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Tribunale di primo grado delle Comunità europee (Seconda Sezione), 12 dicembre 2006

 

T-228/02, Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran    Consiglio dell’Unione europea

 

 

 

 

Nella causa T‑228/02,

 

Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran, con sede in Auvers-sur-Oise (Francia),

 

rappresentata dall’avv. J.-P. Spitzer,

dal sig. D. Vaughan, QC, e dall’avv. É. de Boissieu,

ricorrente,

 

contro

 

Consiglio dell’Unione europea,

rappresentato dai sigg. M. Vitsentzatos e M. Bishop, in qualità di agenti,

convenuto,

 

sostenuto da

 

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord,

rappresentato inizialmente dal sig. J.E. Collins, successivamente dalle sig.re R. Caudwell e C. Gibbs, in qualità di agenti, assistiti dalla sig.ra S. Moore, barrister,

interveniente,

 

avente ad oggetto, da un lato, una domanda di annullamento della posizione comune del Consiglio 2 maggio 2002, 2002/340/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU L 116, pag. 75), della posizione comune del Consiglio 17 giugno 2002, 2002/462/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931 e che abroga la posizione comune 2002/340 (GU L 160, pag. 32), nonché della decisione del Consiglio 17 giugno 2002, 2002/460/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga la decisione 2002/334/CE (GU L 160, pag. 26), in quanto la ricorrente compare nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità ai quali si applicano tali disposizioni, e dall’altro una domanda di risarcimento,

 

 

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),

 

 

composto dai sigg. J. Pirrung, presidente, N.J. Forwood e S. Papasavvas, giudici,

cancelliere: sig. E. Coulon

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 7 febbraio 2006,

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

           Antefatti della controversia

1        Risulta dal fascicolo che la ricorrente, l’Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran (Mujahedin-e Khalq in persiano), è stata fondata nel 1965 e si è fissata l’obiettivo di sostituire il regime dello Scià di Persia, poi quello dei mullah, con un regime democratico. Nel 1981 essa ha partecipato al Consiglio nazionale della resistenza iraniana (NCRI), organo che si definisce come il «parlamento in esilio della resistenza» iraniana. All’epoca dei fatti all’origine della controversia in esame, essa sarebbe stata composta da cinque organizzazioni separate, nonché da una sezione indipendente che costituiva un braccio armato operante in Iran. Secondo quanto afferma, tuttavia, la ricorrente e tutti i suoi aderenti hanno espressamente rinunciato a qualsiasi attività militare dal giugno 2001 ed essa non ha più, attualmente, alcuna struttura armata.

2        Con ordinanza 28 marzo 2001, il Secretary of State for the Home Department (Ministro dell’Interno del Regno Unito, in prosieguo: lo «Home Secretary») ha incluso la ricorrente nell’elenco delle organizzazioni vietate ai sensi del Terrorism Act 2000 (legge del 2000 sul terrorismo). La ricorrente ha proposto due ricorsi paralleli contro tale ordinanza, uno in appello (appeal) dinanzi alla Proscribed Organisations Appeal Commission (Commissione d’appello relativa alle organizzazioni vietate, POAC), l’altro per cassazione (judicial review) dinanzi alla High Court of Justice (England and Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles) divisione della reale magistratura (formazione amministrativa), in prosieguo: la «High Court»].

3        Il 28 settembre 2001, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (in prosieguo: il «Consiglio di sicurezza») ha adottato la risoluzione 1373 (2001), che stabilisce strategie dirette alla lotta con tutti i mezzi contro il terrorismo e, in particolare, contro il suo finanziamento. Il n. 1, lett. c), di tale risoluzione dispone, segnatamente, che gli Stati congelino senza indugio i fondi e gli altri strumenti finanziari o risorse economiche delle persone che commettono o tentano di commettere atti di terrorismo, li agevolano o vi partecipano, delle entità appartenenti a tali persone o da esse controllate, e delle persone ed entità che agiscono in nome o dietro istruzione di tali persone o entità.

4        Il 27 dicembre 2001, ritenendo che fosse necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare la risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza, il Consiglio ha adottato, a norma degli artt. 15 UE e 34 UE, la posizione comune 2001/930/PESC, relativa alla lotta al terrorismo (GU L 344, pag. 90), e la posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU L 344, pag. 93).

5        Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della posizione comune 2001/931, essa si applica «alle persone, gruppi ed entità, elencati nell’allegato, coinvolti in atti terroristici». Il nome della ricorrente non compare nel detto elenco.

6        L’art. 1, nn. 2 e 3, della posizione comune 2001/931 definisce, rispettivamente, cosa debba intendersi per «persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici» e per «atto terroristico».

7        Ai sensi dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931, l’elenco riportato nell’allegato è redatto sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo che mostrano che è stata adottata una decisione da parte di un’autorità competente nei confronti delle persone, dei gruppi e delle entità menzionati, che si tratti dell’apertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, basate su prove o indizi seri e credibili, o si tratti di una condanna per tali fatti. Per «autorità competente» s’intende un’autorità giudiziaria o, se le autorità giudiziarie non hanno competenza in materia, un’equivalente autorità competente nel settore.

8        Conformemente all’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931, i nomi delle persone ed entità riportati nell’elenco in allegato sono riesaminati regolarmente almeno una volta per semestre onde accertarsi che il loro mantenimento nell’elenco sia giustificato.

9        Ai sensi degli artt. 2 e 3 della posizione comune 2001/931, la Comunità europea, nei limiti dei poteri che le sono conferiti dal Trattato CE, ordina il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche delle persone, gruppi ed entità elencati nell’allegato e garantisce che i capitali, le risorse finanziarie o economiche o i servizi finanziari o altri servizi connessi non siano, direttamente o indirettamente, messi a loro disposizione.

10      Ritenendo che fosse necessario un regolamento per attuare a livello comunitario le misure descritte nella posizione comune 2001/931, il 27 dicembre 2001 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, il regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU L 344, pag. 70). Da tale regolamento emerge che, salve le deroghe da esso previste, devono essere congelati tutti i fondi detenuti da una persona fisica o giuridica, da un gruppo o da un’entità ricompresi nell’elenco di cui al suo art. 2, n. 3. Allo stesso modo, è vietato mettere fondi o servizi finanziari a disposizione di tali persone, gruppi o entità. Il Consiglio, deliberando all’unanimità, elabora, riesamina e modifica l’elenco di persone, gruppi o entità ai quali si applica il regolamento, in conformità delle disposizioni di cui all’art. 1, nn. 4-6, della posizione comune 2001/931.

11      L’elenco iniziale delle persone, gruppi ed entità ai quali si applica il regolamento n. 2580/2001 è stato stabilito con la decisione del Consiglio 27 dicembre 2001, 2001/927/CE, relativa all’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 (GU L 344, pag. 83). Il nome della ricorrente non vi compare.

12      Con sentenza 17 aprile 2002, la High Court ha respinto il ricorso per cassazione proposto dalla ricorrente avverso l’ordinanza dello Home Secretary 28 marzo 2001 (v. supra, punto 2), considerando, in sostanza, che la POAC era il foro adeguato per ascoltare gli argomenti della ricorrente, compresi quelli attinenti alla violazione del diritto di essere sentiti.

13      Il 2 maggio 2002 il Consiglio ha adottato, ai sensi degli artt. 15 UE e 34 UE, la posizione comune 2002/340/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931 (GU L 116, pag. 75). Il suo allegato aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità ai quali si applica la posizione comune 2001/931. Il punto 2 di tale allegato, intitolato «gruppi ed entità», comprende, tra gli altri, il nome della ricorrente, identificata come segue:

«Organizzazione Mujahedin-e Khalq (MEK o MKO) [eccetto il “Consiglio nazionale di resistenza dell’Iran” (NCRI)] [anche nota come Esercito di liberazione nazionale dell’Iran (NLA, ala militare della MEK), Mujahidin del popolo dell’Iran (PMOI), Consiglio nazionale di resistenza (NCR), Società musulmana degli studenti iraniani]».

14      Con decisione del Consiglio 2 maggio 2002, 2002/334/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3 del regolamento (CE) n. 2580/2001, e che abroga la decisione 2001/927/CEE, il Consiglio ha adottato un elenco aggiornato delle persone, dei gruppi e delle entità ai quali si applica il detto regolamento. Il nome della ricorrente compare in questo elenco negli stessi termini impiegati nell’allegato della posizione comune n. 2002/340.

15      Il 17 giugno 2002, il Consiglio ha adottato, da un lato, la posizione comune 2002/462/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931 e che abroga la posizione comune 2002/340 (GU L 160, pag. 32), e, dall’altro, la decisione 2002/460/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, e che abroga la decisione 2002/334 (GU L 160, pag. 26). Il nome della ricorrente è stato confermato negli elenchi previsti, rispettivamente, dalla posizione comune 2001/931 e dal regolamento n. 2580/2001 (in prosieguo, congiuntamente: gli «elenchi controversi» e, per quest’ultimo, l’«elenco controverso»).

16      Con sentenza 15 novembre 2002, la POAC ha respinto il ricorso proposto dalla ricorrente avverso l’ordinanza dello Home Secretary 28 marzo 2001 (v. supra, punto 2), ritenendo, segnatamente, che nulla le imponesse di sentire previamente la ricorrente, dato che una simile udienza era anche impraticabile o non auspicabile nell’ambito di una normativa diretta contro organizzazioni terroristiche. Secondo la stessa decisione, il regime legale del Terrorism Act 2000 prevede una leale possibilità di sentire il punto di vista della ricorrente dinanzi alla POAC.

17      Da allora, il Consiglio ha adottato diverse posizioni comuni e decisioni che aggiornano gli elenchi controversi. Quelle vigenti al momento della chiusura della fase orale erano, rispettivamente, la posizione comune del Consiglio 21 dicembre 2005, 2005/936/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931 e che abroga la posizione comune 2005/847/PESC (GU L 340, pag. 80), e la decisione del Consiglio 21 dicembre 2005, 2005/930/CE, [che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001], e che abroga la decisione 2005/848/CE (GU L 340, pag. 64). Gli atti così adottati hanno sempre confermato il nome della ricorrente negli elenchi controversi.

 Procedimento e conclusioni delle parti

18      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 26 luglio 2002, la ricorrente ha proposto un ricorso nell’ambito del quale ha chiesto che il Tribunale voglia:

–        annullare le posizioni comuni 2002/340 e 2002/462, nonché la decisione 2002/460, per le parti che la riguardano;

–        di conseguenza, dichiarare inapplicabili nei suoi confronti tali posizioni comuni e la detta decisione;

–        condannare il Consiglio a risarcirle il danno subito nella misura di un euro;

–        condannare il Consiglio alle spese.

19      Nel suo controricorso, il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso in parte irricevibile ed in parte infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

20      Con ordinanza 12 febbraio 2003, sentite le parti, il presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha ammesso il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio. L’interveniente ha depositato la sua memoria, diretta al rigetto del ricorso, e la ricorrente ha depositato le sue osservazioni in merito nei termini impartiti.

21      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’art. 64 del regolamento di procedura del Tribunale, ha invitato le parti, con lettera della cancelleria 1° dicembre 2005, a presentare le loro osservazioni scritte sulle conseguenze da trarre, per la prosecuzione del ricorso in esame, dai nuovi elementi rappresentati dall’abrogazione e dalla sostituzione a più riprese, dalla data di deposito dell’atto introduttivo, degli atti impugnati con tale ricorso, cioè le posizioni comuni 2002/340 e 2002/462, nonché la decisione 2002/460, con atti che hanno sempre confermato la presenza della ricorrente sugli elenchi controversi.

22      Con le sue osservazioni, depositate nella cancelleria nel Tribunale il 21 dicembre 2005, il Consiglio ha sostenuto che non era necessario prendere posizione per quanto riguarda le posizioni comuni, dato che il ricorso, a suo avviso, è comunque irricevibile a tal riguardo. Quanto alle decisioni comunitarie che attuano il regolamento n. 2580/2001, secondo il Consiglio «si deve considerare che il ricorso è diretto contro la decisione 2005/848/CE» del Consiglio, del 29 novembre 2005, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, e che abroga la decisione 2005/722/CE (GU L 314, pag. 46), «o contro qualsiasi altra decisione avente lo stesso oggetto che sarà in vigore alla data in cui il Tribunale pronuncerà la sua sentenza, per la parte in cui tale decisione riguarda la ricorrente».

23      Nelle sue osservazioni, depositate nella cancelleria il 2 gennaio 2006, la ricorrente sostiene che «si deve considerare il presente ricorso diretto contro la posizione comune del Consiglio 29 novembre 2005, 2005/847/PESC», che aggiorna la posizione comune 2001/931 e che abroga la posizione comune 2005/725/PESC (GU L 314, pag. 41) e la «decisione 2005/848». La ricorrente ha inoltre allegato a tali osservazioni una serie di nuovi documenti che sono stati versati al fascicolo. Con lettera della cancelleria 19 gennaio 2006, le dette osservazioni e i detti documenti sono stati notificati al Consiglio, che li ha ricevuti il 27 gennaio 2006.

24      Con lettera depositata nella cancelleria il 25 gennaio 2006, la ricorrente ha presentato osservazioni scritte sulla relazione d’udienza, facendo valere che il ricorso doveva ormai essere considerato diretto altresì contro la posizione comune 2005/936 e la decisione 2005/930. Essa ha allegato a tale lettera un’ulteriore serie di nuovi documenti. Le parti sono state informate del fatto che in udienza sarebbe stata adottata una decisione in merito al versamento dei detti allegati al fascicolo.

25      Le parti hanno svolto le loro osservazioni orali e risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza del 7 febbraio 2006. Durante tale udienza, il Consiglio ha fatto valere l’irregolarità della produzione dei nuovi documenti che la ricorrente ha depositato nella cancelleria il 18 e il 25 gennaio 2006 (v. punti 23 e 24, supra). Il Consiglio ha aggiunto di non essere in grado di prendere utilmente posizione su tali documenti, dato il carattere tardivo della loro comunicazione. Esso ha quindi chiesto al Tribunale di non ammettere al fascicolo i documenti in questione ovvero di ordinare la riapertura della fase scritta per consentirgli di far valere il suo punto di vista per iscritto. Il Tribunale ha riservato la sua decisione su tale richiesta, nonché sul versamento al fascicolo dei documenti menzionati al punto 24, supra.

26      In risposta ad un quesito del Tribunale, la ricorrente ha dichiarato che, come ammesso dal Consiglio nelle sue osservazioni depositate nella cancelleria il 23 dicembre 2005 (v. punto 22, supra), si deve considerare il ricorso in esame diretto contro la posizione comune 2005/936 e la decisione 2005/930, nonché, eventualmente, contro qualsiasi altro atto vigente al momento della pronuncia dell’emananda sentenza, che abbia lo stesso oggetto della detta posizione comune e della detta decisione e che produca lo stesso effetto nei suoi confronti, per la parte in cui tali atti la riguardino.

 Sulle conseguenze procedurali dell’abrogazione e della sostituzione degli atti inizialmente impugnati

27      Come risulta dal punto 17, supra, gli atti inizialmente impugnati con il ricorso in esame, cioè le posizioni comuni 2002/340 e 2002/462 nonché la decisione 2002/460 (in prosieguo: la «decisione inizialmente impugnata»), sono stati abrogati e sostituiti a più riprese, dal momento del deposito dell’atto introduttivo, da atti che hanno sempre confermato la presenza della ricorrente sugli elenchi controversi. Si tratta, al momento della chiusura della fase orale, della posizione comune 2005/936 e della decisione 2005/930.

28      A questo proposito occorre rammentare che, quando una decisione è sostituita, nel corso del giudizio, da una decisione avente lo stesso oggetto, questa va considerata un elemento nuovo che consente al ricorrente di adeguare le sue conclusioni e i suoi motivi. Sarebbe, infatti, in contrasto col principio di sana amministrazione della giustizia e con quello dell’economia processuale costringere il ricorrente a proporre un nuovo ricorso. Sarebbe inoltre ingiusto che l’istituzione in questione, per far fronte alle critiche contenute in un ricorso presentato al giudice comunitario contro una decisione, potesse adeguare la decisione impugnata o sostituirgliene un’altra e valersi, in corso di causa, di tale modifica o di tale sostituzione per privare la controparte della possibilità di estendere le sue conclusioni e le sue difese iniziali all’ulteriore decisione o di presentare ulteriori conclusioni o difese contro di essa (sentenze della Corte 3 marzo 1982, causa 14/81, Alpha Steel/Commissione, Racc. pag. 749, punto 8; 29 settembre 1987, cause riunite 351/85 e 360/85, Fabrique de fer de Charleroi e Dillinger Hüttenwerke/Commissione, Racc. pag. 3639, punto 11, e 14 luglio 1988, causa 103/85, Stahlwerke Peine-Salzgitter/Commissione, Racc. pag. 4131, punti 11 e 12; sentenza del Tribunale 3 febbraio 2000, cause riunite T‑46/98 e T‑151/98, CCRE/Commissione, Racc. pag. II‑167, punto 33).

29      Nelle sentenze 21 settembre 2005, causa T-306/01, Yusuf e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (Racc. pag. II-3533, impugnata; in prosieguo: la «sentenza Yusuf», punto 73), e causa T-315/01, Kadi/Consiglio e Commissione (Racc. pag. II-3649, impugnata; in prosieguo: la «sentenza Kadi», punto 54), il Tribunale ha esteso tale giurisprudenza all’ipotesi in cui un regolamento che riguarda direttamente e individualmente un privato è sostituito, in corso di giudizio, da un regolamento che ha il medesimo oggetto.

30      Nel caso in esame occorre quindi accogliere, conformemente a tale giurisprudenza, la richiesta della ricorrente, considerare che il suo ricorso è diretto, al momento della chiusura della fase orale, all’annullamento della posizione comune 2005/936 e della decisione 2005/930, per la parte in cui tali atti la riguardano, e consentire alle parti di riformulare le conclusioni, i motivi e gli argomenti alla luce di tali nuovi elementi, il che comporta il loro diritto di presentare conclusioni, motivi e argomenti supplementari.

31      Di conseguenza occorre, da un lato, autorizzare il versamento al fascicolo dei documenti allegati alle osservazioni della ricorrente sulla relazione d’udienza, depositate nella cancelleria il 25 gennaio 2006 (v. punto 24 supra), e, dall’altro, respingere la domanda del Consiglio diretta ad ottenere che non siano ammessi al fascicolo né i documenti in questione, né quelli allegati alle osservazioni della ricorrente in risposta al quesito scritto del Tribunale, depositate nella cancelleria il 18 gennaio 2006 (v. punti 23 e 25 supra). Infatti, la produzione di documenti nuovi e la presentazione di nuove offerte di prova devono essere considerate relative al diritto delle parti di riformulare le loro conclusioni, i loro motivi ed argomenti, alla luce degli elementi nuovi menzionati ai punti precedenti. Quanto al problema se il versamento tardivo al fascicolo dei documenti di cui trattasi giustifichi, nel caso di specie, una riapertura della fase scritta in nome dei diritti della difesa del Consiglio (v. punto 25 supra), si rinvia al punto 182 infra.

32      Per il resto, il Tribunale ritiene di poter essere validamente investito solo di una domanda diretta all’annullamento di un atto pregiudizievole esistente. Se è vero che la ricorrente può essere autorizzata, come dichiarato al punto 30 supra, a riformulare le sue conclusioni in modo che esse riguardino l’annullamento degli atti che, in corso di giudizio, hanno sostituito gli atti inizialmente impugnati, tale soluzione non può autorizzare il controllo teorico della legittimità di atti ipotetici non ancora adottati (v. ordinanza del Tribunale 18 settembre 1996, causa T‑22/96, Langdon/Commissione, Racc. pag. II‑1009, punto 16 e giurisprudenza ivi citata).

33      Ne consegue che la ricorrente non può essere autorizzata a riformulare le sue conclusioni in modo che esse siano rivolte non solo contro la posizione comune 2005/936 e la decisione 2005/930, ma anche, eventualmente, contro qualsiasi altro atto vigente alla data della pronuncia dell’emananda sentenza, avente lo stesso oggetto dei detti atti e che produce lo stesso effetto nei suoi riguardi, per la parte in cui tali atti la riguardano (v. punto 26 supra).

34      Ai fini del ricorso in esame, il sindacato giurisdizionale del Tribunale riguarderà quindi solo gli atti già adottati, ancora vigenti ed impugnati al momento della chiusura della fase orale, vale a dire la posizione comune 2005/936 (in prosieguo: la «posizione comune impugnata») e la decisione 2005/930 (in prosieguo: la «decisione impugnata») (in prosieguo, congiuntamente: gli «atti impugnati»), anche qualora i detti atti fossero stati a loro volta abrogati e sostituiti da atti diversi al momento della pronuncia della presente sentenza.

35      In tale ipotesi, infatti, da un lato la ricorrente conserverebbe un interesse ad ottenere l’annullamento degli atti impugnati, in quanto l’abrogazione di un atto di un’istituzione non equivale ad un’ammissione della sua illegittimità e produce un effetto ex nunc, a differenza di una sentenza di annullamento, in forza della quale l’atto annullato è eliminato retroattivamente dall’ordinamento giuridico ed è considerato come mai esistito. Dall’altro, come ammesso dal Consiglio in udienza, in caso di annullamento degli atti impugnati, tale istituzione sarebbe tenuta ad adottare le misure rese necessarie dall’esecuzione della sentenza, conformemente all’art. 233 CE, il che potrebbe comportare che essa modifichi o revochi, se del caso, gli eventuali atti che hanno abrogato e sostituito gli atti impugnati successivamente alla chiusura della fase orale (v., in tal senso, sentenza del Tribunale13 dicembre 1995, cause riunite T‑481/93 e T‑484/93, Exporteurs in Levende Varkens e a./Commissione, Racc. pag. II‑2941, punti 46-48).

 Sul secondo capo delle conclusioni

36      Con il secondo capo delle sue conclusioni, come riformulato in udienza, la ricorrente chiede al Tribunale di dichiarare gli atti impugnati inapplicabili nei suoi confronti, in conseguenza del loro parziale annullamento oggetto del primo capo delle conclusioni.

37      È giocoforza constatare che il secondo capo delle conclusioni, così formulato, non ha alcuna portata autonoma rispetto al primo. Considerato quest’ultimo, esso dev’essere quindi considerato senza oggetto.

 Sulla domanda di annullamento della posizione comune impugnata

 Argomenti delle parti

38      La ricorrente sostiene che il ricorso in esame è ricevibile, dato che tanto la posizione comune impugnata quanto la decisione impugnata la riguardano direttamente e individualmente, in quanto la danneggiano. Essa fa valere, più in particolare, che il Tribunale è competente, salvo incorrere nel diniego di giustizia, per il controllo della legittimità della posizione comune di cui trattasi.

39      Secondo la ricorrente, infatti, i principi dello stato di diritto sanciti all’art. 6, n. 2, UE, si impongono all’insieme degli atti dell’Unione, compresi quelli adottati nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC) o della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (comunemente chiamata «giustizia e affari interni») (GAI). Poiché il diritto alla tutela giurisdizionale è uno degli elementi costitutivi di tale Stato di diritto, come risulta altresì dagli artt. 35 UE e 46 UE e dalla giurisprudenza della Corte (sentenze 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 18, e 25 luglio 2002, causa C‑50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. pag. I‑6677, punti 38 e 39), nessuno di tali atti dovrebbe sfuggire al controllo giurisdizionale della Corte e del Tribunale. Secondo la ricorrente, decidere diversamente equivarrebbe alla creazione di uno spazio vuoto di diritto.

40      In ogni caso, il procedimento legislativo seguito dal Consiglio nel caso di specie dovrebbe essere considerato illegittimo, come anche il fatto di fondare la posizione comune impugnata sulle disposizioni relative alla PESC. Alla luce, segnatamente, del primato del diritto comunitario sancito dall’art. 47 UE, il Tribunale sarebbe competente per sanzionare una siffatta illegittimità che colpisce un atto adottato ai sensi della PESC o della GAI. La ricorrente fa valere, in tal senso, la sentenza della Corte 12 maggio 1998, causa C-170/96, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I‑2763).

41      Il detto procedimento sarebbe infatti caratterizzato dalla costante volontà del Consiglio, che invocherebbe a tal fine una regola di diritto internazionale, di sottrarsi alle esigenze della protezione dei diritti fondamentali e del controllo democratico, legislativo o giudiziario dei suoi atti, in spregio ai principi generali del diritto comunitario. Ora, le persone incaricate dell’esecuzione materiale di tali atti dell’Unione resterebbero soggetti ad un controllo giurisdizionale alla luce dei diritti fondamentali.

42      Tale volontà sarebbe inoltre stata criticata dal Parlamento europeo quando è stato consultato sul progetto di regolamento n. 2580/2001. Essa sarebbe dimostrata, in particolare, dalla circostanza che il Consiglio ha avocato a sé la competenza esecutiva del regolamento n. 2580/2001, mediante decisioni che, per di più, non sarebbero neanche motivate.

43      Pur non contestando che la ricorrente è individualmente e direttamente interessata dagli atti impugnati, il Consiglio ed il Regno Unito sostengono che il ricorso è irricevibile, in quanto diretto contro la posizione comune impugnata.

44      Il Consiglio ed il Regno Unito ritengono quindi che il giudizio in corso debba essere limitato al controllo di legittimità della decisione impugnata, che rende applicabili alla ricorrente le misure previste dal regolamento n. 2580/2001.

 Giudizio del Tribunale

45      Conformemente ad una giurisprudenza costante del Tribunale (ordinanze 7 giugno 2004, causa T‑338/02, Segi e a./Consiglio, Racc. pag. II‑1647, impugnata, punti 40 e seguenti, e causa T‑333/02, Gestoras Pro Amnistía e a./Consiglio, non pubblicata in Raccolta, impugnata, punti 40 e seguenti, e 18 novembre 2005, causa T‑299/04, Selmani/Consiglio e Commissione, non pubblicata in Raccolta, punti 52-59), il ricorso dev’essere dichiarato in parte manifestamente irricevibile e in parte manifestamente infondato, in quanto diretto all’annullamento della posizione comune impugnata.

46      Va infatti subito rilevato che tale posizione comune non è un atto del Consiglio adottato ai sensi del Trattato CE e soggetto, in quanto tale, al controllo di legittimità previsto dall’art. 230 CE, bensì un atto del Consiglio, composto dai rappresentanti dei governi degli Stati membri, adottato sulla base degli artt. 15 UE, che rientra nel titolo V del Trattato UE, relativo alla PESC, e 34 UE, che rientra nel titolo VI del Trattato UE, relativo alla GAI.

47      Ora, è giocoforza constatare che né il titolo V del Trattato UE, relativo alla PESC, né il titolo VI del Trattato UE, relativo alla GAI, prevedono un ricorso di annullamento di una posizione comune dinanzi al giudice comunitario.

48      Infatti, nell’ambito del Trattato UE, nella versione risultante dal Trattato di Amsterdam, le competenze della Corte di giustizia sono elencate tassativamente dall’art. 46 UE.

49      Da un lato, esso non prevede alcuna competenza della Corte nell’ambito delle disposizioni del titolo V del Trattato UE.

50      Dall’altro, per quanto riguarda le disposizioni del titolo VI del Trattato UE, rilevanti nel caso di specie, tale articolo recita:

«Le disposizioni del trattato che istituisce la Comunità europea, del trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio e del trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica relative all[e] competenze della Corte di giustizia delle Comunità europee ed all’esercizio di tali competenze si applicano soltanto alle disposizioni seguenti del presente trattato:

[...]

b)      disposizioni del titolo VI, alle condizioni previste dall’articolo 35 [UE];

[...]

d)      articolo 6, paragrafo 2 [UE], per quanto riguarda l’attività delle istituzioni, nella misura in cui la Corte sia competente a norma dei trattati che istituiscono le Comunità europee e a norma del presente trattato;

[...]»

51      Secondo le pertinenti disposizioni dell’art. 35 UE:

«1.      La Corte di giustizia delle Comunità europee, alle condizioni previste dal presente articolo, è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validità o l’interpretazione delle decisioni-quadro e delle decisioni, sull’interpretazione di convenzioni stabilite ai sensi del presente titolo e sulla validità e sull’interpretazione delle misure di applicazione delle stesse.

[…]

6.      La Corte di giustizia è competente a riesaminare la legittimità delle decisioni-quadro e delle decisioni nei ricorsi proposti da uno Stato membro o dalla Commissione per incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione del presente trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione, ovvero per sviamento di potere. I ricorsi di cui al presente paragrafo devono essere promossi entro due mesi dalla pubblicazione dell’atto.

(…)».

52      Dagli artt. 35 UE e 46 UE risulta che, nell’ambito del titolo VI del Trattato UE, gli unici rimedi giurisdizionali per valutare la validità o per annullare sono ammessi nei confronti delle decisioni-quadro, delle decisioni e delle misure di applicazione delle convenzioni previste, rispettivamente, dall’art. 34, n. 2, lett. b), c) e d), UE, ad esclusione delle posizioni comuni previste dall’art. 34, n. 2, lett. a), UE.

53      Va inoltre rilevato che la garanzia del rispetto dei diritti fondamentali, prevista dall’art. 6, n. 2, UE, non è pertinente nel caso di specie, dato che l’art. 46, lett. d), UE non offre alcun titolo di competenza supplementare alla Corte di giustizia (ordinanza Segi e a./Consiglio, punto 45 supra, punto 37).

54      Per quanto riguarda l’assenza di tutela giurisdizionale effettiva fatta valere dalla ricorrente, quest’ultima non può fondare essa stessa un autonomo titolo di competenza comunitaria – nel sistema giuridico comunitario fondato sul principio delle competenze di attribuzione come risulta dall’art. 5 CE – nei confronti di un atto adottato in un sistema giuridico apparentato, ma distinto quale quello descritto dai Titoli V e VI del Trattato UE (v. ordinanza Segi e a./Consiglio, punto 45 supra, punto 38). A tal riguardo, la ricorrente non può far valere la sentenza Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, punto 39 supra. In tale sentenza (punto 40), la Corte ha fondato il suo ragionamento sul fatto che il Trattato CE ha introdotto un sistema completo di ricorsi e di procedure destinato a garantire il controllo di legittimità degli atti delle istituzioni. Ora, come evidenziato supra, il Trattato UE, per quanto riguarda gli atti adottati sulla base dei suoi titoli V e VI, ha istituito un sindacato giurisdizionale limitato, in quanto certi settori sono sottratti al detto sindacato e certi ricorsi non sono ammessi.

55      Occorre tuttavia rilevare, al riguardo, che, senza che occorra interrogarsi sulla possibilità di mettere in discussione la validità di una posizione comune dinanzi ai giudici degli Stati membri, per essere effettiva, la posizione comune impugnata richiede l’adozione di atti di esecuzione comunitari e/o nazionali. Ora, non è stato dimostrato che tali atti di esecuzione non possano essi stessi formare oggetto di un ricorso di annullamento tanto dinanzi al giudice comunitario quanto dinanzi al giudice nazionale. Allo stesso modo, non è dimostrato che la ricorrente non disponga di una tutela giurisdizionale effettiva, sebbene indiretta, rispetto agli atti adottati in forza della posizione comune impugnata che la danneggiano direttamente. Nel caso di specie, la ricorrente ha inoltre effettivamente utilizzato tale diritto di ricorrere nei confronti della decisione impugnata.

56      Di conseguenza, il Tribunale è competente a pronunciarsi su un ricorso di annullamento diretto contro una posizione comune adottata ai sensi degli artt. 15 UE e 34 UE esclusivamente qualora la ricorrente faccia valere, a sostegno di un siffatto ricorso, una violazione delle competenze della Comunità (ordinanza Selmani/Consiglio e Commissione, punto 45 supra, punto 56). Infatti, i giudici comunitari sono competenti ad effettuare l’esame del contenuto di un atto adottato nell’ambito del Trattato UE al fine di verificare se tale atto non pregiudichi le competenze della Comunità e ad annullarlo qualora risultasse che avrebbe dovuto essere fondato su una disposizione del Trattato CE (v., in tal senso, sentenze della Corte Commissione/Consiglio, punto 40 supra, punti 16 e 17, e 13 settembre 2005, causa C‑176/03, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑7879, punto 39; ordinanze Segi e a./Consiglio e Gestoras Pro Amnistía e a./Consiglio, punto 45 supra, punto 41; v. altresì, analogamente, sentenza della Corte 14 gennaio 1997, causa C‑124/95, Centro-Com, Racc. pag. I‑81, punto 25).

57      Nel caso di specie, per la parte in cui la ricorrente fa valere uno sviamento di procedimento commesso dal Consiglio agendo nell’ambito dell’Unione in spregio alle competenze della Comunità, diretto a privarla di qualsiasi tutela giurisdizionale, il ricorso in esame rientra nella sfera di competenza dei giudici comunitari.

58      Occorre tuttavia constatare, al riguardo, che il Consiglio, agendo nell’ambito dell’Unione, lungi dal disconoscere le competenze della Comunità, si è, al contrario, fondato su queste ultime per garantire l’esecuzione della posizione comune impugnata. Infatti, poiché il Consiglio si è fondato sulle competenze comunitarie pertinenti, in particolare su quelle risultanti dagli artt. 60 CE e 301 CE, non gli può essere contestato di averle ignorate. A tal riguardo, la ricorrente non ha menzionato alcuna base giuridica pertinente diversa dalle disposizioni effettivamente utilizzate nel caso di specie che sarebbe stata violata, in contrasto con l’art. 47 UE. D’altra parte, tali disposizioni, per essere applicabili, prevedono la previa adozione di una posizione comune o di un’azione comune. Ne risulta che la previa adozione di una posizione comune prima del ricorso alle competenze comunitarie utilizzate nel caso di specie manifesta il rispetto di tali competenze e non la loro violazione. D’altronde, anche se il ricorso ad una posizione comune ai sensi del Trattato UE comporta che le persone di cui trattasi sono private di un rimedio giurisdizionale diretto dinanzi al giudice comunitario, ovvero della possibilità di mettere direttamente in discussione la legittimità della posizione comune impugnata, un esito del genere non rappresenta, in quanto tale, una violazione delle competenze della Comunità. Per quanto riguarda, infine, la risoluzione del Parlamento 7 febbraio 2002, in cui esso deplora la scelta di un fondamento normativo appartenente al Trattato UE per la redazione dell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità coinvolte in un atto di terrorismo, dev’essere rilevato che tale critica riguarda una scelta politica e non mette in discussione, di per sé, la legittimità del fondamento normativo scelto o la violazione delle competenze della Comunità (ordinanza Segi e a./Consiglio, punto 45 supra, punto 46).

59      Il Tribunale, quindi, pronunciandosi nell’ambito del limitato sindacato di legittimità derivante dalla sua competenza ai sensi del Trattato CE, non può che constatare che la posizione comune impugnata non viola le competenze della Comunità.

60      Risulta da quanto precede che, nella misura limitata in cui il Tribunale è competente a giudicare del ricorso in esame, in quanto diretto contro la posizione comune impugnata, quest’ultimo deve essere dichiarato manifestamente infondato.

 Sulla domanda di annullamento della decisione impugnata

61      A sostegno della sua domanda di annullamento della decisione impugnata, la ricorrente fa valere tre motivi. Il primo è articolato in cinque parti, attinenti rispettivamente alla violazione dei diritti della difesa, alla violazione di una forma sostanziale, alla violazione del diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale, alla violazione del diritto alla presunzione di innocenza e ad un errore manifesto di valutazione. Il secondo motivo attiene alla violazione del diritto alla rivolta contro la tirannia e l’oppressione. Il terzo attiene alla violazione del principio di non discriminazione.

62      Occorre esaminare anzitutto il primo motivo.

 Argomenti delle parti

63      Nell’ambito del primo motivo, la ricorrente non contesta né la legalità né la legittimità, in quanto tali, di misure come il congelamento dei fondi previsto dagli atti impugnati nei confronti delle persone, dei gruppi e delle entità coinvolti in atti di terrorismo, ai sensi della posizione comune 2001/931.

64      La ricorrente sostiene invece, nella prima parte del motivo, che la decisione impugnata viola i suoi diritti fondamentali e, segnatamente, i suoi diritti della difesa, garantiti, in particolare, dall’art. 6, n. 2, UE e dall’art. 6 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), in quanto tale atto le impone sanzioni e le causa un danno notevole, senza che essa sia stata sentita prima della sua adozione e senza che abbia fatto in seguito utilmente conoscere neanche il suo punto di vista. Essa ritiene che, disponendo di uffici e di dirigenti noti, i suoi rappresentanti avrebbero dovuto essere convocati e sentiti prima della sua inclusione nell’elenco controverso. Durante l’udienza, la ricorrente ha insistito sul fatto ch’essa ignorava anche l’identità dell’autorità nazionale all’origine della decisione asseritamente adottata nei suoi confronti ai sensi dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931 e dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, nonché gli elementi di prova e d’informazione sulla base dei quali sarebbe stata adottata una siffatta decisione. Secondo la ricorrente, la sua inclusione nell’elenco controverso è stata fatta «a quanto pare sulla sola base di documenti prodotti dal regime di Teheran».

65      La ricorrente sostiene inoltre, nella seconda e nella terza parte del motivo, che la sua inclusione nell’elenco controverso, senza previa audizione e senza la minima indicazione dei motivi di fatto e di diritto che legalmente la giustificano, viola altresì l’obbligo di motivazione previsto dall’art. 253 CE, nonché il diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale (sentenze della Corte 8 febbraio 1968, causa 3/67, Mandelli/Commissione, Racc. pag. 35, e Johnston, punto 39 supra).

66      La ricorrente sostiene poi, nella quarta parte del motivo, che tale inclusione pregiudica inoltre la presunzione di innocenza garantita dall’art. 48, n. 1, della carta dei diritti fondamentali e cita altresì, al riguardo, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 10 febbraio 1995, Allenet de Ribemont (serie A n. 308).

67      La ricorrente sostiene infine, nella quinta parte del motivo, che la sua inclusione nell’elenco controverso deriva da un manifesto errore di valutazione. Essa ritiene infatti di non poter essere affatto accusata di costituire un’organizzazione terroristica.

68      Il Consiglio e il Regno Unito sostengono che la decisione impugnata non pregiudica i diritti fondamentali la cui violazione viene fatta valere.

69      Per quanto riguarda più in particolare il diritto di essere sentiti, il Consiglio rileva che la stessa ricorrente ha fatto valere di avere scritto al presidente in carica del Consiglio, prima dell’adozione della decisione inizialmente impugnata, per sostenere la sua causa. Secondo il Consiglio, quindi, essa è stata sentita prima che si procedesse al congelamento dei suoi fondi. Esso richiama, in tal senso, l’ordinanza del presidente della Seconda Sezione del Tribunale 2 agosto 2000, causa T‑189/00 R, «Invest» Import und Export e Invest commerce/Commissione Racc. pag. II‑2993, punto 41), da cui emergerebbe indirettamente che i contatti intervenuti con le autorità, la presentazione del suo punto di vista in modo circostanziato e la conoscenza della sua iscrizione proposta nell’elenco «nero» rappresentano un insieme di circostanze che soddisfano il diritto di essere sentiti.

70      Peraltro, la ricorrente non avrebbe mai ripreso i contatti con il Consiglio dal giorno dell’adozione della decisione inizialmente impugnata, per ottenere il riesame del suo caso in vista della sua eventuale cancellazione dall’elenco controverso.

71      In ogni caso, né dalla CEDU, né dalla carta dei diritti fondamentali, strumento peraltro non vincolante, né dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri risulta che il rispetto dei diritti della difesa comporta un diritto incondizionato di essere sentiti prima dell’adozione di una misura di sanzione civile o amministrativa come quella impugnata nel caso di specie.

72      Il Consiglio e il Regno Unito osservano che nell’ambito di un procedimento amministrativo, almeno in taluni Stati membri, sembrano possibili eccezioni al diritto generale di essere sentiti per motivi di interesse generale, di ordine pubblico o di cura delle relazioni internazionali, o ancora nel caso in cui la finalità della decisione da adottare sia o possa essere pregiudicata qualora fosse riconosciuto il diritto di cui trattasi. A titolo di esempio, il Consiglio menziona gli ordinamenti tedesco, francese, italiano, inglese, danese, svedese, irlandese e belga.

73      Il governo del Regno Unito, dal canto suo, descrive il procedimento speciale applicabile dinanzi alla POAC, nell’ambito di un ricorso diretto contro una decisione dello Home Secretary di vietare un’organizzazione che ritiene coinvolta in attività di terrorismo, ai sensi del Terrorism Act 2000. Tale procedimento sarebbe caratterizzato, in particolare, dalla designazione di un avvocato speciale per rappresentare la ricorrente dinanzi alla POAC, che siede a porte chiuse, nonché dalla possibilità per la POAC di prendere in considerazione elementi di prova non comunicati alla ricorrente o al suo rappresentante legale ai sensi della normativa o per motivi d’interesse generale. Nel caso di specie, la ricorrente avrebbe formato oggetto di una siffatta decisione di divieto (v. punto 2 supra), contro cui avrebbe proposto due ricorsi paralleli, uno in appello dinanzi alla POAC, l’altro per cassazione dinanzi alla High Court. Con sentenza 17 aprile 2002, la High Court avrebbe respinto il ricorso per cassazione (v. punto 12 supra) e, con sentenza 15 novembre 2002, la POAC avrebbe respinto il ricorso in appello (v. punto 16 supra).

74      Allo stesso modo, secondo il Consiglio e il Regno Unito, il diritto comunitario non conferisce alla ricorrente alcun diritto di essere sentita prima della sua inclusione nell’elenco controverso.

75      Secondo il Regno Unito, la causa in esame differisce da quella all’origine della sentenza della Corte 29 giugno 1994, causa C‑135/92, Fiskano/Commissione (Racc. pag. I‑2885), fatta valere dalla ricorrente, in quanto l’inclusione della ricorrente nell’elenco controverso non costituisce l’avvio di un procedimento nei suoi confronti relativo ad un diritto preesistente, bensì l’adozione di una misura legislativa o amministrativa da parte delle istituzioni comunitarie. Una persona interessata ad una misura siffatta non sarebbe convenuta in un procedimento e, di conseguenza, il problema dei diritti della difesa semplicemente non si porrebbe. I suoi diritti sarebbero garantiti dalla possibilità di adire un giudice, nel caso di specie il Tribunale investito ai sensi dell’art. 230 CE, per far verificare se la normativa di cui trattasi sia stata adottata legittimamente e/o se la ricorrente rientri effettivamente nella sfera di applicazione della detta normativa.

76      Il Consiglio fa valere anche, nello stesso senso, le sentenze della Corte 23 settembre 1986, causa 5/85, AKZO Chemie/Commissione (Racc. pag. 2585, punti 20 e 24), e 14 marzo 2000, causa C‑54/99, Église de scientologie (Racc. pag. I‑1335, punto 20). Il Consiglio dubita inoltre che i principi giurisprudenziali elaborati nelle cause di concorrenza o di difesa commerciale possano essere applicati senza riserve nella causa in oggetto. A suo avviso, la giurisprudenza più pertinente nel caso di specie è quella che ha ammesso che, nel caso di una persona interessata da una sanzione comunitaria adottata su proposta di un’autorità nazionale, il diritto di essere sentiti è effettivamente garantito anzitutto nell’ambito dei rapporti tra l’interessato e l’amministrazione nazionale (ordinanza «Invest» Import und Export e Invest commerce/Commissione, punto 69 supra, punto 40).

77      Quanto all’art. 6 della CEDU, il Consiglio sottolinea che nulla, nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, indica che le garanzie previste da tale disposizione avrebbero dovuto essere applicate durante il procedimento amministrativo che ha condotto all’adozione della decisione impugnata. Il congelamento dei beni della ricorrente non rappresenterebbe una sanzione penale e non potrebbe essere paragonato a una sanzione del genere alla luce dei criteri di gravità accolti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte europea D.U., sentenze Engel e a., 8 giugno 1976, serie A n. 22, Campbell e Fell, 28 giugno 1984, serie A n. 80, e Öztürk, 23 ottobre 1984, serie A n. 85). Tale stessa Corte ha altresì dichiarato che l’art. 6, n. 1, della CEDU non è applicabile alle fasi amministrative di indagine dinanzi alle autorità amministrative. Solo il modo in cui le informazioni raccolte durante l’istruzione amministrativa sono utilizzate durante il procedimento giurisdizionale sarebbe soggetto alla garanzia dell’equo processo (Corte europea D.U., sentenza Fayed, 21 settembre 1994, serie A n. 294‑B) .

78      Il Regno Unito contesta altresì che l’art. 6, n. 1, della CEDU riguardi l’adozione di misure legislative o regolamentari. Tale disposizione sarebbe applicabile esclusivamente a contestazioni relative a diritti ed obblighi aventi carattere civile e le garanzie da essa previste sarebbero applicabili solo nei limiti in cui penda una controversia che esige una pronuncia. Essa non conferirebbe quindi ai singoli il diritto di essere sentiti prima dell’adozione di una normativa che interferisce con i loro diritti di proprietà. In un caso siffatto, i singoli avrebbero soltanto il diritto di contestare successivamente la legittimità di tale normativa o della sua applicazione al caso di specie (Corte europea D.U., sentenze Lithgow e a., 8 luglio 1986, serie A n. 102, e James e a., 21 febbraio 1986, serie A n. 98).

79      Nel caso di specie, né l’inclusione della ricorrente nell’elenco controverso né il congelamento dei suoi beni rientravano quindi, secondo il Regno Unito, nell’art. 6, n. 1, della CEDU. Di conseguenza, la ricorrente non avrebbe avuto alcun diritto di far valere i suoi argomenti prima dell’adozione di tali misure. Tuttavia, nell’ambito di questa stessa disposizione, la ricorrente avrebbe un diritto di accesso ad un organo giudiziario per contestare la legittimità della normativa di cui trattasi. Peraltro, essa si sarebbe avvalsa di tale diritto proponendo il ricorso in esame.

80      In ogni caso, le misure di cui trattasi nel caso di specie, dettate dall’urgenza, non sarebbero sproporzionate rispetto all’obiettivo da raggiungere e non avrebbero creato un iniquo squilibrio tra le esigenze derivanti dall’interesse generale e quelle legate alla tutela dei diritti fondamentali, dato che i diritti della difesa possano essere esercitati dopo l’adozione di tali misure.

81      A tale riguardo, il Consiglio e il Regno Unito sottolineano che un’informazione o un’audizione della ricorrente prima del congelamento dei suoi beni avrebbe compromesso la realizzazione dell’importante obiettivo di interesse generale perseguito dal regolamento n. 2580/2001, che sarebbe di evitare che dei fondi possano servire al finanziamento di attività terroristiche. Secondo tali parti, infatti, la ricorrente avrebbe potuto approfittare del termine che le è stato impartito per presentare le sue osservazioni e trasferire i suoi fondi al di fuori dell’Unione.

82      Il Regno Unito aggiunge che esistono verosimilmente ragioni imperative attinenti alla sicurezza nazionale per non divulgare all’interessata le informazioni e le prove sulla base delle quali un’autorità competente può adottare una decisione che constata che un’entità è coinvolta in attività di terrorismo.

83      Quanto all’asserita violazione dell’obbligo di motivazione, il Consiglio fa valere che la decisione impugnata, sebbene non specificamente motivata, si limita ad aggiornare l’elenco previsto dal regolamento n. 2580/2001, il cui art. 2, n. 3, enumera i criteri sulla base dei quali le persone, i gruppi e le entità sono compresi nell’elenco controverso. Il detto regolamento, la posizione comune impugnata e la decisione impugnata, considerati nel loro insieme in un contesto ben noto alla ricorrente, soddisfano l’obbligo di motivazione, come definito dalla giurisprudenza, dato che le condizioni materiali della lotta contro il terrorismo non sono quelle esistenti in altri settori, come quello della concorrenza (sentenza della Corte 14 febbraio 1990, causa C‑350/88, Delacre e a./Commissione, Racc. pag. I‑395, punto 15; v. infatti, in un contesto di congelamento dei fondi, ordinanza «Invest» Import und Export e Invest commerce/Commissione, punto 69 supra, punto 43).

84      Il Consiglio considera inoltre che la decisione impugnata non pregiudica affatto il diritto alla presunzione di innocenza.

85      Quanto all’errore manifesto di valutazione, il Consiglio e il Regno Unito ritengono che la ricorrente possa difficilmente sostenere di non essere un’organizzazione terroristica e di non rientrare quindi nella sfera di applicazione dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001.

86      Le Consiglio e il Regno Unito ricordano che, in forza dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931, l’elenco controverso è redatto sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo che indicano l’avvenuta adozione di una decisione da parte di un’autorità nazionale competente che identifica una persona, un gruppo o un’entità coinvolti in attività terroristiche. Ora, la ricorrente non sostiene di non essere stata inclusa nell’elenco controverso sulla base di una decisione del genere, né vi sono elementi che lo suggerirebbero.

87      Il Consiglio ammette che, ai sensi di questa stessa disposizione, esso verifica il rispetto, da parte delle autorità nazionali, dei criteri fissati dall’Unione. Tuttavia, tale verifica non riguarda circostanze come quelle fatte valere dalla ricorrente, né informazioni basate talvolta su fonti protette o sull’attività dei servizi specializzati degli Stati membri. Considerato il ruolo essenziale svolto nel procedimento dalle autorità nazionali competenti, il Consiglio e il Regno Unito ritengono che una contestazione delle stesse circostanze in considerazione delle quali tali autorità hanno proposto l’inclusione di una persona nell’elenco controverso o una domanda diretta alla revisione della loro decisione possano essere proposte solo a livello nazionale. A tal riguardo, il Regno Unito rileva che l’art. 7 del regolamento n. 2580/2001 autorizza la Commissione a modificare l’allegato di tale regolamento sulla base di informazioni fornite dagli Stati membri.

88      Ora, lo Home Secretary, autorità competente in materia nel Regno Unito, avrebbe respinto una domanda della ricorrente diretta ad ottenere la sua cancellazione dall’elenco delle organizzazioni vietate ai sensi del Terrorism Act 2000. Pur prendendo atto delle affermazioni della ricorrente secondo cui, da un lato, essa è stata coinvolta in una lotta legittima contro un regime repressivo e, dall’altro, i suoi atti di resistenza armata sono stati concentrati contro obiettivi militari in Iran, lo Home Secretary avrebbe dichiarato di non poter accettare «alcun diritto di ricorrere ad atti di terrorismo, quale che ne sia la motivazione». I ricorsi giurisdizionali proposti dalla ricorrente contro tale decisione sarebbero stati respinti (v. punto 73 supra).

 Giudizio del Tribunale

89      Devono essere anzitutto esaminate, congiuntamente, le censure attinenti alla violazione dei diritti della difesa, alla violazione dell’obbligo di motivazione ed alla violazione del diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale, censure strettamente legate tra loro. Infatti, da un lato, la garanzia dei diritti della difesa contribuisce ad assicurare il corretto esercizio del diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale. Dall’altro, sussiste uno stretto legame tra il diritto ad un effettivo ricorso giurisdizionale e l’obbligo di motivazione. Come sottolineato da una costante giurisprudenza, l’obbligo, incombente alle istituzioni comunitarie in forza dell’art. 253 CE, di motivare le loro decisioni mira a consentire al giudice comunitario di esercitare il suo sindacato di legittimità e agli interessati di conoscere le giustificazioni del provvedimento adottato per poter tutelare i propri diritti e verificare se la decisione sia o meno fondata (sentenze della Corte 4 luglio 1963, causa 24/62, Germania/Commissione, Racc. pag. 131, in particolare pag. 140, e 10 maggio 2005, causa C‑400/99, Italia/Commissione, Racc. pag. I‑3657, punto 22; sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, cause riunite T‑346/02 e T‑347/02, Cableuropa e a./Commissione, Racc. pag. II‑4251, punto 225). Infatti, gli interessati possono realmente sostenere il loro ricorso giurisdizionale solo se hanno una conoscenza esatta del contenuto e dei motivi dell’atto di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza della Corte 19 febbraio 1998, causa C‑309/95, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑655, punto 18, e sentenza del Tribunale 7 luglio 1999, causa T‑89/96, British Steel/Commissione, Racc. pag. II‑2089, punto 33).

90      Alla luce degli argomenti dedotti in via principale dal Consiglio e dal Regno Unito, il Tribunale verificherà anzitutto se i diritti e le garanzie di cui la ricorrente fa valere la violazione possano essere applicati nell’ambito dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001. Il Tribunale determinerà poi l’oggetto e preciserà i limiti di tali diritti e garanzie in un ambito siffatto. Il Tribunale si pronuncerà infine sull’asserita violazione dei diritti e delle garanzie di cui trattasi, nelle circostanze particolari del caso di specie.

 Applicabilità delle garanzie relative al rispetto dei diritti della difesa, all’obbligo di motivazione e al diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale nell’ambito dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001

–       Diritti della difesa

91      Secondo una costante giurisprudenza, il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario che dev’essere garantito anche in mancanza di qualsiasi norma riguardante il procedimento di cui trattasi. Tale principio impone che i destinatari di una sanzione siano messi in condizione di far conoscere utilmente il proprio punto di vista sugli elementi ritenuti a suo carico per infliggere la sanzione (sentenza della Corte Fiskano/Commissione, punto 75 supra, punti 39 e 40 e giurisprudenza ivi citata).

92      Nel caso di specie, la decisione impugnata, con cui è stata inflitta alla ricorrente una misura individuale di sanzione economica e finanziaria (congelamento dei fondi), sicuramente la danneggia (v. altresì punto 98 infra). Tale giurisprudenza è quindi applicabile nel caso di specie.

93      Deriva da tale giurisprudenza che, salvo eccezioni (v. punti 127 e segg. infra), la garanzia dei diritti della difesa implica in linea di principio due effetti principali. Da un lato, all’interessato devono essere comunicati gli elementi ritenuti a suo carico per fondare la sanzione amministrativa prevista (in prosieguo: la «comunicazione degli elementi a carico»). Dall’altro, esso dev’essere posto in grado di far valere utilmente il suo punto di vista in merito a tali elementi (in prosieguo: l’«audizione»).

94      Così intesa, la garanzia dei diritti della difesa nell’ambito del procedimento amministrativo dev’essere distinta da quella che deriva dal diritto ad un effettivo ricorso giurisdizionale contro l’atto lesivo eventualmente adottato al termine di tale procedimento (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 23 aprile 2002, causa T‑372/00, Campolargo/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑49 e II‑223, punto 36). Gli argomenti del Consiglio e del Regno Unito relativi all’art. 6 della CEDU (v. punti 77-79 supra) sono quindi irrilevanti nell’ambito della censura in esame.

95      Inoltre, la garanzia relativa al rispetto dei diritti della difesa in senso stretto, nell’ambito dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001, non può essere negata agli interessati in base all’unica motivazione, fatta valere dal Consiglio e dal Regno Unito (v. punti 78 e 79, supra), che né la CEDU né i principi generali del diritto comunitario attribuiscono ai privati un diritto di essere ascoltati prima dell’adozione di un atto di natura normativa (v., in tal senso e analogamente, sentenza Yusuf, punto 29 supra, punto 322).

96      È vero che la giurisprudenza in materia di diritto al contraddittorio non può essere estesa alle procedure legislative comunitarie, che culminano nell’adozione di provvedimenti normativi che implicano scelte di politica economica e si applicano alla generalità degli operatori interessati (sentenza del Tribunale 11 dicembre 1996, causa T‑521/93, Atlanta e a./CE, Racc. pag. II‑1707, punto 70, confermata su impugnazione con sentenza della Corte 14 ottobre 1999, causa C‑104/97 P, Atlanta/Comunità europea, Racc. pag. I‑6983, punti 31‑38).

97      È vero altresì che la decisione impugnata, che conferma la ricorrente nell’elenco controverso, dopo che quest’ultima vi è stata inclusa con la decisione inizialmente impugnata, ha la stessa portata generale del regolamento n. 2580/2001 ed è, come quest’ultimo, direttamente applicabile in tutti gli Stati membri. Essa possiede quindi, malgrado il suo titolo, la natura regolamentare di tale atto ai sensi dell’art. 249 CE (v., analogamente, ordinanza del Tribunale 6 maggio 2003, causa T‑45/02, DOW AgroSciences/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. II‑1973, punti 31-33 e giurisprudenza ivi citata, e sentenza Yusuf, punto 29 supra, punti 184‑188).

98      Tuttavia, tale decisione non ha una natura esclusivamente normativa. Pur spiegando i suoi effetti erga omnes, essa riguarda direttamente e individualmente la ricorrente, da essa peraltro nominativamente designata in quanto compresa nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità i cui fondi devono essere congelati in applicazione del regolamento n. 2580/2001. Poiché si tratta di un atto che infligge una misura individuale di sanzione economica e finanziaria (v. punto 92 supra), la giurisprudenza citata al punto 96 supra non è applicabile (v., analogamente, sentenza Yusuf, punto 29 supra, punto 324).

99      Occorre inoltre rilevare gli elementi che distinguono la causa in esame da quelle all’origine delle sentenze Yusuf e Kadi, punto 29 supra, in cui è stato dichiarato che le istituzioni comunitarie non erano tenute a sentire gli interessati nell’ambito dell’adozione e dell’attuazione di un’analoga misura di congelamento dei fondi di persone e di entità legate a Osama Bin Laden, alla rete di Al-Qaeda e ai talebani.

100    Tale soluzione è stata giustificata, nelle dette cause, dalla circostanza che le istituzioni comunitarie si erano limitate a trasporre nell’ordinamento giuridico comunitario, essendovi tenute, risoluzioni del Consiglio di sicurezza e decisioni del suo comitato delle sanzioni che imponevano il congelamento dei fondi degli interessati, nominativamente designati, e che non le autorizzavano in nessun modo, in fase di concreta attuazione, a prevedere un qualunque meccanismo comunitario di esame o di riesame delle situazioni individuali. Il Tribunale ne ha dedotto che il principio di diritto comunitario relativo al diritto di essere sentiti non poteva essere applicato in circostanze del genere, in cui un’audizione dell’interessato non avrebbe potuto in nessun caso portare l’istituzione a rivedere la propria posizione (sentenze Yusuf, punto 29 supra, punto 328, e Kadi, punto 29 supra, punto 258).

101    Nella presente causa, invece, se da un lato la risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza dispone in particolare, al suo n. 1, lett. c), che tutti gli Stati congelino senza indugio i fondi e gli altri strumenti finanziari o risorse economiche delle persone che commettono o tentano di commettere atti di terrorismo, li agevolano o vi partecipano, delle entità riconducibili a tali persone, o da esse controllate, e delle persone ed entità che agiscono in nome o dietro istruzioni di tali persone ed entità, essa non determina individualmente quali persone, gruppi o entità debbano formare oggetto di tali misure. Il Consiglio di sicurezza non ha neanche emanato norme giuridiche precise riguardanti il procedimento di congelamento dei fondi, né le garanzie o i ricorsi giurisdizionali che assicurino alle persone ed alle entità interessate da un procedimento siffatto un’effettiva possibilità di contestare le misure adottate dagli Stati nei loro confronti.

102    Pertanto, nell’ambito della risoluzione 1373 (2001), spetta agli Stati membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) – e, nel caso di specie, alla Comunità, attraverso cui gli Stati membri hanno deciso di agire – identificare concretamente quali siano le persone, i gruppi e le entità i cui fondi devono essere congelati in applicazione di tale risoluzione, conformandosi alle norme del loro ordinamento giuridico.

103    A tal riguardo, il Consiglio ha sostenuto, durante l’udienza, che, nell’ambito dell’attuazione della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza, le misure da esso adottate in forza di una competenza vincolata, che beneficiano quindi del «primato» derivante dagli artt. 25 e 103 della carta delle Nazioni Unite, sono essenzialmente quelle previste dalle disposizioni materiali del regolamento n. 2580/2001, che determinano l’entità delle misure restrittive da adottare nei confronti delle persone menzionate al n. 1, lett. c), della detta risoluzione. Invece, a differenza degli atti oggetto delle cause all’origine delle sentenze Yusuf e Kadi, punto 29 supra, gli atti che applicano concretamente tali misure restrittive a questa o a quella persona o entità, come la decisione impugnata, non rientrerebbero nell’ambito dell’esercizio di una competenza vincolata e non godrebbero quindi del «primato» di cui trattasi. Il Consiglio ritiene che l’adozione di tali atti rientri piuttosto nell’esercizio dell’ampio potere discrezionale di cui dispone nel settore della PESC.

104    Tali considerazioni possono sostanzialmente essere condivise dal Tribunale, salvo gli eventuali problemi applicativi del n. 1, lett. c), della risoluzione 1373 (2001) che potrebbero emergere dall’assenza, a tutt’oggi, di una definizione universalmente accettata delle nozioni di «terrorismo» e di «atto di terrorismo» in diritto internazionale [v., al riguardo, il documento finale (A/60/L1) adottato dall’assemblea generale dell’ONU il 15 settembre 2005, in occasione del vertice mondiale per il sessantesimo anniversario di tale organizzazione].

105    Infine, il Consiglio ha fatto valere in udienza che, in quanto istituzione comunitaria autrice del regolamento n. 2580/2001 e delle decisioni che lo attuano, esso non si riteneva vincolato dalle posizioni comuni adottate nell’ambito della PESC dal Consiglio in quanto istituzione composta dai rappresentanti degli Stati membri, anche se gli sembrava normale garantire la coerenza delle sue azioni nell’ambito della PESC e del Trattato CE.

106    Il Consiglio sottolinea quindi, giustamente, che la Comunità non agisce in forza di una competenza vincolata dalla volontà dell’Unione o da quella dei suoi Stati membri quando il Consiglio adotta, come nel caso di specie, misure o sanzioni economiche sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE. Del resto, tale punto di vista è il solo compatibile con lo stesso tenore letterale dell’art. 301 CE, ai sensi del quale il Consiglio decide in materia «a maggioranza qualificata su proposta della Commissione», nonché con quello dell’art. 60, n. 1, CE, ai sensi del quale il Consiglio «può adottare», con la stessa procedura, le misure urgenti ritenute necessarie da un atto della PESC.

107    Dato che l’identificazione delle persone, dei gruppi e delle entità menzionati dalla risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza e l’adozione delle misure di congelamento dei fondi che ne consegue rientrano nell’esercizio di un potere proprio, che comporta una valutazione discrezionale della Comunità, il rispetto dei diritti della difesa degli interessati si impone in linea di principio alle istituzioni comunitarie interessate, nel caso di specie al Consiglio, qualora esse agiscano per conformarsi alla detta risoluzione.

108    Ne consegue che la garanzia dei diritti della difesa è, in linea di principio, pienamente applicabile nell’ambito dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001.

–       Obbligo di motivazione

109    In linea di principio, la garanzia relativa all’obbligo di motivazione previsto dall’art. 253 CE è anch’essa pienamente applicabile nell’ambito dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001, il che non è peraltro stato messo in dubbio da alcuna delle parti.

–       Diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale

110    Quanto alla garanzia relativa al diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, i singoli devono poter beneficiare di una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti loro riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario, poiché il diritto a detta tutela fa parte dei principi giuridici generali che derivano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ed è stato sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU (v. sentenza del Tribunale 5 aprile 2006, causa T‑279/02, Degussa/Commissione, Racc. pag. II‑897, punto 421 e giurisprudenza ivi citata).

111    Lo stesso vale, in particolare, per le misure di congelamento dei fondi delle persone o delle organizzazioni sospettate di attività terroristiche (v., in tal senso, il punto XIV degli orientamenti sui diritti dell’uomo e la lotta contro il terrorismo, adottati dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa l’11 luglio 2002).

112    Nell’ambito del ricorso in esame, la sola riserva formulata dal Consiglio, quanto all’applicabilità di tale garanzia in linea di principio, riguarda il fatto che, secondo la detta istituzione, il Tribunale non è competente per controllare la legittimità interna delle disposizioni materiali del regolamento n. 2580/2001, in quanto esse sono state adottate in forza di una competenza vincolata dalla risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza e beneficiano, di conseguenza, dell’effetto di «primato» menzionato al punto 103 supra.

113    Non è tuttavia necessario che il Tribunale si pronunci sulla fondatezza di tale riserva, dato che la controversia in esame può essere risolta, come sarà esposto infra, sulla base del solo controllo giurisdizionale della legittimità della decisione impugnata. Nessuna delle parti contesta infatti che essa rientra nella sfera di competenza del Tribunale.

 Oggetto e limitazioni delle garanzie relative al rispetto dei diritti della difesa, all’obbligo di motivazione e al diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale nel contesto dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001

–       Diritti della difesa

114    Occorre, in primo luogo, definire l’oggetto della garanzia dei diritti della difesa nel contesto dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi adottata ai sensi dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, distinguendo se si tratti di una decisione iniziale di congelamento dei fondi di cui all’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931 (in prosieguo: la «decisione iniziale di congelamento dei fondi») ovvero di una qualsiasi delle decisioni successive di conferma del congelamento dei fondi, dopo riesame periodico, di cui all’art. 1, n. 6, della stessa posizione comune (in prosieguo: le «decisioni successive di congelamento dei fondi»).

115    In tale contesto, si deve anzitutto sottolineare che diritti della difesa possono essere esercitati solo rispetto ad elementi di fatto e di diritto che possono condizionare l’applicazione all’interessato della misura di cui trattasi, conformemente alla normativa pertinente.

116    Nel caso in esame, la normativa pertinente è contenuta all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, ai sensi del quale il Consiglio, all’unanimità, redige, rivede e modifica l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità ai quali si applica il detto regolamento, conformemente alle disposizioni dell’art. 1, nn. 4-6, della posizione comune 2001/931. L’elenco di cui trattasi deve quindi essere redatto, conformemente alle disposizioni dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931, sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo che mostrano che una decisione è stata adottata, da parte di un’autorità competente, nei confronti delle persone, dei gruppi e delle entità menzionati, che si tratti dell’avvio di indagini o di azioni penali per un atto di terrorismo, o per il tentativo di commetterlo, o per la partecipazione o l’agevolazione di un tale atto, basata su prove o indizi seri e credibili, o che si tratti della condanna per tali fatti. Si intende per «autorità competente» un’autorità giudiziaria ovvero, se le autorità giudiziarie non hanno alcuna competenza in materia, un’autorità competente equivalente in tale settore. Inoltre, i nomi delle persone e delle entità riprese sull’elenco devono formare oggetto di un riesame a intervalli regolari, almeno una volta ogni sei mesi, per garantire che la loro conferma sull’elenco rimanga giustificata, conformemente alle disposizioni dell’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931.

117    Come giustamente rilevato dal Consiglio e dal Regno Unito, il procedimento che può condurre ad una misura di congelamento dei fondi ai sensi della normativa pertinente si svolge quindi su due livelli, uno nazionale e l’altro comunitario. In un primo momento, un’autorità nazionale competente, in linea di principio un’autorità giudiziaria, deve adottare nei confronti dell’interessato una decisione che soddisfi la definizione dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931. Se si tratta di una decisione di avvio di inchieste o di azioni penali, essa deve essere basata su prove o indizi seri e credibili. In un secondo momento, il Consiglio, all’unanimità, deve decidere di includere l’interessato nell’elenco controverso, sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo che mostrano l’adozione di una decisione. In seguito, il Consiglio deve accertarsi, a intervalli regolari, almeno una volta ogni sei mesi, che la presenza dell’interessato sull’elenco controverso resti giustificata. A tale riguardo, la verifica dell’esistenza di una decisione di un’autorità nazionale che soddisfi la detta definizione sembra una condizione preliminare per l’adozione, da parte del Consiglio, della decisione iniziale di congelamento dei fondi, mentre la verifica delle conseguenze riservate a tale decisione a livello nazionale sembra indispensabile nell’ambito dell’adozione di una successiva decisione di congelamento dei fondi.

118    Di conseguenza, il problema del rispetto dei diritti della difesa nell’ambito dell’adozione di una misura di congelamento dei fondi può porsi anch’esso su tali due livelli (v., in tal senso e analogamente, ordinanza «Invest» Import und Export e Invest commerce/Commissione, punto 69 supra, punto 40).

119    I diritti della difesa dell’interessato devono essere effettivamente garantiti anzitutto nell’ambito del procedimento nazionale che ha condotto all’adozione, da parte dell’autorità nazionale competente, della decisione di cui all’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931. È essenzialmente in tale ambito nazionale che l’interessato deve essere posto in grado di far conoscere utilmente il suo punto di vista in merito agli elementi fatti valere a suo carico per fondare la decisione di cui trattasi, salvo eventuali limitazioni ai diritti della difesa legalmente giustificate dal diritto nazionale, in particolare per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di cura delle relazioni internazionali (v., in tal senso, Corte europea D. U., sentenza Tinnelly & Sons e a. e McElduff e a. c. Regno Unito, 10 luglio 1998, Recueil des arrêts et décisions, 1998-IV, § 78).

120    I diritti della difesa dell’interessato devono poi essere pienamente garantiti nell’ambito del procedimento comunitario che deve condurre all’adozione, da parte del Consiglio, della decisione di includerlo o di confermarlo nell’elenco controverso, conformemente all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001. In linea di principio, in tale ambito, l’interessato deve solo essere posto in grado di far valere utilmente il suo punto di vista sulle condizioni legali di applicazione della misura comunitaria di cui trattasi, cioè, se si tratta di una decisione iniziale di congelamento dei fondi, l’esistenza di informazioni precise o di elementi del fascicolo che mostrano l’adozione nei suoi confronti, da parte di un’autorità nazionale competente, di una decisione che soddisfi la definizione di cui all’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931 e, se si tratta di una decisione successiva di congelamento dei fondi, le giustificazioni della conferma dell’interessato sull’elenco controverso.

121    Invece, qualora la decisione di cui trattasi provenga da un’autorità competente di uno Stato membro, il rispetto dei diritti della difesa a livello comunitario non esige più, di regola, in tale fase, che l’interessato venga posto nuovamente in grado di pronunciarsi sull’opportunità e sulla fondatezza della detta decisione, dato che tali questioni possono essere discusse solo a livello nazionale, dinanzi all’autorità di cui trattasi ovvero, dietro ricorso dell’interessato, dinanzi al giudice nazionale competente. Allo stesso modo, in linea di principio, non spetta al Consiglio pronunciarsi sulla regolarità del procedimento avviato nei confronti dell’interessato che ha condotto alla detta decisione, previsto dal diritto dello Stato membro applicabile, ovvero sul rispetto dei diritti fondamentali dell’interessato da parte delle autorità nazionali. Infatti, tale potere spetta esclusivamente ai giudici nazionali competenti ovvero, eventualmente, alla Corte europea dei diritti dell’uomo (v., analogamente, sentenza del Tribunale 10 aprile 2003, causa T‑353/00, Le Pen/Parlamento, Racc. pag. II‑1729, punto 91, confermata in sede di impugnazione con la sentenza della Corte 7 luglio 2005, causa C‑208/03 P, Le Pen/Parlamento, Racc. pag. I‑6051).

122    Nel caso in cui la misura comunitaria di congelamento dei fondi venga adottata sulla base di una decisione di un’autorità nazionale di uno Stato membro pronunciata in materia di indagini o di azioni penali (piuttosto che sulla base di una decisione di condanna), il rispetto dei diritti della difesa non esige neanche, in linea di principio, che l’interessato venga posto in grado di far valere il suo punto di vista sul problema di sapere se tale decisione sia «fondata su prove o su indizi seri e credibili», come prescritto dall’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931. Infatti, sebbene tale elemento rappresenti una delle condizioni legali di applicazione della misura di cui trattasi, il Tribunale ritiene che sarebbe inappropriato, alla luce del principio di leale cooperazione sancito dall’art. 10 CE, assoggettarlo all’esercizio dei diritti della difesa a livello comunitario.

123    A tale riguardo, il Tribunale ricorda che, ai sensi dell’art. 10 CE, i rapporti tra gli Stati membri e le istituzioni comunitarie sono regolati da doveri reciproci di leale cooperazione (v. sentenza della Corte 16 ottobre 2003, causa C‑339/00, Irlanda/Commissione, Racc. pag. I‑11757, punti 71 e 72 e giurisprudenza ivi citata). Tale principio è di applicazione generale e si impone, in particolare, nell’ambito della GAI, disciplinata dal titolo VI del Trattato UE, la quale è d’altra parte interamente fondata sulla cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni (sentenza della Corte 16 giugno 2005, causa C‑105/03, Pupino, Racc. pag. I‑5285, punto 42).

124    In un caso di applicazione dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931 e dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, disposizioni che instaurano una forma di cooperazione specifica tra il Consiglio e gli Stati membri nell’ambito della lotta comune contro il terrorismo, il Tribunale ritiene che tale principio comporti, per il Consiglio, l’obbligo di rimettersi, per quanto possibile, alla valutazione dell’autorità nazionale competente, almeno se si tratta di un’autorità giudiziaria, tanto per quanto attiene all’esistenza delle «prove o indizi seri e credibili» sui quali si fonda la decisione di quest’ultima quanto per ciò che riguarda il riconoscimento delle eventuali limitazioni di accesso a tali prove o indizi, legalmente giustificate dal diritto nazionale per ragioni imperative di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di cura delle relazioni internazionali (v., analogamente, sentenza del Tribunale 18 settembre 1996, causa T‑353/94, Postbank/Commissione, Racc. pag. II‑921, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

125    Occorre tuttavia aggiungere che tali considerazioni valgono solo nella misura in cui le prove o gli indizi di cui trattasi siano stati sottoposti alla valutazione dell’autorità nazionale competente menzionata al punto precedente. Qualora, al contrario, nel corso del procedimento dinanzi ad esso, il Consiglio basi la sua decisione iniziale o una decisione successiva di congelamento dei fondi su elementi di informazione o di prova comunicatigli dai rappresentanti degli Stati membri senza essere stati sottoposti alla valutazione della detta autorità nazionale competente, tali elementi devono essere considerati alla stregua di nuovi elementi a carico che devono, in linea di principio, formare oggetto di una comunicazione e di un’audizione a livello comunitario, dato che ciò non è avvenuto a livello nazionale.

126    Deriva da quanto precede che, nell’ambito delle relazioni tra la Comunità ed i suoi Stati membri, il rispetto dei diritti della difesa ha un oggetto relativamente ristretto a livello del procedimento comunitario di congelamento dei fondi. Nel caso di una decisione iniziale di congelamento dei fondi, esso esige, in linea di principio, da un lato, che all’interessato siano comunicati, da parte del Consiglio, le informazioni precise o gli elementi del fascicolo che mostrano l’adozione nei suoi confronti, da parte di un’autorità competente di uno Stato membro, di una decisione che soddisfa la definizione di cui all’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931, nonché, eventualmente, gli elementi nuovi menzionati al punto 125 supra, e, dall’altro, che egli sia posto in grado di far valere utilmente il suo punto di vista in merito a tali informazioni o elementi del fascicolo. Nel caso di una decisione successiva di congelamento dei fondi, il rispetto dei diritti della difesa esige analogamente, da un lato, che all’interessato siano comunicati le informazioni o gli elementi del fascicolo che, secondo il Consiglio, giustificano la sua conferma negli elenchi controversi nonché, eventualmente, gli elementi nuovi menzionati al punto 125 supra e, dall’altro, che egli sia posto in grado di far valere utilmente il suo punto di vista a tal proposito.

127    Occorre tuttavia ammettere, al contempo, che talune limitazioni dei diritti della difesa, così definiti con riferimento al loro oggetto, possono essere legittimamente previste ed imposte agli interessati, in circostanze come quelle del caso di specie, in cui si tratta di misure restrittive specifiche relative ad un congelamento dei fondi e degli strumenti finanziari delle persone, dei gruppi e delle entità identificati dal Consiglio in quanto coinvolti in atti di terrorismo.

128    Pertanto, il Tribunale considera, come già dichiarato nella sentenza Yusuf, punto 29, supra, e come sostenuto nel caso di specie dal Consiglio e dal Regno Unito, che una comunicazione degli elementi a carico ed un’audizione degli interessati prima dell’adozione della decisione iniziale di congelamento dei fondi avrebbero potuto compromettere l’efficacia delle sanzioni e si sarebbero quindi rivelate incompatibili con l’obiettivo d’interesse generale perseguito dalla Comunità conformemente alla risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza. Una misura iniziale di congelamento dei fondi deve, per sua stessa natura, poter beneficiare di un effetto sorpresa e applicarsi con effetto immediato. Pertanto, una misura del genere non può essere notificata prima di essere attuata (sentenza Yusuf, punto 29 supra, punto 308; v. altresì, in tal senso e analogamente, conclusioni dell’avvocato generale Warner per la sentenza della Corte 26 giugno 1980, causa 136/79, National Panasonic/Commissione, Racc. pag. 2033, in particolare pagg. 2061, 2068, 2069).

129    Tuttavia, affinché gli interessati possano utilmente difendere i loro diritti occorre ancora, in particolare nell’ambito di un eventuale ricorso giurisdizionale dinanzi al Tribunale, che gli elementi a carico siano loro comunicati, per quanto possibile, o contemporaneamente all'adozione o al più presto possibile dopo l’adozione della decisione iniziale di congelamento dei fondi (v. altresì punto 139 infra).

130    In tale contesto, gli interessati devono anche avere la possibilità di chiedere il riesame immediato della misura iniziale di congelamento dei loro fondi (v., in tal senso, nel contenzioso del pubblico impiego comunitario, sentenze del Tribunale 15 giugno 2000, causa T‑211/98, F/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑107 e II‑471, punto 34; 18 ottobre 2001, causa T‑333/99, X/BCE, Racc. pag. II‑3021, punto 183, e Campolargo/Commissione, punto 94 supra, punto 32). Il Tribunale ammette tuttavia che una tale audizione successiva non s’impone d’ufficio nel contesto di una decisione iniziale di congelamento dei fondi, considerata la possibilità anche degli interessati di proporre immediatamente un ricorso dinanzi al Tribunale, possibilità che garantisce anch’essa il rispetto di un equilibrio tra la tutela dei diritti fondamentali delle persone comprese nell’elenco controverso e la necessità di adottare misure preventive nell’ambito della lotta contro il terrorismo internazionale (v., in tal senso e analogamente, conclusioni dell’avvocato generale Warner per la sentenza National Panasonic/Commissione, punto 128 supra, Racc. pag. 2069).

131    Occorre peraltro sottolineare che le considerazioni precedenti non rilevano per quanto riguarda le decisioni successive di congelamento dei fondi adottate dal Consiglio nell’ambito del riesame a intervalli regolari, almeno una volta per semestre, della giustificazione della conferma degli interessati sull’elenco controverso, previsto dall’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931. In tale fase, infatti, i fondi sono già congelati e non è quindi più necessario garantire un effetto sorpresa per assicurare l’efficacia delle sanzioni. Qualsiasi decisione successiva di congelamento dei fondi deve quindi essere preceduta da una nuova possibilità di audizione e, eventualmente, da una comunicazione dei nuovi elementi a carico.

132    A tal riguardo, il Tribunale non può accogliere la tesi sostenuta in udienza dal Consiglio e dal Regno Unito, secondo cui, nell’ambito dell’adozione di una decisione successiva di congelamento dei fondi, il Consiglio dovrebbe sentire gli interessati solo qualora questi ultimi ne facciano previamente ed espressamente domanda. Conformemente all’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931, infatti, il Consiglio può adottare una siffatta decisione solo dopo essersi assicurato che la conferma degli interessati sull’elenco controverso rimane giustificata, il che implica che esso ponga questi ultimi previamente in grado di far utilmente valere il loro punto di vista su tale problema.

133    Il Tribunale riconosce poi che, in circostanze quali quelle della fattispecie, ove si controverte di misure cautelari che limitano la disponibilità dei beni di talune persone, gruppi ed entità, nell’ambito della lotta contro il terrorismo, ragioni imperative riguardanti la sicurezza della Comunità e dei suoi Stati membri, o la condotta delle loro relazioni internazionali, possono ostare alla comunicazione agli interessati di taluni elementi a carico e, quindi, all’audizione di questi ultimi su tali stessi elementi durante il procedimento amministrativo (v., analogamente, sentenza Yusuf, punto 29 supra, punto 320).

134    Limitazioni del genere sono conformi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, come hanno fatto valere il Consiglio e il Regno Unito, dopo aver rilevato che diversi Stati membri ammettono eccezioni al diritto generale di essere sentiti nell’ambito di un procedimento amministrativo per motivi di interesse generale, di ordine pubblico o di cura delle relazioni internazionali o ancora qualora la finalità della decisione da adottare fosse o rischiasse di essere pregiudicata (v. gli esempi citati al punto 72 supra).

135    Del resto, esse sono conformi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, anche nel contesto più ristretto di un processo penale in contraddittorio soggetto ai requisiti dell’art. 6 della CEDU, ammette che, in procedimenti relativi alla sicurezza nazionale e più in particolare in materia di terrorismo, talune restrizioni dei diritti della difesa possono essere previste, segnatamente per quanto riguarda la diffusione degli elementi a carico o le modalità di accesso al fascicolo (v., ad esempio, sentenze Chahal c. Regno Unito, 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 131, e Jasper c. Regno Unito 16 febbraio 2000, n. 27052/95, non pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, §§ 51-53 e giurisprudenza ivi citata; v. altresì punto IX.3 degli orientamenti del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa citati al punto 111 supra).

136    Nelle circostanze del caso di specie, tale considerazione si applicano anzitutto alle «prove o [agli] indizi seri e credibili» sui quali si basa la decisione nazionale di avvio di indagini o di azioni penali che possono essere state portate a conoscenza del Consiglio, ma si può ritenere che le restrizioni all’accesso possano riguardare altresì il contenuto preciso o la motivazione particolare della detta decisione, o addirittura l’identità dell’autorità da cui essa emana. Potrebbe anche verificarsi che, in talune circostanze molto particolari, l’identificazione dello Stato membro o del paese terzo in cui un’autorità competente ha adottato una decisione nei confronti di una persona possa nuocere alla pubblica sicurezza, fornendo all’interessato un’informazione sensibile di cui potrebbe fare cattivo uso.

137    Dall’insieme di quanto precede deriva che il principio generale di rispetto dei diritti della difesa esige, a meno che non vi ostino ragioni imperative riguardanti la sicurezza della Comunità o dei suoi Stati membri o la condotta delle loro relazioni internazionali, che gli elementi a carico, come quelli identificati al punto 126 supra, vengano comunicati all’interessato, per quanto possibile, o contemporaneamente all'adozione o al più presto dopo l’adozione di una decisione iniziale di congelamento dei fondi. Alle stesse condizioni, qualsiasi decisione successiva di congelamento dei fondi deve essere in linea di principio preceduta da una comunicazione dei nuovi elementi a carico e da un’audizione. Invece, il rispetto dei diritti della difesa non esige né che gli elementi a carico siano comunicati all’interessato prima dell’adozione di una misura iniziale di congelamento dei fondi, né che quest’ultimo sia sentito successivamente d’ufficio in un contesto siffatto.

–       Obbligo di motivazione

138    Secondo una costante giurisprudenza, l’obbligo di motivare un atto che arreca pregiudizio ha lo scopo di fornire all’interessato indicazioni sufficienti per giudicare se l’atto sia fondato, oppure se sia eventualmente inficiato da un vizio che consente di contestarne la validità e di consentire al giudice comunitario di esercitare il suo sindacato di legittimità su tale atto (sentenze della Corte 2 ottobre 2003, causa C‑199/99 P, Corus UK/Commissione, Racc. pag. I‑11177, punto 145, e 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 462). L’obbligo di motivazione così formulato costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario, al quale si può derogare solo a seguito di ragioni imperative (v. sentenza del Tribunale 29 settembre 2005, causa T‑218/02, Napoli Buzzanca/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-267 e II-1221, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

139    La motivazione, in linea di principio, deve quindi essere comunicata all’interessato contemporaneamente all’atto che gli arreca pregiudizio. La mancanza di motivazione non può essere sanata dal fatto che l’interessato venga a conoscenza dei motivi dell’atto nel corso del procedimento dinanzi alla Corte (sentenze della Corte 26 novembre 1981, causa 195/80, Michel/Parlamento, Racc. pag. 2861, punto 22, e Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 138 supra, punto 463). Infatti, la possibilità di sanare il totale difetto di motivazione dopo che sia stato proposto un ricorso lederebbe il diritto alla difesa del ricorrente. Questi disporrebbe, infatti, solo della replica per esporre i suoi mezzi avverso la motivazione di cui venisse a conoscenza soltanto dopo il deposito dell’atto introduttivo del ricorso. Sarebbe perciò violato il principio dell’eguaglianza delle parti dinanzi al giudice comunitario (sentenze del Tribunale 15 settembre 2005, causa T‑132/03, Casini/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-253 e II-1169, punto 33, e Napoli Buzzanca/Commissione, punto 138 supra, punto 62).

140    Poiché l’interessato non dispone di un diritto di audizione prima dell’adozione di una decisione iniziale di congelamento dei fondi, si deve aggiungere che il rispetto dell’obbligo di motivazione è tanto più importante in quanto costituisce l’unica garanzia che consenta all’interessato, almeno dopo l’adozione di tale decisione, di avvalersi utilmente dei ricorsi a sua disposizione per contestare la legittimità della detta decisione (sentenza del Tribunale 8 dicembre 2005, causa T‑237/00, Reynolds/Parlamento, Racc. PI pagg. I-A-385 e II-1731, punto 95; v. altresì, in tal senso, sentenza del Tribunale 25 giugno 1998, cause riunite T‑371/94 e T‑394/04, British Airways e British Midland Airways/Commissione, Racc. pag. II‑2405, punto 64).

141    Secondo una costante giurisprudenza, la motivazione prescritta dall’art. 253 CE dev’essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e al contesto nel quale è stato adottato. Essa deve fare apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La necessità della motivazione dev’essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo interessate direttamente e individualmente possono avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento del se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’art. 253 CE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia. In particolare, un atto che arreca pregiudizio è sufficientemente motivato quando è stato emanato in un contesto noto al dipendente interessato, che gli consente di comprendere la portata del provvedimento adottato nei suoi confronti (sentenze della Corte 29 ottobre 1981, causa 125/80, Arning/Commissione, Racc. pag. 2539, punto 13; 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63; 30 settembre 2003, causa C‑301/96, Germania/Commissione, Racc. pag. I‑9919, punto 87, e 22 giugno 2004, causa C‑42/01, Portogallo/Commissione, Racc. pag. I‑6079, punto 66; v. sentenza del Tribunale 6 marzo 2003, cause riunite T‑228/99 e T‑233/99, Westdeutsche Landesbank Girozentrale e Land Nordrhein-Westfalen/Commissione, Racc. pag. II‑435, punti 278-280). Inoltre il grado di precisione della motivazione di una decisione dev’essere proporzionato alle possibilità materiali ed alle condizioni tecniche o al tempo disponibile per la sua adozione (v. sentenza Delacre e a./Commissione, punto 83 supra, punto 16 e giurisprudenza ivi citata).

142    Nel contesto dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001, la motivazione di quest’ultima dev’essere valutata anzitutto alla luce delle condizioni legali di applicazione di tale regolamento ad un caso di specie, come quelle enunciate al suo art. 2, n. 3, e, per rinvio, all’art. 1, n. 4, ovvero all’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931, a seconda che si tratti di una decisione iniziale o di una decisione successiva di congelamento dei fondi.

143    A tale riguardo, il Tribunale non può ammettere che, come sostenuto dal Consiglio, la motivazione possa consistere soltanto in una formulazione generica e stereotipata, ricalcata sulla lettera dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001 e dell’art. 1, nn. 4 o 6, della posizione comune 2001/931. Conformemente ai principi rammentati supra, il Consiglio è tenuto a menzionare gli elementi di fatto e di diritto da cui dipende la giustificazione legale della decisione e le considerazioni che l’hanno indotto ad adottarla. La motivazione di una misura siffatta deve quindi indicare le ragioni specifiche e concrete per cui il Consiglio considera applicabile all’interessato la normativa pertinente (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 20 febbraio 2002, causa T‑117/01, Roman Parra/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑27 e II‑121, punto 31, e Napoli Buzzanca/Commissione, punto 138 supra, punto 74).

144    Ciò comporta, in linea di principio, che la motivazione di una decisione iniziale di congelamento dei fondi deve almeno trattare ciascuno degli elementi menzionati al punto 116 supra, nonché, se del caso, gli elementi menzionati ai punti 125 e 126 supra, mentre la motivazione di una decisione successiva di congelamento dei fondi deve indicare le ragioni specifiche e concrete per cui il Consiglio considera ancora giustificato, dopo il riesame, il congelamento dei fondi.

145    Occorre aggiungere che, nell’ambito dell’adozione all’unanimità di una misura di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001, il Consiglio non agisce in forza di una competenza vincolata. L’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, in combinato disposto con l’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931, non può essere inteso nel senso che il Consiglio è obbligato ad includere nell’elenco controverso qualsiasi persona che sembri aver formato oggetto di una decisione adottata da un’autorità competente, ai sensi di tali disposizioni. Tale interpretazione, sostenuta in udienza dal Regno Unito, è confermata dall’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931, al quale rinvia altresì l’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, e ai sensi del quale il Consiglio deve procedere ad un «riesame» a intervalli regolari almeno una volta a semestre, per assicurarsi che la presenza degli interessati sull’elenco controverso «resti giustificato».

146    Ne consegue che, in linea di principio, la motivazione di una misura di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001 deve trattare non solo le condizioni legali di applicazione di tale regolamento, ma anche i motivi per cui il Consiglio considera, nell’esercizio del suo potere discrezionale di valutazione, che l’interessato debba formare oggetto di una misura del genere.

147    Le considerazioni svolte ai punti 143-146 supra devono tuttavia tener conto del fatto che una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001, pur infliggendo una misura individuale di sanzione economica e finanziaria, presenta anche la natura regolamentare tipica di tale atto, come è stato esposto ai punti 97 e 98 supra. D’altra parte, una pubblicazione dettagliata delle censure a carico degli interessati potrebbe non solo essere in contrasto con le ragioni imperative d’interesse generale di cui si tratterà infra, al punto 148, ma anche pregiudicare gli interessi legittimi delle persone ed entità di cui trattasi, in quanto può nuocere gravemente alla loro reputazione. Occorre pertanto ammettere, in via eccezionale, che solo il dispositivo ed una motivazione generica del tipo evocato al punto 143 supra devono comparire nella versione della decisione di congelamento dei fondi pubblicata nella Gazzetta ufficiale, mentre la motivazione specifica e concreta di tale decisione dev’essere formalizzata e portata a conoscenza degli interessati mediante qualsiasi altro strumento appropriato.

148    In circostanze come quelle del caso di specie, si deve peraltro riconoscere che ragioni imperative riguardanti la sicurezza della Comunità e dei suoi Stati membri, o la condotta delle loro relazioni internazionali, possono ostare a che siano rivelati agli interessati i motivi precisi e completi della decisione iniziale o successiva di congelamento dei fondi e a che gli elementi a carico siano loro comunicati durante il procedimento amministrativo. Il Tribunale rinvia, a tal proposito, alle considerazioni già svolte, segnatamente, ai punti 133-137 supra, per quanto riguarda le restrizioni al principio generale di rispetto dei diritti della difesa ammissibili in un contesto del genere. Tali considerazioni valgono, mutatis mutandis, per quanto riguarda le restrizioni ammissibili all’obbligo di motivazione.

149    A tal riguardo, e sebbene non sia applicabile nelle circostanze del caso di specie, il Tribunale ritiene che occorra ispirarsi al dettato della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/965/CEE (GU L 158, pag. 77, rettifica GU L 229, pag. 35, rettifica della rettifica GU 2005, L 197, pag. 34). Essa prevede, al suo art. 30, n. 2, che «[i] motivi circostanziati e completi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica che giustificano l’adozione del provvedimento [che limita la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un membro della sua famiglia] nei suoi confronti sono comunicati all’interessato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato».

150    Conformemente alla giurisprudenza della Corte (sentenze 28 ottobre 1975, causa 36/75, Rutili, Racc. pag. 1219, e 22 maggio 1980, causa 131/79, Santillo, Racc. pag. 1585), sulla direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU n. 56, pag. 850), abrogata dalla direttiva 2004/38 ed il cui l’art. 6 era sostanzialmente identico all’art. 30, n. 2, di quest’ultima, qualsiasi persona tutelata dalle summenzionate disposizioni deve godere di una duplice garanzia, che consiste nella comunicazione della motivazione di ogni provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, sempreché motivi attinenti alla sicurezza dello Stato non vi si oppongano, e nell’attribuzione di un rimedio giuridico. Con la stessa riserva, tale esigenza implica, fra l’altro, da parte dello Stato interessato, la comunicazione al destinatario, all’atto stesso della notifica del provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, della motivazione circostanziata e completa del provvedimento, onde porlo nella condizione di potersi efficacemente difendere.

151    Deriva da quanto precede che, in assenza di ragioni imperative riguardanti la sicurezza della Comunità o dei suoi Stati membri o la condotta delle loro relazioni internazionali che vi ostino e salvo altresì quanto svolto al punto 147 supra, la motivazione di una decisione iniziale di congelamento dei fondi deve trattare almeno, in modo specifico e concreto, ciascuno degli elementi menzionati al punto 116 supra nonché, eventualmente, gli elementi citati ai punti 125 e 126 supra, ed indicare i motivi per cui il Consiglio considera, nell’esercizio del suo potere discrezionale di valutazione, che l’interessato deve formare oggetto di una misura siffatta. D’altra parte, la motivazione di una decisione successiva di congelamento dei fondi deve indicare, alle stesse condizioni, le ragioni specifiche e concrete per cui il Consiglio considera, in seguito al riesame, che il congelamento dei fondi dell’interessato resta giustificato.

–       Diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale

152    Per quanto riguarda, infine, la garanzia relativa al diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale, quest’ultima è efficacemente garantita dal diritto, di cui godono gli interessati, di proporre un ricorso dinanzi al Tribunale avverso la decisione di congelamento dei loro fondi, conformemente all’art. 230, quarto comma, CE (v., in tal senso, Corte europea D.U., sentenza Bosphorus c. Irlanda, 30 giugno 2005, n. 45036/98, Recueil des arrêts et décisions, § 165, e decisione Segi e a. e Gestoras pro Amnistía c. i 15 Stati membri dell’Unione europea, 23 maggio 2002, nn. 6422/02 e 9916/02, Recueil des arrêts et décisions, 2002-V).

153    In tale ambito, il controllo giurisdizionale della legittimità di una decisione di congelamento dei fondi adottata ai sensi dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001 è quello previsto all’art. 230, secondo comma, CE, ai sensi del quale il giudice comunitario è competente a pronunciarsi sui ricorsi di annullamento per incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione del Trattato CE o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione, ovvero per sviamento di potere.

154    Ai sensi di tale controllo, e alla luce dei motivi di annullamento dedotti dall’interessato o rilevati d’ufficio, spetta al Tribunale verificare, in particolare, se siano soddisfatte le condizioni legali di applicazione del regolamento n. 2580/2001 ad un caso di specie, come enunciate all’art. 2, n. 3, di tale regolamento e, per rinvio, o all’art. 1, n. 4, o all’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931, a seconda che si tratti di una decisione iniziale o di una decisione successiva di congelamento dei fondi. Ciò comporta che il controllo giurisdizionale di legittimità della decisione di cui trattasi si estende alla valutazione dei fatti e delle circostanze addotti per giustificarla, nonché alla verifica degli elementi di prova e di informazione su cui è fondata tale valutazione, come espressamente riconosciuto dal Consiglio nelle sue memorie nella causa all’origine della sentenza Yusuf, punto 29 supra (punto 225). Il Tribunale deve anche accertarsi del rispetto dei diritti della difesa e del requisito della motivazione al riguardo, nonché, eventualmente, della fondatezza delle ragioni imperative eccezionalmente fatte valere dal Consiglio per sottrarvisi.

155    Nel caso di specie, tale controllo appare tanto più indispensabile in quanto rappresenta la sola garanzia procedurale che consenta di assicurare il giusto equilibrio fra le esigenze della lotta contro il terrorismo internazionale e la tutela dei diritti fondamentali. Poiché le limitazioni apportate dal Consiglio ai diritti della difesa degli interessati devono essere bilanciate da un severo controllo giurisdizionale indipendente e imparziale (v., in tal senso, sentenza della Corte 2 maggio 2006, causa C‑341/04, Eurofood, Racc. pag. I-3813, punto 66), il giudice comunitario deve poter controllare la legittimità e la fondatezza delle misure di congelamento dei fondi, senza che possano essergli opposti il segreto o la riservatezza degli elementi di prova e di informazione utilizzati dal Consiglio.

156    A tale riguardo, si deve sottolineare che se è vero che la Corte europea dei diritti dell’uomo riconosce che l’utilizzazione di informazioni riservate può rivelarsi indispensabile qualora sia in pericolo la sicurezza nazionale, ciò non significa, a suo avviso, che le autorità nazionali sfuggano a qualsiasi controllo dei tribunali interni per il solo fatto di affermare che la questione riguarda la sicurezza nazionale ed il terrorismo (v. Corte europea D.U., sentenze Chahal c. Regno Unito, punto 135 supra, § 131 e giurisprudenza ivi citata, e Öcalan c. Turchia, 12 marzo 2003, n. 46221/99, non pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, § 106 e giurisprudenza ivi citata).

157    Il Tribunale ritiene che occorra, anche in questo caso, ispirarsi alle disposizioni della direttiva 2004/38. Conformemente alla giurisprudenza della Corte citata al punto 150 supra, tale direttiva prevede, al suo art. 31, n. 1, che le persone interessate hanno accesso ai rimedi giurisdizionali e, eventualmente, amministrativi nello Stato membro ospite per impugnare una decisione adottata nei loro confronti per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di pubblica sanità. D’altronde, ai sensi dell’art. 31, n. 3, di tale direttiva, le procedure di ricorso consentono un esame della legittimità della decisione, nonché dei fatti e delle circostanze che giustificano la misura proposta.

158    La questione se il ricorrente e/o i suoi avvocati possano ricevere comunicazione degli elementi di prova e di informazione di cui si allega la riservatezza, ovvero se la comunicazione di questi ultimi debba essere riservata al solo Tribunale, secondo una procedura particolare che rimane da definire in modo da preservare gli interessi generali in causa pur accordando all’interessato un sufficiente grado di tutela giurisdizionale, rappresenta un problema distinto, su cui non occorre che il Tribunale prenda posizione nell’ambito del ricorso in esame (v. tuttavia Corte europea D. U., sentenze Chahal c. Regno Unito, punto 135 supra, §§ 131 e 144; Tinnelly & Sons e a. e McElduff e a. c. Regno Unito, punto 119 supra, §§ 49, 51, 52 e 78; Jasper c. Regno Unito, punto 135 supra, §§ 51 a 53, e Al-Nashif c. Bulgaria, 20 giugno 2002, n. 50963/99, non pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, §§ 95-97, nonché punto IX.4 degli orientamenti del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa citati al punto 111 supra).

159    Occorre infine ammettere che il Consiglio dispone di un ampio potere discrezionale in merito agli elementi da prendere in considerazione per adottare misure di sanzioni economiche e finanziarie sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, conformemente ad una posizione comune adottata in base alla PESC. Poiché il giudice comunitario non può, in particolare, sostituire la sua valutazione delle prove, dei fatti e delle circostanze che giustificano l’adozione di tali misure a quella svolta dal Consiglio, il controllo esercitato dal Tribunale sulla legittimità di decisioni di congelamento dei fondi dev’essere limitato alla verifica del rispetto delle regole del procedimento e della motivazione, dell’esattezza materiale dei fatti, nonché dell’assenza di un manifesto errore di valutazione e di sviamento di potere. Tale controllo ristretto si applica, in particolare, alla valutazione delle considerazioni di opportunità sulle quali sono fondate decisioni siffatte (v. punto 146 supra e, in tal senso, Corte europea D. U., sentenze Leander c. Svezia, 26 marzo 1987, serie A n. 116, § 59, e Al-Nashif c. Bulgaria, punto 158 supra, §§ 123 e 124).

 Applicazione al caso in esame

160    Il Tribunale rileva, anzitutto, che la normativa pertinente, cioè il regolamento n. 2580/2001 e la posizione comune 2001/931 a cui esso rinvia, non prevede espressamente alcun procedimento di comunicazione degli elementi a carico e di audizione degli interessati, prima o dopo l’adozione di una decisione iniziale di congelamento dei loro fondi ovvero, nel contesto dell’adozione delle decisioni successive, per ottenere la loro cancellazione dall’elenco controverso. Al più è indicato, all’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931, che «i nomi delle persone ed entità riportati nell’elenco in allegato sono riesaminati regolarmente almeno una volta per semestre onde accertarsi che il loro mantenimento nell’elenco sia giustificato», e, all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, che «il Consiglio […] riesamina e modifica l’elenco […] in conformità delle disposizioni di cui all’articolo 1, paragrafi […] 6 della posizione comune 2001/931».

161    Il Tribunale constata poi che in nessun momento prima della proposizione del ricorso in esame gli elementi a carico sono stati comunicati alla ricorrente. Quest’ultima sottolinea giustamente che né la decisione iniziale di congelamento dei fondi né le decisioni successive, compresa la decisione impugnata, menzionano le «informazioni precise» o gli «elementi del fascicolo» che mostrano che nei suoi confronti è stata adottata da un’autorità nazionale competente una decisione che giustifica la sua inclusione nell’elenco controverso.

162    Pertanto, sebbene la ricorrente abbia avuto conoscenza dell’imminenza della sua inclusione nell’elenco controverso e abbia preso l’iniziativa di contattare il Consiglio per tentare di impedire l’adozione di una misura siffatta (v. punto 69 supra), essa non aveva conoscenza degli elementi specificamente fatti valere a suo carico per fondare la sanzione prevista e non era quindi in grado di far conoscere utilmente il suo punto di vista a tal riguardo. Di conseguenza, l’argomento del Consiglio secondo cui la ricorrente è stata sentita prima di procedere al congelamento dei suoi fondi non può essere accolto.

163    Le considerazioni che precedono, dedicate alla verifica del rispetto dei diritti della difesa, sono altresì applicabili, mutatis mutandis, alla verifica del rispetto dell’obbligo di motivazione.

164    Nel caso di specie, né la decisione impugnata, né la decisione 2002/334, da essa aggiornata, soddisfano il requisito della motivazione, come delimitato supra, dato che esse si limitano ad esporre, nel loro secondo ‘considerando’, che è «auspicabile» adottare un elenco aggiornato delle persone, dei gruppi e delle entità ai quali si applica il regolamento n. 2580/2001.

165    Non solo la ricorrente non ha potuto far valere utilmente il suo punto di vista dinanzi al Consiglio, ma, in mancanza di qualsiasi indicazione nella decisione impugnata dei motivi specifici e concreti che la giustificano, essa non è stata nemmeno posta in grado di argomentare il suo ricorso dinanzi al Tribunale, tenuto conto dei rapporti, già sottolineati, esistenti tra la garanzia dei diritti della difesa, quella che deriva dall’obbligo di motivazione e quella del diritto ad un effettivo ricorso giurisdizionale. A tal riguardo, occorre rammentare che la possibilità di sanare un’assenza totale di motivazione dopo la proposizione di un ricorso è attualmente considerata dalla giurisprudenza una violazione dei diritti della difesa (v. punto 139 supra).

166    Anzi, né le memorie presentate dalle diverse parti in causa, né gli elementi del fascicolo prodotti dinanzi al Tribunale consentono a quest’ultimo di svolgere il suo controllo giurisdizionale, in quanto esso non è neanche in grado di determinare con certezza, dopo la chiusura della fase orale, qual è la decisione nazionale menzionata all’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931, su cui è fondata la decisione impugnata.

167    Nel suo atto introduttivo, la ricorrente si è limitata a sostenere che sarebbe stata inclusa nell’elenco controverso «sulla sola base, apparentemente, di documenti prodotti dal regime di Teheran». Nella sua replica, essa ha aggiunto, in particolare, che «nulla [le] consent[iva] […] di conoscere i motivi di fatto della sua iscrizione» sull’elenco controverso, che essa «[era] stata altresì privata di qualsiasi possibilità di accesso al suo fascicolo» e che «i motivi dell’iscrizione [erano] del tutto verosimilmente diplomatici».

168    Nel suo controricorso e nella sua controreplica, il Consiglio si è astenuto dal prendere posizione su tale problema.

169    Nella sua memoria di intervento, il Regno Unito ha rilevato che «[l]a ricorrente non sosten[eva], e nulla lascia[va] pensare, che essa non [fosse] stata inclusa nell’allegato sulla base di una [decisione adottata da un’autorità competente che identifica la ricorrente come coinvolta in attività di terrorismo]». Sembra emergere inoltre da questa stessa memoria che, secondo il Regno Unito, la decisione di cui trattasi sarebbe quella dello Home Secretary 28 marzo 2001, confermata con decisione dello stesso Home Secretary 31 agosto 2001, poi, su ricorso per cassazione, con sentenza della High Court 17 aprile 2002 e infine, su ricorso in appello, con decisione della POAC 15 novembre 2002.

170    Nelle sue osservazioni sulla memoria di intervento, la ricorrente non ha specificamente confutato, e neanche commentato, tali osservazioni del Regno Unito. Alla luce dei motivi e argomenti di ordine generale della ricorrente e, più in particolare, di quanto riportato al punto 167 supra, non è tuttavia possibile accogliere in modo puro e semplice la tesi del Regno Unito. In udienza, la ricorrente ha d’altronde ripetuto di non aver saputo quale fosse l’autorità competente all’origine della decisione nazionale che la riguardava, né sulla base di quali elementi e informazioni tale decisione fosse stata adottata.

171    Al contrario, in udienza, rispondendo ai quesiti posti dal Tribunale, il Consiglio e il Regno Unito non sono stati neanche in grado di dare una risposta coerente alla questione quale fosse la decisione nazionale sulla base della quale è stata adottata la decisione impugnata. Secondo il Consiglio, si tratterebbe unicamente della decisione dello Home Secretary, come confermata dalla POAC (v. punto 169 supra). Secondo il Regno Unito, la decisione impugnata sarebbe fondata non solo sulla detta decisione, ma altresì su altre decisioni nazionali, non altrimenti specificate, adottate dalle autorità competenti in altri Stati membri.

172    E giocoforza constatare quindi che anche al termine della fase orale il Tribunale non è in grado di svolgere il suo controllo sulla legittimità della decisione impugnata.

173    In conclusione, il Tribunale constata che la decisione impugnata non è motivata e che è stata adottata nell’ambito di un procedimento durante il quale non sono stati rispettati i diritti della difesa della ricorrente. Inoltre il Tribunale non è in grado, neanche in questa fase del procedimento, di effettuare il controllo giurisdizionale della legittimità di tale decisione.

174    Tale considerazioni possono solo condurre all’annullamento della decisione impugnata, per la parte in cui essa riguarda la ricorrente, senza che occorra quindi pronunciarsi, nell’ambito della domanda di annullamento, sulle ultime due parti del primo motivo, né sugli altri motivi e argomenti del ricorso.

 Sulla domanda di risarcimento

 Argomenti delle parti

175    La ricorrente non ha presentato alcun elemento di fatto o di diritto a sostegno del capo delle sue conclusioni diretto ad ottenere che il Consiglio sia condannato a versarle un euro a titolo di risarcimento del danno asseritamente subito. Né il Consiglio, né l’interveniente hanno preso posizione su tale domanda nelle loro memorie o in udienza.

 Giudizio del Tribunale

176    Si deve infine ricordare che, ai sensi dell’art. 19 dello Statuto della Corte di giustizia, e dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura del Tribunale, il ricorso deve indicare l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Tale indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza altre informazioni a supporto. Al fine di garantire la certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia è necessario, affinché un ricorso sia considerato ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano, anche sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dall’atto introduttivo stesso (v. sentenza del Tribunale 3 febbraio 2005, causa T‑19/01, Chiquita Brands e a./Commissione, Racc. pag. II‑315, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

177    Per essere conforme a tali requisiti, un ricorso inteso al risarcimento dei danni che si ritengano causati da un’istituzione comunitaria deve contenere elementi che consentano di individuare il comportamento che il ricorrente addebita all’istituzione, le ragioni per le quali egli ritiene che esista un nesso di causalità tra il comportamento e il danno che asserisce di aver subito, nonché il carattere e l’entità del danno (v. sentenze del Tribunale 10 luglio 1997, causa T‑38/96, Guérin automobiles/Commissione, Racc. pag. II‑1223, punti 42 e 43, e Chiquita Brands e a./Commissione, punto 176 supra, punto 65 e giurisprudenza ivi citata). Per contro, una domanda intesa ad ottenere un risarcimento generico manca della precisione necessaria e deve, di conseguenza, essere considerata irricevibile (sentenza Chiquita Brands e a./Commissione, punto 176 supra, punto 66).

178    Più specificamente, una domanda di risarcimento di un danno morale, a titolo simbolico o per ottenere un vero e proprio risarcimento, deve precisare la natura del danno allegato con riguardo al comportamento addebitato alla convenuta e precisare, anche in modo approssimativo, la valutazione di questo danno morale nel suo complesso (v. sentenza del Tribunale 15 giugno 1999, causa T‑277/97, Ismeri Europa/Corte dei Conti, Racc. pag. II‑1825, punto 81 e giurisprudenza ivi citata).

179    Nel caso di specie, la domanda di risarcimento contenuta nell’atto introduttivo deve verosimilmente essere intesa nel senso che è diretta al risarcimento di un danno morale, dato che quest’ultimo è stato valutato in un importo simbolico pari a un euro. Ciò non toglie che la ricorrente non ha precisato la natura e il carattere di tale danno morale, né ha identificato la o le condotte asseritamente colpevoli del Consiglio che sarebbero all’origine di tale danno. Ora, non spetta al Tribunale cercare ed identificare, tra le diverse censure svolte a sostegno della domanda di annullamento, quella o quelle che la ricorrente intende far valere come fondamento della domanda di risarcimento. Non spetta al Tribunale neanche supporre e verificare l’esistenza dell’eventuale nesso di causalità tra la o le condotte considerate in questa o in queste censure ed il danno morale fatto valere.

180    Di conseguenza, la domanda di risarcimento contenuta nell’atto introduttivo manca della più elementare precisione e deve pertanto essere dichiarata irricevibile, tanto più che la ricorrente non ha neanche tentato di rimediare a tale manchevolezza nella sua replica.

181    Ne consegue altresì che non è necessario pronunciarsi, nell’ambito della domanda di risarcimento, sui motivi e argomenti fatti valere dalla ricorrente a sostegno della sua domanda di annullamento, ma non ancora esaminati dal Tribunale (v. punto 174 supra).

 Sulla domanda di riapertura della frase scritta

182    Le considerazioni che hanno indotto il Tribunale ad annullare la decisione impugnata, per la parte in cui essa riguarda la ricorrente, non sono affatto fondate sui nuovi documenti depositati da quest’ultima nella cancelleria il 18 e il 25 gennaio 2006 (v. punti 23 e 24 supra). Sebbene tali documenti siano stati versati al fascicolo (v. punto 31 supra), essi devono quindi essere considerati come privi di qualsiasi rilevanza ai fini della presente sentenza. Non occorre quindi dare seguito alla domanda del Consiglio diretta alla riapertura della frase scritta (v. punto 25 supra).

 Sulle spese

183    A norma dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi. Date le circostanze del caso di specie, va deciso che il Consiglio sopporterà, oltre alle proprie spese, i quattro quinti delle spese della ricorrente.

184    Ai sensi dell’art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura, gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese.

Per questi motivi, il Tribunale (Seconda Sezione)

dichiara:

1)      Il ricorso è in parte irricevibile e in parte infondato in quanto diretto all’annullamento della posizione comune del Consiglio 21 dicembre 2005, 2005/936/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931/PESC e che abroga la posizione comune 2005/847/PESC.

2)      La decisione del Consiglio 21 dicembre 2005, 2005/930/CE, [che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo,] e che abroga la decisione 2005/848/CE, è annullata per la parte in cui riguarda la ricorrente.

3)      La domanda di risarcimento è irricevibile.

4)      Il Consiglio è condannato a sopportare, oltre alle proprie spese, i quattro quinti delle spese della ricorrente.

5)      Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporterà le proprie spese.

 

                         (Seguono le firme)