Sentenza n. 2 del 1956

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SENTENZA N. 2

ANNO 1956

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN  NOME  DEL  POPOLO  ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI           

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO        

Prof. Antonino PAPALDO                        

Prof. Mario BRACCI                                          

Prof. Nicola JAEGER                                          

Prof. Giovanni CASSANDRO,                                     

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 157 Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato col R.D. 18 giugno 1931, n. 773, promossi con le seguenti ordinanze:

1) Ordinanza 29 dicembre 1955 del Pretore di Riva del Garda nel procedimento penale a carico di Gregori Alessandro, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23 del 28 gennaio 1956 ed iscritta al n. 1 Registro ordinanze 1956;

2) Ordinanza 24 gennaio 1956 del Pretore di Prato nel procedimento penale a carico di Sambrotta Giovanni, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35 dell'11 febbraio 1956 ed iscritta al n. 14 Reg. ord. 1956;

3) Ordinanza 28 gennaio 1956 del Pretore di Augusta nel procedimento penale a carico di Litrico Giuseppe, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 43 Reg. ord. 1956;

4) Ordinanza 19 gennaio 1956 del Pretore di La Spezia nel procedimento penale a carico di Polacci Liliana, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 53 Reg. ord. 1956;

5) Ordinanza 26 gennaio 1956 del Pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Bartoli Fedora, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 54 Reg. ord. 1956;

6) Ordinanza 25 gennaio 1956 del Pretore di Messina nel procedimento penale a carico di Terranova Giuseppe, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 26 Reg. ord. 1956;

7) Ordinanza 25 gennaio 1956 del Pretore di Messina nel procedimento penale a carico di Certo Giovanni, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 27 Reg. ord. 1956;

8) Ordinanza 9 febbraio 1956 del Pretore di Sulmona nel procedimento penale a carico di Di Battista Carmela, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 36 Reg. Ord. 1956;

9) Ordinanza 26 gennaio 1956 del Pretore di Savona nel procedimento penale a carico di Cogotti Emilio, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 57 Reg. ord. 1956;

10) Ordinanza 27 gennaio 1956 del Pretore di Sestri Ponente nel procedimento penale a carico di Dolmetta Evelina, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 19 Reg. ord. 1956;

11) Ordinanza 7 febbraio 1956 del Tribunale di Trapani nel procedimento penale a carico di Pizzo Giuseppe, rappresentato e difeso nel presente giudizio dall'avv. Giacomo Rosapepe, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60 del 12 marzo 1956 ed iscritta al n. 58 Reg. ord. 1956;

12) Ordinanza 25 gennaio 1956 del Pretore di Ferentino nel procedimento penale a carico di Cimato Mercurio, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 77 del 30 marzo 1956 ed iscritta al n. 24 Reg. ord. 1956:

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udita nella pubblica udienza del 30 aprile 1956 la relazione del Giudice Giuseppe Cappi;

Uditi l'avv. Giacomo Rosapepe ed il vice avvocato generale dello Stato Raffaele Bronzini.

 

Ritenuto in fatto

 

 

Le vicende che hanno dato luogo alle controversie elencate in epigrafe sono semplici e simili. Si tratta di contravvenzioni alle norme dell'art. 157 T.U. leggi di pubblica sicurezza riguardanti il foglio di via obbligatorio e la conseguente diffida a ritornare - senza previa autorizzazione dell'autorità di p.s. - nel Comune dal quale gli imputati erano stati fatti allontanare. Tratti in giudizio, essi sollevavano l'eccezione di illegittimità costituzionale del citato art. 157 e il magistrato, ritenuta tale eccezione non manifestamente infondata, ordinava la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

A fondamento dell'eccezione, gli imputati adducevano il contrasto dell'art. 157 con gli artt. 13 e 16 della Costituzione. (Per la esattezza, in cinque cause si indicavano ambedue gli articoli; in cinque solo l'art. 16; in una anche gli artt. 8, 19 e 21; in una, mentre la difesa aveva indicato l'art. 16, il Pretore, nella sua ordinanza, indicò invece il contrasto con l'art. 13).

Nel giudizio davanti alla Corte si é costituito soltanto Giuseppe Pizzo, nei rapporti del quale il Tribunale di Trapani, in sede di appello, aveva pronunziato la seguente ordinanza:

"Ritenuto che la questione di incostituzionalità dell'art. 157 T.U. leggi p.s. sollevata dalla difesa dell'imputato non ha i caratteri appariscenti dell'infondatezza e si appalesa pregiudiziale ad ogni accertamento di merito; letto ed applicato l'art. 1 legge 9 febbraio 1948, n. 1, sospende il giudizio ed ordina che gli atti vengano rimessi alla Corte costituzionale per la decisione della pregiudiziale". Il Pizzo fu rappresentato e difeso dall'avv. Giacomo Rosapepe, il quale presentò un'ampia memoria, che illustrò oralmente in udienza.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo della Avvocatura generale dello Stato, intervenne in tutte le cause elencate in epigrafe, presentando deduzioni e memorie, illustrandole poi oralmente.

L'Avvocatura concludeva, in via principale e pregiudiziale, non potersi far luogo a giudizio di legittimità costituzionale avanti a questa Corte, in quanto le norme di legge impugnate sono anteriori all'entrata in vigore della Costituzione; in subordine e nel merito, chiedeva dichiararsi insussistente l'incostituzionalità delle norme medesime.

 

Considerato in diritto

 

 

1) La Corte, ritenuto che in tutte le cause elencate in epigrafe si fa questione della legittimità costituzionale di un unico articolo - 157 T.U. leggi di p.s. - ha disposto che i giudizi, già riuniti in udienza, siano decisi con unica pronuncia.

2) Sull'eccezione pregiudiziale, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, di inammissibilità del giudizio di legittimità costituzionale relativamente alle leggi anteriori all'entrata in vigore della Costituzione, la Corte riafferma i motivi addotti nella propria sentenza n. 1 del 5 giugno 1956, con la quale dichiarò la propria competenza a giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, anche se anteriori alla entrata in vigore della Costituzione.

L'eccezione sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato deve essere pertanto respinta.

3) La Corte ritiene che le norme relative ai provvedimenti del rimpatrio con foglio di via obbligatorio e della conseguente diffida, norme già contenute nelle precedenti leggi di p.s. del 1865 e 1889, non contrastino, salvo in due punti di cui si dirà, con l'art. 13 della Costituzione. Questa disposizione, pur ritenendosi infondata la tesi che sia meramente programmatica o di non immediata attuazione, non va intesa quale garanzia di indiscriminata e illimitata libertà di condotta del cittadino; tanto vero che la stessa Costituzione, nello stesso articolo 13 e nei successivi contempla e disciplina varie situazioni e fissa espressamente dei limiti.

Ciò che, però, contrasta con l'art. 13 della Costituzione é anzitutto il potere di ordinare la traduzione del rimpatriando, perché ciò viola quella libertà personale che é garantita da tale articolo. La traduzione resta tuttavia legittima nei casi previsti dall'ultimo comma dell'art. 157 e dall'analogo 3 comma dell'art. 163 della stessa legge di p.s., in quanto in tali casi la traduzione é per legge conseguente ad una decisione dell'Autorità giudiziaria. Va da sé che la mancata traduzione non produca l'impunità di chi non rispetti l'ordine di rimpatrio, perché il trasgressore sarà passibile di denuncia all'Autorità giudiziaria per le conseguenti sanzioni penali.

Il procedimento del rimpatrio obbligatorio, perché sia legittimo, deve inoltre essere giustificato da fatti concreti, che rientrino nelle limitazioni indicate dall'art. 16 della Costituzione. Il sospetto, anche se fondato, non basta, perché, muovendo da elementi di giudizio vaghi e incerti, lascerebbe aperto l'adito ad arbitrii, e con ciò si trascenderebbe quella sfera di discrezionalità che pur si deve riconoscere come necessaria all'attività amministrativa, perché le leggi e, tanto meno, la Costituzione non possono prevedere e disciplinare tutte le mutevoli situazioni di fatto né graduare in astratto e in anticipo le limitazioni poste all'esercizio dei diritti.

4) L'esigenza di contemperare il margine di discrezionalità con la esigenza che i provvedimenti si fondino sopra fatti concreti rende inerente alla natura della norma contenuta nell'art. 157 legge di p.s. l'obbligo della motivazione, quale implicito elemento dell'ordine di rimpatrio. Al riguardo si osserva, in primo luogo, che l'art. 16 della Costituzione esclude espressamente che le limitazioni alla libertà di circolare possano essere determinate da ragioni politiche; dal che discende che il provvedimento del rimpatrio debba specificare i motivi, per dare modo alle stesse Autorità di p.s. e, soprattutto, all'Autorità giudiziaria di accertare che il rimpatrio non sia stato disposto per ragioni politiche o per altri motivi non previsti dall'art. 16 della Costituzione e dall'art. 157 leggi di p.s., cioè illegalmente.

In secondo luogo, la motivazione appare necessaria per consentire al cittadino l'esercizio del diritto di difesa. Tale diritto é garantito dall'art. 24 della Costituzione per i procedimenti giudiziari e non può dubitarsi che il cittadino debba in ogni caso essere posto in grado di difendersi legalmente contro qualsiasi provvedimento dell'autorità; il che non può avvenire se non gli vengano contestati i motivi, cioè i fatti, che lo hanno provocato.

5) Resta da considerare l'art. 16 della Costituzione: "Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche".

In alcuni commenti dell'art. 16 si é rilevata la frase "limitazioni che la legge pone in via generale", affacciando il dubbio che le limitazioni debbano riferirsi a situazioni di carattere generale, quali epidemie, pubbliche calamità e simili. Tale interpretazione, che pure era affiorata durante i lavori dell'Assemblea costituente, é infondata e fu perciò respinta; la frase deve intendersi nel senso che la legge debba essere applicabile alla generalità dei cittadini, non a singole categorie.

Più delicato é il punto se ai "motivi di sanità e di sicurezza", indicati nell'art. 16, possano ricondursi anche i motivi di "ordine, sicurezza pubblica e pubblica moralità" indicati nell'art. 157 della legge di p.s.

La Corte ritiene che ciò sia possibile e che, pertanto, il secondo e il terzo comma del citato art. 157 non siano costituzionalmente illegittimi, salvo quanto si é detto nei precedenti numeri della sentenza per ciò che riguarda il sospetto e la traduzione.

Esclusa l'interpretazione, inammissibilmente angusta, che la "sicurezza" riguardi solo l'incolumità fisica, sembra razionale e conforme allo spirito della Costituzione dare alla parola "sicurezza" il significato di situazione nella quale sia assicurato ai cittadini, per quanto é possibile, il pacifico esercizio di quei diritti di libertà che la Costituzione garantisce con tanta forza. Sicurezza si ha quando il cittadino può svolgere la propria lecita attività senza essere minacciato da offese alla propria personalità fisica e morale; é l'"ordinato vivere civile" , che é indubbiamente la meta di uno Stato di diritto, libero e democratico.

Ciò posto, non é dubbio che le "persone pericolose per l'ordine e la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità" (art. 157 legge p.s.) costituiscano una minaccia alla "sicurezza" indicata, e così intesa, nell'art. 16 della Costituzione.

Per quanto si riferisce alla moralità, non dovrà certo tenersi conto delle convinzioni intime del cittadino di per sé stesse incoercibili, né delle teorie in materia di morale, la cui, manifestazione, come ogni altra del pensiero, é libera o disciplinata da altre norme di legge. Ma i cittadini hanno diritto di non essere turbati ed offesi da manifestazioni immorali, quando queste risultino pregiudizievoli anche alla sanità, indicata nell'art. 16 della Costituzione, o creino situazioni ambientali favorevoli allo sviluppo della delinquenza comune.

Per quanto si riferisce all'ordine pubblico, senza entrare in una disputa teorica sulla definizione di tale concetto, basta precisare che agli effetti dell'art. 16 della Costituzione e dell'art. 157 legge di p.s. la pericolosità in riguardo all'ordine pubblico non può consistere in semplici manifestazioni di natura sociale o politica, le quali trovano disciplina in altre norme di legge, bensì in manifestazioni esteriori di insofferenza o di ribellione ai precetti legislativi ed ai legittimi ordini della pubblica Autorità, manifestazioni che possono facilmente dar luogo a stati di allarme e a violenze, indubbiamente minacciose per la "sicurezza" della generalità dei cittadini, i quali finirebbero col vedere, essi, limitata la propria libertà di circolazione.

Riassumendo, nel testo dell'art. 16 della Costituzione la parola "motivi (di sanità o di sicurezza)" va intesa nel senso di fatti che costituiscano un pericolo per la sicurezza dei cittadini, quale é stata più sopra definita.

Questa conclusione é anche accolta dalla pressoché costante giurisprudenza della Corte di Cassazione e da larga ed autorevole dottrina. Si é osservato, infatti, che la formula generica dell'art. 16 riguarda un'infinità di casi difficilmente prevedibili, che ben possono essere compresi nella sintetica dizione "motivi di sanità o di sicurezza" , e che la finalità della norma costituzionale é di conciliare l'esigenza di non lasciar liberi di circolare indisturbati soggetti socialmente pericolosi e l'esigenza di impedire un generico e incontrollato potere della Polizia.

I lavori preparatori della Costituzione sono nello stesso senso. Ad es., 1a Sottocommissione dell'Assemblea costituente spiegò che "si voleva soprattutto lasciare alle Autorità di p.s. la possibilità di rinviare al proprio domicilio, con foglio di via obbligatorio, le persone che siano, per un motivo o per un altro, indesiderabili, come nei casi di accattonaggio, prostituzione ecc.; escluso sempre il motivo politico".

6) Nella causa Pizzo l'ordinanza del Tribunale si limita a menzionare "l'incostituzionalità dell'art. 157 leggi di p.s." senza indicare, come invece é prescritto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, con quali norme della Costituzione esso sarebbe in contrasto. Qualora si potesse integrare l'ordinanza con le varie difese del Pizzo, si rileverebbe che, dopo accenni agli artt. 13, 16 e 21, nella memoria presentata e illustrata alla Corte si conclude che l'art. 157 sarebbe illegittimo "in relazione agli artt. 8 e 19 della Costituzione ed alla legge 24 giugno 1929, n. 1159, nonché al R.D. 28 febbraio 1930, n. 289". Ora, l'art. 157 legge di p.s. non fa alcuna menzione di motivi religiosi per i provvedimenti in esso contemplati, cosicché la questione della libertà religiosa é estranea alla controversia. Per il resto vale, in ordine all'art. 157, quanto si é detto per le altre cause.

Si può aggiungere che dal contesto degli atti processuali si rileva che la doglianza del Pizzo riguarda il provvedimento di rimpatrio preso a suo carico, assumendo egli che sarebbe stato causato unicamente dalla sua qualità di ministro di culto acattolico e non per i motivi previsti dall'art. 157 legge di p.s. Ad evidenza, l'errata applicazione di una norma di legge é questione del tutto diversa dalla sua legittimità che, anzi, la denuncia di applicazione errata presuppone il riconoscimento, in tesi, dell'applicabilità, cioè della legittimità, della norma. Infine, la decisione sull'errore di applicazione richiede un apprezzamento di fatto e un giudizio di merito, circa la legittimità di un atto amministrativo, che non rientrano nei compiti di questa Corte costituzionale.

7) Provvedere alle incompletezze legislative che possono derivare dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale di una parte dell'art. 157 leggi di p.s. é compito esclusivo del Parlamento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Pronunciando con unica sentenza sui procedimenti riuniti elencati in epigrafe, respinta l'eccezione di incompetenza sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato,

Dichiara la illegittimità costituzionale:

a) del primo comma dell'art. 157 del T.U. delle leggi di p.s., approvato con decreto 18 giugno 1931 n. 773, nella parte relativa al rimpatrio obbligatorio o per traduzione di persone sospette;

b) dei commi secondo e terzo dello stesso articolo nelle parti relative al rimpatrio per traduzione.

Salva l'ulteriore disciplina legislativa della materia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1956.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO.                            

 

Depositata in cancelleria il 23 giugno 1956.