Sentenza n. 19 del 1956

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SENTENZA N. 19

ANNO 1956

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI      

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI         

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI                      

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO     

Prof. Mario BRACCI 

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto dalla Regione autonoma della Sardegna in persona del Presidente "pro tempore" della Giunta regionale, in base a deliberazione della stessa Giunta in data 24 gennaio 1956, con atto notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 20 febbraio 1956 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 28 successivo, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale, limitatamente alla "parte che attiene ai servizi automobilistici e tramviari", del D.P. 28 giugno 1955, n. 771, contenente norme sul "Decentramento dei servizi del Ministero dei trasporti, Ispettorato generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione", ed iscritto al n. 20 del Registro ricorsi 1956:

Udita nella pubblica udienza del 30 maggio 1956 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

Uditi gli avvocati Egidio Tosato e Pietro Gasparri per la Regione della Sardegna ed il sostituto avvocato generale dello Stato Elio Vitucci per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

 

Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 20 febbraio 1956 e depositato in cancelleria il 28 successivo, la Regione autonoma della Sardegna in persona del Presidente "pro tempore" della Giunta regionale, in base a deliberazione della stessa Giunta in data 24 gennaio 1956, impugnò innanzi a questa Corte il decreto del Presidente della Repubblica 28 giugno 1955, n. 771, intitolato "Decentramento dei servizi del Ministero dei trasporti, Ispettorato generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione" limitatamente alla "parte che attiene ai servizi automobilistici e tramviari". E, premesso che il decreto anzidetto, a differenza dell'altro per il decentramento dei servizi del Ministero dell'industria (D.P. 28 giugno 1955, n. 620, art. 15), non contiene alcuna riserva riguardo alle competenze statutarie delle Regioni ad autonomia speciale, dedusse:

con il primo mezzo: la violazione dello Statuto speciale per la Sardegna, art. 3, lettere a) e g), perché "se il decreto impugnato é da ritenersi applicabile nella Regione sarda, esso invade un settore affidato dallo Statuto alla competenza esclusiva, salvi i noti limiti generali, del legislatore sardo, sia in quanto legifera in materia di "trasporti" su linee automobilistiche e tramviarie (art. 3, lett. g), sia in quanto detta norme circa la organizzazione degli uffici destinati ad operare in questo settore (art. 3, lett. a);

con il secondo mezzo: la violazione degli articoli 3, lett. g), e 6 dello Statuto, perché "se il decreto impugnato é da applicarsi alla Regione sarda, nel senso che gli Ispettorati compartimentali e gli uffici distaccati della motorizzazione devono operare nell'Isola come organi decentrati del Ministero (dei) trasporti, risulta invasa la competenza amministrativa data alla Regione con il combinato disposto" delle norme statutarie anzidette;

con il terzo mezzo: la violazione dell'art. 54 dello Statuto speciale, perché il decreto impugnato, nell'ipotesi che si dovesse ritenere applicabile nella Regione sarda, "concreterebbe una arbitraria modificazione delle sopra menzionate disposizioni statutarie, posta in essere senza la osservanza del procedimento speciale predisposto dall'art. 54 (dianzi detto) e quindi con invasione delle competenze che in... (tale) procedimento spettano sia al Parlamento della Repubblica, sia all'organo legislativo ed eventualmente al Corpo elettorale della Regione".

Concluse chiedendo che la Corte, "premesse le declaratorie che riterrà del caso circa la portata del Decreto impugnato, ne dichiarasse la illegittimità costituzionale per la parte che attiene ai servizi automobilistici e tramviari".

Nel giudizio é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei Ministri, sostenendo (deduzioni depositate il 12 marzo 1956):

A) che l'Alta Corte per la Sicilia aveva fermato "i seguenti principii: a) le leggi dello Stato hanno efficacia simultaneamente in tutto il territorio nazionale, senza che occorra alcun provvedimento di ricezione da parte della Regione; b) qualora la legge nazionale abbia dettato disposizioni in uno dei settori attribuiti alla competenza regionale, i precetti di essa restano applicabili anche alla Regione fin quando questa, nell'esercizio della propria autonomia, non disciplini diversamente la materia. Che se, invece, la norma regionale abbia preceduto quella statale, questa ultima non é applicabile alla Regione. Tra le due fonti legislative, quella generale (dello Stato) e quella speciale (della Regione), prevale la seconda, in quanto, appunto, norma speciale che deroga alla generale";

B) che questi principii "erano di comune conoscenza allorché venne esaminato dalla Commissione parlamentare, istituita a norma della legge di delega 11 marzo 1953, n. 150, lo schema preliminare del decreto per il decentramento dei servizi del Ministero dei trasporti, una parte del quale é stata ora denunciata per illegittimità costituzionale", e detta Commissione "deliberò la soppressione (verbale n. 25, pag. 172)" di un certo art. 77, contenuto nello schema originario, "in quanto non può" , essa osservò, "non confermarsi il principio secondo il quale le disposizioni delle leggi statali, emanate per la generalità del territorio, entrano in vigore anche nel territorio delle Regioni a statuto speciale dotate di particolare autonomia, fino a quando, nelle attribuzioni della loro competenza legislativa per le materie a queste riservate, tali Regioni non ritengano di adottare proprie e diverse disposizioni";

C) che alla "citata giurisprudenza dell'Alta Corte siciliana... si adeguarono tutte le altre magistrature, ordinarie ed amministrative, che dovettero occuparsi della questione";

D) che alla stregua dei cennati principii giurisprudenziali e della determinazione della menzionata Commissione parlamentare, "il conflitto di carattere costituzionale, fra Stato e Regione, si pone allorché in una delle materie "attribuite" (alla Regione) già esista una disciplina regionale e ad essa lo Stato pretenda di sostituire la propria, emanando una legge che venga esplicitamente dichiarata applicabile proprio nel territorio di quella Regione", e "non sorge qualora una legge nazionale, ancorché riguardi in tutto o in parte materie attribuite alla competenza degli organi legislativi regionali, venga emanata con carattere di generalità. Questa legge, secondo i principii surriferiti, entra in vigore e si applica anche nelle Regioni, a meno che venga ad incontrarsi con una legge regionale che disciplini diversamente la materia. Si tratterà di accertare in fatto l'esistenza di una legge regionale contraria o comunque incompatibile con quella emanata dallo Stato, per dedurne se la materia ricada nella disciplina generale o in quella speciale. Ma la individuazione della norma giuridica applicabile al caso concreto, presupposto di ogni interpretazione, é compito di ogni organo chiamato ad applicare la legge; la questione, comunque, é del tutto estranea alla giurisdizione della Corte costituzionale, chiamata a decidere sulla legittimità delle leggi, ma non certo a pronunziare nel caso concreto quale tra le varie leggi debba trovare applicazione". Sicché il ricorso é inammissibile;

E) che, peraltro, non constando che la Regione abbia legiferato nella materia de qua, essa manca d'interesse alla impugnazione proposta e questa deve dirsi inammissibile anche per tale ragione.

La Regione ha replicato con note depositate il 16 maggio 1956, dichiarando di essere "d'accordo nel ritenere che, in via di principio, le leggi dello Stato hanno efficacia nel territorio delle Regioni autonome, anche quando riguardano materia di competenza legislativa regionale, fino a che le Regioni, nei limiti dei loro poteri, non abbiano emanato una diversa legge regionale". Ha però soggiunto di doversi "osservare (che essa) non ha impugnato il decreto legislativo delegato 28 giugno 1955, n. 771, per la sola astratta ragione che il decreto stesso detta norme in materia di trasporti su linee automobilistiche e tramviarie, materia di competenza legislativa regionale, ma per il fatto che esso, inteso ad un certo decentramento della competenza amministrativa del Ministero dei trasporti nella materia indicata, viene ad invadere la competenza amministrativa riservata alla Regione, giusta l'articolo 6 dello Statuto". "Così posta, - conclude la ricorrente - la questione rientra indubbiamente nella giurisdizione della Corte costituzionale" , in quanto "si tratta di stabilire se il decreto impugnato, che si pretende avere efficacia anche nel territorio della Sardegna, sia o no conforme alle norme più volte citate dello Statuto speciale per la Sardegna". Sicché "l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione della Corte costituzionale" é infondata. E "cade di conseguenza anche la seconda eccezione di inammissibilità del ricorso (per) difetto di interesse ad agire della ricorrente. La Regione non intende far prevalere sulla legge statale una legge regionale che non ha ancora emanata. Essa intende salvaguardare le competenze legislative e amministrative che le derivano direttamente dallo Statuto avente forza di legge costituzionale".

 

Considerato in diritto

 

 

Le parti sono d'accordo nel riconoscere che l'intervento di una legge statale in materia di competenza regionale non implica limitazione dei poteri legislativi della Regione sarda, in quanto la legge statale resterà in vigore, a norma dell'art. 57 dello Statuto speciale, fino a quando la Regione non avrà esercitato, nella stessa materia, la sua potestà legislativa. E poiché fino ad oggi é certo, in fatto, che la Regione non ha emanato alcuna disposizione relativa ai servizi automobilistici e tramviari, é fuori contestazione, in diritto, che le norme impugnate costituiscono legittima emanazione del potere legislativo dello Stato e non ledono la sfera di competenza della Regione, la quale resta libera, per l'avvenire, di esercitare nel medesimo campo le sue attribuzioni legislative a norma dello Statuto speciale e nei limiti di esso, con l'effetto che le leggi regionali, in quanto legittime nel loro contenuto, verranno a sostituirsi a quelle statali ora in vigore.

Queste constatazioni, sulle quali la Corte concorda con le parti, importano che una controversia circa la violazione della competenza legislativa della Regione non esiste e non é mai esistita, non essendo sorta alcuna causa sostanziale di dissidio fra Stato e Regione su questo punto. Onde il primo motivo del ricorso é improponibile, per inesistenza della materia del contendere.

É anche improponibile il secondo motivo del ricorso, con il quale si deduce la violazione della sfera di competenza amministrativa della Regione.

Intanto, si potrebbe osservare che, anche nei riguardi del secondo motivo del ricorso, varrebbero le considerazioni fatte a proposito del primo motivo. Se, infatti, la Regione può, con sue norme, disciplinare questi servizi e attuare l'ordinamento degli uffici che vi sono preposti, non si vede come si potrebbe verificare una sostanziale lesione degli interessi della Regione dal momento che essa può, quando vuole, emanare delle norme per creare propri organi in questo ramo di amministrazione o per meglio definire, nei confronti degli uffici statali, la competenza dei suoi organi amministrativi già esistenti. Ed una questione di legittimità costituzionale potrebbe sorgere solo se ed in quanto queste future norme regionali venissero ad esorbitare dalla sfera di competenza della Regione. Ma la Corte ritiene di non potersi astenere dal prospettare altre e più importanti ragioni che inibiscono l'esame delle doglianze della Regione.

In primo luogo, si deve rilevare che la richiesta di dichiarazione di illegittimità costituzionale di un intero testo legislativo "per la parte che attiene ai servizi automobilistici e tramviari" non é conforme, nel rito, al disposto dell'art. 23, primo comma, lettera a), della legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione all'art. 34 della legge stessa, secondo cui debbono essere indicate le disposizioni della legge o dell'atto avente forza di legge, viziate da illegittimità costituzionale. La esigenza di una puntuale osservanza di questa norma procedurale é manifesta, essendo essenziale alla struttura di questo giudizio la precisa identificazione delle norme che la Corte dovrebbe dichiarare illegittime. E questa esigenza risalta particolarmente nel caso in esame. Dato che non tutte le norme del decreto presidenziale impugnato potrebbero esser dichiarate illegittime nei confronti della Regione, ma solo quelle che importassero menomazione della competenza amministrativa della Regione stessa, é evidente che, in caso di accoglimento del ricorso per questa parte, la Corte o dovrebbe dichiarare, in via generica, illegittime tutte le norme del decreto presidenziale solo in quanto violino la competenza amministrativa della Regione o dovrebbe ricercare per proprio conto, ad una ad una, le norme del decreto stesso da dichiarare illegittime. Ora, ognuno vede come la seconda eventualità sia contraria a tutte le esigenze della struttura di questo giudizio, non essendo lecito al Giudice sostituirsi alla parte ricorrente nella identificazione delle norme della cui legittimità si dovrebbe discutere. Ma non sarebbero meno rilevanti le conseguenze, giuridiche e pratiche, che deriverebbero dalla prima eventualità. Una pronuncia di questa Corte che dichiarasse indiscriminatamente illegittime tutte le norme del decreto presidenziale impugnato, solo se ed in quanto esse violino la sfera di competenza amministrativa della Regione, creerebbe grande confusione, perché lascerebbe a tutti, amministratori, funzionari e cittadini chiamati ad interpretare, applicare ed osservare la legge, una latitudine di indagine che servirebbe ben poco alla certezza del diritto.

Ma questa deficienza di ordine formale, che potrebbe giustificare una dichiarazione di inammissibilità dell'intero ricorso, viene nel caso di specie a perdere d'importanza di fronte ad una ragione che rende improponibile il secondo motivo del ricorso stesso. E questa ragione di improponibilità appare alla Corte preminente, in quanto attiene ai poteri dell'organo giudicante. In verità, la deficiente indicazione delle norme di cui si deduce l'illegittimità é segno manifesto di quella che é la reale portata della pretesa della Regione, la quale, in sostanza, non chiede una dichiarazione di illegittimità, bensì una positiva statuizione con cui la Corte dovrebbe stabilire che le norme del decreto presidenziale impugnato non si applichino alla Regione per quanto attiene alla competenza degli organi amministrativi. Ora, la Corte deve notare che, così posto in luce il vero significato della domanda della Regione, tale domanda non può avere ingresso in questa sede, giacché nel giudizio di legittimità costituzionale non possono, nel caso di accoglimento del ricorso, essere adottate decisioni diverse dalla dichiarazione d'illegittimità di determinate norme; e non é possibile che questo giudizio abbia, in via principale, per oggetto la definizione di un contrasto fra Stato e Regione basato sopra dissensi relativi alla interpretazione di norme. Certo, anche al giudizio di legittimità costituzionale é connaturale l'esigenza della interpretazione delle norme giuridiche; ma é evidente che in tale sede la esatta interpretazione deve essere mezzo al fine, ma non può costituire l'oggetto principale della pronuncia.

É quindi, chiaro che non può essere esaminata qui la tesi della Regione, secondo cui la competenza dei suoi organi amministrativi nasce immediatamente dallo Statuto speciale senza bisogno di alcuna legge statale o regionale che determini tale competenza e disciplini l'esercizio dei relativi poteri. Una questione siffatta non può essere introdotta in un giudizio di legittimità costituzionale nei confronti di norme che, emanate per tutto il territorio nazionale, non hanno regolato i rapporti fra gli organi dello Stato e quelli della Regione. L'eventuale contrasto in ordine alla competenza amministrativa potrebbe, se mai, dar luogo ad una pronuncia di questa Corte in sede di decisione sopra un conflitto di attribuzione. Ma non può la Corte considerare come un giudizio proposto per conflitto di attribuzioni quello che, senza equivoco, é stato instaurato come giudizio di legittimità costituzionale.

La improponibilità del primo e del secondo motivo del ricorso travolge anche il terzo motivo. É manifesto che il decreto impugnato non ha inteso modificare e non ha modificato - come, del resto, non poteva modificare - lo Statuto speciale per la Sardegna, le cui disposizioni circa la competenza legislativa e amministrativa della Regione in materia di servizi automobilistici e tramviari restano inalterate.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara improponibile il ricorso di cui in epigrafe, proposto dalla Regione della Sardegna avverso il decreto del Presidente della Repubblica 28 giugno 1955, n. 771, relativo al decentramento dei servizi del Ministero dei trasporti - Ispettorato generale della motorizzazione civile e dei trasporti in Concessione.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il giorno 5 luglio 1956.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe          CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI.

 

Depositata in cancelleria il 12 luglio 1956.