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SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

2 settembre 2021 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2011/98/UE – Diritti per i lavoratori di paesi terzi titolari di un permesso unico – Articolo 12 – Diritto alla parità di trattamento – Previdenza sociale – Regolamento (CE) n. 883/2004 – Coordinamento dei sistemi previdenziali – Articolo 3 – Prestazioni di maternità e di paternità – Prestazioni familiari – Normativa di uno Stato membro che esclude i cittadini di paesi terzi titolari di un permesso unico dal beneficio di un assegno di natalità e di un assegno di maternità»

Nella causa C‑350/20,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Corte costituzionale (Italia), con ordinanza dell’8 luglio 2020, pervenuta in cancelleria il 30 luglio 2020, nel procedimento

O.D.,

R.I.H.V.,

B.O.,

F.G.,

M.K.F.B.,

E.S.,

N.P,

S.E.A.,

contro

Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS),

con l’intervento di:

Presidenza del Consiglio dei Ministri,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, A. Prechal, M. Vilaras, E. Regan, A. Kumin e N. Wahl, presidenti di sezione, T. von Danwitz, C. Toader, M. Safjan, D. Šváby, S. Rodin, L.S. Rossi, I. Jarukaitis (relatore) e N. Jääskinen, giudici,

avvocato generale: E. Tanchev

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per O.D., R.I.H.V., B.O., F.G., M.K.F.B., E.S. e S.E.A., da A. Guariso, L. Neri, R. Randellini, E. Fiorini e M. Nappi, avvocati;

–        per N.P., da A. Andreoni e V. Angiolini, avvocati;

–        per l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), da M. Sferrazza e V. Stumpo, avvocati;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P. Gentili, avvocato dello Stato;

–        per la Commissione europea, da C. Cattabriga e D. Martin, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), dell’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e j), del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1, e rettifica in GU 2004, L 200, pag. 1), e dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro (GU 2011, L 343, pag. 1).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di controversie tra i sigg. O.D., R.I.H.V., B.O., F.G., M.K.F.B., E.S., N.P. e S.E.A., cittadini di paesi terzi, titolari di un permesso unico, e l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) (Italia), relativamente al rifiuto di concedere a questi ultimi il godimento di un assegno di natalità e di un assegno di maternità.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 Direttiva 2011/98

3        I considerando 20, 24 e 31 della direttiva 2011/98 così recitano:

«20)      Tutti i cittadini di paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati membri dovrebbero beneficiare quanto meno di uno stesso insieme comune di diritti, basato sulla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante, a prescindere dal fine iniziale o dal motivo dell’ammissione. Il diritto alla parità di trattamento nei settori specificati dalla presente direttiva dovrebbe essere riconosciuto non solo ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi, ma anche a coloro che sono stati ammessi per altri motivi e che hanno ottenuto l’accesso al mercato del lavoro di quello Stato membro in conformità di altre disposizioni del diritto dell’Unione o nazionale, compresi i familiari di un lavoratore di un paese terzo che sono ammessi nello Stato membro in conformità della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare [(GU 2003, L 251, pag. 12)], i cittadini di paesi terzi che sono ammessi nel territorio di uno Stato membro in conformità della direttiva 2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato [(GU 2004, L 375, pag. 12)] e i ricercatori ammessi in conformità della direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica [(GU 2005, L 289, pag. 15)].

(...)

24)      I lavoratori di paesi terzi dovrebbero beneficiare della parità di trattamento per quanto riguarda la sicurezza sociale. I settori della sicurezza sociale sono definiti dal [regolamento n. 883/2004]. Le disposizioni della presente direttiva relative alla parità di trattamento in materia di sicurezza sociale dovrebbero applicarsi anche ai lavoratori ammessi in uno Stato membro direttamente da un paese terzo. (...)

(...)

31)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti dalla [Carta] conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, TUE».

4        L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a)      “cittadino di un paese terzo” chi non è cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, TFUE;

b)      “lavoratore di un paese terzo” un cittadino di un paese terzo, ammesso nel territorio di uno Stato membro, che soggiorni regolarmente e sia autorizzato a lavorare in tale Stato membro nel quadro di un rapporto di lavoro retribuito conformemente al diritto o alla prassi nazionale;

c)      “permesso unico” un permesso di soggiorno rilasciato dalle autorità di uno Stato membro che consente a un cittadino di un paese terzo di soggiornare regolarmente nel territorio di quello Stato membro a fini lavorativi;

(...)».

5        L’articolo 3 di tale direttiva, intitolato «Ambito di applicazione», ai paragrafi 1 e 2, così dispone:

«1.      La presente direttiva si applica:

(...)

b)      ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002 [del Consiglio, del 13 giugno 2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi (GU 2002, L 157, pag. 1)]; e

c)      ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale.

2.      La presente direttiva non si applica ai cittadini di paesi terzi:

(...)

i)      che sono soggiornanti di lungo periodo ai sensi della direttiva 2003/109/CE [del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44)];

(...)».

6        Ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2011/98, intitolato «Diritto alla parità di trattamento»:

«1.      I lavoratori dei paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b e c), beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne:

(...)

e)      i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento [n. 883/2004];

(...)

2.      Gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento:

(...)

b)      limitando i diritti conferiti ai lavoratori di paesi terzi ai sensi del paragrafo 1, lettera e), senza restringerli per i lavoratori di paesi terzi che svolgono o hanno svolto un’attività lavorativa per un periodo minimo di sei mesi e sono registrati come disoccupati.

Inoltre, gli Stati membri possono decidere che il paragrafo 1, lettera e), per quanto concerne i sussidi familiari, non si applichi ai cittadini di paesi terzi che sono stati autorizzati a lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo non superiore a sei mesi, ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi a scopo di studio o ai cittadini di paesi terzi cui è consentito lavorare in forza di un visto;

(...)».

7        L’articolo 16, paragrafo 1, di tale direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 25 dicembre 2013. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni».

 Regolamento n. 883/2004

8        In forza dell’articolo 1, lettera z), del regolamento n. 883/2004, ai fini di tale regolamento, l’espressione «prestazione familiare» designa tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell’allegato I a tale regolamento.

9        L’articolo 3, paragrafo 1, del suddetto regolamento dispone quanto segue:

«Il presente regolamento si applica a tutte le legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti:

(...)

b)      le prestazioni di maternità e di paternità assimilate;

(...)

j)      le prestazioni familiari».

10      L’allegato I al regolamento n. 883/2004, intitolato «Anticipi sugli assegni alimentati, assegni speciali di nascita o di adozione», contiene, nella sua parte II, un elenco di assegni speciali di nascita e di adozione organizzato per Stato membro. La Repubblica italiana non ha mai figurato in tale parte II dell’allegato I.

 Diritto italiano

11      L’articolo 1, comma 125, della legge del 23 dicembre 2014, n. 190 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015) (Supplemento ordinario alla GURI n. 300, del 29 dicembre 2014) (in prosieguo: la «legge n. 190/2014»), istituisce un assegno di natalità (in prosieguo: l’«assegno di natalità») per ogni figlio nato o adottato, versato mensilmente, al fine di incentivare la natalità e di «contribuire alle spese per il suo sostegno».

12      Tale disposizione prevede che per ogni figlio nato o adottato tra il 1º gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 venga riconosciuto un assegno di importo pari a EUR 960 annui, erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o di adozione fino al compimento del terzo anno di età del figlio ovvero del terzo anno del suo ingresso nel nucleo familiare a seguito della sua adozione. Detto assegno viene erogato dall’INPS a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l’assegno sia in una condizione economica corrispondente a un determinato valore minimo dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), stabilito ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 dicembre 2013, n. 159 – Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) (GURI n. 19, del 24 gennaio 2014).

13      L’articolo 1, comma 248, della legge del 27 dicembre 2017, n. 205 – Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 29 dicembre 2017), prevede che l’assegno di natalità sia corrisposto per ogni figlio nato o adottato tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2018 per il periodo di un anno fino al compimento del primo anno di età del figlio ovvero del primo anno del suo ingresso nel nucleo familiare a seguito della sua adozione.

14      L’articolo 23 quater, comma 1, del decreto-legge del 23 ottobre 2018, n. 119 – Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria (GURI n. 247, del 23 ottobre 2018), convertito, con modificazioni, dalla legge del 17 dicembre 2018, n. 136 (GURI n. 293, del 18 dicembre 2018), estende il beneficio dell’assegno di natalità a ogni figlio nato o adottato tra il 1º gennaio e il 31 dicembre 2019 fino al compimento del primo anno di età del figlio ovvero del primo anno del suo ingresso nel nucleo familiare a seguito della sua adozione e prevede una maggiorazione del 20% per ogni figlio successivo al primo.

15      L’articolo 1, comma 340, della legge del 27 dicembre 2019, n. 160 – Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022 (Supplemento ordinario alla GURI n. 304, del 30 dicembre 2019), ha ulteriormente esteso il beneficio dell’assegno di natalità a ogni figlio nato o adottato tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2020 fino al compimento del primo anno di età del figlio ovvero del primo anno del suo ingresso nel nucleo familiare a seguito della sua adozione; il relativo importo varia, tuttavia, a seconda della condizione economica del nucleo familiare, come definita dall’indicatore menzionato al punto 12 della presente sentenza, con una maggiorazione del 20% per ogni figlio successivo al primo.

16      Conformemente all’articolo 1, comma 125, della legge n. 190/2014, sono ammessi al beneficio di detto assegno i cittadini italiani, i cittadini di altri Stati membri nonché i cittadini di paesi terzi che sono titolari di un permesso di soggiorno di lunga durata di cui all’articolo 9 del decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286 – Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (Supplemento ordinario alla GURI n. 191, del 18 agosto 1998), che risiedono in Italia.

17      L’articolo 74 del decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151 – Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Supplemento ordinario alla GURI n. 96, del 26 aprile 2001), concede il beneficio di un assegno di maternità (in prosieguo: l’«assegno di maternità») per ogni figlio nato dal 1° gennaio 2001, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento, alle donne residenti in Italia, cittadine di tale Stato membro o di un altro Stato membro dell’Unione o titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo. Tale assegno viene concesso alle donne che non beneficiano dell’indennità di maternità connessa a rapporti di lavoro subordinato o autonomo o allo svolgimento di una libera professione e a condizione che il nucleo familiare non disponga di risorse superiori a un determinato importo calcolato sulla base dell’indicatore della situazione economica (ISE), di cui al decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 109 – Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell’articolo 59, comma 51, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (GURI n. 90, del 18 aprile 1998).

18      Il recepimento della direttiva 2011/98 nel diritto nazionale è avvenuto con il decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 40 – Attuazione della direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro (GURI n. 68 del 22 marzo 2014), che ha istituito il «permesso unico di lavoro».

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

19      Alcuni cittadini di paesi terzi, legalmente soggiornanti in Italia e titolari solo di un permesso unico di lavoro previsto dal decreto legislativo n. 40/2014, recante attuazione della direttiva 2011/98, si sono visti negare il beneficio dell’assegno di natalità da parte dell’INPS con la motivazione che essi non sono titolari dello status di soggiornanti di lungo periodo. I giudici di merito, dinanzi ai quali essi hanno contestato tale rifiuto, hanno accolto le loro richieste dando applicazione al principio della parità di trattamento, enunciato all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98.

20      La Corte suprema di cassazione (Italia), chiamata a pronunciarsi sulle impugnazioni proposte avverso le decisioni di varie corti d’appello, ha ritenuto che la suddetta disciplina dell’assegno di natalità violi diverse disposizioni della Costituzione italiana, in combinato disposto con gli articoli 20, 21, 24, 33 e 34 della Carta, e ha sottoposto alla Corte costituzionale (Italia) alcune questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 125, della legge n. 190/2014, nella parte in cui quest’ultimo subordina il riconoscimento dell’assegno di natalità in favore di cittadini di paesi terzi alla condizione che essi siano titolari dello status di soggiornanti di lungo periodo.

21      Dinanzi alla Corte costituzionale, gli attori nei precedenti gradi di giudizio concludono per l’incostituzionalità della disposizione in questione e sostengono che quest’ultima sarebbe anche contraria all’articolo 12 della direttiva 2011/98. L’INPS, in quanto convenuto nei precedenti gradi di giudizio, conclude invece per il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale facendo valere che l’assegno di natalità avrebbe natura premiale – che esulerebbe dal settore previdenziale – non tendente al soddisfacimento dei bisogni primari e indifferibili della persona. Esso aggiunge che tale direttiva conferirebbe agli Stati membri il potere discrezionale di escludere dal beneficio delle prestazioni in questione i cittadini di paesi terzi che non sono titolari dello status di soggiornanti di lungo periodo, tenuto conto dei limiti delle risorse finanziarie disponibili. Il Presidente del Consiglio dei Ministri (Italia), dal canto suo, in quanto interveniente nei precedenti gradi di giudizio, chiede che le questioni di legittimità costituzionale siano respinte in quanto inammissibili o, in subordine, manifestamente infondate. Esso sostiene che l’assegno di natalità non sarebbe destinato a far fronte ai bisogni essenziali della persona e che, anche per il diritto dell’Unione, solo lo status di soggiornante di lungo periodo consentirebbe un’equiparazione tendenzialmente piena del cittadino di paesi terzi al cittadino dell’Unione quanto alle prestazioni sociali.

22      Per le medesime ragioni di quelle relative all’assegno di natalità, la Corte suprema di cassazione ha altresì investito il giudice del rinvio di una questione di legittimità costituzionale quanto all’articolo 74 del decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151, relativo all’assegno di maternità. Dinanzi al giudice del rinvio, gli attori nei precedenti gradi di giudizio concludono per l’incostituzionalità di tale disposizione, mentre il Presidente del Consiglio dei Ministri chiede che la questione di legittimità costituzionale sia respinta in quanto inammissibile o, in subordine, manifestamente infondata.

23      A sostegno della sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio spiega, in particolare, di essere competente a sindacare gli eventuali profili di contrasto delle disposizioni nazionali con i diritti e i principi enunciati dalla Carta. Esso afferma che, quando viene investito in via incidentale di una questione di legittimità costituzionale riguardante tali diritti e principi, esso non può esimersi dal verificare se la disposizione di cui trattasi violi, nel contempo, i diritti e i principi costituzionali nonché quelli sanciti dalla Carta, atteso che le garanzie previste dalla Costituzione italiana sono integrate da quelle sancite dalla Carta. In quanto giurisdizione nazionale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, esso esperisce il rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte ogniqualvolta ciò sia necessario per chiarire il significato e gli effetti delle norme della Carta e può, all’esito di tale valutazione, dichiarare l’illegittimità costituzionale della disposizione contestata, rimuovendo così la stessa dall’ordinamento giuridico nazionale con effetti erga omnes.

24      Il giudice del rinvio ritiene che i diritti e i principi costituzionali evocati dalla Corte suprema di cassazione e quelli sanciti dalla Carta, arricchiti dal diritto derivato, siano inscindibilmente connessi, tra loro complementari e armonici, e che il divieto di discriminazioni arbitrarie e la tutela della maternità e dell’infanzia, garantite dalla Costituzione italiana, debbano essere interpretati alla luce delle indicazioni vincolanti fornite dal diritto dell’Unione.

25      Richiamando l’articolo 12 della direttiva 2011/98 e la giurisprudenza della Corte, il giudice del rinvio afferma di dover esaminare il diritto alla parità di trattamento quanto ai settori della previdenza sociale definiti dal regolamento n. 883/2004 e precisa che, istituendo il regime di permesso unico, la Repubblica italiana non si è avvalsa espressamente della facoltà di introdurre le deroghe previste da tale direttiva. Esso ritiene necessario, prima di pronunciarsi sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte suprema di cassazione, interrogare la Corte circa l’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione che incidono sulla risposta da fornire a tali questioni.

26      Esso osserva, a tal proposito, che l’assegno di natalità, segnatamente a causa delle significative modifiche che lo hanno riguardato nel corso degli ultimi anni, presenta aspetti inediti rispetto alle prestazioni familiari già esaminate dalla Corte. Al riguardo, esso rileva che, sebbene tale assegno sia collegato a criteri obiettivi definiti ex lege e sia ascrivibile alla categoria delle prestazioni previdenziali, esso rivela, cionondimeno, una pluralità di funzioni che potrebbero renderne incerta la sua qualificazione come prestazione familiare.

27      Da un lato, l’assegno di natalità avrebbe la funzione di natura premiale di incentivare la natalità, finalità questa confermata dall’evoluzione della disciplina che ha configurato in termini universali la prestazione e ha previsto una maggiorazione per i figli successivi al primo. Dall’altro lato, l’articolo 1, comma 125, della legge n. 190/2014, nella sua formulazione originaria, subordinando la concessione di tale assegno a un requisito di reddito, sembrerebbe conferire rilievo alle condizioni di disagio della famiglia beneficiaria. La finalità di detto assegno sarebbe quindi anche quella di sostenere i nuclei familiari in condizioni economiche precarie e di assicurare ai minori le cure essenziali. Detta finalità sarebbe confermata dalle recenti modifiche normative che, pur configurando l’assegno di natalità come provvidenza universale, ne modulano l’importo in ragione delle diverse soglie di reddito e, dunque, del diverso grado di bisogno.

28      Inoltre, il giudice del rinvio si chiede se l’assegno di maternità debba essere incluso nelle prestazioni garantite dall’articolo 34 della Carta, alla luce del diritto derivato che mira ad assicurare uno stesso insieme comune di diritti, basato sulla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante, a tutti i cittadini di paesi terzi che risiedono e lavorano legalmente in uno Stato membro.

29      In tale contesto, la Corte costituzionale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 34 della [Carta] debba essere interpretato nel senso che nel suo àmbito di applicazione rientrino l’assegno di natalità e l’assegno di maternità, in base all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e j), del regolamento [n. 883/2004], richiamato dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva [2011/98], e se, pertanto, il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso di non consentire una normativa nazionale che non estende agli stranieri titolari del permesso unico di cui alla medesima direttiva le provvidenze sopra citate, già concesse agli stranieri titolari di permesso di soggiorno [dell’Unione] per soggiornanti di lungo periodo».

 Procedimento dinanzi alla Corte

30      Il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di sottoporre la presente causa a procedimento accelerato in applicazione dell’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura di quest’ultima.

31      A sostegno della sua domanda, esso fa valere che la questione sollevata nell’ambito del presente rinvio è ampiamente dibattuta dai giudici italiani, circostanza questa che potrebbe dar luogo a numerosi rinvii pregiudiziali dinanzi alla Corte. La portata del contenzioso relativo a tale questione ha infatti dato origine ad incertezze circa l’interpretazione del diritto dell’Unione tra, da un lato, l’amministrazione competente a concedere gli assegni in questione e, dall’altro, i giudici italiani, in quanto unicamente questi ultimi riconoscono effetto diretto all’articolo 12 della direttiva 2011/98.

32      Dall’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura risulta che, su domanda del giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, quando la natura della causa richiede un suo rapido trattamento, il presidente della Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, può decidere di sottoporre un rinvio pregiudiziale a procedimento accelerato, in deroga alle disposizioni di detto regolamento di procedura.

33      Nel caso di specie, il 17 settembre 2020, il presidente della Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, ha deciso di respingere la domanda del giudice del rinvio di cui al punto 30 della presente sentenza, dal momento che le condizioni per l’accoglimento di tale domanda – e in particolare la sussistenza di circostanze eccezionali – non erano soddisfatte.

34      Infatti, da un lato, da costante giurisprudenza della Corte si evince che il numero rilevante di persone o di situazioni giuridiche potenzialmente interessate dalla decisione che un giudice del rinvio deve adottare dopo aver adito la Corte in via pregiudiziale non può, in quanto tale, costituire una circostanza eccezionale tale da giustificare il ricorso a un procedimento accelerato [sentenza dell’8 dicembre 2020, Staatsanwaltschaft Wien (Ordini di bonifici falsificati), C‑584/19, EU:C:2020:1002, punto 36].

35      Dall’altro lato, la Corte ha dichiarato che la necessità di uniformare la giurisprudenza nazionale divergente, benché legittima, non può essere sufficiente, da sola, a giustificare il ricorso a un procedimento accelerato (v., in tal senso, ordinanza del presidente della Corte del 30 aprile 2018, Oro Efectivo, C‑185/18, non pubblicata, EU:C:2018:298, punto 17).

36      In conformità all’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, la Repubblica italiana ha chiesto che la presente causa sia giudicata dalla Grande Sezione.

 Sulla questione pregiudiziale

 Sulla ricevibilità della questione pregiudiziale nella parte relativa all’assegno di maternità

37      La Commissione esprime dubbi circa la ricevibilità della questione nella parte in cui essa verte sull’assegno di maternità, dal momento che la Corte suprema di cassazione ha precisato, dinanzi al giudice del rinvio – la Corte costituzionale – che i fatti di cui al procedimento principale erano anteriori al 25 dicembre 2013, data di scadenza del termine di recepimento della direttiva 2011/98 di cui all’articolo 16, paragrafo 1, di quest’ultima. Il governo italiano, da parte sua, nutre dubbi sul fatto che i ricorrenti nel procedimento principale siano titolari di un permesso unico di lavoro, rilevando che essi risultano titolari di un permesso di soggiorno a diverso titolo. Esso osserva in particolare che tale assegno è riservato alle persone che non possono essere qualificate come «lavoratori». Orbene, l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2011/98 è applicabile ai soli cittadini di paesi terzi che hanno una siffatta qualità.

38      Al riguardo, occorre rammentare che, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali instaurata dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della controversia, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenza del 13 novembre 2018, Čepelnik, C‑33/17, EU:C:2018:896, punto 20).

39      Ne consegue che le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione proposte dal giudice nazionale nell’ambito del contesto di diritto e di fatto che esso individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza del 13 novembre 2018, Čepelnik, C‑33/17, EU:C:2018:896, punto 21).

40      Nel caso di specie, una direttiva non può, certamente, essere invocata dai privati per fatti anteriori al suo recepimento al fine di veder disapplicate disposizioni nazionali preesistenti che sarebbero contrarie a tale direttiva (v., in tal senso, sentenze del 5 febbraio 2004, Rieser Internationale Transporte, C‑157/02, EU:C:2004:76, punti 67 e 68 nonché giurisprudenza ivi citata). Occorre tuttavia rilevare che il giudice del rinvio non è il giudice chiamato a pronunciarsi direttamente sulle controversie principali, bensì un giudice costituzionale a cui è stata rimessa una questione di puro diritto – indipendente dai fatti addotti dinanzi al giudice di merito – questione alla quale esso deve rispondere alla luce sia delle norme di diritto nazionale che delle norme del diritto dell’Unione al fine di fornire non solo al proprio giudice del rinvio, ma anche all’insieme dei giudici italiani, una pronuncia dotata di effetti erga omnes, vincolante tali giudici in ogni controversia pertinente di cui potranno essere investiti. In tale contesto, l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta dal giudice del rinvio presenta un rapporto con l’oggetto della controversia di cui è investito, che riguarda esclusivamente la legittimità costituzionale di disposizioni nazionali rispetto al diritto costituzionale nazionale letto alla luce del diritto dell’Unione.

41      Inoltre, la questione se l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2011/98 si applichi unicamente ai cittadini di paesi terzi aventi un titolo di soggiorno nello Stato membro ospitante a fini lavorativi o se, invece, tale disposizione comprenda anche i cittadini di paesi terzi aventi un titolo di soggiorno per fini diversi dall’attività lavorativa e autorizzati a lavorare in tale Stato membro attiene all’interpretazione di detta direttiva e, pertanto, al merito della presente causa.

42      Ne consegue che tale questione è ricevibile, anche nella parte in cui riguarda l’assegno di maternità.

 Nel merito

43      Il giudice del rinvio interroga la Corte sull’interpretazione dell’articolo 34 della Carta al fine di stabilire se l’assegno di natalità e l’assegno di maternità rientrino nell’ambito di applicazione di quest’ultimo e se l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 osti a una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi, titolari di un permesso unico, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di tale direttiva, dal beneficio di detti assegni.

44      Occorre rilevare che, secondo l’articolo 34, paragrafo 1, della Carta, l’Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali. Inoltre, secondo l’articolo 34, paragrafo 2, della Carta, ogni persona che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali.

45      Inoltre, l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 – la quale, come recita il suo considerando 31, rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti dalla Carta – prevede che i lavoratori dei paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva beneficino dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne i settori della sicurezza sociale, definiti nel regolamento n. 883/2004.

46      Pertanto, con tale rinvio al regolamento n. 883/2004, occorre constatare che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 dà espressione concreta al diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale di cui all’articolo 34, paragrafi 1 e 2, della Carta.

47      Orbene, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, quando adottano misure rientranti nell’ambito di applicazione di una direttiva che concretizza un diritto fondamentale previsto dalla Carta, gli Stati membri devono agire nel rispetto di tale direttiva (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2014, Schmitzer, C‑530/13, EU:C:2014:2359, punto 23 e giurisprudenza ivi citata). Ne consegue che occorre esaminare la questione sollevata alla luce della direttiva 2011/98. L’ambito di applicazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva in questione è determinato dal regolamento n. 883/2004.

48      Occorre altresì constatare che l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2011/98 si applica sia ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale, sia ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento n. 1030/2002.

49      Come emerge dal considerando 20 della suddetta direttiva, tale disposizione non si limita a garantire la parità di trattamento ai titolari di un permesso unico di lavoro, ma si applica anche ai titolari di un permesso di soggiorno per fini diversi dall’attività lavorativa che sono autorizzati a lavorare nello Stato membro ospitante.

50      In tale contesto, si deve ritenere che, con la sua questione, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva dal beneficio di un assegno di natalità e di un assegno di maternità previsti da detta normativa.

51      Tenuto conto del fatto che, come esposto al punto 45 della presente sentenza e come si evince dal considerando 24 della direttiva 2011/98, per poter beneficiare della parità di trattamento prevista dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), di detta direttiva, è necessario che le prestazioni di cui trattasi rientrino nei settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento n. 883/2004, occorre, per rispondere alla suddetta questione, esaminare se l’assegno di natalità e l’assegno di maternità costituiscano prestazioni rientranti nei settori della sicurezza sociale elencati all’articolo 3, paragrafo 1, di tale regolamento.

52      Al riguardo, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, la distinzione tra le prestazioni che rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 e quelle che ne sono escluse è basata essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, in particolare sulle sue finalità e sui presupposti per la sua concessione, e non sul fatto che una prestazione sia qualificata o meno come previdenziale da una normativa nazionale [sentenze del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C‑449/16, EU:C:2017:485, punto 20 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 2 aprile 2020, Caisse pour l’avenir des enfants (Figlio del coniuge di un lavoratore frontaliero), C‑802/18, EU:C:2020:269, punto 35 e giurisprudenza ivi citata].

53      La Corte ha più volte dichiarato che una prestazione può essere considerata prestazione previdenziale se, da un lato, è attribuita ai beneficiari, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione definita ex lege e se, dall’altro, si riferisce ad uno dei rischi espressamente elencati all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004 [sentenze del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C‑449/16, EU:C:2017:485, punto 20 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 2 aprile 2020, Caisse pour l’avenir des enfants (Figlio del coniuge di un lavoratore frontaliero), C‑802/18, EU:C:2020:269, punto 36 e giurisprudenza ivi citata].

54      Orbene, per quanto riguarda la prima condizione di cui al punto precedente, la Corte ha dichiarato che prestazioni attribuite automaticamente alle famiglie che rispondono a determinati criteri obiettivi riguardanti in particolare le loro dimensioni, il loro reddito e le loro risorse di capitale, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali, e destinate a compensare gli oneri familiari, devono essere considerate prestazioni previdenziali [sentenze del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C‑449/16, EU:C:2017:485, punto 22 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 2 aprile 2020, Caisse pour l’avenir des enfants (Figlio del coniuge di un lavoratore frontaliero), C‑802/18, EU:C:2020:269, punto 37].

55      Inoltre, occorre ricordare che, per quanto concerne la suddetta condizione, la Corte ha dichiarato, riguardo a prestazioni che siano accordate o negate o il cui importo sia calcolato tenendo conto dei redditi del beneficiario, che la concessione di prestazioni di tal genere non dipende dalla valutazione individuale delle esigenze personali del richiedente, trattandosi di un criterio oggettivo e legalmente definito che determina l’insorgere del diritto a tale prestazione senza che l’autorità competente possa tenere conto di altre circostanze personali (sentenza del 12 marzo 2020, Caisse d’assurance retraite et de la santé au travail d’Alsace-Moselle, C‑769/18, EU:C:2020:203, punto 28 nonché giurisprudenza ivi citata).

56      La Corte ha altresì precisato che, affinché si possa escludere la sussistenza di detta condizione, occorre che la discrezionalità della valutazione, da parte dell’autorità competente, delle esigenze personali del beneficiario di una prestazione si riferisca anzitutto al sorgere del diritto alla prestazione stessa. Dette considerazioni valgono, mutatis mutandis, per quanto concerne il carattere individuale della valutazione, da parte dell’autorità competente, delle esigenze personali del beneficiario di una prestazione (sentenza del 12 marzo 2020, Caisse d’assurance retraite et de la santé au travail d’Alsace-Moselle, C‑769/18, EU:C:2020:203, punto 29 nonché giurisprudenza ivi citata).

57      Quanto alla questione se una data prestazione rientri tra le prestazioni familiari di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, si deve constatare che, ai sensi dell’articolo 1, lettera z), del medesimo regolamento, l’espressione «prestazione familiare» indica tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell’allegato I a tale regolamento. La Corte ha statuito che l’espressione «compensare i carichi familiari» deve essere interpretata nel senso che essa fa riferimento, in particolare, a un contributo pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli [sentenza del 2 aprile 2020, Caisse pour l’avenir des enfants (Figlio del coniuge di un lavoratore frontaliero), C‑802/18, EU:C:2020:269, punto 38 e giurisprudenza ivi citata].

58      Nel caso di specie, per quanto riguarda l’assegno di natalità, dagli elementi forniti dal giudice del rinvio ed esposti ai punti da 11 a 16 nonché ai punti 26 e 27 della presente sentenza risulta, da un lato, che esso è concesso per ogni figlio nato o adottato i cui genitori risiedono in Italia e hanno la cittadinanza italiana o sono cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea o, ancora, hanno lo status di soggiornante di lungo periodo. Inizialmente concesso ai nuclei familiari le cui risorse non superavano un determinato tetto massimo fissato dalla legge, tale assegno è stato successivamente esteso a tutti i nuclei familiari senza la condizione della disponibilità di risorse; il suo importo varia a seconda delle risorse del nucleo familiare, con una maggiorazione del 20% per ogni figlio successivo al primo. Risulta quindi che tale prestazione è concessa automaticamente ai nuclei familiari che rispondono a determinati criteri oggettivi definiti ex lege, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali del richiedente. In particolare, dall’ordinanza di rinvio risulta che, inizialmente, la concessione dell’assegno di nascita era concessa o negata tenendo conto delle risorse del nucleo di appartenenza del genitore richiedente sulla base di un criterio oggettivo definito per legge, ossia l’indicatore della situazione economica equivalente, senza che l’autorità competente potesse tener conto di altre circostanze personali. Successivamente, l’assegno di natalità è stato concesso indipendentemente dal livello di reddito del nucleo familiare, con la precisazione, tuttavia, che l’importo effettivo di quest’ultimo è calcolato, in sostanza, sulla base di tale indicatore.

59      Dall’altro lato, l’assegno di natalità consiste in una somma di denaro versata mensilmente dall’INPS ai suoi beneficiari e mira segnatamente a contribuire alle spese derivanti dalla nascita o dall’adozione di un figlio. Si tratta, di conseguenza, di una prestazione in denaro destinata in particolare, mediante un contributo pubblico al bilancio familiare, ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento di un figlio appena nato o adottato, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 57 della presente sentenza. Inoltre, poiché, come menzionato al punto 10 della presente sentenza, la Repubblica italiana non ha mai figurato nella parte II dell’allegato I al regolamento n. 883/2004, dedicata agli assegni speciali di nascita e di adozione, l’assegno di natalità di cui trattasi nel procedimento principale non rientra nell’ambito di applicazione di tale allegato e non può, di conseguenza, alla luce di detto allegato, essere escluso dalla nozione di «prestazioni familiari», ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 57 della presente sentenza.

60      Ne consegue che l’assegno di natalità costituisce una prestazione familiare, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004. Poco importa, al riguardo, che tale assegno abbia una duplice funzione, ossia, come affermato dal giudice del rinvio, sia la funzione di contributo alle spese derivanti dalla nascita o dall’adozione di un figlio che quella di natura premiale diretta ad incentivare la natalità, posto che una di tali funzioni si riferisce al settore previdenziale di cui a tale disposizione (v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C‑78/91, EU:C:1992:331, punti 19 e 20, nonché del 15 marzo 2001, Offermanns, C‑85/99, EU:C:2001:166, punto 45).

61      Quanto all’assegno di maternità, dagli elementi forniti dal giudice del rinvio ed esposti al punto 17 della presente sentenza risulta che esso è concesso per ogni figlio nato o adottato, o per ogni minore in affidamento preadottivo, alle donne residenti in Italia, cittadine della Repubblica italiana o di un altro Stato membro o che siano titolari dello status di soggiornante di lungo periodo, a condizione che esse non beneficino di un’indennità di maternità connessa a rapporti di lavoro subordinato o autonomo o allo svolgimento di una libera professione e che le risorse del nucleo familiare di appartenenza della madre non siano superiori a un determinato importo.

62      Risulta quindi, da un lato, che l’assegno di maternità è concesso automaticamente alle madri che rispondono a determinati criteri obiettivi definiti ex lege, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali dell’interessata. In particolare, l’assegno di maternità è concesso o negato tenendo conto, oltre che dell’assenza di un’indennità di maternità connessa a un rapporto di lavoro o allo svolgimento di una libera professione, delle risorse del nucleo di appartenenza della madre sulla base di un criterio obiettivo e definito ex lege, vale a dire l’indicatore della condizione economica, senza che l’autorità competente possa tener conto di altre circostanze personali. Dall’altro lato, esso si riferisce al settore della sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 883/2004.

63      Ne consegue che l’assegno di natalità e l’assegno di maternità rientrano nei settori della sicurezza sociale per i quali i cittadini di paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), della direttiva 2011/98 beneficiano del diritto alla parità di trattamento di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), di tale direttiva.

64      Occorre inoltre rilevare che, come indicato dal giudice del rinvio, la Repubblica italiana non si è avvalsa della facoltà offerta agli Stati membri di limitare la parità di trattamento come previsto all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/98.

65      Pertanto, occorre giudicare che una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), della direttiva 2011/98 dal beneficio di un assegno di natalità e di un assegno di maternità non è conforme all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), di tale direttiva.

66      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva dal beneficio di un assegno di natalità e di un assegno di maternità previsti da detta normativa.

 Sulle spese

67      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva dal beneficio di un assegno di natalità e di un assegno di maternità previsti da detta normativa.

Lenaerts

Silva de Lapuerta

Prechal

 

Vilaras

Regan

Kumin

 

Wahl

von Danwitz

Toader

 

Safjan

Šváby

Rodin

 

Rossi

Jarukaitis

Jääskinen

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 2 settembre 2021.

Il cancelliere

 

Il presidente

 

A. Calot Escobar

 

K. Lenaerts


*      Lingua processuale: l’italiano.