se e perché eccezionale, non può essere che temporanea.

b) Lo scopo delle leggi deve avere di mira il soddisfacimento di interessi pubblici.

c) Le leggi non devono, d'altra parte, essere in contrasto con i criteri informatori della legislazione statale in materia, della quale devono anzi rappresentare un adattamento alle particolari situazioni ambientali.

La Corte ritiene che nella specie ricorrano le circostanze che, in base ai suindicati criteri, fanno giudicare legittime le leggi in discussione.

5. - Prima di scendere alla relativa dimostrazione concreta, é opportuno dare cenno di due rilievi prospettati durante la disputa sul tema oggetto della causa; sebbene tali rilievi siano stati presi in esame anche da precedenti sentenze di questa Corte.

Da un canto fu osservato che la potestà legislativa attribuita alle Regioni in materia agraria riguarda soltanto il settore tecnico, non mai la regolamentazione dei contratti, che non ha influenza sulla produzione. La tesi non é fondata. Infatti, se anche si ritenga, come già in precedenti sentenze la Corte ha ritenuto, che, in via di massima, devesi aver riguardo alle finalità per cui l'ente regione é stato creato, e che il decentramento regionale é in funzione del soddisfacimento di interessi pubblici, cosicché la competenza legislativa della Regione deve limitarsi alla disciplina della materia dell'agricoltura solo per quanto attiene a detti interessi; quand'anche, ripetesi, si debba ritenere tutto ciò, non si può escludere che anche il regolamento di rapporti privati in materia agraria possa in certi casi avere influenza sulla situazione generale economica, sull'incremento della produzione agricola e sulla pace sociale nelle campagne, cose tutte delle quali non si può contestare che rappresentino un interesse pubblico.

Dall'altro canto, la Regione ha addotto invece, quale argomento principale e decisivo della sua illimitata facoltà legislativa in materia, il fatto che, mentre l'art. 14 dello Statuto siciliano alla lett. d, relativa all'industria e commercio, fa esplicitamente "salva la disciplina dei rapporti privati", la lettera a, relativa all'agricoltura e foreste, non contiene nessuna esclusione. L'argomentazione non é accettabile, perché la diversità può significare soltanto che mentre per l'industria e commercio la disciplina dei rapporti privati é esclusa in via assoluta, in materia di agricoltura invece la Regione può in via eccezionale disciplinare anche quei rapporti; beninteso nei limiti sopra indicati.

6. - Tornando alla specie, la Corte osserva che dal testo delle leggi di cui é causa, dall'esame della legislazione statale in materia di contratti agrari e, soprattutto, dai verbali dell'ampia discussione avvenuta in seno all'Assemblea regionale siciliana, risultano chiaramente le seguenti circostanze. Le leggi del 1947 e successive furono motivate dall'accertamento che in materia di colonia parziaria si verificavano degli squilibri, delle sfasature nella ripartizione dei prodotti fra concedenti e coloni, inconvenienti ai quali si volle porre rimedio nell'interesse dell'economia agraria. La legislazione statale aveva già promulgato varie leggi precisamente sul punto della ripartizione dei prodotti, e la Regione aveva anche per vario tempo applicato il basilare D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 311 (cosiddetto decreto Gullo); il quale però aveva dato luogo in Sicilia a varie difficoltà. La Regione si propose di interpretare tale decreto e di adattarlo alle particolari situazioni ambientali. Le differenze con le analoghe leggi dello Stato hanno del resto un carattere più che altro strumentale, come risulta dal loro testo e dalle discussioni svoltesi nell'Assemblea regionale. Ad es., essendosi constatato che il deferire alle Commissioni la misura del riparto dei prodotti dava luogo a numerosissime controversie, si stabilì un criterio materiale di ripartizione uniforme, a percentuali fisse; inoltre, anziché della circostanza, non facile da accertare, della produttività dei singoli terreni, si tenne conto della quantità dei prodotti ricavati.

Indice della natura contingente della situazione che ha dato causa alle leggi di cui trattasi é anche la loro temporaneità. Infatti la prima legge del 22 settembre 1947, n. 11, ha l'esplicita durata di un solo anno; le successive ricorrenti proroghe non fanno che dimostrare il permanere delle particolari situazioni. La proroga contenuta nella legge 26 giugno 1952, n. 16, "fino alla entrata in vigore della legge sulla riforma dei contratti agrari", mostrerebbe inoltre la volontà della Regione di uniformarsi alla futura, e sembra imminente. legge statale sui contratti agrari.

7. - Concludendo, le leggi di cui é causa rientrano nei limiti entro i quali la Corte ritiene che la Regione possa, in materia agraria legiferare anche in tema di rapporti privati.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza nelle cause riunite di cui in epigrafe:

dichiara non fondata la questione proposta dal Tribunale di Catania con le ordinanze del 18 dicembre 1956, relativa alla legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge regionale siciliana 22 settembre 1947, n. 11, prorogata con leggi successive.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 1958.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI  

Antonio MANCA - Aldo SANDULLI

 

Depositata in cancelleria il 27 gennaio 1958.