Sentenza n. 78 del 1957
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SENTENZA N. 78

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e del decreto del Presidente della Repubblica 6 dicembre 1952, n. 4249, promosso con l'ordinanza 13 luglio 1956 della Corte di appello di Bari, pronunciata nel procedimento civile vertente fra Cuttano Giuseppe e Cuttano avv. Matteo e la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 266 del 20 ottobre 1956 ed iscritta al n. 308 del Registro ordinanze 1956.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957 la relazione del giudice Nicola Jaeger;

uditi l'avv. Aldo Dedin ed il sostituto avvocato generale dello Stato Attilio Inglese.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto di citazione notificato in data 17 aprile 1953 l'avv. Cuttano Matteo di Giuseppe e Cuttano Giuseppe fu Matteo convennero davanti al Tribunale di Bari la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente per lo sviluppo della irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania, esponendo che mediante un decreto del Presidente della Repubblica in data 6 dicembre 1952, n. 4249 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19 del 22 gennaio 1953), era stata disposta la espropriazione in danno di Cuttano Giuseppe, fra l'altro, anche di un fondo in agro di Foggia della estensione di ha. 140.65.78, nonostante che detto fondo fosse stato da lui donato il 21 aprile 1949 all'unico figlio maschio avv. Matteo in vista del matrimonio di questi, celebrato due giorni dopo.

Gli attori contestavano la legittimità dell'esproprio e chiedevano che l'Ente espropriante fosse condannato al risarcimento dei danni nei limiti del prezzo di mercato dei terreni arbitrariamente espropriati con vittoria di spese e compensi.

Il Tribunale respinse le domande con sentenza 22 gennaio 1956; ma la Corte di appello di Bari, adita in secondo grado dagli attori Cuttano, ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Corte costituzionale con ordinanza 13 luglio 1956, con la quale si sollevano non solo le questioni proposte dai Cuttano sulla esclusione dalla espropriazione dei beni donati in contemplazione del matrimonio e, quanto meno indirettamente, sul valore giuridico del parere unanime della Commissione interparlamentare prevista dall'art. 5 della legge Sila, ma anche la questione più generale e preliminare circa la legittimità della delega conferita dall'art. 5 della legge Sila e dall'art. 1 della legge stralcio.

Tale ordinanza era regolarmente notificata e comunicata a norma di legge e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 20 ottobre 1956.

Le parti si sono costituite ritualmente nel giudizio davanti alla Corte. La difesa dei Cuttano ha illustrato e ribadito, in ampie deduzioni e in brevi note integrative, gli argomenti addotti a sostegno delle tesi di illegittimità del decreto presidenziale, più che della legge di delegazione.

L'Avvocatura generale dello Stato, nell'interesse dell'Ente di riforma, ha eccepito in linea preliminare la irricevibilità delle questioni:

a) perché dedotte come causa petendi della domanda davanti al giudice di merito;

b) perché la Corte di appello di Bari non ha affrontato preliminarmente una questione che avrebbe potuto definire il processo di merito senza che fosse necessario risolvere la questione di legittimità costituzionale, e, più precisamente, perché non ha accertato se la donazione di cui si discute fosse stata fatta in contemplazione di matrimonio;

c) perché la stessa Corte non ha compiuto alcun esame circa la "non manifesta infondatezza" della questione relativa alla efficacia del parere della Commissione interparlamentare.

Subordinatamente, nel merito, ha sostenuto la legittimità della delega, l'esattezza della interpretazione data dal Tribunale all'art. 20 della legge stralcio, la natura non vincolante del suddetto parere e, quindi, la infondatezza delle questioni.

Le argomentazioni delle parti sono state illustrate anche nella discussione orale.

 

Considerato in diritto

 

La questione pregiudiziale sollevata dalle eccezioni dell'Avvocatura generale dello Stato, come pure la questione sulla legittimità della legge di delegazione proposta dalla Corte d'appello di Bari sono state già risolte nelle sentenze nn. 59 e 60 del 13 maggio 1957 della Corte costituzionale, che non rileva ragioni per modificare il proprio convincimento e può richiamare senz'altro le motivazioni di quelle decisioni.

Sono invece peculiari della presente causa le eccezioni della Avvocatura relative agli asseriti vizi della ordinanza della Corte di appello di Bari. Il primo di essi consisterebbe nel fatto che la Corte stessa non ha accertato preventivamente la natura dell'atto rispetto al quale era insorta la controversia.

Tale censura non é fondata, perché dalla lettura dell'ordinanza di rinvio si ricava chiaramente che la Corte di appello ha condiviso sul punto di fatto la convinzione del Tribunale, che dal rogito notarile non risultava espressamente che la donazione fosse stata fatta "in riguardo di un determinato futuro matrimonio" ai termini dell'art. 785 Cod. civ., così che non vi erano altri accertamenti di fatto da compiere. Sul punto di diritto, invece, la Corte di merito ha mostrato di dissentire dall'opinione del Tribunale, che l'art. 20 della legge stralcio prevedesse proprio ed esclusivamente le donazioni fatte ai sensi dell'art. 785 Cod. civ., o quanto meno ha ritenuto non manifestamente infondati i dubbi sulla identità delle due fattispecie, ed ha esattamente pronunciato rimettendo a questa Corte la questione di legittimità costituzionale relativa.

Il secondo vizio dell'ordinanza di rinvio é ravvisato nel mancato esame della manifesta infondatezza della questione relativa alla asserita efficacia vincolante del parere della Commissione interparlamentare.

Su questo punto si deve osservare che, mentre gli attori e appellanti Cuttano avevano dato nei giudizi di merito ed hanno continuato a dare in questa sede un particolare rilievo alla tesi della efficacia vincolante di quel parere, l'ordinanza di rinvio si é limitata a farvi accenno, nei termini seguenti: "Ed é appena il caso di accennare che la Commissione parlamentare prevista, dagli artt. 5 legge 12 maggio 1950, n. 230, 1 e 2 legge 21 ottobre 1950, n. 841, si é espressa in termini favorevoli agli appellanti, sicché, in sede di controllo di legittimità, si dovrà anche interloquire sulla natura vincolante o meno del parere". Tuttavia anche se la formula usata non é la più perspicua, non pare dubbio che, esprimendosi così come si espresse nell'ordinanza, la Corte di merito ha fatto intendere che considerava tale questione rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata.

Dal disposto dell'art. 5 della legge Sila, richiamato nell'art. 1 della legge stralcio, risulta che il parere della Commissione, composta di tre senatori e di tre deputati eletti dalle rispettive Camere, é sicuramente obbligatorio, perché il Governo é autorizzato ad esercitare il potere conferito ad esso dalle leggi di delegazione "sentito il parere" della Commissione stessa; ma non si ricava da alcuna norma che tale parere sia vincolante, né i lavori preparatori, sui quali la difesa dei Cuttano ha compiuto una diligente indagine, possono considerarsi decisivi per giungere ad una conclusione non contemplata espressamente dalla legge. E ciò é già stato osservato da questa Corte nella sentenza n. 60 del 13 maggio 1957.

Con che non si vuol dire che a quel parere non si debba riconoscere un valore notevole, specialmente quando sia stato espresso alla unanimità, come nella specie, potendo anche esso fornire elementi di valutazione degni della massima considerazione.

La questione fondamentale della presente causa concerne la interpretazione del primo comma dell'art. 20 della legge stralcio (21 ottobre 1950, n. 841), che dichiara inefficaci di diritto, nei confronti degli Enti di riforma, tutti gli atti tra vivi a titolo gratuito posteriori al 1 gennaio 1948, "ad eccezione delle donazioni in contemplazione di matrimonio". Si domanda se la fattispecie descritta in tale disposizione debba ritenersi identica a quella prevista nell'art. 785 Cod. civ., intitolato "donazione in riguardo di matrimonio" e regolante "la donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio".

É noto che la figura della donazione obnuziale ha caratteri particolari, in quanto gode di uno speciale regime formale, é concepita come un negozio unilaterale, valido ed irrevocabile senza bisogno di accettazione del donatario, ma subordinato al fatto che segua il matrimonio; la celebrazione di questo funziona da condicio iuris: e determina il momento della efficacia della donazione obnuziale.

La espressione usata nella legge stralcio, che riproduce quella già adoperata nell'art. 27 della legge Sila, non corrisponde testualmente a quella dell'art. 785 Cod. civ., nella quale si richiede il richiamo ad "un determinato futuro matrimonio". Anche senza voler attribuire eccessiva importanza alla differenza dei testi, e pur ammettendo che il legislatore della riforma fondiaria intendesse pur sempre richiamare il concetto della donazione obnuziale, non si può non riconoscere che nelle leggi del 1950 appare temperato notevolmente il rigore formale dell'art. 785 Cod. civ., il quale avrebbe anche potuto essere in quelle richiamato puramente e semplicemente, se si fosse voluto riprodurre la stessa norma.

Di conseguenza, la Corte ritiene che, quando risulti in fatto, esaurientemente dimostrato che una donazione é stata posta in essere proprio in riguardo a un determinato futuro matrimonio, essa rientri fra quelle previste dall'art. 20 della legge stralcio, anche se l'atto formale non contenga una espressa menzione del matrimonio contemplato.

Deve ammettersi, in altri termini, la interpretazione della volontà delle parti; e quando, come nella specie, essa dà risultati che coincidono con le conclusioni del parere unanime della Commissione interparlamentare, particolarmente rilevante anche perla conoscenza degli elementi di fatto, la dichiarazione formale richiesta nell'art. 785 Cod. civ. può considerarsi superflua.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinta la eccezione pregiudiziale proposta dall'Avvocatura generale dello Stato:

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e del decreto presidenziale 6 dicembre 1952, n. 4249, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione e nell'art. 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, proposte con l'ordinanza 13 luglio 1956 della Corte di appello di Bari, pronunciata nella causa promossa da Cuttano Giuseppe e Matteo contro la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania;

dichiara la illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica, n. 4249 in data 6 dicembre 1952, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione e nell'art. 20, primo comma, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, in quanto ha disposto la espropriazione di un fondo donato in contemplazione di matrimonio.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1957.

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA.

 

Depositata in Cancelleria il 25 maggio 1957.