Sentenza n. 62 del 1957
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SENTENZA N. 62

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1952, n. 2337, promosso con l'ordinanza 26 giugno 1956 del Tribunale di Lecce, pronunciata nel procedimento civile vertente fra Personé Egidio ed Alessandro e la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 25 agosto 1956 ed iscritta al n. 248 del Registro ordinanze 1956.

Vista la dichiarazione d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

uditi l'avv. Enrico Bassanelli ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto di citazione notificato il 10 agosto 1955 i signori Egidio ed Alessandro Personé convennero davanti al Tribunale di Lecce la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente per lo sviluppo della irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania, nonché il Ministero dell'agricoltura e delle foreste, esponendo che mediante decreto del Presidente della Repubblica in data 19 novembre 1952, n. 2337 (pubblicato nel supplemento della Gazzetta Ufficiale n. 295 del 20 dicembre 1952), era stato approvato il piano particolareggiato di espropriazione compilato dall'Ente nei confronti degli attori e relativo ad un comprensorio di terreni in agro di Nardò, per complessivi ettari 169.22.11 ed era stato disposto il trasferimento in proprietà dell'Ente dei terreni espropriati.

Gli attori chiedevano che il Tribunale dichiarasse che essi sono attualmente proprietari e legittimi possessori dei beni compresi nel piano di espropriazione, avendo acquistato i beni stessi con atti di donazione e di compravendita del 1906 e del 1950, mentre il decreto presidenziale di espropriazione avrebbe dovuto essere considerato costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione, per avere con esso il Governo ecceduto dai limiti della delegazione conferitagli con l'art. 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e con la legge 21 ottobre 1950, n. 841.

I convenuti si costituivano e contestavano le domande. Su istanza degli attori, il Tribunale di Lecce disponeva la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con ordinanza in data 26 giugno 1956, regolarmente notificata e comunicata ai soggetti e agli organi indicati dalla legge e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 25 agosto 1956.

Le questioni sottoposte al giudizio della Corte dall'ordinanza del Tribunale sotto il profilo dell'eccesso di delega sono le seguenti:

a) se, nel calcolo della superficie totale, ai sensi dell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, si dovessero includere anche le aree classificate come fabbricati rurali, che non sarebbero espressive di reddito dominicale, giusta il disposto dell'art. 16 del testo unico sul nuovo catasto;

b) se, determinata la percentuale di scorporo, con riferimento alla proprietà di tutti i beni di un soggetto, in tutto il territorio dello Stato, ai sensi dell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e dell'articolo unico della legge 16 agosto 1952, n. 1206, si dovesse poi concretamente espropriare una superficie corrispondente a quella percentuale del reddito totale ovvero una parte corrispondente alla stessa percentuale dei soli beni compresi nel perimetro di riforma.

Davanti alla Corte costituzionale si costituivano in termini gli attori del giudizio principale Egidio ed Alessandro Personé e l'Ente Puglia e Lucania, ed interveniva nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato, come l'Ente, dalla Avvocatura generale dello Stato.

I primi concludevano perché fosse dichiarata la illegittimità costituzionale del decreto presidenziale di esproprio, la difesa dell'Ente perché fosse dichiarata la improponibilità o la inammissibilità e, in subordine, la infondatezza delle questioni sollevate.

Le argomentazione esposte nelle deduzioni e nelle memorie delle parti e successivamente illustrate nella discussione orale ripropongono temi discussi anche nelle altre cause analoghe dibattute davanti alla Corte, con particolare ricchezza di citazioni e di analisi dei lavori preparatori della riforma agraria.

 

Considerato in diritto

 

La Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla eccezione pregiudiziale sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, con la sentenza n. 59 del 13 maggio 1957 e non rileva ragioni sufficienti per indurla a modificare il proprio giudizio.

In quanto alle questioni di legittimità costituzionale proposte dal Tribunale di Lecce, essa osserva che esattamente la difesa dell'Ente Puglia e Lucania ha sostenuto che i fabbricati rurali mancano di propria autonomia funzionale e costituiscono un elemento di ausilio per la conduzione di terreni agrari di cui concorrono a migliorare il reddito, onde la mancanza di estimazione delle particelle che li sopportano é soltanto apparente e l'incremento di reddito determinato dalla loro presenza é incorporato nell'estimo dei terreni cui servono e dei quali seguono le sorti.

Si può aggiungere che molti dei dubbi insorti su questo punto sono dovuti al linguaggio usato dalle leggi di riforma, nel testo delle quali si leggono spesso espressioni che sembrano riferirsi soltanto a terreni (terreni classificati in un modo o nell'altro, terreni espropriabili, terreni da conservare, da trasformare, ecc.); il che deriva evidentemente dal fatto che il legislatore aveva presenti, come uno dei fini della riforma, la trasformazione e il miglioramento dei terreni. Sennonché, nella maggior parte dei casi, oggetto della espropriazione non é e non può essere soltanto il terreno, ma anche altri beni, che al terreno ineriscono e che servono, direttamente o indirettamente, alla coltivazione, quali i magazzini, le stalle, i granai, le abitazioni dei coltivatori e simili. Ed é naturale che il reddito dominicale complessivamente accertato per i terreni includa anche quella parte che può derivare dall'uso di tali beni ausiliari, ma che non si presterebbero neppure ad una valutazione distinta ed autonoma.

Più delicata e più discussa é l'altra questione, se la percentuale di scorporo, calcolata con riferimento alla proprietà di tutti i beni situati in qualunque parte del territorio della Repubblica, ai sensi dell'art. 4 della legge stralcio e dell'articolo unico della legge 16 agosto 1952, n. 1206, dovesse poi concretamente applicarsi all'intera proprietà o soltanto alla porzione di beni compresa nel perimetro di riforma.

Su questo punto, si deve riconoscere che la difesa degli espropriati ha posto efficacemente in evidenza diversi inconvenienti che conseguono alla applicazione del sistema adottato e che possono eventualmente anche diminuirne la efficacia; ma la indicazione di tali inconvenienti, dovuti in definitiva al fatto che non si é provveduto finora ad una riforma agraria nazionale e si é preferito procedere parzialmente e gradualmente, si risolve in una critica dei criteri adottati dalla legge di delegazione, piuttosto che in una dimostrazione di illegittimità costituzionale dei decreti legislativi conseguenti.

Proprio nella legge di delegazione e in altre leggi successive si trovano disposizioni, le quali stabiliscono che "Nel caso di proprietà di terreni situati in parte nei territori indicati nell'art. 1 della presente legge, e in parte fuori di tali territori, lo scorporo derivante dall'art. 4 si applica ai terreni situati nei territori di cui all'art. 1 fino alla totale applicazione della quota di esproprio" (art. 13 della legge stralcio); che "L'Ente espropriante può provvedere alla espropriazione dei terreni oggetto della comunione, fino ad esaurire il valore della quota ideale spettante a detto condominio. La porzione espropriata sarà imputata alla quota del condominio colpito da espropriazione" (art. 8, secondo comma, legge 18 maggio 1951, n. 333); che "Gli Enti di riforma possono pubblicare piani particolareggiati di espropriazione... fino al 30 settembre 1952... quando in conseguenza dell'applicazione dell'art. 10 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, siano stati esonerati dalla espropriazione terreni compresi in piani espropriativi pubblicati nei termini e sia così divenuta necessaria, per integrare la quota di scorporo in osservanza della legge stessa, la pubblicazione di nuovi piani che comprendono altri terreni in luogo di quelli esonerati" (art. 2, primo comma, legge 2 aprile 1952, n. 339).

Anche se nessuna delle disposizioni riferite sarebbe da sola sufficiente a risolvere il problema, dal loro congiunto esame e dal loro coordinamento, oltre che dalla considerazione della ratio della legge 16 agosto 1952, n. 1206, si ricava la convinzione che il legislatore ha voluto che la percentuale di scorporo, calcolata con riferimento alla proprietà di tutti i beni situati in qualunque parte del territorio nazionale, possa concretarsi sui beni esistenti in una sola zona, compresa nel perimetro della riforma, anche se l'esproprio giunga ad assorbire integralmente tutti i terreni che l'espropriando possiede nella zona e perfino se la quota da espropriare superi la estensione di quei terreni.

Né si può sostenere che questa soluzione si trovi in contrasto con le norme della Costituzione, e in particolare con quelle contenute nell'art. 3, senza contestare la legittimità costituzionale di tutta la riforma fondiaria, così come é stata finora compiuta, perché é chiaro che una riforma parziale non può non determinare disparità di trattamenti da zona a zona e da categorie a categorie territoriali di proprietari e di lavoratori agricoli; ma ciò appare previsto ed ammesso dalle norme contenute nell'art. 44 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinta la eccezione pregiudiziale proposta dall'Avvocatura generale dello Stato,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1952, n. 2337, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, nell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e nell'articolo unico della legge 16 agosto 1952, n. 1206, proposte con l'ordinanza 26 giugno 1956 del Tribunale di Lecce.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1957.

 

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1957.