Sentenza n. 75 del 1957
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SENTENZA N. 75

ANNO 1957 (*)

 

(*) V. l'ordinanza del 27 marzo 1957, che si riferisce anche

al giudizio definito con questa sentenza.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1952, n. 4269, promosso con l'ordinanza 30 maggio 1956 dal Tribunale di Bari, pronunciata nel procedimento civile vertente tra Carrano Maria vedova Norante e Norante Domenico e la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 22 settembre 1956 ed iscritta al n. 292 del Registro ordinanze 1956.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957 la relazione del giudice Nicola Jaeger;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò.

 

Ritenuto in fatto

 

Il giorno 21 febbraio 1951 si apriva a Campomarino (Campobasso) la successione ereditaria di Norante Vicenzo, in base a testamento a favore della moglie superstite, Carrano Maria, e dei figli Domenico e Anna Maria per la parte legittima, ed a favore dei nipoti ex filio del de cujus, nati e nascituri, per la parte disponibile.

Con decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1952, n. 4269 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19 del 24 gennaio 1953), veniva approvato il piano particolareggiato con il quale l'Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania, Sezione speciale per la riforma fondiaria, promuoveva nei confronti degli eredi suddetti la espropriazione di terreni per complessivi ettari 660.47.36 in agro di Campomarino, come quota determinata in base alla intera consistenza indivisa dei beni ereditari.

La signora Maria Carrano vedova Norante, in proprio e quale rappresentante della figlia minore Anna Maria Norante, e Domenico Norante, in proprio e quale rappresentante delle figlie minori Maria Cristina e Maria, convennero l'Ente di riforma davanti al Tribunale di Bari e, secondo l'ordinanza del Tribunale, contestarono in via incidentale la legittimità del decreto presidenziale di scorporo, assumendo:

a) che, mediante l'avvenuta determinazione della quota di scorporo rispetto all'intera consistenza del patrimonio ereditario indiviso, l'Ente avrebbe violato la norma dell'art. 4, quarto comma, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, la quale imponeva l'applicazione del computo pro quota per l'espropriazione dei terreni trasferiti mortis causa anteriormente alla data di entrata in vigore della norma stessa;

b) che detta data andrebbe determinata non in relazione al momento della pubblicazione della legge stralcio (29 ottobre 1950), come l'apparente dizione legislativa indurrebbe a ritenere, sebbene in relazione al successivo momento (28 febbraio 1951) della entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 7 febbraio 1951, n. 67, mediante il quale furono determinati i territori ai quali la legge era applicabile.

Con ordinanza 30 maggio 1956 il Tribunale di Bari, accogliendo l'istanza degli eredi Norante, sospendeva il processo e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale, formulando la questione di legittimità costituzionale, nei termini seguenti: "Se il provvedimento di scorporo, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1952, n. 4269, sia viziato, per eccesso di potere legislativo, da illegittimità costituzionale, per avere disposto l'espropriazione dei terreni degli eredi Norante siti nell'agro del Comune di Campomarino (Campobasso) mediante il computo della consistenza globale del patrimonio anziché mediante l'applicazione del frazionamento pro quota stabilito per i terreni trasferibili a causa di morte ai discendenti in linea retta dall'art. 4, comma quarto, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, in relazione all'art. 1 della stessa legge e dell'art. 1, n. 8, del decreto del Presidente della Repubblica 7 febbraio 1951, n. 67".

Tale ordinanza veniva regolarmente notificata e comunicata a norma di legge e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 22 settembre 1956.

Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si costituiva tempestivamente l'Ente di riforma e interveniva il Presidente del Consiglio dei Ministri, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato.

Questa riproponeva le eccezioni pregiudiziali comuni alle altre cause in materia, concludendo in via principale perché fosse dichiarata improponibile o comunque inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Bari e, in subordine, perché essa fosse dichiarata infondata, in base ad argomentazioni che possono riassumersi nel modo seguente: la disposizione inserita nella legge stralcio, che fissa l'entrata in vigore di essa al 29 ottobre 1950, non avrebbe avuto senso se la legge avesse dovuto spiegare tutti i suoi effetti indistintamente solo dopo la concreta determinazione dei territori di riforma, demandata al Governo, mentre quella disposizione si spiega proprio perché alla data del 29 ottobre 1950 vollero fissarsi le condizioni obbiettive di assoggettabilità allo scorporo delle persone fisiche e giuridiche.

 

Considerato in diritto

 

Nei riguardi delle eccezioni pregiudiziali proposta dall'Avvocatura dello Stato ed a sostegno della loro reiezione la Corte non ha che da richiamare quanto é stato chiarito nella precedente sentenza n. 59 del 13 maggio 1957.

La questione di legittimità costituzionale sollevata nell'ordinanza del Tribunale di Bari é del tutto nuova, in quanto su di essa non risultano precedenti, né in giurisprudenza né in dottrina.

Per impostarla correttamente é opportuno rilevare che l'art. 26 della legge stralcio, 21 ottobre 1950, n. 841, dispone: "La presente legge entrerà in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica "(pubblicazione avvenuta il 28 ottobre 1950), derogando così. alla regola della vacatio di quindici giorni prevista nell'art. 73, ultimo comma, della Costituzione.

L'art. 4, quarto comma, della stessa legge, oggetto della questione in esame, é così formulato: "I terreni trasferiti a causa di morte dal 15 novembre 1949 fino all'entrata in vigore della presente legge ai discendenti in linea retta sono inclusi nel computo del patrimonio di detti discendenti". Esso é stato dettato in sostituzione, ai fini della stessa legge stralcio, del terzo comma dell'art. 2 della legge Sila, 12 maggio 1950, n. 230, il quale dispone: "Sono esclusi dal computo i terreni trasferiti a causa di morte a favore dei discendenti in linea retta dal 15 novembre 1949 fino all'entrata in vigore della presente legge", evidentemente allo scopo di prolungare nel tempo la deroga già concessa dalla legge Sila, per i trasferimenti mortis causa ai discendenti diretti, al principio generale che aveva fissato alla data del 15 novembre 1949 il termine unico di riferimento per l'accertamento della consistenza dei patrimoni terrieri.

Sennonché la legge stralcio, come é noto, a differenza della legge Sila, é essenzialmente una legge di delegazione, emanata per consentire al Governo di procedere alla applicazione delle norme della legge Sila, con le modificazioni ad esse apportate, ad altri territori suscettibili di trasformazione fondiaria o agraria (art. 1) e la sua entrata in vigore significava che dal 29 ottobre 1950 il Governo avrebbe potuto esercitare il potere ad esso conferito. Di qui il problema sollevato dal Tribunale di Bari: se, quando una disposizione della legge si riferisce alla data della sua entrata in vigore (art. 4, quarto comma), intende alludere al momento indicato formalmente (nella specie, il 29 ottobre 1950) ovvero a quello in cui sono entrati in vigore nelle varie zone di riforma i provvedimenti presidenziali emanati in attuazione della legge.

Si deve notare che la citata disposizione del quarto comma dell'art. 4 non é la sola in cui si faccia riferimento alla data dell'entrata in vigore della legge: nel sesto comma dell'art. 20 si legge pure: "Entro tre anni dall'entrata in vigore della presente legge, gli enti indicati nel comma primo del presente articolo (vale a dire, gli enti incaricati della attuazione della legge) possono impugnare come simulati gli atti a titolo oneroso compiuti dopo il 1 gennaio 1948". Anche per questa norma potrebbe essere sollevata la stessa questione, e la sua soluzione, che non potrebbe essere diversa da quella adottata per il caso dell'art. 4, implicherebbe conseguenze opposte nei confronti degli interessi rispettivamente appartenenti agli espropriandi e agli enti di riforma.

Ritiene la Corte che la soluzione esatta sia quella adottata dal decreto presidenziale impugnato, che mantiene alle parole della legge il loro significato letterale: gli effetti collegati alla data dell'entrata in vigore della legge si debbono riferire al 29 ottobre 1950.

Anzitutto é da tener presente che il principio generale, al quale si é informata la legislazione in materia, é stato quello, già ricordato, di fissare la consistenza dei patrimoni terrieri a un dato momento, stabilito al 15 novembre 1949, e che pertanto le disposizioni dell'art. 2 della legge Sila e dell'art. 4 della legge stralcio, che hanno spostato la data per i trasferimenti mortis causa agli eredi sui et necessari, fanno eccezione a una regola generale e non debbono applicarsi oltre i casi e i tempi in esse considerati (art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al Codice civile).

La interpretazione suggerita dagli eredi Norante, e che appare condivisa dal Tribunale, é indubbiamente sottile ed elegante, ma innegabilmente si discosta dalla lettera della legge e la supera, quando alla espressione di entrata in vigore attribuisce un significato diverso da quello comunemente usato e accettato, e cioè il significato di "momento iniziale della concreta applicazione di essa (legge) nei territori soggetti a regime espropriativo". E ciò non sembra consentito, oltre che per le ragioni già esposte, anche perché altrimenti la stessa espressione finirebbe con avere due contenuti diversi.

Infatti, il 29 ottobre 1950 la legge stralcio é veramente entrata in vigore, in quanto da quella data il Governo é stato investito dei poteri conferitegli con l'art. 1 ed ha potuto esercitarli, e pertanto si sono verificati immediatamente taluni effetti della legge stessa nel mondo giuridico; la ammissione, del tutto ovvia, che per l'avveramento di ulteriori effetti sia stato necessario il concorso di altri eventi, non sembra sufficiente a giustificare la costruzione di un concetto nuovo, che potrebbe chiamarsi della entrata in vigore progressiva delle leggi, il quale porterebbe ad una confusione fra due tipi di eventi ben distinti: la inserzione di una norma o di un complesso di norme nell'ordinamento giuridico (che é l'entrata in vigore) e l'avveramento dei presupposti, di fatto e di diritto, al quale possono essere subordinate la nascita, le modificazioni e la estinzione delle situazioni soggettive attive e passive regolate dalle norme stesse.

Non la necessità di dare un senso alla disposizione finale della legge stralcio, posta in evidenza dall'Avvocatura generale dello Stato, ma la incongruenza di una soluzione, che attribuirebbe troppi significati ad una stessa espressione, in parte conformi ed in parte difformi da quello noto generalmente, convincono che il problema proposto dal Tribunale di Bari deve essere risolto negativamente.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinte le eccezioni pregiudiziali proposte dall'Avvocatura generale dello Stato;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1952, n. 4269, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, nell'art. 4, comma quarto, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e nell'art. 1, n. 8, del decreto del Presidente della Repubblica 7 febbraio 1951, n. 67, proposta con l'ordinanza 30 maggio 1956 del Tribunale di Bari pronunciata nella causa civile vertente fra Carrano Maria ved. Norante e Norante Domenico e la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 maggio 1957.

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA.

 

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1957.