Sentenza n. 24 del 1957
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SENTENZA N. 24

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,  

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 lett. a, 4 lett. a, 6, 8, 10, 11, 15, 17, l9, 20, 21 e 22 della legge regionale, approvata dal Consiglio regionale sardo il 31 gennaio 1956 e riapprovata il 5 luglio 1956, recante norme sui "controlli sulle province e sui comuni", promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri con ricorso notificato il 25 luglio 1956, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 4 agosto 1956 ed iscritto al n. 56 del Reg. ric. 1956.

Udita nell'udienza pubblica del 28 novembre 1956 la relazione del Giudice Mario Bracci;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Achille Salerni per il Presidente del Consiglio dei Ministri e gli avvocati Pietro Gasparri ed Egidio Tosato per la Regione autonoma della Sardegna.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Consiglio regionale della Sardegna nell'adunanza del 31 gennaio 1956 approvò una legge sui controlli sulle province e sui comuni.

Questa legge con l'art. 1 affidò agli organi regionali, istituiti con la legge stessa, il controllo "sulle province e sui comuni"; con l'art. 2 istituì un comitato di controllo sulle province e sui comuni presieduto dall'assessore agli enti locali o da un funzionario da lui delegato; con gli artt. 3 e 4 costituì sezioni provinciali del comitato di controllo, presiedute da un funzionario della Regione, delegato dall'assessore agli enti locali; con l'art. 6 escluse che potessero fare parte del comitato e delle sezioni i membri del Parlamento nazionale, i consiglieri regionali, i membri dei consigli provinciali e dei consigli comunali, i rappresentanti degli altri enti soggetti ai controlli previsti dalla legge stessa, coloro che fossero ineleggibili, o incompatibili alle cariche di membri del Parlamento, i dipendenti delle province, dei comuni e degli altri enti soggetti ai controlli previsti dalla legge stessa, i parenti fino al secondo grado e agli affini di primo grado con l'esattore e il ricevitore provinciale durante l'esercizio dell'esattoria e della ricevitoria, con la riserva che le ineleggibilità e le incompatibilità relative ai rappresentanti degli enti soggetti a controllo e le ineleggibilità e incompatibilità a membri del Parlamento non dovessero applicarsi ai magistrati membri del comitato di controllo; con l'art. 8 istituì alle dipendenze dell'assessorato agli enti locali un servizio di vigilanza andato a funzionari della Regione "soprattutto col compito di assistenza e di consulenza, al fine d'assicurare il regolare svolgimento dei servizi amministrativi delle province e dei comuni"; con l'art. 10 attribuì ai presidenti del comitato di controllo e delle sezioni "il controllo di legittimità deferito al prefetto con le modalità previste dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge sulle deliberazioni delle province e dei comuni non soggette a speciale approvazione", precisando tuttavia che "l'annullamento delle deliberazioni illegittime deve essere adottato in conformità del parere del comitato o della sezione entro quindici giorni dal ricevimento dei processi verbali e con ordinanza motivata in cui venga enunciato il vizio di legittimità riscontrato nella deliberazione"; con l'art. 11 attribuì agli organi di controllo, di cui agli artt. 2 e 3, il potere d'esplicare i controlli di legittimità, esclusi quelli dell'art. 10, nonché i controlli di merito e sostitutivi che le leggi vigenti all'entrata in vigore della legge attribuiscono al prefetto e alla giunta provinciale amministrativa; con l'art. 15 istituì in ogni capoluogo di provincia un consiglio di controllo contabile presieduto dal presidente degli organi di controllo di cui agli artt. 2 e 3 con competenza esclusiva e "per esercitare tutte le altre funzioni di carattere non giurisdizionale che le norme vigenti attribuiscono al consiglio di prefettura"; con l'art. 17 attribuì alla giunta regionale la facoltà di annullamento di cui all'art. 6 della legge comunale e provinciale del 1934, limitatamente agli atti delle province e dei comuni: "la giunta provvede con decreto del suo presidente"; con gli artt. 19, 20, 21 e 22 fu disciplinata la cessazione per revoca dall'ufficio del sindaco, della giunta e degli assessori in seguito a deliberazione del consiglio comunale, appositamente convocato; la sospensione, la rimozione e la decadenza del sindaco con decreto del presidente della giunta regionale in seguito a particolare procedimento; lo scioglimento dei consigli comunali o provinciali con decreto del presidente della giunta regionale su conforme deliberazione della giunta stessa; la nomina del commissario straordinario e della commissione straordinaria, di cui all'art. 324 della legge comunale e provinciale del 1915, modif. con R.D. 30 dicembre 1923, n. 2839, con decreto del presidente della giunta regionale. Il Governo della Repubblica, avuta regolare comunicazione di questa legge, la rinviò il 10 marzo 1956 al Consiglio regionale ai sensi e per gli effetti dell'art. 33 dello Statuto speciale perché gli artt. 1, 8, 15, 19, 20, 21 e 22 trattavano materia non compresa nella competenza legislativa della Regione; perché gli artt. 2, 4, 6, 10 e 11 contrastavano con i principi delle leggi dello Stato e perché l'art. 17, oltre contrastare con i principi delle leggi dello Stato, contrastava altresì con i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato.

Il Consiglio regionale, a norma del citato art. 33 dello Statuto speciale per la Sardegna, riprese in esame la legge nell'adunanza del 5 luglio 1956 e all'unanimità approvò nuovamente questa legge, senza modificazioni. Della nuova approvazione fu data comunicazione al Governo l'11 luglio 1956.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha allora notificato al Presidente della Regione autonoma della Sardegna in data 25 luglio 1956, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri 21 luglio 1956, un ricorso, depositato nella cancelleria della Corte il 4 agosto 1956, col quale ha promosso avanti alla Corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, lett. a, 4, lett. a, 6, 8, 10, 11, 15, 17, 19, 20, 21, 22 della ricordata legge per violazione e falsa applicazione dell'art. 46 dello Statuto speciale per la Sardegna (legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3) in relazione agli artt. 3 e 4 dello stesso Statuto nonché in relazione agli artt. 128, 129 e 130 della Costituzione. Di questo ricorso é stata data notizia nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 1 settembre 1956 e nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna n. 29 del 4 settembre 1956.

Il ricorrente premette che l'art. 46 dello Statuto speciale per la Sardegna, che attribuisce alla Regione il controllo sugli atti degli enti locali, "non lascia posto ad interpretazioni che ne dilatino radicalmente la portata fino a comprendervi anche il controllo sugli organi". D'altra parte "la considerazione intesa ad interpretare estensivamente la materia di cui alla lettera a dell'art. 3 dello Statuto sardo (ordinamento degli enti amministrativi della Regione), nel senso di fare rientrare in tale disposizione gli enti autarchici territoriali, é in aperto contrasto con le norme disciplinanti la materia perché le province e i comuni non sono uffici od enti amministrativi della Regione, essendo da questi separati costituzionalmente, storicamente e ontologicamente (art. 128 Costituzione)".

Perciò, secondo il ricorrente, "la carenza di potestà legislativa sull'attività di controllo sugli organi degli enti locali non consente alla Regione sarda di legiferare in tale materia devoluta alla potestà esclusiva dello Stato", mentre la facoltà legislativa attribuita alla Regione, per quanto attiene al solo controllo sugli atti degli enti locali, trova un preciso limite, per l'espressa disposizione statutaria dell'art. 46, nei principi delle leggi dello Stato ("Il controllo sugli atti degli enti locali é esercitato da organi della Regione nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale in armonia coi principi delle leggi dello Stato").

Da ciò, secondo la difesa dello Stato, deriverebbe:

a) l'illegittimità costituzionale per difetto assoluto di competenza legislativa degli art. 1, 8, 15, 19, 20, 21 e 22 della ricordata legge che disciplinano l'attività regionale di controllo sugli organi, anziché sugli atti degli enti locali;

b) l'illegittimità costituzionale degli artt. 2, lettera a, 4, lettera a, 6, 10, 11 e 17 della stessa legge per violazione dei principi delle leggi dello Stato o addirittura di quelli dell'ordinamento giuridico.

La Giunta regionale della Regione autonoma della Sardegna deliberò il 3 agosto 1956 di resistere al ricorso e il 10 agosto 1956 depositò le proprie deduzioni.

Secondo la Regione le censure di illegittimità costituzionale, mosse contro gli artt. 1, 8 e 15 della ricordata legge regionale, sarebbero prive di fondamento perché, anche ad ammettere pacificamente la tesi dello Stato, i termini adoperati - "controllo sui comuni e sulle province", "servizio di vigilanza", "funzioni che si attribuiscono al Consiglio di prefettura" - sarebbero di per sé suscettibili, in via di normale interpretazione, di consentire tutte le limitazioni che il ricorrente ritiene proprie del potere regionale di controllo sull'attività comunale e provinciale: in sostanza, secondo la difesa della Regione, il ricorso avrebbe impugnato questi articoli non tanto perché viziati d'incostituzionalità di per sé, quanto perché suscettibili d'interpretazioni costituzionalmente illegittime. E sotto questo profilo l'impugnazione sarebbe infondata perché nel dubbio le leggi regionali, come le leggi ordinarie statali, devono essere interpretate in senso conforme alla Costituzione.

Quanto agli artt. 19, 20, 21 e 22 la Regione, pur non nascondendosi la gravità delle censure avversarie, rileva che la formula dell'art. 46 dello Statuto per la Sardegna é diversa da quella dell'art. 130 della Costituzione e da quella dell'art. 55 e segg. della legge 10 febbraio 1953, n. 62, sulla costituzione e sul funzionamento degli organi regionali. Da ciò si dovrebbe dedurre, comparando le norme dello Statuto della Sardegna con quelle degli altri statuti speciali, che il potere di controllo della Regione autonoma della Sardegna si estende anche agli organi dei comuni e delle province, oltre che agli atti.

Quanto agli artt. 2, lett. a, 4, lett. a, 6, 10 e 11, la Regione contesta che la formula statutaria "in armonia coi principi delle leggi dello Stato" (art. 46) debba significare esatta corrispondenza della legge regionale sarda sui controlli con la legge statale del 10 febbraio 1953, n. 62, che disciplina la materia dei controlli per le Regioni a statuto ordinario. Le diversità che si riscontrano nel caso sarebbero largamente giustificate dai principi dell'autonomia speciale della Sardegna.

Infine la Regione nega, a proposito dell'art. 17, che sia un principio delle leggi dello Stato la riserva a favore del Governo della Repubblica del potere dell'annullamento degli atti amministrativi illegittimi, in qualunque tempo, sentito il Consiglio di Stato. Secondo la Regione il potere governativo d'annullamento, poiché é pur sempre un potere di controllo sugli atti, sarebbe passato alla competenza dell'autorità regionale, in coerenza con l'art. 46 dello Statuto.

 

Considerato in diritto

 

Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal ricorrente, pongono il problema dei limiti della competenza legislativa della Regione autonoma della Sardegna in materia di controlli sui comuni e sulle province.

Occorre perciò stabilire in primo luogo quale sia la fonte costituzionale del potere legislativo della Regione in questa materia. La Regione, in sede di relazione della Giunta regionale al progetto di legge - che é poi divenuto la legge in esame - indicò, quale fonte statutaria della legislazione in materia, l'art. 3, lettera a, dello Statuto speciale per la Sardegna ("ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale").

Se questa tesi - che é stata confutata dal ricorrente - fosse fondata, la legge regionale relativa ai controlli sui comuni e sulle province non incontrerebbe i limiti dei principi delle leggi dello Stato ed inoltre verrebbe implicitamente affermato un vincolo di stretta ausiliarità fra i comuni e le province da un lato e la Regione dall'altro, che potrebbe influire profondamente sulla struttura dei controlli della Regione su questi enti.

Ma la tesi della Regione é insostenibile. La Costituzione include i comuni e le province nella locuzione "enti locali" (v. art. 130 che li distingue dagli "enti amministrativi" dell'art. 117), la quale del resto ha questo significato anche nell'uso corrente legislativo e lo stesso Statuto speciale per la Sardegna prende in considerazione gli "enti locali", comprensivi dei comuni e delle province (art. 3, lettera b, 43, 44, 45, 46), separatamente dagli "enti amministrativi della Regione" (art. 3, lett. a). Questi sono evidentemente gli enti immediatamente ausiliari della Regione, quelli che possono chiamarsi addirittura pararegionali in quanto svolgono un'attività che, per i fini pubblici che persegue e per i limiti territoriali entro i quali si svolge, interessa soprattutto e direttamente la Regione.

Questi caratteri, tenuto anche conto dell'art. 128 della Costituzione, non si riscontrano certamente nei comuni e nelle province e perciò appare evidente che l'unica fonte del potere legislativo in questa materia é l'art. 46 dello Statuto speciale per la Sardegna: "il controllo sugli atti degli enti locali é esercitato da organi della Regione nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale in armonia coi principi delle leggi dello Stato".

Resta ora da definire la portata di questo art. 46 che secondo la Regione dovrebbe essere interpretato estensivamente, attribuendosi agli organi regionali il controllo non soltanto "sugli atti", ma anche "sugli organi" dei comuni e delle province.

Quest' interpretazione estensiva sembra anzitutto esclusa dal senso chiarissimo della norma, quale é fatto palese dal significato delle parole: di "controllo sugli atti" si parla e non di altro.

La difesa della Regione invoca a sostegno della propria interpretazione norme di altri statuti speciali che a suo avviso consentirebbero il controllo regionale anche sugli organi. Ma questi richiami sono irrilevanti perché, quale che sia il contenuto delle norme degli statuti speciali diversi da quello sardo, nessun principio se ne potrebbe trarre e nessuna applicazione analogica sarebbe possibile fuori dell'ambito d'ogni singola autonomia speciale alla quale queste norme si riferiscano, appunto per la specialità delle autonomie e per l'eccezionalità delle norme stesse (art. 116 Costituzione).

Ma la difesa della Regione sostiene che il controllo sugli atti implica necessariamente il controllo sugli organi perché, trattandosi di due specie concettualmente distinte, ma logicamente collegate, la regola é che i due controlli debbano essere funzionalmente connessi ed affidati ad un unico soggetto: nulla indurrebbe a ritenere che lo Statuto speciale per la Sardegna abbia voluto fare eccezione alla regola.

In realtà ben diversa sembra la regola. Non vi é dubbio che l'organo di controllo, quando accerta la legittimità o la convenienza di un atto o, in genere, il regolare svolgimento dell'attività amministrativa d'un ente sottoposto a vigilanza o a tutela, esercita il controllo anche sugli organi perché gli atti e i comportamenti dell'ente altro non sono che l'attività degli organi. Ma in un secondo momento, quando l'attività di controllo, compiuto l'accertamento, si concreta nel provvedimento che deve assicurare la conformità alla legge o, eccezionalmente, alla convenienza amministrativa dell'attività dell'organo controllato, ben diversi sono i poteri che occorrono per intervenire sugli atti, da quelli che occorrono invece per colpire le persone responsabili dell'amministrazione contraria alle regole della legge o della convenienza amministrativa.

Ora i controlli esterni "sugli atti" degli enti pubblici possono dirsi normali in quanto le persone giuridiche minori svolgono un'attività che interessa più o meno direttamente lo Stato o altre persone giuridiche pubbliche e i controlli servono appunto per vigilare ed intervenire, caso per caso, affinché l'ente si mantenga nei limiti della legge o perché vi ritorni o vi proceda se li abbia superati o trascurati. In tal modo l'organo di controllo tutela in ogni singolo atto l'interesse dello Stato - o dell'ente che ha i poteri di controllo - alla legittimità e talora alla convenienza degli atti dell'ente controllato. Ma l'intervento dell'organo di controllo non interferisce mai, in questi casi, nell'organizzazione dell'ente.

Invece i provvedimenti che colpiscono le persone - e che servono del pari, sia pure indirettamente, ad assicurare la buona amministrazione - sono espressione di un potere sostanzialmente disciplinare e quindi presuppongono un rapporto di supremazia gerarchica, sia pure impropria, dell'ente al quale appartiene l'organo di controllo sull'ente controllato.

Questo particolare rapporto di supremazia é di per sé inconciliabile con le nozioni di autonomia e di autarchia, che sono proprie del comune e della provincia e perciò può essere riconosciuto e affermato soltanto se sia stato eccezionalmente imposto da una norma di legge: nessuna eccezionale imposizione del genere é stata sancita nello Statuto speciale per la Sardegna sugli enti locali a favore della Regione.

Da ciò deriva che l'art. 46 dello Statuto sardo deve essere interpretato nel modo più largo per quanto riguarda il controllo sugli atti, cioè fino a comprendervi anche i controlli sostitutivi, che del resto sono ammessi per le regioni a statuto ordinario (art. 59 legge 10 febbraio 1953, n. 62). Difatti col controllo sostitutivo l'autorità di controllo si surroga all'organo attivo, ma si limita a compiere in luogo e per conto di questo il singolo atto obbligatorio, che era stato omesso.

Ma é da escludere, invece, che nella Regione autonoma della Sardegna, in ordine all'art. 46 dello Statuto speciale, spetti sugli organi comunali e provinciali qualsiasi potere di controllo, inteso come potere di emanare provvedimenti a carico delle persone. Questo potere spetta soltanto allo Stato, che naturalmente può esercitarlo anche in collaborazione con la Regione (art. 64 legge 10 febbraio 1953, n. 62).

Resta infine da esaminare, sempre in via preliminare, se le varie norme della legge 10 febbraio 1953, n. 62, sulla costituzione e sul funzionamento degli organi regionali costituiscano, per quanto riguarda i controlli regionali sugli atti degli enti locali, altrettanti "principi", da valere quali limiti della legge regionale sarda di cui al citato art. 46, così come sostiene la difesa dello Stato.

Questa tesi non é esatta. La legge 10 febbraio 1953, n. 62, é una legge ordinaria e perciò le norme dello Statuto speciale prevalgono sempre su di essa. Inoltre questa legge contiene norme di attuazione delle disposizioni della Costituzione relative alle regioni ordinarie e perciò le norme stesse possono valere nei riguardi della legge regionale non in quanto tali, ma in quanto contengano effettivamente "principi di legislazione dello Stato". A ben altro conclusioni si giungerebbe se la legge suddetta contenesse norme d'attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna. Ma nessuna norma d'attuazione esiste al riguardo.

Tuttavia é fuori dubbio che la legge n. 62 del 1953 é una legge statale, ha carattere generale e disciplina organicamente tutta la materia dei controlli regionali, sia pure con riferimento alle regioni a statuto ordinario. Perciò é del tutto regolare che da questa legge, come dalle altre leggi dello Stato, che disciplinano i controlli amministrativi in generale, si desumano "i principi delle leggi dello Stato", richiamati dall'art. 46 dello Statuto speciale per la Sardegna quali limiti della legge regionale relativa ai controlli sugli enti locali.

Poste queste premesse debbono essere prese partitamente in esame le disposizioni degli articoli della legge regionale 31 gennaio - 5 luglio 1956 rispetto ai quali il ricorrente ha richiesto la dichiarazione d'illegittimità costituzionale.

In relazione all'art. 1 il ricorrente afferma che la locuzione "il controllo sulle province e sui comuni é affidato agli organi regionali" é costituzionalmente illegittima perché non limita espressamente il controllo "agli atti".

A questo riguardo é stato giustamente rilevato che trattasi di un problema d'interpretazione che non dà luogo a dubbi perché, nell'apparente incertezza, le norme regionali devono essere interpretate nel senso conforme alla Costituzione e alle leggi costituzionali: e l'art. 46 dello Statuto speciale per la Sardegna pone senza equivoci il limite degli "atti". D'altra parte la dizione dell'art. 1 é estremamente generica e poiché contiene anche il rinvio ai successivi articoli della legge (il controllo. . . "affidato agli organi regionali si svolge nei modi e nei limiti dalla medesima determinati") é fuori dubbio che ogni incertezza, anche apparente, sarà eliminata con la dichiarazione d'illegittimità costituzionale delle norme regionali che eventualmente eccedono dai limiti dell'art. 46.

Perciò la denuncia d'illegittimità costituzionale dell'art. 1 é da respingersi.

A proposito degli articoli 2, lettera a, e 4, lettera a, la difesa dello Stato ha creduto di ravvisare l'illegittimità costituzionale sul punto che i presidenti del comitato e delle sezioni di controllo sono indicati dalla legge nell'assessore agli enti locali e nei funzionari da lui delegati, mentre questi presidenti dovrebbero essere elettivi secondo "il principio" posto dagli articoli 55 e 56 della legge 10 febbraio 1953, n. 62.

Quest' impugnazione non é fondata. Allo stato della legislazione vigente in materia di controlli amministrativi non può affermarsi che la designazione elettiva del presidente degli organi di controllo sia "un principio della legislazione dello Stato", né si può dare tale importanza ad ogni norma della legge n. 62 del 1953 semplicemente perché contiene una determinata disciplina della materia. Giova inoltre osservare a tale riguardo che i comitati di controllo, istituiti dalla legge regionale, hanno una composizione diversa da quelli previsti dagli articoli 55 e 56 della ricordata legge statale e che del resto "il principio della designazione elettiva" trova limiti particolari nella stessa legge statale perché alcuni membri dei collegi istituiti dai detti articoli 55 e 56 non sono eleggibili alla carica di presidente.

É invece fondata la censura d'illegittimità costituzionale sollevata contro l'art. 6.

Sta in fatto che l'art. 6 della legge regionale in esame é ricalcato sull'art. 57 della legge statale n. 62 del 1953 con l'unica variante che alla lettera c dell'art. 57, che esclude dal comitato di controllo coloro che si trovino nella condizione d'ineleggibilità e d'incompatibilità prevista per i membri dei consigli comunali, provinciali e degli altri enti soggetti al controllo sugli atti, é sostituita nell'art. 6 della legge regionale una norma che invece esclude coloro che si trovino nelle condizioni d'ineleggibilità e d'incompatibilità previste per i membri del Parlamento nazionale. In ciò consisterebbe il vizio d'illegittimità costituzionale dell'art. 6, secondo il ricorrente.

Ora, a parte la difficoltà pratica di adeguare le norme sulle ineleggibilità ed incompatibilità parlamentari alla modesta realtà amministrativa di un collegio regionale con funzioni di controllo sugli atti degli enti locali, la natura e la competenza dei supremi organi legislativi sono così profondamente diverse da quelle dei comitati regionali di controllo che, senza dubbio, il principio adottato dalla legge regionale non é quello delle leggi nazionali valido per il caso. Difatti un semplice confronto fra le condizioni d'ineleggibilità e d'incompatibilità che valgono, ad esempio, per i consiglieri comunali e quelle che valgono per i membri del Parlamento dimostra con assoluta evidenza che alcuni requisiti sono inutili per l'esercizio delle funzioni amministrative locali ed importanti per le funzioni politiche e legislative o viceversa e che le due funzioni hanno, a questo riguardo, esigenze soggettive in gran parte diverse (v. ad es. artt. 2 e 3 legge 13 febbraio 1953, n. 60, e T.U. 5 aprile 1951, n. 203, art. 15 n. 5).

Perciò senza escludere che anche dalle norme sulle incompatibilità parlamentari si possano trarre elementi per una saggia disciplina della materia riguardo agli organi regionali di controllo, i principi delle leggi nazionali con i quali deve essere in armonia la legge regionale sono quelli che si desumono dalle leggi relative agli organi amministrativi e particolarmente a quelli dell'amministrazione comunale e provinciale.

Questi principi varrebbero anche in difetto di una norma di legge regionale al riguardo, quale é quella dell'art. 6.

Poiché le condizioni essenziali di queste incompatibilità ed ineleggibilità non sono comprese totalmente fra quelle dei membri del Parlamento, l'art. 6 é da ritenersi viziato da illegittimità costituzionale sotto questo profilo.

Quanto all'art. 8, il ricorrente lamenta che si sia istituito alle dipendenze dell'Assessorato agli enti locali un servizio di "vigilanza soprattutto col compito d'assistenza e consulenza, al fine di assicurare il regolare svolgimento dei servizi amministrativi delle province e dei comuni": i funzionari regionali addetti a questo servizio eserciterebbero in tal modo un controllo "sugli organi" comunali e provinciali non consentito dall'art. 46 dello Statuto.

Ciò che é stato affermato nelle considerazioni preliminari é sufficiente a smentire il fondamento di questa censura, senza che occorra una particolare motivazione.

Confermato che nessun potere d'emanare provvedimenti a carico delle persone, che abbiano la qualità di organi comunali e provinciali, spetta alla Regione, non vi é dubbio che la Regione ha un interesse proprio all'efficienza dell'organizzazione o al buon funzionamento degli enti locali (artt. 43, 44 e 45 dello Statuto). Inoltre la stessa legge statale n. 62 del 1953 considera i comitati di controllo delle regioni a statuto ordinario, quali organi di informazione ai fini dei provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali e provinciali e di rimozione e sospensione dei sindaci di competenza governativa (art. 64).

Perciò sembra del tutto regolare che la Regione, alla quale spetta indubbiamente "la vigilanza" sui comuni e sulle province nel significato giuridico del termine, organizzi un ufficio per accrescere l'efficienza dei propri controlli, assistendo e consigliando i comuni e le province al fine di assicurare una buona amministrazione conforme alla legge, esclusa ogni ingerenza d'ordine politico e disciplinare e salvi i poteri ispettivi degli organi statali.

Conseguentemente l'impugnazione dello Stato é da respingersi relativamente all'art. 8.

Gli articoli 10 e 11 sono impugnati perché ritenuti in contrasto con la norma dell'art. 59 della legge n. 62 del 1953. Sarebbe violato il principio della collegialità degli organi di controllo perché, contrariamente alla disciplina prevista per le regioni a statuto ordinario, il collegio é investito, ai fini di un parere vincolante, soltanto degli atti che i presidenti ritengano illegittimi: per quelli ritenuti legittimi provvede il presidente.

Nessun accenno all'esigenza della collegialità dell'organo regionale di controllo trovasi nello statuto speciale per la Sardegna (art. 46) e nella stessa Costituzione (art. 130) e tale principio non é certamente affermato dalla vigente legislazione comunale e provinciale che attribuisce al riguardo una vasta competenza al prefetto. D'altra parte la garanzia del provvedimento collegiale, o meglio, su parere vincolante collegiale, é assicurata nell'ipotesi dell'annullamento dell'atto, che é quella più grave rispetto ai principi dell'autarchia. Del pari collegiale é la competenza circa i provvedimenti di controllo sostitutivo.

Non sembra perciò che la norma dell'art. 59 della legge n. 62 del 1953 contenga un principio di cui debba tener conto la legge regionale di cui all'art. 46 dello Statuto speciale per la Sardegna. Quindi non vi é alcuna seria ragione che faccia dubitare della legittimità costituzionale dei ricordati articoli 11 e 12.

L'impugnazione dell'art. 15 si fonda sulla considerazione che la dizione: "in ogni capoluogo di provincia un consiglio di controllo contabile. . . esprime i pareri ed esercita tutte le altre funzioni di carattere non giurisdizionale che le norme vigenti attribuiscono al consiglio di prefettura" importerebbe un eccesso dalla competenza regionale perché il Consiglio di prefettura ha anche attribuzioni consultive del tutto estranee alla materia dei controlli sugli enti locali.

Questo rilievo é fondato.

Il Consiglio di prefettura, quale organo amministrativo, appartiene indubbiamente all'amministrazione governativa locale ed ha una competenza consultiva di carattere generale, quantunque progressivamente ridottasi d'importanza. Ciò basta ad escludere che la Regione, alla quale spetta una potestà legislativa limitata per materie, possa togliere a questo organo statale, con una propria legge, addirittura "tutte" le funzioni non giurisdizionali.

D'altra parte non soltanto é esatto il rilievo della difesa dello Stato che il Consiglio di prefettura esprime pareri obbligatori anche in materie del tutto estranee ai controlli sugli enti locali (art. 19 della legge 25 giugno 1865 in materia di espropriazione per pubblica utilità), ma non si comprende inoltre come un organo regionale, cioè il Comitato di controllo, potrebbe sostituirsi al Consiglio di prefettura, in virtù di una legge regionale, per emettere quei pareri che il Prefetto ha la facoltà di richiedere per qualsiasi materia (art. 24 T.U. 3 marzo 1934, n. 383).

Perciò l'art. 15 é da ritenersi viziato da illegittimità costituzionale.

Meno semplice é il caso dell'art. 17 che il ricorrente ritiene viziato d'illegittimità costituzionale per violazione dei principi dell'ordinamento giuridico, in quanto il potere di annullare gli atti illegittimi in qualunque tempo sarebbe riservato al Governo della Repubblica, quale attributo della sovranità dello Stato.

Quantunque il potere governativo d'annullamento in qualunque tempo sia pur sempre un controllo "sugli atti" e quindi da riportarsi formalmente sotto la dizione dell'art. 46 dello Statuto sardo, si deve tuttavia osservare che secondo l'interpretazione che é andata pacificamente affermandosi sulle norme al riguardo e particolarmente sull'art. 6 del T.U. 3 marzo 1934, n. 383, questo potere del Governo della Repubblica é ritenuto di carattere generale non limitato ai soli atti degli enti locali e da esercitarsi soltanto se con l'illegittimità dell'atto concorrano motivi attuali e concreti d'interesse generale all'annullamento, non essendo sufficiente il solo interesse al ristabilimento del diritto violato.

Dal punto di vista soggettivo si deve poi rilevare che il diritto positivo attribuisce questo potere al Governo della Repubblica - salvo qualche rarissima eccezione a favore del ministro competente per materia - e mai agli enti pubblici diversi dallo Stato.

Infine, quanto al procedimento e relativamente alle ipotesi dell'art. 6 del T.U. delle leggi com. e prov. del 1934, é necessario il parere del Consiglio di Stato.

Tutto ciò porta a concludere che questo eccezionale potere d'annullamento é un controllo che presuppone, per il suo esercizio, una valutazione nell'interesse generale che può essere fatta soltanto dagli organi supremi del potere esecutivo e che deve essere circondato da particolari garanzie, appunto in considerazione della sua eccezionalità, quali la pronuncia per decreto del Capo dello Stato, sentito il parere del Consiglio di Stato.

Ne deriva evidente l'illegittimità costituzionale dell'art. 17.

Resta da considerare la censura d'illegittimità costituzionale mossa dal ricorrente contro gli artt. 19, 20, 21 e 22 che trattano della revoca del sindaco e della giunta comunale; della sospensione, rimozione e decadenza del sindaco; dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali e della nomina dei commissari straordinari presso comuni e province.

La difesa dello Stato afferma, con sicuro fondamento, che queste norme contengono appunto quella disciplina del controllo "sugli organi", che é sottratta alla competenza legislativa della Regione autonoma della Sardegna.

Le norme regionali sulla revoca del sindaco, della giunta e dei singoli assessori per deliberazione del consiglio comunale all'uopo convocato su richiesta di almeno un terzo dei consiglieri non trattano, a vero dire, materia di "controlli sugli organi" e tanto meno di controlli "esterni", almeno secondo il significato che suole attribuirsi a questa categoria dell'attività amministrativa. Ma si tratta tuttavia di "ordinamento dei comuni e delle province", materia sottratta egualmente alla competenza legislativa della Regione autonoma della Sardegna.

Per quanto riguarda invece le altre norme impugnate non vi é dubbio che si tratta di disciplina dei controlli sulle persone, viziata da illegittimità costituzionale per le ragioni che sono già state ampiamente esposte.

Perciò anche gli artt. 19, 20, 21 e 22 sono da considerarsi sicuramente viziati da illegittimità costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

in parziale accoglimento del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione d'illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2, lett. a, 4, lett. a, 6, 8, 10, 11, 15, 17, 19, 20, 21, 22 della legge regionale approvata dal Consiglio regionale sardo il 31 gennaio 1956 e riapprovata il 5 luglio 1956 in materia di "controlli sui comuni e sulle province":

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, in quanto sono state omesse le regole sull'ineleggibilità e sull'incompatibilità dei membri degli organi di controllo che si desumono dai principi della legislazione nazionale in materia di enti locali, e degli articoli 15, 17, 19, 20, 21 e 22;

2) respinge il ricorso relativamente agli articoli 1, 2, lettera a, 4, lettera a, 8, 10 e 11.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 gennaio 1957.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA  

 

Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1957.