Sentenza n. 103 del 1957
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SENTENZA N. 103

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, e del D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, promosso con l'ordinanza 18 settembre 1956 del Pretore di Varallo Sesia, emessa nel procedimento penale a carico di Malvestito Cesare ed altri, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 del 12 gennaio 1957 ed iscritta al n. 331 del Registro ordinanze 1956.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica dell'8 maggio 1957 la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli;

uditi l'Avv. Aldo Dedin e il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna.

 

Ritenuto in fatto

 

Con vari decreti penali il Pretore di Varallo Sesia condannava Malvestito Cesare ed altri, imputati del delitto preveduto dallo art. 14 del D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, per avere posto in vendita e venduto carne a prezzo superiore a quello fissato dal comitato provinciale dei prezzi.

Contro tali decreti veniva proposta ritualmente opposizione adducendosi, fra l'altro, la "incostituzionalità della norma contenuta nel citato art. 14, perché in contrasto con l'ultimo comma dell'art. 41 della Costituzione".

Il Pretore, riuniti i procedimenti per definirli congiuntamente, con ordinanza del 18 settembre 1956, disponeva la sospensione dei medesimi e la trasmissione degli atti a questa Corte per la decisione della suddetta questione di legittimità.

Nel provvedimento pretorile, a motivazione della determinazione adottata, si rileva che gli imputati, opponendosi ai decreti penali di condanna, hanno sollevato, in relazione all'art. 41 della Costituzione, eccezione d'illegittimità del D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896 nonché del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, dal quale i comitati dei prezzi derivano i loro poteri; che l'art. 41 della Costituzione, dopo avere affermato che l'iniziativa economica privata é libera, fa salvi gli opportuni controlli, affinché essa sia indirizzata a fini sociali e non si svolga con danno alla libertà e alla dignità umana; che nel D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, e nel D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, il potere di fissare i prezzi appare conferito al Governo senza alcun limite e, comunque, all'infuori di alcuna delle ragioni giustificative prevedute dalla Costituzione; che pertanto la eccezione di illegittimità del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, e, conseguentemente, dell'art. 14 del D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, non é tale da potersi definire manifestamente infondata.

L'ordinanza, notificata agli imputati e al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 del 12 gennaio 1957.

Nel giudizio avanti questa Corte si sono costituiti Malvestiti Cesare, Jonfer Luigi, Chiocca Flaminio, Locca Delfino, Delzanno Benito, Ferraris Francesco, Barberis Virgilio, Spruzzola Vito, Colombo Battista, Crevaroli Carlo e Burla Giuseppe, i primi cinque qui rappresentati e difesi dagli avvocati Gennaro Wertmuller e Carlo Sequi, in virtù di procura 22 gennaio 1957, comprensiva anche della elezione di domicilio in Roma, presso lo studio dello Avv. Sequi, via Monte Zebio, 24; gli altri, rappresentati anch'essi dai medesimi avvocati e domiciliati elettivamente in Roma ugualmente in via Monte Zebio, 24, in virtù di procura speciale 26 gennaio 1957.

Successivamente, i primi cinque associavano alla difesa l'avvocato prof. Francesco Pierandrei e il Crevaroli l'Avv. Aldo Dedin.

É intervenuto il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa del Malvestito ed altri nelle deduzioni del 29 gennaio 1957 assume, in via preliminare, che la cennata ordinanza del pretore di Varallo Sesia non sarebbe chiara in quanto, dopo avere preso in esame nella motivazione i decreti del 1944 e del 1946, che attribuiscono al C.I.P. i poteri disciplinati nel decreto del 1947, non si occupa del decreto del 1946 e dichiara non manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale relativamente ai soli due decreti del 1944 e del 1947, senza rigettare l'eccezione relativa al decreto del 1946 ed omettendo, in proposito, ogni motivazione.

La stessa difesa, nelle deduzioni su menzionate, impugna sotto altro aspetto la costituzionalità dei D.L.L. 23 aprile 1946, n. 363 e D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, perché non ratificati dal Parlamento, eletto nel 1948, entro un anno dalla sua entrata in funzione, ai sensi degli artt. 3, primo comma, e 6 del D.L.L. 16 marzo 1946, n. 98.

La difesa, nelle stesse deduzioni, conclude "che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale:

a) del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, e particolarmente degli artt. 1, secondo comma, 3, 4 e 7;

b) del D.L.L. 23 aprile 1946, n. 363, e particolarmente dell'art. 6;

c) del decreto del Capo provvisorio dello Stato 15 settembre 1947, n. 896, e particolarmente degli artt. 6, 9, 12, 14".

Nel merito la difesa del Malvestito rileva che, riferendosi il terzo comma dell'art. 41 della Costituzione alla "legge", soltanto una vera e propria delega legislativa poteva investire l'autorità amministrativa dei poteri attribuiti, con i decreti legislativi del 1944 - 1947, ai comitati dei prezzi, cioè di poteri riservati costituzionalmente al legislatore.

Che se poi, per evitare la censura di violazione dell'art. 41, si dicesse che i comitati - prezzi fossero investiti di potestà legislativa ed i loro atti fossero leggi delegate, i controversi decreti legislativi non sfuggirebbero egualmente alla denunzia di incostituzionalità, non avendo la delega che in essi sarebbe contenuta i requisiti essenziali prescritti dall'art. 76 della Costituzione.

Ammesso tuttavia che all'autorità amministrativa possano essere attribuiti dei poteri nella materia in esame, essi però non devono identificarsi, quanto al contenuto, con lo stesso potere legislativo. Il che invece sarebbe accaduto per i provvedimenti dei comitati interministeriale e provinciali dei prezzi, atteso che attraverso la disciplina dei prezzi stessi l'intera economia nazionale può essere agevolmente manovrata.

Infatti, determinare un programma - come é prescritto dall'art. 41 della Costituzione - significherebbe predisporre un'attività con un triplice ordine di limitazioni: di tempo, di oggetto, di fini.

Ma nei decreti legislativi in argomento non vi sarebbe alcuna di tali limitazioni.

Non di tempo, perché al riguardo manca ogni accenno.

Non di oggetto, attesa la portata degli artt. 4 del D.L.L. n. 347 del 1944 e 6 del D.L.L. n. 363 del 1946, nonché la mancanza di ogni disposizione, in proposito, nel D.L.C.P.S. n. 896 del 1947.

Non di fini, in quanto soltanto l'art. 1 del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, stabilisce, che "é istituito un comitato interministeriale dei prezzi per il coordinamento e la disciplina dei prezzi".

Ma, a guardar bene, il coordinamento e la disciplina dei prezzi non costituirebbero un fine, ma un mezzo. Invero, il fine dev'essere l'utilità sociale, che il legislatore non può considerare in astratto, ma deve disciplinare in concreto, tanto più quando delega alla pubblica amministrazione il potere amplissimo di attuare codesta disciplina.

La difesa del Malvestito rileva ancora che si dovrà esaminare se i decreti n. 363 del 1946 e n. 896 del 1947 non debbano considerarsi decaduti per mancata ratifica, ai sensi dell'art. 6 del D.L.L. 16 marzo 1946, n. 98, secondo il quale i provvedimenti legislativi emanati dal Governo, deliberati "nel periodo della Costituzione e sino alla convocazione del Parlamento, a norma della nuova Costituzione, devono essere sottoposti a ratifica del nuovo Parlamento entro un anno dalla sua entrata in funzione", cioè entro l'8 maggio 1949.

Deve stabilirsi cioè se la ratifica, come sopra preveduta, doveva intervenire entro il termine anzidetto o se, ad evitare la decadenza, era sufficiente la semplice presentazione dei decreti al Parlamento per la ratifica stessa.

E conclude nei termini su trascritti.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, la sola garanzia richiesta dall'art. 41 della Costituzione per gli interventi dello Stato atti a disciplinare la iniziativa privata, nel campo della produzione intesa lato sensu, é che i "programmi", i piani, ed i controlli siano previsti da apposite disposizioni di legge, non siano cioè direttive e controlli arbitrariamente adottati dall'amministrazione. Ma tale garanzia risulta soddisfatta allorché dalla legge sia stato determinato il tipo o specie di programma o di controllo, senza che né l'uno, né l'altro debbano essere regolati dalla legge stessa in ogni parte o modalità. Il che sarebbe, del resto, nella specie praticamente impossibile, data la esigenza di adeguare prontamente il vincolo ai successivi mutamenti dei costi e della situazione economica e monetaria (c. d. sistema del blocco elastico e manovrato).

Pertanto, avendo il legislatore del 1944 e del 1947 attribuito al C.I.P. ed ai comitati provinciali la competenza alla emanazione di provvedimenti amministrativi a carattere generale diretti, appunto, a realizzare le finalità, fissate da esso stesso legislatore, del coordinamento e della disciplina dei prezzi, non può ritenersi che questo tipo di controllo sulla distribuzione di alcuni beni, prestazioni e servizi di utilità generale non sia stato previsto dalla legge e da questa direttamente attribuito, per quanto attiene al suo concreto esercizio, agli organi esecutivi.

E così conclude: "Piaccia alla Ecc.ma Corte costituzionale dichiarare che non sussiste la illegittimità costituzionale del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, e del D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, in relazione all'art. 41 della Costituzione; di conseguenza dichiarare le dette due leggi valide ed efficaci ad ogni effetto".

Nel termine stabilito dall'art. 10 delle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte, sia la difesa del Malvestito che quella del Presidente del Consiglio dei Ministri hanno presentato ampie memorie illustrative le quali possono così sintetizzarsi.

All'uopo vanno segnalati preliminarmente, raggruppandoli, taluni rilievi della difesa del Malvestito; cioè, che con l'attuale regolamentazione della materia possono ritenersi violati gli articoli 3, 23, 97 e 113 della Costituzione, oltre l'art. 41 cui fa espresso riferimento l'ordinanza del Pretore di Varallo Sesia.

Il primo, in quanto vi sarebbe una lesione del principio di eguaglianza dei cittadini, a danno o favore di determinate categorie di soggetti, a seconda che i medesimi siano interessati alle merci o ai servizi sottoposti o, viceversa, esclusi dai limiti di prezzo.

Il secondo, in quanto con il sistema attuale si potrebbe determinare una imposizione tributaria in via mediata; nei confronti, cioè, di quelle categorie alle quali si impone un prezzo massimo molto contenuto.

L'art. 97, in quanto nei ripetuti decreti legislativi mancano, riguardo al funzionamento dei comitati - prezzi, le regole procedurali e le garanzie necessarie affinché le funzioni demandate a detti organi siano svolte in maniera più adeguata e completa.

Potrebbe ritenersi violato, infine, l'art. 113 - ove i provvedimenti dei comitati prezzi si considerassero atti amministrativi in quanto, i medesimi non essendo motivati, sarebbe pressoché impossibile, nei loro confronti, l'esercizio della garanzia giurisdizionale specialmente per il vizio di eccesso di potere nelle sue varie forme.

Ribadisce poi la difesa del Malvestito che il terzo comma dell'art. 41 va interpretato nel senso che la legge, nel determinare i programmi e i controlli, individua anche i fini sociali, in rapporto ai quali i primi vengono fissati, affinché agli organi competenti anch'essi legislativamente preveduti - venga offerto un preciso criterio o canone direttivo secondo il quale svolgere la propria azione. La legislazione limitativa sui prezzi, invece, non determinerebbe alcun programma e non individuerebbe i fini sociali.

Passando poi ad esaminare la natura giuridica dei provvedimenti - prezzi, la difesa del Malvestito prende in considerazione sia l'ipotesi che a detti provvedimenti si riconosca il carattere di atti amministrativi, sia l'ipotesi secondo la quale tratterebbesi di atti che, pur emanati dall'esecutivo, sono sostanzialmente legislativi.

Si rileva che, nel primo caso, si avrebbe la cennata violazione degli artt. 97 e 113 della Costituzione, ma che anche nel secondo caso sarebbe lecito dubitare della validità dei ripetuti provvedimenti.

Si esclude, infatti, che questi, come atti legislativi, possano essere considerati "leggi delegate" per quanto é stato detto nelle deduzioni.

Si esclude, altresì, che possano essere considerati "regolamenti delegati" in senso proprio, perché nella specie mancherebbe una delega, sia esplicita che implicita, all'amministrazione per l'esercizio di una competenza propria del potere legislativo.

Si pone in rilievo, infine, che i ripetuti provvedimenti, quali atti sostanzialmente legislativi, potrebbero essere considerati soltanto "regolamenti ministeriali". Più specificamente, apparterrebbero alla categoria di quei regolamenti ministeriali, che contengono norme giuridiche le quali superano l'ambito regolamentare in senso proprio, esplicando la loro potestà disciplinatrice nei confronti di materie coperte da "riserva di legge". Riserva la quale, rispetto alle autonomie private, non opera solo nel senso che esclusivamente una norma primaria, di legge formale, può regolare una determinata materia, ma altresì nel senso che é necessaria l'attribuzione di una esplicita potestà alla amministrazione affinché questa possa incidere, con provvedimenti concreti, nelle sfere private dei diversi soggetti.

Ma poiché la emanazione dei provvedimenti in parola non deriva dalla attribuzione di una siffatta potestà agli organi che li deliberano, ne consegue - si conclude - che anche per questa via tali provvedimenti devono ritenersi illegittimi.

Si pone altresì in rilievo, che il blocco dei prezzi sorse in Italia con il R.D.L. 5 ottobre 1936, n. 1746, e che il D.L.L. dell'ottobre 1944, istitutivo del comitato interministeriale e dei comitati provinciali dei prezzi, si inserisce nel sistema nato nel 1936 e perfezionato durante la guerra "per gli scopi contingenti propri del periodo bellico".

Ciò posto, si domanda se possa dirsi conforme alle prescrizioni contenute nell'art. 41 della Costituzione la perpetuazione di un sistema ispirato a siffatti scopi. Ed invero se tale disposizione tassativamente prescrive che i controlli sull'attività economica sono consentiti solo se preordinati a certi fini sociali valutati dal legislatore (ancorché implicitamente enunciati), ne deriverebbe l'impossibilità di perpetuare certi controlli, quando gli scopi per cui furono costituiti sono cessati: se nuovi fini si prospettano, essi impongono una nuova valutazione ad opera del legislatore.

In conseguenza di tutto quanto innanzi esposto, la difesa del Malvestito ed altri insiste nelle conclusioni spiegate con l'atto di deduzione 29 gennaio 1957.

Per quanto attiene alla memoria presentata dall'Avvocatura generale dello Stato, in essa preliminarmente si rileva che nessun accenno é fatto al D.L.L. 23 aprile 1946, n. 363, nella ordinanza del Pretore e, ciononostante, il Malvestito ha chiesto la dichiarazione di incostituzionalità anche dell'art. 6 del cennato decreto. Ed ha chiesto la medesima dichiarazione in ordine a determinati articoli degli altri due decreti, articoli non specificati nell'ordinanza stessa, che si riferisce genericamente ai soli decreti.

Ciò premesso si conclude che la questione in pratica ed, in particolare, nel caso concreto, appare di scarsa rilevanza di fronte al potere spettante alla Ecc.ma Corte, ed espressamente ad essa riconosciuto dall'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, di prendere in esame, d'ufficio e per proprio conto, la legittimità costituzionale delle disposizioni legislative che si trovino in rapporto di così stretta ed intima connessione con quelle espressamente impugnate e rimesse al giudizio della Corte, che dalla declaratoria di illegittimità di queste ultime non possa non necessariamente derivare anche la declaratoria di illegittimità delle prime.

Si sottolinea, poi, che l'obbligo sancito dall'art. 6 del D.L.L. 16 marzo 1946, n. 98, riguarda soltanto il D.L.C.P.S. n. 896 del 1947 e che tale obbligo deve ritenersi soddisfatto con la presentazione al Parlamento del provvedimento per la ratifica entro l'anno. E poiché ciò é avvenuto, infondato é l'assunto della difesa del Malvestito con cui si chiede la decadenza dei decreti del 1946 e del 1947 per mancata ratifica.

Nel merito l'Avvocatura osserva che, analizzando l'art. 41, terzo comma, della Costituzione, appare chiaro come i programmi, che devono essere determinati con legge, altro non possono essere, nel campo economico, che le direttive programmatiche dello Stato in una economia controllata, per indirizzare l'azione dei privati e le iniziative dello Stato nel campo della produzione dei beni e dei servizi.

Correlativa alla previsione dei "programmi" é la previsione dei "controlli" che, nel campo della produzione e dello scambio, servono a porre lo Stato in condizione di accertare se le direttive contenute nei programmi siano eseguite.

Al riguardo, la garanzia richiesta dall'art. 41 per gli interventi dello Stato - non solo possibili ma obbligatori - atti a disciplinare l'iniziativa privata nel campo della produzione intesa lato sensu, é che i programmi ed i controlli siano previsti da apposite disposizioni di legge.

Ma in questa determinazione, che é, poi, una predeterminazione in astratto del programma in senso generale e del tipo o specie di controllo, si esaurisce la garanzia costituzionale dello art. 41 quanto alla "riserva di legge".

In particolare - continua l'Avvocatura - non é scritto nell'art. 41, né può desumersi in nessun modo dalla interpretazione dello stesso, che la legge debba regolare in ogni sua parte o modalità l'intervento dello Stato nel campo della produzione e dello scambio, il che sarebbe praticamente impossibile. Né, tanto meno, che se la legge stessa vuole concedere, in questa materia, attribuzioni di carattere amministrativo al potere esecutivo, debba queste stesse attribuzioni circoscrivere in un triplice ordine di limiti - di tempo, di oggetto, di fini - a somiglianza di quanto é prescritto dall'art. 76 della stessa Costituzione per la delega legislativa.

Esaminata poi analiticamente la genesi dei decreti legislativi in questione, l'Avvocatura pone in rilievo che é stata la stessa legge a prevedere direttamente ed a regolare nelle linee essenziali e fondamentali la disciplina ed il controllo dei prezzi delle merci e dei servizi ritenuti di pubblica necessità o di pubblico interesse.

Invero, ove si consideri il provvedimento fondamentale del 1944 circa i poteri del comitato interministeriale prezzi e dei comitati provinciali (poteri che non apparvero sostanzialmente modificati per effetto dei decreti nn. 363 del 1946 e 896 del 1947), si vede come é lo stesso legislatore che, per lo scopo espressamente dichiarato del "coordinamento e della disciplina dei prezzi" (D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347: art. 1), ha direttamente previsto e stabilito il programma e la specie di controllo dello Stato in questo settore dell'economia. Anche la materia, cioè l'oggetto di questo controllo, é stato direttamente previsto dallo stesso legislatore e chiaramente individuato nell'art. 1 del D. L. del 1944: "la determinazione dei prezzi di qualsiasi merce, in ogni fase di scambio... nonché i prezzi dei servizi e delle prestazioni".

Specifica, infine, l'Avvocatura dello Stato, i limiti che l'attività dei ripetuti comitati incontra e che sarebbero costituiti:

a) dallo scopo espressamente dichiarato dal legislatore come finalità della istituzione e della attività del C.I.P., cioè il coordinamento e la disciplina dei prezzi (cfr. D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, art. 1); sicché l'azione amministrativa che violasse quello scopo o, comunque, da esso deviasse, si presterebbe ad essere censurata, attraverso il ricorso alle normali garanzie di giustizia amministrativa poste a tutela degli interessi legittimi;

b) dal meccanismo proprio della funzione del C.I.P., che consiste essenzialmente nell'adeguare il vincolo stabilito dalle originarie norme sul blocco rigido dei prezzi ai successivi mutamenti dei costi e della situazione economica e monetaria, secondo il sistema del c.d. blocco elastico e manovrato. E di questa operazione di adeguamento i termini non sono certamente fissati ad arbitrio od a capriccio di chi deve, per legge, adempiervi;

c) dalla stessa speciale composizione sia del C.I.P. che dei comitati provinciali, costituiti, il primo, dai Ministri preposti ai ministeri finanziari ed economici e da tre esperti; i secondi da rappresentanti designati da tutte le categorie interessate alla produzione ed allo scambio delle merci e dei servizi.

Ciò posto, così formula l'Avvocatura le proprie conclusioni: "Si insiste nelle conclusioni di cui all'atto d'intervento 18 ottobre 1956, con la modifica circa la declaratoria di validità ed efficacia anche del D.L.L. 23 aprile 1946, n. 363, per la eventualità che la Ecc.ma Corte ritenga di esaminare la questione ad esso relativa, proposta nelle deduzioni del patrocinio degli imputati".

Nella pubblica udienza del 7 marzo la difesa delle parti ha illustrato i rispettivi scritti difensivi.

La difesa del Malvestito ed altri ha rinunziato alla pregiudiziale riguardante la illegittimità costituzionale del D.L.L. 23 aprile 1946. n. 363, e del D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, per essere decaduti, per mancata ratifica del Parlamento, ai sensi dell'art. 6 del D.L.L. 16 marzo 1946, n. 98.

Il ricorso é stato mandato in rilettura nell'udienza pubblica dell'8 maggio 1957.

Nella fase di rilettura della causa, la difesa del Malvestito ed altri ha depositato il 24 aprile 1957, nella cancelleria di questa Corte, postilla ulteriormente illustrativa delle precedenti deduzioni e in replica alle osservazioni del patrocinio dello Stato; insistendo in modo particolare sulla violazione della "riserva di legge" richiesta dall'art. 41 della Costituzione in punto di determinazione legislativa dei controlli dei prezzi.

 

Considerato in diritto

 

La difesa del Malvestito ed altri, rileva, in via preliminare, che per quanto l'ordinanza 18 settembre 1956 del Pretore di Varallo Sesia abbia dichiarato "non manifestamente infondata" la questione di legittimità costituzionale soltanto per i decreti legislativi 19 ottobre 1944, n. 347,e 15 settembre 1947, n. 896, la questione di legittimità deve proporsi anche nei confronti del D.L.L. 23 aprile 1946, n. 363.

L'assunto non ha fondamento.

Risulta che il Pretore, nella motivazione dell'ordinanza, ha precisato, correggendo un errore materiale di indicazione del provvedimento impugnato in cui era incorsa la difesa della parte, che la eccezione di illegittimità costituzionale da questa sollevata va riferita al D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, e al D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, quali fonti da cui "il potere di fissare i prezzi appare conferito al Governo senza alcun limite e, comunque, all'infuori di alcuna delle ragioni giustificative previste dalla Costituzione".

Pertanto la questione di legittimità costituzionale va limitata ai decreti legislativi del 1944, n. 347, e del 1947, n. 896, e non può estendersi, come vorrebbe la difesa degli imputati, al D.L.L. 23 aprile 1946, n. 363, perché tale decreto non é stato da essi impugnato, né se ne fa menzione nell'ordinanza.

Inoltre la questione di legittimità dei decreti legislativi ora ricordati va considerata con riferimento all'art. 41 della Costituzione e non anche, come vorrebbe la difesa del Malvestito, con riguardo alle norme degli artt. 3, 23, 97, 113 della stessa Costituzione.

Tale estensione, contrastata dagli artt. 23, lett. a e b, della legge 11 marzo 1953, n. 87, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, nella specie é da escludere; perché la predetta ordinanza pretorile propone la questione di legittimità in riferimento all'art. 41, la sola disposizione che si assume violata dai decreti legislativi impugnati.

Per completezza va rilevato che il D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, fu presentato tempestivamente per la ratifica alla Camera dei deputati (4 aprile 1949 - Documento, n. 520 - (Atti parlamentari 1949) e venne ratificato con la legge 17 aprile 1956, n. 561 (D.L.L. 16 marzo 1946, n. 98, art. 6).

Così stabiliti i limiti oggettivi di questo giudizio, occorre ricordare che i decreti in oggetto si collegano con i provvedimenti legislativi che, in un primo tempo, introdussero il blocco rigido dei prezzi, delle merci, delle forniture e dei servizi (R.D.L. 5 ottobre 1936, n. 1746, artt. 1 a 4; R.D.L. 19 giugno 1940, n. 953; R.D.L. 12 marzo 1941, n. 142) e, successivamente, consentirono il sistema dei prezzi manovrati (R.D.L. 9 dicembre 1941, n. 1456, e R.D.L. 11 marzo 1943, n. 100), mantenuto dal D.L.L. 1944, n. 347, che istituì il comitato interministeriale ed i comitati provinciali per la coordinazione e la disciplina dei prezzi. Il D.L.L. 23 aprile 1946, n. 363, previde la possibilità del ritorno alla libera contrattazione per alcune merci e prodotti (art. 6); mentre il D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, integrò la composizione dei comitati, riconfermando i poteri ad essi attribuiti, con la facoltà di variare i prezzi anteriormente fissati (art. 18).

Pertanto il comitato interministeriale da un lato ha il compito di adeguare i prezzi alle sopravvenute esigenze, attraverso la rivalutazione dei fattori della produzione; dall'altro di avviare, col sistema del blocco elastico dei prezzi, il mercato verso il libero scambio, pur nei limiti posti dalla Costituzione alla vita economica privata per fini sociali.

Occorre ora esaminare, se le disposizioni dei decreti impugnati siano in contrasto con le norme dell'art. 41 della Costituzione. Questo articolo, dopo avete affermato, nel primo comma, che l'iniziativa economica privata é libera, pone, nel secondo comma, limiti a tale libertà; e nel terzo comma stabilisce che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali. É bene precisare che quest'ultimo comma é fuori discussione. Dalla richiamata legislazione sulla disciplina dei prezzi esula infatti ogni intento di attribuire ai comitati prezzi funzioni di carattere dirigistico, considerate dal detto terzo comma. L'attenzione va invece portata sul secondo comma, il quale dispone che "l'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana".

Questo divieto di contrastare con l'"utilità sociale e le sue finalità" legittima l'intervento legislativo dello Stato, come del resto riconosce la stessa difesa del Malvestito, e le relative misure protettive del benessere sociale e, contemporaneamente, restrittive della privata iniziativa.

Ora con questi principi non sono in contrasto i decreti legislativi, che regolano la disciplina dei prezzi, delle merci, dei servizi, delle prestazioni e delle forniture a largo consumo (D.L.L. 1944, n. 347, art. 4, primo comma; e D.L.C.P.S. 1947, n. 896).

In primo luogo infatti lo scopo assegnato al comitato interministeriale e ai comitati provinciali, non é già quello di attuare una regolamentazione dell'economia del Paese, in ossequio ad un piano generale che condizioni direttamente o indirettamente ogni attività privata in vista del conseguimento di determinati fini economico - politici, ma bensì l'unificazione e perequazione dei prezzi di talune merci, servizi e prestazioni (D.L.C.P.S. 1947, n. 896, art. 1, primo comma), al fine di tutelare in un mercato internazionale ed interno ancora turbato dallo sconvolgimento prodotto dalla economia di guerra, la stabilità della moneta e il valore reale dei salari.

Né si può dire che cotesto intervento, nella sfera della libertà economica, sia senza regole e senza garanzie. Invero la determinazione dei prezzi é preceduta da una istruttoria da parte della commissione centrale (D.L.L. 1946, n. 363, art. 2), che si avvale degli accertamenti dei costi delle merci, dei servizi e delle prestazioni, compiuti da appositi ispettori, autorizzati a prendere in esame registri, libri e corrispondenza delle imprese interessate.

D'altra parte una garanzia per la retta determinazione dei prezzi é rappresentata dalle persone chiamate a comporre le commissioni consultive e i comitati deliberativi dei prezzi. Tali persone, quali tecnici o quali rappresentanti delle categorie interessate, esercitano una qualificata funzione sia di accertamento dei fattori economici che incidono sui prezzi (costi, salari, condizioni del mercato e valutarie), che di tutela delle categorie a interessi contrapposti.

Inoltre i ministri tecnici, sostenendo in seno al comitato il particolare interesse collegato al settore economico dei rispettivi dicasteri, concorrono a fissare il prezzo equo nella visione unitaria dell'economia nazionale.

Affermata la legittimità costituzionale dei decreti del 1944, n. 347, e del 1947, n. 896, occorre qualificare la natura giuridica dei provvedimenti emanati dal comitato interministeriale e dai comitati provinciali per stabilire i prezzi delle merci, dei servizi e delle prestazioni.

Non si può certo ritenere che coi decreti legislativi di cui si discute si sia realizzata una delega dei poteri legislativi a favore dei comitati prezzi. La questione che é stata fatta a questo proposito, che il Governo e il Consiglio dei Ministri avrebbe illegittimamente delegato poteri legislativi che erano stati, a loro volta, a esso Consiglio dei Ministri o al Governo delegati attuando una subdelegazione - é senza fondamento.

Anzitutto in relazione all'art. 4 del D.L.L. 25 giugno 1944, n. 151, primo comma, e all'art. 3, primo comma, del D.L.L. 16 marzo 1946, n. 98, non può parlarsi di una delegazione di poteri legislativi, ma bensì di una particolare ed eccezionale attribuzione temporanea del potere legislativo al Governo salva la materia costituzionale. In secondo luogo nulla vi é, nei contestati decreti, che possa far pensare a una delegazione siffatta da parte del Governo ai comitati-prezzi.

Né l'esame dei provvedimenti emanati da codesti comitati consente di andare in contrario avviso, chiara essendo la loro natura amministrativa sia dal punto di vista formale, sia dal punto di vista sostanziale.

La natura formale di atto amministrativo si evince infatti dalla struttura degli organi che quei provvedimenti emanano (art. 1 D.L.L. 23 aprile 1946, n. 363; 3 D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347); organi che, nell'ambito dell'amministrazione dello Stato, sono da considerarsi organi esterni; nonché dalla forma che gli atti assumono: ordinanze o decreti sottoscritti dal presidente del C.I.P. o dal ministro delegato (art. 6 D.L.C.P.S. n. 896) ovvero, per i comitati provinciali, dal prefetto che li presiede (art. 7 e 10 cit. D.L.C.P.S. n. 896).

Il carattere sostanzialmente amministrativo di detti provvedimenti si desume, invece, dalla molteplicità dei compiti assegnati al C.I.P. e ai comitati provinciali; compiti insuscettibili di preventiva regolamentazione, perché collegati ai vari settori della produzione, alle diverse fasi di scambio e alle non prevedibili contingenze della mutevole situazione economica. Detti organi, chiamati a coordinare i prezzi delle merci, servizi e prestazioni (art. 4, primo comma, D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347), svolgono un'attività a carattere continuo e permanente, esercitando di volta in volta un potere di apprezzamento dell'interesse pubblico in relazione ai fatti economici che influenzano la disciplina dei prezzi.

Peraltro la discrezionalità, pur essendo ampia, non é illimitata. Trattasi di discrezionalità in cui la scelta dell'attività amministrativa da svolgere richiede l'uso di criteri tecnici: accertamento del costo delle merci, ecc., con un margine di utile. Ciò importa un limite della libertà di apprezzamento per l'atto da emanare. E che il C.I.P. provveda sulla base di elementi tecnici risulta, come si é detto, dalla qualità tecnica dei componenti degli organi consultivi e deliberativi preposti alla disciplina dei prezzi (D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, art. 2; D.L.L. 1946, n. 363, artt. 2, 5); dalla possibilità di avvalersi di un servizio ispettivo (D.L.C.P.S. 1947, n. 896, art. 13) e di esperti (cit. D.L.L. 1944, n. 347, art. 3, ult. comma); nonché dal fatto che alla fissazione dei prezzi si perviene sulla scorta dei dati elaborati dall'Istituto centrale di statistica (cit. D.L.L. n. 347, art. 8), dopo un'istruttoria per accertare i costi di produzione, le condizioni del mercato e i fattori che comunque possono operare sulla determinazione dei prezzi (D.L.L. 1946, n. 363, art. 2).

I provvedimenti-prezzi non sono poi sforniti di garanzia giurisdizionale, come sostiene la difesa del Malvestito; contro di essi si può proporre ricorso al Consiglio di Stato, anche per eccesso di potere.

Devesi infine rilevare che il comando di non superare il prezzo d'imperio delle merci e dei servizi, in deroga alla privata autonomia negoziale, non é contenuto nel provvedimento del C.I.P. o dei comitati provinciali, ma discende dalle sanzioni predisposte dal D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, per garantirne l'osservanza; art. 12: inserimento di diritto del prezzo d'imperio nei contratti, se più favorevole ai consumatori o agli utenti, possibilità di ripetere il maggior prezzo corrisposto; art. 14: sanzioni penali per chi vende o mette in vendita merci ovvero offre od esegue servizi o prestazioni a prezzi superiori a quelli stabiliti.

Pertanto il C.I.P. e i comitati provinciali, nel determinare i prezzi, si avvalgono di un potere che, lungi dall'essere illimitato sì da sconfinare in una valutazione di fattori riservata al legislatore, come assume la difesa del Malvestito, é collegato a elementi di natura tecnica, che ne circoscrivono l'ambito.

Da quanto sopra é stato esposto consegue la legittimità costituzionale dell'art. 14 del D.L.C.P.S. del 1947, n. 896, specificamente impugnato con l'ordinanza del Pretore di Varallo Sesia; il quale punisce "chiunque vende o mette in vendita merci, ovvero offre od esegue servizi o prestazioni a prezzi superiori a quelli stabiliti a norma del presente decreto...".

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza del Pretore di Varallo Sesia del 18 settembre 1956 del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, e del D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, riguardanti la disciplina dei prezzi, in riferimento alla norma dell'art. 41, secondo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 1957.

Gaetano AZZARITI – Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA – Aldo SANDULLI.

 

Depositata in Cancelleria il 8 luglio 1957.