Sentenza n. 126 del 1957
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SENTENZA N. 126

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 29 novembre 1952, n. 2460, promosso con ordinanza 29 novembre 1956 del Tribunale di Bari, emessa nel procedimento civile vertente tra Zezza Luigi ed altri, eredi di Zezza Vincenzo, e la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente per le sviluppo dell'irrigazione e per la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Molise, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 90 del 6 aprile 1957 ed iscritta al n. 38 del Registro ordinanze 1957.

Vista la costituzione in giudizio del'Ente di riforma col patrocinio dell'Avvocatura dello Stato;

udita nell'udienza pubblica del 16 ottobre 1957 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

uditi l'avvocato Guido Lo Re ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con decreti del Presidente della Repubblica 31 agosto 1951, n. 772, e 29 novembre 1952, n. 2460, venivano trasferiti all'Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e per la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Molise (Sezione speciale per la riforma fondiaria) terreni, appartenenti al sig. Zezza Vincenzo, della superficie complessiva di ha. 265.50.00.

Con citazione notificata il 12 agosto 1954 gli eredi del predetto Vincenzo Zezza convenivano l'Ente di riforma davanti al Tribunale di Bari chiedendo che venisse dichiarato il loro diritto di proprietà sui terreni che assumevano essere stati illegittimamente espropriati in virtù del D.P.R. n. 2460 del 29 novembre 1952.

A sostegno della domanda gli attori deducevano:

a) che l'espropriazione era stata attuata previo computo globale del patrimonio del defunto Zezza Vincenzo (deceduto il 3 gennaio 1952), anziché mediante il frazionamento per quota nei riguardi di essi eredi, succeduti nei beni ciascuno in misura inferiore al minimo espropriabile;

b) che nel calcolo del patrimonio espropriabile erano stati compresi terreni di cui, con effetto dal 1951, era stata eseguita la variazione catastale da "pascoli" a "boschi di alto fusto", in tal modo violando il principio della non computabilità dei boschi ai fini della determinazione della quota di scorporo;

c) che, contravvenendo al disposto dell'art. 4 della legge n. 841 del 1950 (legge stralcio), la quota di scorporo era stata fissata in base alla consistenza patrimoniale al momento della formazione del piano di espropriazione (15 settembre 1952) e non alla data del 15 novembre 1949, indicata nel citato art. 4, e che per effetto di ciò la quota di scorporo invece che su ha. 524.07.56 era stata calcolata su ha. 566.06.91;

d) che non era stato concesso il beneficio della conservazione del terzo residuo di cui all'art. 9 della legge stralcio, beneficio richiesto con domanda del 9 dicembre 1952.

2. - L'Ente convenuto, costituitosi in giudizio, resisteva alla domanda contestandone la fondatezza in ciascuno dei suoi capi.

In particolare osservava che, in virtù delle leggi Sila e stralcio, oggetto dell'espropriazione é la consistenza della proprietà terriera individuale al 15 novembre 1949, da determinarsi sulla base delle risultanze catastali esistenti, e che la morte del soggetto espropriato nelle more del procedimento non interrompe o modifica la procedura di esproprio.

Sui motivi di cui alle lettere c e d negava che nel calcolo delle quote di esproprio si fosse incorsi nell'errore denunciato dalla parte istante e, quanto alla non concessione del beneficio della conservazione del terzo residuo, opponeva che la relativa domanda, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 841 del 1950, avrebbe dovuto essere presentata entro sessanta giorni dalla pubblicazione del piano di espropriazione e che invece nei termini di legge nessuna domanda era stata all'uopo inoltrata.

3. - Successivamente, con istanza 28 aprile 1956, il procuratore degli attori sollevava specifica eccezione di illegittimità costituzionale del citato D.P.R. n. 2460 del 29 novembre 1952, per violazione dell'art. 44 della Costituzione, e chiedeva che fosse disposta la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione delle questioni.

4. - Il Tribunale, con sentenza non definitiva del 29 novembre 1956, dichiarava manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale di cui ai primi due capi della domanda attrice (sempre lettere a e b); e, con ordinanza in pari data, ritenuto che le ulteriori questioni di cui alle lettere c e d, pregiudiziali alla decisione di merito, non potevano considerarsi manifestamente infondate in riferimento, rispettivamente, all'art. 4, primo comma, della legge n. 841 del 1950, all'art. 9 - in relazione all'art. 8 - della stessa legge, e all'art. 9, primo comma, del D.P.R. 7 febbraio 1951, n. 67, sospendeva il processo e disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte per la risoluzione delle questioni stesse.

5. - Eseguita la notificazione in data 8 marzo 1957, dopo le prescritte comunicazioni, l'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 90 del 6 aprile 1957.

Nei termini di legge si sono costituiti in giudizio sia gli eredi del defunto Vincenzo Zezza, con il patrocinio dell'Avv. Michele Pansini, che l'Ente di riforma, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato.

6. - La parte privata, ribadendo le eccezioni già sollevate nel giudizio di merito, ha dedotto:

Sulla prima questione: che, come ampiamente documentato e riconosciuto nel giudizio innanzi al Tribunale, la proprietà del sig. Vincenzo Zezza, al 15 novembre 1949, era costituita da ha. 274.92.26 per patrimonio personale, più ha. 249.15.30 rappresentante la terza parte dell'eredità indivisa del germano Francesco Zezza, deceduto il 2 giugno 1949, e così complessivamente ha. 524.07.56. L'Ente di riforma invece, erroneamente determinando la consistenza patrimoniale con riferimento al momento successivo della formazione del piano di espropriazione (15 settembre 1952), aveva calcolato la quota di esproprio su ha. 566.05.91, comprensivi di terreni acquistati dal predetto Zezza Vincenzo in data 18 aprile 1950 a seguito della divisione dell'eredità di Francesco Zezza. Di qui, l'illegittimità costituzionale del decreto di esproprio, emanato inviolazione dell'art. 4 della legge stralcio, che fissa la data di riferimento 15 novembre 1949.

Sulla seconda questione: che la istanza diretta a conservare il terzo residuo a norma dell'art. 9 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, era stata proposta in data 3 dicembre 1952 e prima dell'approvazione ministeriale del piano di trasformazione della zona interessata. Detta domanda, sebbene inoltrata oltre il termine di sessanta giorni dalla data di pubblicazione del piano di espropriazione, darebbe egualmente diritto alla conservazione del terzo della superficie espropriabile, poiché all'atto della pubblicazione del piano di espropriazione non erano stati neppure approntati i programmi di trasformazione, di cui all'art. 3 della legge n. 841, indispensabile presupposto per l'assunzione, da parte del proprietario, degli obblighi previsti dal citato art. 9 per la conservazione del terzo residuo.

La difesa degli eredi Zezza ha pertanto chiesto dichiararsi costituzionalmente illegittimo il D.P.R. del 29 novembre 1952, n. 2460, pubblicato nel supplemento ordinario n. 1 della Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 302, del 31 dicembre 1952.

7. - Contro questi motivi la difesa dell'Ente di riforma ha specificamente opposto che la prima delle due questioni rinviate al giudizio della Corte é tuttora indeterminata in punto di fatto, sia perché non é, allo stato degli atti, certo che l'errore denunciato sia stato commesso, sia perché non é stato dimostrato che a causa dell'errore sia stata espropriata una superficie maggiore rispetto alle tabelle di scorporo.

Sulla seconda questione l'Avvocatura dello Stato, premesso che il termine di cui all'art. 9 della legge stralcio é da considerarsi perentorio e decorre, secondo testuale disposizione, dalla pubblicazione del piano di espropriazione e non dall'approvazione ministeriale del programma di trasformazione fondiaria, osserva che, comunque, in data 12 settembre 1951 l'Ente riforma aveva comunicato allo Zezza Vincenzo quali opere, per la conservazione del terzo residuo, avrebbero dovuto essere eseguite, ma che neppure a questa con unica azione seguì richiesta alcuna. Rileva, infine, che i piani di trasformazione fondiaria della zona erano stati approvati nel luglio 1951 dal Ministero dell'agricoltura e che di ciò é traccia in una lettera inviata il 24 luglio 1951 dal Ministero stesso alla Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente convenuto. Conclude pertanto chiedendo, in via preliminare, dichiararsi inammissibili o improponibili le questioni come sopra detto sollevate e, in ogni caso, dichiarare nel merito infondate le questioni stesse.

Il 2 ottobre la difesa dei sigg. Zezza ha presentato una breve memoria con la quale si insiste nelle ragioni già esposte, in relazione, specialmente, alle due pronunce di questa Corte nn. 67 e 82 del 25 maggio 1957.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'eccezione preliminare di inammissibilità o improponibilità della prima questione di legittimità, sollevata dall'Avvocatura dello Stato sul rilievo che, data l'incertezza del fatto denunciato (determinazione della percentuale di scorporo sulla base della consistenza patrimoniale al 15 settembre 1952 invece che al 15 novembre 1949), sarebbe allo stato degli atti impossibile stabilire la rilevanza della questione di legittimità per la decisione delle controversie sottoposte al giudizio del Tribunale di Bari, é infondata.

Nel procedimento avanti al giudice ordinario la parte attrice aveva infatti denunciato, dandone la prova documentale, che la percentuale di scorporo era stata determinata su una superficie complessiva con riferimento alla proprietà posseduta al momento della formazione del piano di espropriazione (15 settembre 1952), e non già alla minore consistenza patrimoniale, alla data del 15 novembre 1949 (art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841). Ora é vero che questa affermazione era stata contrastata dall'Ente convenuto, che aveva genericamente eccepito il difetto di prova certa sul punto, ma é anche vero che la circostanza stessa formò oggetto di specifico esame da parte del Tribunale all'atto della precisazione delle conclusioni di una richiesta istruttoria di consulenza tecnica avanzata al fine di determinare la sussistenza e l'entità dell'errore lamentato, richiesta non accolta dal collegio giudicante.

Inoltre nell'ordinanza con cui é stato promosso il giudizio di legittimità costituzionale i termini della questione sono riferiti in modo tale da non lasciar dubbi sul punto che il decreto impugnato abbia attuato l'espropriazione sulla base della consistenza patrimoniale terriera dello Zezza Vincenzo al momento della formazione del piano di espropriazione anziché alla data del 15 novembre 1949.

Il giudizio di legittimità, così come é stato promosso, ha pertanto per oggetto lo stabilire se un decreto di esproprio che abbia determinato la quota di scorporo in violazione del disposto dell'art. 4, primo comma, della legge 21 ottobre 1950 n. 841, sia o non viziato da illegittimità costituzionale per eccesso rispetto alla legge di delegazione (artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione).

Non si può sostenere che la decisione di codesta questione sia irrilevante ai fini del giudizio di merito. Il Tribunale si é infatti proposto questo quesito pervenendo alla conclusione secondo cui l'indagine circa la legittimità del criterio adottato per la determinazione della massa dei terreni da sottoporre allo scorporo é necessariamente preliminare alla definizione del giudizio.

2. - Ciò posto, sul merito della questione la Corte non può che richiamarsi alle sue precedenti pronunce (e in particolare alla sentenza n. 67 del 25 maggio 1957) con le quali é stato esplicitamente statuito che la data del 15 novembre 1949 costituisce un termine costante e fondamentale di riferimento sia per la individuazione dei titolari delle proprietà soggette all'esproprio, sia per la determinazione della situazione obiettiva della proprietà stessa. Per certo l'art. 4, primo comma, della legge n. 841 del 1950 (legge stralcio) dispone tassativamente che la consistenza della proprietà privata soggetta ad esproprio deve essere valutata al 15 novembre 1949.

3. - La seconda questione di legittimità costituzionale del decreto di esproprio, che sorge per il fatto che non sia stato concesso il beneficio del "terzo residuo" dei beni espropriati, ai sensi degli artt. 8 e 9 della citata legge stralcio, non é, invece, fondata.

Si deve al riguardo considerare pacifico il fatto che il sig. Vincenzo Zezza, proprietario espropriato, non richiese, entro il termine di sessanta giorni dalla data di pubblicazione del piano di esproprio, di conservare la quota del terzo dei beni espropriati come dispone l'art. 9 della legge n. 841 del 1950.

Solo in data 9 dicembre 1952, e dunque successivamente per fino all'emanazione del decreto di esproprio, gli eredi del sig. Vincenzo Zezza, che era deceduto il 3 gennaio 1952, inoltrarono l'apposita istanza per la conservazione del terzo residuo.

Ora poiché detto termine di sessanta giorni dalla data di pubblicazione del piano é da considerare comminato a pena di decadenza, e perciò in nessun caso prorogabile o rinnovabile, la domanda presentata fuori termine non poteva produrre il risultato che gli eredi Zezza intendevano conseguire.

Non vale opporre che alla data di pubblicazione del piano di espropriazione non era stato ancora approntato (e conseguentemente non era stato sottoposto al parere del Consiglio della Sezione speciale dell'Ente per la riforma fondiaria né all'approvazione del Ministero dell'agricoltura) il programma di trasformazione fondiaria di cui all'art. 3 cit. legge n. 841.

Anche su tale punto questa Corte con sue precedenti sentenze (nn. 59, 63, 64 del 25 maggio 1957) ha precisato che l'obbligo per gli enti di riforma di predisporre i programmi di trasformazione non ha per destinatario il singolo proprietario espropriato, bensì l'autorità governativa che esercita la vigilanza sugli enti e ne coordina le funzioni.

Con la citata sentenza n. 63 questa Corte ha altresì enunciato il principio che, nel sistema della legge stralcio, mentre l'esercizio della facoltà del proprietario di eseguire opere di trasformazione sul terzo residuo della zona espropriata, al fine di conservare la proprietà di una parte, é subordinato alla presentazione della domanda nel termine di sessanta giorni dalla pubblicazione del piano di esproprio, nessun termine é invece posto all'Ente nei riguardi del proprietario per la compilazione del piano di trasformazione. Se ne può agevolmente dedurre che la omessa predisposizione dei piani di trasformazione é un fatto non rilevante rispetto all'onere di presentare la domanda per la conservazione di parte del terzo residuo, e che pertanto il termine di sessanta giorni decorre dalla data di pubblicazione del piano di esproprio anche quando non sia stato predisposto il programma di trasformazione fondiaria.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinta l'eccezione pregiudiziale sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato;

dichiara la illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 29 novembre 1952, n. 2460, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 1952 (supplemento ordinario n. 1), in relazione all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, in quanto la quota della proprietà terriera espropriata nei confronti del sig. Vincenzo Zezza eccede quella che sarebbe risultata effettuando il calcolo sulla base della consistenza patrimoniale al 15 novembre 1949.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 novembre 1957.

Gaetano AZZARITI – Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA – Aldo SANDULLI.

 

Depositata in Cancelleria il 30 novembre 1957.