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Corte di Giustizia delle Comunità europee (Grande Sezione), 8 settembre 2009

 

C-411/06, Commissione delle Comunità europeeParlamento europeo e  Consiglio dell’Unione europea

 

 

Nella causa C‑411/06,

avente ad oggetto il ricorso di annullamento, ai sensi dell’art. 230 CE, proposto il 2 ottobre 2006,

 

Commissione delle Comunità europee,

rappresentata dai sigg. G. Valero Jordana, M. Huttunen e M. Konstantinidis,

in qualità di agenti,

con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

 

contro

 

Parlamento europeo,

rappresentato dalla sig.ra I. Anagnostopoulou e dal sig. U. Rösslein,

in qualità di agenti,

con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

Consiglio dell’Unione europea,

rappresentato dal sig. M. Moore e dalla sig.ra K. Michoel,

in qualità di agenti,

con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuti,

 

sostenuti da:

Repubblica francese,

rappresentata dai sigg. G. de Bergues, A. Adam e G. Le Bras,

in qualità di agenti,

Repubblica d’Austria,

rappresentata dal sig. E. Riedl,

in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord,

rappresentato dalle sig.re E. Jenkinson, E. O’Neil e S. Behzadi‑Spencer,

in qualità di agenti, assistite dal sig. A. Dashwood, barrister,

intervenienti

 

 

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans (relatore), A. Rosas, K. Lenaerts, A. Ó Caoimh e J.‑C. Bonichot, presidenti di sezione, dai sigg. E. Juhász, G. Arestis, A. Borg Barthet, U. Lõhmus, L. Bay Larsen e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig. M.‑A. Gaudissart, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 gennaio 2009,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 marzo 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di annullare il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 14 giugno 2006, n. 1013, relativo alle spedizioni di rifiuti (GU L 190, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento impugnato»), in quanto fondato non sugli artt. 175, n. 1, CE e 133 CE, ma unicamente sull’art. 175, n. 1, CE.

 Contesto normativo

 La convenzione di Basilea

2        Il preambolo della convenzione sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento, firmata a Basilea il 22 marzo 1989, approvata a nome della Comunità con decisione del Consiglio 1° febbraio 1993, 93/98/CEE (GU L 39, pag. 1; in prosieguo: la «convenzione di Basilea»), dall’ottavo al decimo ‘considerando’ così recita:

«Nella convinzione che i rifiuti pericolosi e altri rifiuti dovrebbero, per quanto ciò sia compatibile con una gestione ecologicamente razionale e efficace, essere eliminati nello Stato in cui sono stati prodotti,

Coscienti altresì che i movimenti transfrontalieri di detti rifiuti dallo Stato di produzione verso qualsivoglia altro Stato dovrebbero essere autorizzati solamente quando siano realizzati in condizioni che non comportino pericoli per la salute umana e l’ambiente e siano conformi alle disposizioni della presente convenzione,

Considerando che l’accresciuto controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e altri rifiuti incoraggerà una gestione ecologicamente razionale di tali rifiuti e una riduzione del volume dei movimenti transfrontalieri corrispondenti».

3        L’art. 2, n. 4, di detta convenzione definisce la nozione di «eliminazione» come comprendente «qualsiasi operazione prevista nell’allegato IV della presente convenzione». Detto allegato IV contiene un elenco dei diversi tipi di operazioni di eliminazione fra cui, alla sezione B del medesimo allegato, la categoria delle «operazioni che possono condurre alla possibilità di recuperare, di riciclare, di riutilizzare, di ri‑impiegare direttamente, o a qualsivoglia altro utilizzo dei rifiuti».

 Il regolamento impugnato

4        Il regolamento impugnato è stato adottato per sostituire e aggiornare le disposizioni del regolamento (CEE) del Consiglio 1º febbraio 1993, n. 259, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio (GU L 30, pag. 1). Quest’ultimo regolamento, basato sull’art. 130 S del Trattato CEE (divenuto art. 130 S del Trattato CE, divenuto, a sua volta, in seguito a modifica, art. 175 CE), è stato adottato, in particolare, per attuare gli obblighi derivanti dalla convenzione di Basilea.

5        Dal quinto ‘considerando’ del regolamento impugnato risulta che quest’ultimo è anche diretto ad integrare il contenuto della decisione del Consiglio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (OCSE) 14 giugno 2001, C(2001) 107 def., relativa alla revisione della decisione C(92) 39 def. sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti destinati ad operazioni di recupero (in prosieguo: la «decisione OCSE»), allo scopo di armonizzare gli elenchi di rifiuti con la convenzione di Basilea e rivedere talune altre prescrizioni. Inoltre, in tale occasione è stato deciso, come emerge dal secondo ‘considerando’ del regolamento impugnato, di inserire in un unico testo numerose modifiche apportate al regolamento n. 259/93.

6        Il primo ‘considerando’ del regolamento impugnato dichiara che «[o]biettivo e componente principale e preponderante [di questo] regolamento è la protezione dell’ambiente, essendo i suoi effetti sul commercio internazionale solo incidentali».

7        Secondo il trentatreesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, «[s]i dovrebbero intraprendere i passi necessari per garantire che (...) i rifiuti spediti all’interno della Comunità e quelli importati nella Comunità siano gestiti, per tutta la durata della spedizione, compreso il recupero e lo smaltimento nel paese di destinazione, senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente. Per quanto attiene alle esportazioni non vietate dalla Comunità, dovrebbero essere fatti sforzi per assicurare che i rifiuti siano gestiti secondo metodi ecologicamente corretti per tutta la durata della spedizione, compreso il recupero o lo smaltimento nel paese terzo di destinazione (...)».

8        Il quarantaduesimo ‘considerando’ del regolamento in parola enuncia che, per quanto riguarda la conformità dello stesso con i principi di sussidiarietà e di proporzionalità, «[p]oiché lo scopo del presente regolamento, vale a dire garantire la protezione dell’ambiente quando i rifiuti sono oggetto di spedizione, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a causa delle dimensioni o degli effetti dell’intervento in questione, essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire in base al principio di sussidiarietà (…). Il presente regolamento si limita a quanto è necessario per conseguire tale scopo in ottemperanza al principio di proporzionalità (...)».

9        Ai sensi dell’art. 1, n. 1, del regolamento impugnato, quest’ultimo «istituisce le procedure e i regimi di controllo per le spedizioni di rifiuti in funzione dell’origine, della destinazione e dell’itinerario di spedizione, del tipo di rifiuti spediti e del tipo di trattamento da applicare ai rifiuti nel luogo di destinazione».

10      Ai sensi dell’art. 1, n. 2, del regolamento impugnato:

«Il presente regolamento si applica alle spedizioni di rifiuti:

a)      fra Stati membri, all’interno della Comunità o con transito attraverso paesi terzi;

b)      importati nella Comunità da paesi terzi;

c)      esportati dalla Comunità verso paesi terzi;

d)      in transito nel territorio della Comunità, con un itinerario da e verso paesi terzi».

11      L’art. 2 del regolamento impugnato contiene varie definizioni, fra le quali si annoverano le seguenti:

«30) “importazione”: qualsiasi introduzione di rifiuti nella Comunità, escluso il transito nel territorio della Comunità;

31) “esportazione”: atto mediante il quale i rifiuti lasciano la Comunità, escluso il transito nel territorio della Comunità;

32) “transito”: la spedizione di rifiuti che si effettua o è prevista attraverso uno o più paesi diversi da quello di spedizione o di destinazione;

33) “trasporto”: il trasporto di rifiuti su strada, per ferrovia, per via area, marittima o navigazione interna;

34) “spedizione”: il trasporto di rifiuti destinati al recupero o allo smaltimento previsto o effettuato:

a)       tra un paese ed un altro paese; o

b)       tra un paese e paesi e territori d’oltremare o altre zone, sotto la protezione di tale paese; o

c)       tra un paese e un territorio che non faccia parte di alcun paese in virtù del diritto internazionale; o

d)       tra un paese e l’Antartico; o

e)       da un paese attraverso una delle zone sopra citate; o

f)       all’interno di un paese attraverso una delle zone sopra citate e che ha origine e fine nello stesso paese; o

g)      da una zona geografica non soggetta alla giurisdizione di alcun paese, verso un paese».

12      Il titolo II del regolamento impugnato, che comprende gli artt. 3‑32 del medesimo, è dedicato alle spedizioni all’interno della Comunità, con o senza transito attraverso paesi terzi. Detto titolo contiene il sistema di base del regolamento che stabilisce disposizioni dettagliate relative agli obblighi di notifica, procedurali e di controllo in materia di spedizioni di rifiuti. Ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento di cui trattasi, sono soggetti alla procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte, previste dalle disposizioni del titolo II del medesimo regolamento, le spedizioni di tutti i rifiuti destinati ad operazioni di smaltimento nonché, fra le altre, le spedizioni di rifiuti destinati ad operazioni di recupero che sono riportati nell’allegato IV del regolamento impugnato («elenco ambra»). Detto allegato include anche i rifiuti elencati negli allegati II e VIII della convenzione di Basilea.

13      Nell’ambito della procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte il notificatore deve in particolare fornire, da un lato, ai sensi degli artt. 4, punto 4, e 5 del regolamento impugnato, la prova dell’esistenza di un contratto da esso stipulato con il destinatario relativamente al recupero o smaltimento dei rifiuti notificati e, dall’altro, in conformità agli artt. 4, punto 5, e 6 del regolamento in parola, la prova della costituzione di una garanzia finanziaria o assicurazione equivalente che copra le spese di trasporto, le spese di recupero o smaltimento e quelle di deposito dei rifiuti interessati. In caso di notifica di una spedizione programmata di rifiuti, le autorità competenti possono, basandosi su motivi relativi sostanzialmente alla protezione dell’ambiente, menzionati agli artt. 11 e 12 di detto regolamento, fissare le condizioni cui è subordinata la loro autorizzazione alla spedizione di cui si tratti o sollevare obiezioni motivate a siffatta spedizione.

14      Gli artt. 22‑25 del regolamento impugnato stabiliscono l’obbligo di riprendere i rifiuti, quando una spedizione non può essere portata a termine o in caso di spedizione illegale, e prevedono norme sulle spese per la ripresa dei rifiuti. Disposizioni particolari relative alle spedizioni all’interno della Comunità con transito attraverso paesi terzi sono fissate agli artt. 31 e 32 del regolamento in questione.

15      La procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte non si applica alle spedizioni di rifiuti non pericolosi, elencati segnatamente nell’allegato III del regolamento impugnato («elenco verde»), e destinati a operazioni di recupero. Siffatte spedizioni sono solamente soggette, a termini degli artt. 3, n. 2, e 18, n. 1, del citato regolamento, ad un obbligo generale d’informazione. Ciò nondimeno, in conformità all’art. 18, n. 2, del regolamento in parola, un contratto tra il soggetto che organizza la spedizione e il destinatario incaricato del recupero dei rifiuti deve acquistare efficacia dall’inizio della spedizione e si deve poter fornire la prova del medesimo.

16      Il titolo III del regolamento impugnato concerne le spedizioni di rifiuti effettuate esclusivamente all’interno degli Stati membri. Ai sensi dell’art. 33, n. 1, di detto regolamento, «[g]li Stati membri istituiscono un sistema appropriato di sorveglianza e controllo delle spedizioni di rifiuti esclusivamente all’interno della loro giurisdizione. Tale sistema deve tener conto della necessità di assicurare la coerenza con il sistema comunitario istituito dai titoli II e VII».

17      Il titolo IV del regolamento impugnato si occupa della disciplina relativa alle esportazioni di rifiuti in partenza dalla Comunità e dirette verso paesi terzi. L’art. 34, nn. 1 e 2, di detto regolamento vieta le esportazioni dalla Comunità di rifiuti destinati allo smaltimento, ad eccezione delle esportazioni di rifiuti destinati allo smaltimento nei paesi dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), che aderiscono altresì alla convenzione di Basilea. In tale ultimo caso, secondo l’art. 35 del regolamento in parola, si applicano, mutatis mutandis, le disposizioni del titolo II del medesimo regolamento relative alla procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte, con riserva di adattamenti e integrazioni. Sono parimenti vietate le esportazioni dalla Comunità dei rifiuti compresi nelle categorie elencate nell’art. 36, n. 1, del regolamento impugnato, fra cui compaiono i rifiuti pericolosi destinati al recupero in paesi ai quali non si applica la decisione OCSE. Per ciò che riguarda l’esportazione di rifiuti non pericolosi («elenco verde») destinati a operazioni di recupero in tali ultimi paesi, l’art. 37 del regolamento in parola prevede che la Commissione deve ottenere informazioni relative alle procedure applicabili. Quanto all’esportazione di rifiuti pericolosi e non pericolosi, destinati a operazioni di recupero in paesi ai quali si applica la decisione OCSE, conformemente all’art. 38 di detto regolamento, le disposizioni del titolo II di quest’ultimo sono parimenti applicabili, mutatis mutandis, con riserva di adattamenti e integrazioni.

18      Il titolo V del regolamento impugnato disciplina le importazioni nella Comunità di rifiuti da paesi terzi. Ai sensi dell’art. 41 del menzionato regolamento, le importazioni di rifiuti destinati allo smaltimento sono vietate, ad eccezione di quelli provenienti da paesi aderenti alla convenzione di Basilea o da altri paesi con i quali la Comunità, o la Comunità ed i suoi Stati membri, abbiano concluso accordi o intese bilaterali o multilaterali compatibili con la normativa comunitaria e conformi all’art. 11 di tale convenzione. In tal caso, le disposizioni del titolo II del regolamento in questione, conformemente agli artt. 41, n. 3, e 42 dello stesso, risultano applicabili, mutatis mutandis, con riserva di adattamenti e integrazioni. Secondo l’art. 43, n. 1, del regolamento impugnato, sono vietate tutte le importazioni [nella Comunità] di rifiuti destinati al recupero, ad eccezione di quelli provenienti da paesi ai quali si applica la decisione OCSE, da altri paesi aderenti alla convenzione di Basilea o da altri paesi con i quali la Comunità, o la Comunità ed i suoi Stati membri, hanno concluso accordi o intese bilaterali o multilaterali compatibili con la normativa comunitaria e conformi all’art. 11 della convenzione di Basilea. In tal caso, ai sensi degli artt. 43, n. 3, 44, n. 1, e 45 del regolamento impugnato, letti in combinato disposto con l’art. 42 di quest’ultimo, detto titolo II si applica, mutatis mutandis, con riserva di adattamenti e integrazioni.

19      Il titolo VI del regolamento impugnato stabilisce le norme applicabili al transito di rifiuti nel territorio della Comunità di spedizioni da e verso paesi terzi, che, conformemente agli artt. 47 e 48 di tale regolamento, letti in combinato disposto con gli artt. 42 e 44 di quest’ultimo, richiamano altresì il titolo II del medesimo regolamento.

20      Nel titolo VII del regolamento impugnato sono presenti disposizioni supplementari concernenti l’applicazione di quest’ultimo quanto, segnatamente, alle sanzioni, alla designazione delle autorità competenti e alle relazioni che gli Stati membri sono tenuti a presentare. Fra tali disposizioni, l’art. 49 del regolamento di cui trattasi impone obblighi generali concernenti la tutela dell’ambiente così formulati:

«1.      Il produttore, il notificatore e le altre imprese interessate da una spedizione di rifiuti e/o dal loro recupero o smaltimento adottano i provvedimenti necessari per garantire che tutti i rifiuti che spediscono siano gestiti senza pericolo per la salute umana e secondo metodi ecologicamente corretti per tutta la durata della spedizione e durante il recupero e lo smaltimento. (...)

2.      In caso di esportazioni dalla Comunità, l’autorità competente di spedizione nella Comunità:

a)       impone, e si adopera per garantire, che tutti i rifiuti esportati siano gestiti secondo metodi ecologicamente corretti per tutta la durata della spedizione, compresi il recupero di cui agli articoli 36 e 38 o lo smaltimento di cui all’articolo 34 nel paese terzo di destinazione;

b)       vieta l’esportazione di rifiuti verso paesi terzi se ha motivo di ritenere che essi non saranno gestiti secondo quanto prescritto alla lettera a).

(...)

3.      In caso di importazioni nella Comunità, l’autorità competente di destinazione nella Comunità:

a)       impone e adotta le misure necessarie per garantire che tutti i rifiuti spediti nella zona posta sotto la sua giurisdizione siano gestiti senza pericolo per la salute umana e senza utilizzare processi o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente e a norma dell’articolo 4 della direttiva 2006/12/CE e dell’altra normativa comunitaria sui rifiuti per tutta la durata della spedizione, compresi il recupero o lo smaltimento nel paese di destinazione;

b)       vieta l’importazione di rifiuti da paesi terzi se ha motivo di ritenere che essi non saranno gestiti secondo quanto prescritto alla lettera a)».

 Conclusioni delle parti e procedimento

21      La Commissione conclude che la Corte voglia:

        annullare il regolamento impugnato;

        dichiarare che gli effetti prodotti dall’annullato regolamento sono definitivi durante il periodo necessario a sostituire il regolamento, entro un ragionevole periodo di tempo, con un atto adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea, sul corretto fondamento normativo degli artt. 175, n. 1, CE e 133 CE e legittimamente motivato nei ‘considerando’; e

        condannare il Parlamento e il Consiglio alle spese.

22      Il Parlamento conclude che la Corte voglia:

        respingere integralmente il ricorso; e

        condannare la Commissione alle spese.

23      Il Consiglio, nell’ipotesi in cui il ricorso sia giudicato ricevibile, chiede che la Corte voglia:

        respingerlo integralmente; e

        condannare la Commissione alle spese.

24      Con ordinanza del presidente della Corte 27 febbraio 2007, la Repubblica francese, la Repubblica d’Austria e il Regno di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono stati autorizzati ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Parlamento e del Consiglio.

25      A seguito di una domanda del Parlamento e del Consiglio, presentata ex art. 44, n. 3, secondo comma, del regolamento di procedura della Corte, la causa è stata rinviata dinanzi alla Grande Sezione.

 Sul ricorso

 Sulla ricevibilità

26      Il Consiglio solleva un’eccezione di irricevibilità relativa alla circostanza che la Commissione, nel suo ricorso, contrariamente a quanto richiesto dall’art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura, non precisa le disposizioni del regolamento impugnato che, a suo parere, dovrebbero essere fondate sull’art. 133 CE, quelle che dovrebbero essere fondate sull’art. 175, n. 1, CE, nonché, eventualmente, le disposizioni che dovrebbero basarsi su entrambi gli articoli menzionati.

27      Secondo l’art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura, il ricorso deve indicare l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Tale indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire al convenuto di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo controllo. Ne discende che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali un ricorso si basa devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso stesso (sentenze 26 aprile 2007, causa C‑195/04, Commissione/Finlandia, Racc. pag. I‑3351, punto 22, e 21 febbraio 2008, causa C‑412/04, Commissione/ Italia, Racc. pag. I‑619, punto 103).

28      In proposito occorre constatare che, indicando nel suo ricorso che sarebbe stato doveroso fondare il regolamento impugnato sugli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE ed esponendo i motivi per i quali essa ritiene che ricorrano le condizioni del ricorso a siffatto doppio fondamento normativo, la Commissione soddisfa gli obblighi imposti dall’art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura. Detto ricorso, infatti, ha manifestamente consentito ai convenuti e agli Stati membri intervenienti di presentare la loro posizione con cognizione di causa. Contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio, non è necessario che un ricorso che mette in discussione il fondamento normativo di un atto comunitario, sostenendo che sarebbe stato doveroso basare quest’ultimo su un doppio fondamento normativo, precisi quali siano le parti o le disposizioni dell’atto impugnato riconducibili all’uno o all’altro dei fondamenti normativi invocati, o ad entrambi contemporaneamente.

29      Di conseguenza, il ricorso della Commissione è ricevibile.

 Nel merito

 Argomenti delle parti

30      La Commissione deduce un motivo unico, relativo alla violazione del Trattato CE risultante dalla scelta del Parlamento e del Consiglio di basare il regolamento impugnato sul solo art. 175, n. 1, CE e non sugli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE, come invece essa aveva proposto. La scelta di un doppio fondamento normativo s’imporrebbe tenuto conto della circostanza che tale regolamento comprende, riguardo sia alla sua finalità che al suo contenuto, due componenti indissociabili, l’una attinente alla politica commerciale comune e l’altra alla tutela dell’ambiente, le quali non possono essere considerate secondarie o indirette l’una rispetto all’altra.

31      La Commissione ricorda che, secondo costante giurisprudenza, l’ambito di applicazione della politica commerciale comune va interpretato in senso lato, e che una misura che regola il commercio con i paesi terzi non cessa di essere una misura di politica commerciale per il semplice motivo che è funzionale anche a scopi relativi a settori diversi dal commercio, come la tutela dell’ambiente. In tale contesto essa fa riferimento all’art. 6 CE, in forza del quale esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie di cui all’art. 3 CE.

32      Riguardo al legame fra il regolamento impugnato e la politica commerciale comune, la Commissione afferma che la formulazione dell’art. 1, n. 2, del regolamento in parola dimostra che quest’ultimo non è unicamente diretto a disciplinare le spedizioni di rifiuti nella Comunità a fini puramente ambientali, ma che ricomprende anche le importazioni nella Comunità di rifiuti provenienti da paesi terzi, le esportazioni di rifiuti dalla Comunità verso paesi terzi e il transito di rifiuti attraverso la Comunità con un itinerario da e verso paesi terzi. Essa aggiunge che, poiché i rifiuti sono «merci» ai fini della libera circolazione delle merci nella Comunità, non vi è dubbio che l’importazione, l’esportazione e il transito di tali merci, disciplinati in particolare ai titoli IV‑VI del regolamento di cui trattasi, attengono alla politica commerciale comune.

33      Nei termini in cui il carattere ambientale del regolamento impugnato risulta dalle finalità di tutela dell’ambiente perseguite dalla convenzione di Basilea, la Commissione, pur sottolineando che detta convenzione ha un’importante dimensione di politica commerciale, come emergerebbe dalla circostanza che è stata presa in considerazione nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), fa osservare che il regolamento in parola ha una portata ben più ampia della citata convenzione. Quest’ultima, infatti, si applicherebbe solamente ai movimenti di rifiuti pericolosi destinati allo smaltimento, mentre il regolamento impugnato concernerebbe tutti i rifiuti, pericolosi o meno, e destinati o meno allo smaltimento o al recupero.

34      Per quanto riguarda la possibilità di basare un regolamento su di un doppio fondamento normativo costituito dagli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE, la Commissione osserva che la Corte, nella sua sentenza 10 gennaio 2006, causa C‑178/03, Commissione/Parlamento e Consiglio (Racc. pag. I‑107), relativa al fondamento normativo del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, n. 304, sull’esportazione ed importazione di prodotti chimici pericolosi (GU L 63, pag. 1), ha riconosciuto che, sia sotto il profilo delle finalità sia sotto quello del contenuto, il menzionato regolamento presentava componenti commerciali e ambientali indissolubilmente connesse, tanto da rendere necessario il ricorso a siffatto doppio fondamento normativo.

35      In detto contesto la Commissione rinvia a svariati atti comunitari adottati su di un doppio fondamento normativo costituito dagli artt. 113 del Trattato CEE (divenuto art. 113 del Trattato CE, il medesimo divenuto, in seguito a modifica, art. 133 CE) e 130 S del Trattato CEE, ossia, segnatamente, il regolamento (CEE) del Consiglio 4 novembre 1991, n. 3254, che vieta l’uso di tagliole nella Comunità e l’introduzione nella Comunità di pellicce e di prodotti manifatturati di talune specie di animali selvatici originari di paesi che utilizzano per la loro cattura tagliole o metodi non conformi alle norme concordate a livello internazionale in materia di cattura mediante trappole senza crudeltà (GU L 308, pag. 1), la decisione del Consiglio 23 marzo 1998, 98/392/CE, concernente la conclusione, da parte della Comunità europea, della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 e dell’accordo del 28 luglio 1994 relativo all’attuazione delle parte XI della convenzione (GU L 179, pag. 1), nonché il regolamento (CE) del Consiglio 29 aprile 1999, n. 1420, recante regole e procedure comuni per le spedizioni di determinati tipi di rifiuti verso taluni paesi non appartenenti all’OCSE (GU L 166, pag. 6). Il Consiglio avrebbe quindi già ammesso la possibilità di adottare atti sul doppio fondamento normativo in questione. Nella misura in cui il regolamento impugnato prevede norme analoghe a quelle contenute nel regolamento n. 1420/1999, la Commissione considera che, se il Consiglio non accettasse che il complesso del regime delle spedizioni verso paesi non appartenenti all’OCSE di rifiuti destinati a operazioni di recupero debba essere basato sul doppio fondamento normativo proposto, si porrebbe in contraddizione con quanto ammesso dal medesimo avendo adottato quest’ultimo regolamento.

36      Secondo la Commissione l’art. 176 CE non osta all’applicazione in combinato disposto degli artt. 133 CE e 175 CE come fondamento normativo di un atto comunitario. Se tale atto, infatti, dovesse disciplinare una data materia in modo più dettagliato, la possibilità per gli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore sarebbe necessariamente limitata. Inoltre, dalla seconda frase dell’art. 176 CE risulterebbe che tali provvedimenti debbano essere compatibili con le altre disposizioni del Trattato, compreso l’art. 133 CE.

37      La Commissione sottolinea che la questione del fondamento normativo non può essere considerata di natura puramente formale, dal momento che la scelta fra gli artt. 133 CE e 175 CE comporta significative implicazioni relativamente alla suddivisione delle competenze fra la Comunità ed i suoi Stati membri, poiché il primo di detti articoli assegna una competenza esclusiva alla Comunità, mentre il secondo attribuisce competenze condivise. La scelta dell’art. 175, n. 1, CE quale solo fondamento normativo del regolamento impugnato implicherebbe una competenza degli Stati membri a disciplinare le esportazioni e le importazioni di rifiuti, il che avrebbe immancabilmente l’effetto di falsare la concorrenza fra imprese degli Stati membri nei mercati esterni e di creare perturbazioni nel mercato interno della Comunità.

38      Il Parlamento e il Consiglio ritengono che da un’analisi della struttura e del contenuto del regolamento impugnato emerga chiaramente che quest’ultimo persegue uno scopo principale, vale a dire la protezione dell’ambiente. Mentre il primo e il quarantaduesimo ‘considerando’ del regolamento in parola fanno menzione espressa dello scopo citato, gli altri ‘considerando’ del medesimo regolamento non presenterebbero riferimenti al perseguimento di obiettivi della politica commerciale comune. Le istituzioni di cui trattasi pongono in evidenza che detto regolamento si prefigge lo stesso scopo principale e segue la stessa struttura di base del regolamento n. 259/93, fondato solamente sull’art. 130 S del Trattato CEE. La vocazione ambientalista del regolamento impugnato emergerebbe parimenti dalla circostanza che, così come il suo predecessore, il regolamento n. 259/93, è diretto a realizzare gli obblighi risultanti dalla convenzione di Basilea, la quale è stata classificata dall’OMC come accordo multilaterale in materia di protezione dell’ambiente ed è stata conclusa in nome della Comunità con la decisione 93/98, adottata sulla base dell’art. 130 S del Trattato CEE.

39      Riguardo al contenuto del regolamento impugnato, il Parlamento e il Consiglio affermano che il sistema previsto al titolo II del citato regolamento, il quale contiene le disposizioni fondamentali che disciplinano le spedizioni di rifiuti, si applica, mutatis mutandis, ai titoli IV‑VI di quest’ultimo, che disciplinano le spedizioni extracomunitarie di rifiuti. Le istituzioni menzionate sottolineano che eventuali obiezioni sollevate riguardo a spedizioni di rifiuti possono essere fondate unicamente su motivi connessi all’ambiente. Insistono, inoltre, sull’importanza dell’obbligo generale di protezione dell’ambiente previsto all’art. 49 del regolamento impugnato, applicabile ugualmente sia alle importazioni come alle esportazioni. Detto regolamento stabilirebbe pertanto un insieme coerente di norme dirette a tutelare l’ambiente, che non agevolerebbero assolutamente gli scambi, bensì, al contrario, li ostacolerebbero.

40      Quanto all’argomento della Commissione, secondo cui il fondamento normativo corretto per le spedizioni intracomunitarie di rifiuti disciplinate dal titolo II del regolamento impugnato sarebbe costituito dall’art. 175 CE, mentre, relativamente alle spedizioni di rifiuti fra la Comunità e paesi terzi disciplinate dai titoli IV‑VI del citato regolamento, sarebbe necessario basarsi sull’art. 133 CE, una posizione del genere non sarebbe conforme alla scelta di applicare il medesimo sistema, di cui al titolo II del regolamento impugnato, sia alle spedizioni intracomunitarie di rifiuti che alle spedizioni extracomunitarie di rifiuti. Siffatta posizione, inoltre, priverebbe la politica comunitaria in materia di ambiente di qualsivoglia possibilità di azione esterna ogni volta che possa concernere merci.

41      Relativamente al richiamo, da parte della Commissione, alla citata sentenza Commissione/Parlamento e Consiglio, il Parlamento osserva che quest’ultima non ha dimostrato in che misura il regolamento impugnato sarebbe paragonabile al regolamento n. 304/2003 di cui trattavasi nella causa all’origine di detta sentenza, né che gli scopi e i contenuti di questi due regolamenti presenterebbero caratteristiche identiche, le quali autorizzerebbero una conclusione analoga per ciò che concerne i rispettivi fondamenti normativi.

42      Da parte sua il Consiglio considera che la citata sentenza implica logicamente che le parti del regolamento impugnato relative alle spedizioni di rifiuti fra la Comunità e i paesi terzi devono basarsi su di un doppio fondamento normativo costituito dagli artt. 133 CE e 175 CE, mentre le altre parti del medesimo devono avere, per contro, quale fondamento normativo unico l’art. 175 CE. Orbene, siffatto risultato sarebbe difficilmente conciliabile con la giurisprudenza della Corte sul criterio della finalità principale, dal momento che la Commissione sembra avere riconosciuto che le dette altre parti del regolamento impugnato sono state validamente adottate sulla base dell’art. 175 CE. Anche volendo ammettere che le parti del regolamento in parola relative alle spedizioni di rifiuti fra la Comunità e i paesi terzi si prefiggano uno scopo ricollegabile alla politica commerciale comune, detto scopo presenterebbe manifestamente, alla luce dell’obiettivo e del contenuto del citato regolamento preso «nel suo complesso», solamente un carattere secondario rispetto allo scopo principale perseguito da quest’ultimo.

43      Il Parlamento e il Consiglio esprimono seri dubbi quanto alla possibilità di utilizzare congiuntamente gli artt. 133 CE e 175 CE come fondamento normativo di un atto comunitario, poiché la competenza della Comunità in ambito di politica commerciale è di natura esclusiva, pur essendo condivisa con gli Stati membri nell’ambito della politica dell’ambiente. In siffatte circostanze le menzionate istituzioni si raffigurano con difficoltà come l’art. 176 CE potrebbe essere applicato nel contesto di un atto fondato al tempo stesso sull’art. 133 CE e sull’art. 175 CE. Se così fosse, l’intenzione manifesta degli autori del Trattato si troverebbe compromessa.

44      Gli Stati membri intervenienti fanno sostanzialmente valere un’argomentazione analoga a quella dedotta dal Parlamento e dal Consiglio.

 Giudizio della Corte

45      In via preliminare occorre ricordare che, in forza di una giurisprudenza costante, la scelta del fondamento normativo di un atto deve basarsi su elementi oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell’atto (v. sentenze Commissione/Parlamento e Consiglio, cit., punto 41, nonché 6 novembre 2008, causa C‑155/07, Parlamento/Consiglio, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 34).

46      Se l’esame di un atto comunitario dimostra che esso persegue un duplice scopo o che possiede una doppia componente e se uno di questi scopi o di queste componenti è identificabile come principale o preponderante, mentre l’altro è solo accessorio, l’atto deve basarsi su un solo fondamento normativo, ossia quello richiesto dallo scopo o dalla componente principale o preponderante (v. citate sentenze Commissione/Parlamento e Consiglio, punto 42, nonché Parlamento/Consiglio, punto 35).

47      In via eccezionale, ove sia provato, per contro, che l’atto persegue contemporaneamente più obiettivi tra loro inscindibili, senza che uno di essi assuma importanza secondaria e indiretta rispetto all’altro, un atto siffatto dovrà basarsi sui diversi fondamenti normativi volta a volta pertinenti (v. sentenze 11 settembre 2003, causa C‑211/01, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑8913, punto 40, nonché Commissione/Parlamento e Consiglio, cit., punto 43).

48      Nel caso in esame non è posta in discussione la circostanza che il regolamento impugnato persegua lo scopo di proteggere l’ambiente e che, di conseguenza, sia stato, perlomeno in parte, validamente fondato sull’art. 175, n. 1, CE. La controversia verte unicamente sulla questione se il regolamento in parola si prefigga anche uno scopo di politica commerciale comune e contenga componenti attinenti a detta politica connesse in modo inscindibile a componenti dirette alla protezione dell’ambiente, di importanza tale che sarebbe stato doveroso basare l’atto di cui trattasi su un doppio fondamento normativo, ossia gli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE.

49      Nelle condizioni suesposte occorre accertare se lo scopo e le componenti del regolamento impugnato concernenti la protezione dell’ambiente debbano essere considerati principali o preponderanti.

50      Ciò si verifica nella fattispecie.

51      Relativamente, in primo luogo, allo scopo del regolamento impugnato, il primo ‘considerando’ di quest’ultimo sottolinea che «[o]biettivo e componente principale e preponderante [di questo] regolamento è la protezione dell’ambiente». Benché contestata dalla Commissione, detta affermazione è ripresa al quarantaduesimo ‘considerando’ del regolamento in parola, che figurava nella proposta della Commissione relativa allo stesso regolamento e che dichiara che lo scopo del regolamento impugnato è «garantire la protezione dell’ambiente quando i rifiuti sono oggetto di spedizione».

52      Gli altri ‘considerando’ del regolamento impugnato confermano la vocazione ambientalista del medesimo. Così come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 18 delle sue conclusioni, eccetto il sedicesimo e il diciannovesimo ‘considerando’ di detto regolamento, che si riferiscono al corretto funzionamento del mercato interno, tutti i ‘considerando’ del medesimo evocano, più o meno direttamente, preoccupazioni per l’ambiente.

53      A titolo d’esempio, il trentatreesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato sottolinea che, riguardo ai rifiuti spediti all’interno della Comunità e a quelli importati nella Comunità, si devono intraprendere i passi necessari per garantire che tali rifiuti siano gestiti, per tutta la durata della spedizione, compreso il recupero e lo smaltimento nel paese di destinazione, «senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente», e che, relativamente alle esportazioni dalla Comunità, vanno «fatti sforzi per assicurare che i rifiuti siano gestiti secondo metodi ecologicamente corretti per tutta la durata della spedizione, compreso il recupero o lo smaltimento nel paese terzo di destinazione».

54      Per contro, e come hanno fatto osservare il Parlamento e il Consiglio, il preambolo del regolamento impugnato non menziona benché minimamente il perseguimento di scopi attinenti alla politica commerciale comune.

55      Relativamente, in secondo luogo, al contenuto del regolamento impugnato, l’art. 1 di quest’ultimo dichiara che il regolamento «istituisce le procedure e i regimi di controllo per le spedizioni di rifiuti in funzione dell’origine, della destinazione e dell’itinerario di spedizione, del tipo di rifiuti spediti e del tipo di trattamento da applicare ai rifiuti nel luogo di destinazione». Come risulta dalla sintesi del contenuto del citato regolamento ai punti 12‑19 della presente sentenza, lo strumento principale che esso stabilisce è costituito dalla procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte, le cui modalità sono previste in dettaglio dalle disposizioni del titolo II del medesimo regolamento relativo alle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità. La procedura menzionata è applicabile, ex art. 3, n. 1, del regolamento impugnato, alle spedizioni intracomunitarie di tutti i rifiuti destinati ad operazioni di smaltimento, nonché alle spedizioni di rifiuti destinati ad operazioni di recupero.

56      La procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte è caratterizzata da svariati elementi diretti a garantire che le spedizioni di rifiuti siano realizzate nel rispetto della protezione dell’ambiente. Nell’ambito, quindi, della procedura in questione, ai sensi degli artt. 4, punto 4, 5 e 22‑24 del regolamento impugnato, il notificatore di una spedizione di rifiuti deve fornire la prova dell’esistenza di un contratto da esso stipulato con il destinatario, che preveda obblighi relativi al recupero o smaltimento dei rifiuti notificati, così come l’obbligo per il notificatore di riprendere i rifiuti quando una spedizione non abbia potuto effettuarsi o in caso di spedizione illegale.

57      Inoltre, conformemente agli artt. 4, punto 5, e 6 del regolamento impugnato, il notificatore deve costituire una garanzia finanziaria o assicurazione equivalente che copra le spese di trasporto, le spese di recupero o smaltimento e quelle di deposito dei rifiuti interessati.

58      Quanto all’effettuazione di una spedizione di rifiuti notificata, le autorità competenti, quando fanno uso della facoltà, prevista agli artt. 9‑12 del regolamento impugnato, di fissare le condizioni cui è subordinata la loro autorizzazione ad una spedizione notificata o di sollevare obiezioni motivate a siffatta spedizione, devono basarsi principalmente su motivi relativi al rispetto della normativa in materia di protezione dell’ambiente.

59      Ne consegue che, esattamente come la procedura di previo consenso informato fissata dal protocollo di Cartagena sulla sicurezza biologica, la procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte prevista dal regolamento impugnato può essere qualificata come strumento tipico della politica dell’ambiente (v., in tal senso, parere 6 dicembre 2001, 2/00, Racc. pag. I‑9713, punto 33).

60      Come ricordato ai punti 17 e 18 della presente sentenza, la procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte, di cui al titolo II del regolamento impugnato, applicabile alle spedizioni intracomunitarie di rifiuti, si applica inoltre, mutatis mutandis, con riserva di integrazioni e adattamenti previsti dalle pertinenti disposizioni del regolamento in parola, alle spedizioni di rifiuti fra la Comunità e i paesi terzi allorché le esportazioni dalla Comunità o le importazioni nella Comunità non sono vietate ai sensi delle disposizioni dei titoli IV e V di detto regolamento. Ciò si verifica in forza degli artt. 35 e 42 del medesimo regolamento, relativamente alle esportazioni dalla Comunità verso i paesi EFTA aderenti alla convenzione di Basilea sui rifiuti destinati allo smaltimento, così come alle importazioni nella Comunità di siffatti rifiuti provenienti da paesi aderenti alla citata convenzione. Ciò vale ugualmente, ai sensi degli artt. 38 e 44 del regolamento impugnato, rispetto alle esportazioni e alle importazioni fra la Comunità e i paesi cui si applica la decisione OCSE sui rifiuti destinati a operazioni di recupero. Analoga disciplina è applicabile, ex artt. 47 e 48 del regolamento in questione, letti in combinato disposto con gli artt. 42 e 44 di quest’ultimo, riportati al titolo VI di detto regolamento, alle spedizioni di rifiuti in transito attraverso la Comunità da e verso paesi terzi.

61      Va anche messo in evidenza l’obbligo, imposto dall’art. 49 del regolamento impugnato al produttore, al notificatore e alle altre imprese interessate da una spedizione di rifiuti e/o dal recupero o smaltimento di questi ultimi, di adottare «i provvedimenti necessari per garantire che tutti i rifiuti che spediscono siano gestiti senza pericolo per la salute umana e secondo metodi ecologicamente corretti per tutta la durata della spedizione e durante il recupero e lo smaltimento». Detto obbligo, di carattere generale, vale per tutte le spedizioni di rifiuti, sia all’interno della Comunità che, mutatis mutandis ai sensi del citato art. 49, nn. 2 e 3, fra la Comunità e i paesi terzi.

62      Emerge pertanto dall’analisi del regolamento impugnato che quest’ultimo persegue primariamente, tanto per i suoi scopi quanto per il suo contenuto, la protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi che possono derivare dalle spedizioni internazionali di rifiuti.

63      Più specificamente, nella misura in cui la procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte si prefigge chiaramente un obiettivo di protezione dell’ambiente nell’ambito delle spedizioni di rifiuti fra gli Stati membri e, di conseguenza, è stata correttamente fondata sull’art. 175, n. 1, CE, sarebbe incoerente considerare che la stessa procedura, quando si applica alle spedizioni di rifiuti fra gli Stati membri e i paesi terzi con il medesimo scopo di protezione dell’ambiente, come conferma il trentatreesimo ‘considerando’ del regolamento impugnato, abbia il carattere di strumento di politica commerciale comune e, per tale motivo, debba quindi essere fondata sull’art. 133 CE.

64      Siffatta conclusione è corroborata da un’analisi del contesto legislativo in cui s’inserisce il regolamento impugnato.

65      Da un lato, detto regolamento sostituisce il regolamento n. 259/93 il quale, pur prevedendo, segnatamente ai titoli IV‑VI, un sistema analogo a quello previsto ai titoli IV‑VI del regolamento impugnato per le importazioni e le esportazioni di rifiuti fra la Comunità e taluni paesi terzi, così come per il transito nella Comunità di rifiuti provenienti da paesi terzi, è stato adottato sul fondamento dell’art. 130 S del Trattato CEE. La scelta di tale fondamento normativo è stata confermata dalla Corte nella sentenza 28 giugno 1994, causa C‑187/93, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑2857), in opposizione a quello costituito dall’art. 100 A del Trattato CEE (divenuto art. 100 A [del Trattato] CE, divenuto, a sua volta, in seguito a modifica, art. 95 CE). Si aggiunga che la Corte ha parimenti constatato che il controllo e la sorveglianza istituiti dal regolamento n. 259/93 mirano a proteggere l’ambiente, non soltanto nella Comunità, ma anche nei paesi terzi nei quali i rifiuti sono esportati a partire da essa (v. sentenza 21 giugno 2007, causa C‑259/05, Omni Metal Service, Racc. pag. I‑4945, punto 30).

66      D’altro canto, il regolamento impugnato si propone, proprio come il suo predecessore, il regolamento n. 259/93, come risulta dal suo terzo ‘considerando’, di realizzare gli obblighi derivanti dalla convenzione di Basilea. Orbene, la vocazione ambientalista della menzionata convenzione emerge chiaramente dal preambolo della stessa, che dichiara che «i movimenti transfrontalieri [di rifiuti pericolosi e di altri rifiuti] dallo Stato di produzione verso qualsivoglia altro Stato dovrebbero essere autorizzati solamente quando siano realizzati in condizioni che non comportino pericoli per la salute umana e l’ambiente» e pone in evidenza la necessità «di una gestione ecologicamente razionale di tali rifiuti». In armonia con siffatti scopi, la convenzione in parola, la quale, come fatto osservare dal Parlamento e dal Consiglio, è stata classificata dall’OMC accordo multilaterale in materia di protezione dell’ambiente, è stata approvata per la Comunità con decisione 93/98, adottata sul solo fondamento dell’art. 130 S del Trattato CEE.

67      Relativamente all’argomento della Commissione secondo cui il regolamento impugnato avrebbe una portata più ampia della convenzione di Basilea, tenuto conto della circostanza che si applicherebbe a tutti i rifiuti destinati allo smaltimento e al recupero, mentre la citata convenzione concernerebbe unicamente i rifiuti pericolosi destinati allo smaltimento, poiché tale differenza rivelerebbe una dimensione di politica commerciale del regolamento in questione, si deve osservare che dall’art. 2, punto 4, della menzionata convenzione, letto in combinato disposto con l’allegato IV, parte B, di quest’ultima, risulta che il termine «smaltimento» utilizzato nell’ambito di detta convenzione include «[o]perazioni che possono condurre alla possibilità di recuperare, di riciclare, di riutilizzare, di ri‑impiegare direttamente, o a qualsivoglia altro utilizzo dei rifiuti». Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 33 delle sue conclusioni, la circostanza che il regolamento impugnato si applichi anche ai rifiuti non pericolosi e ai rifiuti destinati ad essere recuperati non significa che esso presenti un carattere commerciale, e non ridimensiona la sua portata ambientale in quanto il carattere nocivo per l’ambiente inerisce alla natura stessa di qualsivoglia rifiuto (v., in tal senso, sentenza 18 aprile 2002, causa C‑9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I‑3533, punti 36 e 45‑51).

68      L’analisi suesposta non può essere invalidata dall’argomentazione della Commissione secondo cui i titoli IV‑VI del regolamento impugnato, relativi alle esportazioni, alle importazioni e al transito di rifiuti, devono fondarsi sull’art. 133 CE poiché i rifiuti sono merci che possono essere oggetto di operazioni commerciali e che la nozione di politica commerciale comune è da interpretarsi in senso lato, in quanto comprende misure commerciali che perseguono parimenti scopi in altri ambiti, inclusa la protezione dell’ambiente. Detta analisi non può nemmeno essere inficiata dalla circostanza che, secondo la terminologia impiegata dall’art. 1, n. 2, del regolamento di cui trattasi, le spedizioni di rifiuti fra la Comunità e i paesi terzi sono qualificate «importazioni» ed «esportazioni».

69      A tal proposito va ricordato che la procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte si applica a tutte le spedizioni di rifiuti indipendentemente dal contesto eventualmente commerciale in cui siano state effettuate. Il termine «spedizione» è definito all’art. 2, punto 34, del regolamento impugnato, in modo neutro, come «il trasporto di rifiuti destinati al recupero o allo smaltimento (…)». Il termine «trasporto», a sua volta, è definito all’art. 2, punto 33, del medesimo regolamento come «il trasporto di rifiuti su strada, per ferrovia, per via area, marittima o navigazione interna». Quanto alle nozioni di «importazione» ed «esportazione», anch’esse sono definite all’art. 2, punti 30 e 31 del citato regolamento, in termini neutri, come, rispettivamente, «qualsiasi introduzione di rifiuti nella Comunità (…)» e «atto mediante il quale i rifiuti lasciano la Comunità (…)». Il regolamento impugnato mette quindi l’accento sul trasporto dei rifiuti al fine del loro trattamento piuttosto che sullo spostamento a fini commerciali degli stessi. Anche volendo supporre che i rifiuti siano spediti nell’ambito di scambi commerciali, resta comunque il fatto che la procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte è diretta esclusivamente a prevenire i rischi per la salute umana e l’ambiente derivanti da tali spedizioni e non a promuovere, ad agevolare oppure a disciplinare gli scambi commerciali (v., per analogia, parere 2/00, cit., punti 37 e 38).

70      Inoltre, un’interpretazione lata della nozione di politica commerciale comune non può rimettere in discussione la constatazione che il regolamento impugnato è uno strumento che rientra essenzialmente nell’ambito della politica di protezione dell’ambiente. Come già dichiarato dalla Corte, un atto comunitario può rientrare in detto ambito anche se le misure di prevenzione da esso previste possono incidere sugli scambi commerciali (v., in tal senso, parere 2/00, cit., punto 40).

71      Un atto comunitario, infatti, rientra nella competenza esclusiva in materia di politica commerciale comune prevista dall’art. 133 CE solo se verte specificamente sugli scambi internazionali in quanto sia sostanzialmente destinato a promuovere, facilitare o disciplinare gli scambi commerciali ed abbia effetti diretti ed immediati sul commercio o gli scambi dei prodotti interessati (v. sentenza 12 maggio 2005, causa C‑347/03, Regione autonoma Friuli‑Venezia Giulia e ERSA, Racc. pag. I‑3785, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).

72      Il che, manifestamente, non si verifica nel caso di specie. Infatti, esattamente come il suo predecessore, l’obiettivo del regolamento impugnato non è quello di definire le caratteristiche che devono possedere i rifiuti per circolare liberamente nel mercato interno o nell’ambito di scambi commerciali con i paesi terzi, bensì di fornire un sistema armonizzato di procedimenti attraverso i quali limitare la circolazione dei rifiuti, al fine di garantire la tutela dell’ambiente (v., in tal senso, sentenza 28 giugno 1994, Parlamento/Consiglio, cit., punto 26).

73      Riguardo all’argomento della Commissione secondo cui la Corte, nella fattispecie, dovrebbe applicare la soluzione accolta nella citata sentenza Commissione/Parlamento e Consiglio, si deve sottolineare che il regolamento n. 304/2003, in questione in tale causa, relativo alle esportazioni e alle importazioni di prodotti chimici pericolosi, non è paragonabile al regolamento impugnato.

74      Il regolamento n. 304/2003 è diretto in primo luogo ad attuare la convenzione di Rotterdam concernente la procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale, approvata, a nome della Comunità europea, con decisione del Consiglio 19 dicembre 2002, 2003/106/CE (GU 2003, L 63, pag. 27; in prosieguo: la «convenzione di Rotterdam»). Orbene, tenuto conto dell’evidente convergenza esistente fra le disposizioni della convenzione in parola e quelle del regolamento che la attua a livello comunitario, la Corte ha considerato che l’identità di fondamento normativo fra la decisione d’approvazione di detta convenzione e il menzionato regolamento s’imponeva (v. sentenza Commissione/Parlamento e Consiglio, cit., punti 45 e 47).

75      In proposito la Corte, in una sentenza 10 gennaio 2006, causa C‑94/03, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I‑1, punto 43), ha dedotto da un’analisi dettagliata della convenzione di Rotterdam che quest’ultima si prefiggeva altresì l’obiettivo di promuovere la responsabilità solidale e la cooperazione nel commercio internazionale di taluni prodotti chimici pericolosi e che proprio mediante l’adozione di provvedimenti di natura commerciale, relativi agli scambi di taluni prodotti chimici o pesticidi pericolosi, le parti contraenti della convenzione intendevano conseguire l’obiettivo di tutela della salute umana e dell’ambiente. La Corte ha concluso che le componenti commerciali della citata convenzione non possono considerarsi puramente accessorie allo scopo di protezione dell’ambiente della convenzione stessa (v., in tal senso, sentenza 10 gennaio 2006, Commissione/Consiglio, cit., punti 37 e 42), e che le due componenti attinenti alla politica commerciale comune e alla protezione della salute umana e dell’ambiente che detta convenzione comporta sono in essa indissolubilmente connesse, per cui l’una non può essere ritenuta secondaria o indiretta rispetto all’altra. La decisione che approvava la menzionata convenzione in nome della Comunità doveva pertanto essere fondata sugli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE, in combinato disposto con le pertinenti disposizioni dell’art. 300 CE (v. sentenza 10 gennaio 2006, Commissione/Consiglio, cit., punto 51). Allo stesso modo la Corte ha dichiarato che il regolamento n. 304/2003, che attuava la convenzione di Rotterdam, doveva fondarsi sugli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE (sentenza Commissione/Parlamento e Consiglio, cit.).

76      Come emerge dall’analisi esposta ai punti 51‑67 della presente sentenza, il regolamento impugnato non comporta componenti di politica commerciale tali da rendere necessario il ricorso ad un doppio fondamento normativo. La Commissione non può dunque basarsi sulla citata sentenza Commissione/Parlamento e Consiglio per giustificare una conclusione contraria.

77      Peraltro, l’argomentazione della Commissione diretta a dimostrare, tramite il riferimento agli atti comunitari menzionati al punto 35 della presente sentenza, l’esistenza di una prassi consistente nell’adozione di atti su di un doppio fondamento normativo, costituito dagli artt. 133 CE e 175, n. 1, CE, non può essere accolta. La determinazione del fondamento normativo di un atto, infatti, deve avvenire sulla base del suo scopo e del suo contenuto specifici e non alla luce del fondamento normativo scelto per l’adozione di altri atti comunitari aventi, eventualmente, caratteristiche analoghe (v. sentenza Commissione/Parlamento e Consiglio, cit., punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

78      Alla luce delle considerazioni che precedono occorre respingere il ricorso della Commissione.

 Sulle spese

79      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Parlamento e il Consiglio ne hanno fatto domanda, la Commissione, rimasta soccombente, va condannata alle spese. In applicazione dell’art. 69, n. 4, primo comma, gli intervenienti nella causa sopportano le proprie spese.

Per questi motivi la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Commissione delle Comunità europee è condannata alle spese.

3)      La Repubblica francese, la Repubblica d’Austria e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporteranno le proprie spese.

 

                         (Seguono le firme)