Sentenza n. 53 del 1957
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SENTENZA N. 53

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 8, 13, 21 e 27 della legge 29 aprile 1949, n. 264, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza 25 luglio 1956 del Tribunale di Salerno, nel procedimento penale a carico di De Santis Carmine, Buscetta Cosimo e Parrilli Cosimo, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 266 del 20 ottobre 1956 ed iscritta al n. 291 del Registro ordinanze 1956;

2) ordinanza 23 novembre 1956 del Pretore di Galatina, nel procedimento penale a carico di Coluccia Anna, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 del 12 gennaio 1957 ed iscritta al n. 339 del Reg. ord. 1956.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 13 marzo 1957 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

udito il vice avvocato generale dello Stato Marcello Frattini.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale a carico di De Santis Carmine, Buscetta Cosimo e Parrilli Cosimo, imputati del reato previsto dall'art. 8 della legge 29 aprile 1949, n. 264, il primo per avere assunto operai senza il tramite dell'ufficio di collocamento, e gli altri per aver omesso di dichiarare all'ufficio di collocamento l'avvenuta assunzione al lavoro, il Tribunale di Salerno, su istanza della difesa, con ordinanza del 25 luglio 1956, dispose la trasmissione degli atti a questa Corte per il giudizio di legittimità costituzionale del citato art. 8 e degli artt. 13 e 27 della legge 29 aprile 1949, n. 264, perché in contrasto con gli artt. 2, 3, 4 e 16 della Costituzione "e soprattutto per il loro collegamento necessario e indispensabile con le anticostituzionali leggi del 9 aprile 1931 e 6 luglio 1939".

L'ordinanza fu notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 27 agosto 1956, comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato il 18 agosto 1956 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 20 ottobre successivo. Alla cancelleria della Corte pervennero il 28 agosto 1956 le deduzioni della difesa del De Santis; e il 15 settembre successivo furono depositati l'atto di intervento e le deduzioni dell'Avvocatura dello Stato in rappresentanza del Consiglio dei Ministri.

La difesa dei predetti imputati concludeva chiedendo "che la Corte voglia dichiarare la illegittimità costituzionale degli artt. 8, 13 e 27 della legge 29 aprile 1949, n. 264, in relazione alla legge 9 aprile 1931, n. 358, e alla legge 6 luglio 1939, n. 1092".

L'Avvocatura dello Stato ha rilevato nelle sue deduzioni non potersi configurare contrasto di sorta fra le indicate norme della legge 29 aprile 1949, n. 264, e gli artt. 2 e 3 della Costituzione, contenenti generali dichiarazioni di principio, relative ai diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia come componente delle formazioni sociali. L'art. 4 riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto; e se qualche cosa può dirsi circa le norme per l'avviamento e il collocamento al lavoro é che esse sono appunto dirette a tutelare il diritto del cittadino al lavoro, aiutando il disoccupato nella ricerca di una occupazione, finalità che richiede una organizzazione e una disciplina, che non é in contrasto ma in piena aderenza con la norma costituzionale. Egualmente nessun contrasto può ravvisarsi fra le norme che prescrivono la iscrizione nelle liste di collocamento della propria residenza e l'art. 16, che stabilisce la libertà del cittadino di soggiornare liberamente nel territorio nazionale.

Circa il collegamento delle citate norme della legge 29 aprile 1949, n. 264, con le leggi, definite anticostituzionali, del 9 aprile 1931 e 6 luglio 1939, l'Avvocatura dello Stato rileva che un tal collegamento non é in alcun modo ravvisabile e che la indiretta e generica asserzione di un collegamento con le norme oggetto del giudizio non é sufficiente, essendo necessario, per dare ingresso a una indagine di legittimità costituzionale, la formale e concreta indicazione della norma di cui si afferma la incostituzionalità, oltre che la rilevanza della questione sollevata ai fini della definizione del processo.

L'ordinanza del Pretore di Galatina si riferisce al procedimento penale pendente presso la stessa Pretura a carico di Coluccia Anna, imputata del reato di cui agli artt. 21 e 27 della legge 29 aprile 1949, n. 264, per avere denunciato al competente ufficio di collocamento con il complessivo ritardo di giorni 605 l'avvenuto licenziamento di n. 61 operai. All'udienza del 23 novembre 1956 la difesa sollevava eccezione di illegittimità costituzionale della legge 29 aprile 1949, n. 264, ed in particolare dell'art. 21 della stessa, in rapporto agli artt. 2, 3, 4 e 16 della Costituzione. Il Pretore di Galatina, ritenuta non manifestamente infondata la questione, ordinava la trasmissione degli atti a questa Corte, sospendendo il giudizio.

L'ordinanza fu notificata il 1 dicembre 1956 al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata il 27 novembre 1956 ai Presidenti della Camera e del Senato e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 12 gennaio 1957, n. 11. Il 19 dicembre 1956 furono depositati nella cancelleria della Corte l'atto di intervento e le deduzioni dell'Avvocatura dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri. Non si é costituita in giudizio la Coluccia.

L'Avvocatura dello Stato ha rilevato nelle sue deduzioni che l'ordinanza del Pretore enuncia la illegittimità costituzionale di tutta la legge 29 aprile 1949, n. 264, mentre la eccezione deve essere diretta contro articoli di legge esattamente determinati. Ha poi sostenuta la infondatezza della questione sollevata in quanto l'art. 21 della legge 29 aprile 1949, n. 264, prevede soltanto l'obbligo del datore di lavoro di denunciare i licenziamenti, prescrizione che é fatta nell'interesse del lavoratore e, quindi, non può dirsi in contrasto con gli artt. 2 e 4 della Costituzione. Si soggiunge infine che gli altri articoli della legge 29 aprile 1949, n. 264, richiamati nell'ordinanza sono del tutto estranei alla definizione del processo riguardante la Coluccia. L'Avvocaturaconcludeva pertanto richiedendo che la Corte dichiari non fondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 29 aprile 1949, n. 264, sollevata con l'ordinanza 23 novembre 1956 del Pretore di Galatina.

All'udienza l'Avvocatura dello Stato si é riportata alle deduzioni scritte e la difesa non si é presentata.

Il Presidente, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 15 delle Norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte, ha disposto che le cause promosse con le sopra indicate ordinanze e chiamate alla stessa udienza siano congiuntamente discusse.

 

Considerato in diritto

 

Data la identità della controversia, i giudizi cui hanno dato luogo le menzionate ordinanze devono essere riuniti e su di essi può emettersi un'unica decisione.

Gli artt. 8, 13 e 27 della legge 29 aprile 1949, n. 264, rispetto ai quali l'ordinanza 25 luglio 1956 del Tribunale di Salerno ha ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, riguardano il primo l'obbligo, per chiunque aspiri ad essere avviato al lavoro alle dipendenze altrui, di iscriversi nelle liste di collocamento della circoscrizione nella quale ha la propria residenza; il secondo l'obbligo, per chiunque intenda assumere lavoratori, di farne richiesta al competente ufficio nella cui circoscrizione si svolgono i lavori. Il terzo, al comma secondo, prevede le sanzioni penali a carico dei datori di lavoro che non assumono i lavoratori per il tramite degli uffici di collocamento.

Si deve rilevare preliminarmente che non esiste l'asserita correlazione di tali norme con le leggi, che si assumono incostituzionali, del 9 aprile 1931, n. 358, e del 6 luglio 1939, n. 1092. Esse contengono l'una la disciplina e lo sviluppo delle migrazioni e della colonizzazione interna, l'altra provvedimenti contro l'urbanesimo: riguardano pertanto ben diverso oggetto da quello delle norme, direttamente impugnate, della legge 29 aprile 1949. D'altra parte é da considerare che un collegamento fra le norme di cui direttamente si deduce la illegittimità ed altre disposizioni legislative può essere stabilito soltanto nella ipotesi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che non si verifica nel caso in esame, vale a dire allorché le altre disposizioni sono tali che la loro illegittimità deriva come conseguenza dalla dichiarata illegittimità delle prime.

La indagine resta pertanto limitata alle norme degli artt. 8, 13 e 27 della citata legge del 29 aprile 1949.

Non sussiste il denunziato contrasto fra le predette norme e gli artt. 2, 3, 4 e 16 della Costituzione. Né i diritti inviolabili dell'uomo, riconosciuti e garantiti dall'art. 2, né la pari dignità sociale e l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, dichiarate dall'art. 3, sono comunque lesi dalle norme relative alla iscrizione nelle liste di collocamento e all'assunzione dei lavoratori in base ad esse. Tali norme rientrano, al contrario, nel sistema delle disposizioni con le quali l'ordinamento, nell'interesse dei lavoratori, provvede a disciplinare praticamente la soddisfazione delle loro esigenze. Un tal carattere si manifesta ancor più nettamente nella correlazione fra le norme stesse e l'art. 4, primo comma, della Costituzione. Esso stabilisce che la Repubblica, nel riconoscere a tutti i cittadini il diritto al lavoro "promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto". Ed é nell'ambito appunto di questa generale direttiva che le citate norme della legge 29 aprile 1949 provvedono a disciplinare le condizioni e i modi per l'assunzione dei lavoratori. Le stesse norme nemmeno possono dirsi in contrasto con l'art. 16 della Costituzione, giacché l'obbligo della iscrizione dei lavoratori nelle liste di collocamento della propria residenza, fondato sulla necessità di regolare le possibilità concrete di assunzione al lavoro, non incide in sé e per sé sulla libertà di circolazione e di soggiorno in qualsiasi parte del territorio nazionale, in via generale garantita dall'art. 16.

Deve infine del pari riconoscersi insussistente, per quanto riguarda l'ordinanza del Pretore di Galatina nel procedimento a carico di Coluccia Anna, l'asserito contrasto fra gli artt. 21 e 27 della stessa legge 29 aprile 1949 e i citati artt. 2, 3, 4 e 16 della Costituzione. L'art. 21 prevede l'obbligo dei datori di lavoro, sanzionato penalmente dal terzo comma dell'art. 27, di comunicare entro cinque giorni il nome e la qualifica dei lavoratori di cui per qualunque motivo sia cessato il rapporto di lavoro, obbligo al quale la Coluccia aveva omesso di ottemperare per 61 lavoratori. L'obbligo della comunicazione di cui innanzi ha la finalità di individuare tempestivamente la posizione dei lavoratori; serve a far conoscere all'ufficio di collocamento l'eventuale esistenza di posti lavorativi da occupare; e tende a determinare gli elementi dai quali é resa nota la disoccupazione locale. Pertanto anche la norma dell'art. 21, che tale obbligo stabilisce, rientra nella disciplina generale dell'avviamento al lavoro, ed é in modo evidente ispirata all'interesse dei lavoratori e alla tutela dei diritti ad essi garantiti dalla Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza sui due giudizi indicati in epigrafe,

dichiara non fondata la questione proposta con le ordinanze del Tribunale di Salerno del 25 luglio 1956 e del Pretore di Galatina del 23 novembre 1956, sulla legittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 8, 13, 21 e 27 della legge 29 aprile 1949, n. 264, in relazione agli artt. 2, 3, 4 e 16 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 1957.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 17 aprile 1957.