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Corte europea dei diritti dell’uomo

(I sezione)

1° aprile 2010

CAUSA BRAZZI c. ITALIA

(Ricorso n. 57278/11)

27 settembre 2018

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Brazzi c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:

Linos-Alexandre Sicilianos, presidente,

Kristina Pardalos,

Guido Raimondi,

Aleš Pejchal,

Ksenija Turković,

Armen Harutyunyan,

Pauliine Koskelo, giudici,

e da Abel Campos, cancelliere di sezione,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 4 settembre 2018,

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 57278/11) proposto contro la Repubblica italiana con cui una persona avente la cittadinanza italiana e tedesca, il sig. Marco Brazzi («il ricorrente»), ha adito la Corte il 5 settembre ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avvocato P. Ruggerini, del foro di Mantova. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, M. G. Civinini.

3. Il ricorrente lamentava, in particolare, una violazione ingiustificata del suo diritto al rispetto del domicilio.

4. Il 26 aprile 2017 il ricorso è stato comunicato al Governo.

5. Il governo tedesco non ha esercitato il suo diritto di intervenire nel procedimento (articolo 36 § 1 della Convenzione).

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

6. Il ricorrente è nato nel 1965 in Italia e risiede a Monaco dal 1989. Iscritto nel registro degli Italiani residenti all’estero, dal 2009 è proprietario di una casa in Italia, dove la moglie e i figli vivono durante l’anno scolastico.

7. Nel 2010 il ricorrente fu sottoposto a verifica fiscale da parte della polizia tributaria di Mantova. Era sospettato di aver mantenuto il suo domicilio fiscale in Italia e di non aver pagato l’IVA e l’imposta sul reddito dal 2003.

8. Nell’ambito di tale procedimento amministrativo, il 6 luglio 2010, la procura della Repubblica di Mantova autorizzò la guardia di finanza ad entrare nell’abitazione italiana del ricorrente per cercare e sequestrare i libri contabili, i documenti o qualsiasi altra prova di violazioni della normativa fiscale.

9. Il 13 luglio 2010 alcuni agenti della guardia di finanza si recarono nell’abitazione del ricorrente. Poiché quest’ultimo era assente, chiesero a suo fratello, che era lì di passaggio, di farli accedere ai locali, senza tuttavia giustificare la loro richiesta.

10. In seguito a questo intervento, lo stesso giorno, così come il giorno successivo, ci fu uno scambio di e-mail e telefonate fra il personale della guardia di finanza e il ricorrente. Nell’ambito di tale scambio, il ricorrente spiegò di trovarsi in Germania e di non potersi recare subito in Italia a causa di impegni di lavoro e familiari. Supponendo di essere oggetto di una verifica fiscale, sebbene non gli fosse stata fornita alcuna informazione al riguardo, il ricorrente si dichiarò disposto a collaborare con le autorità italiane e propose di mettere a loro disposizione qualsiasi prova dell’amministrazione tedesca riguardante i suoi redditi. La polizia tributaria, da parte sua, informò il ricorrente che, se non avesse permesso agli agenti di eseguire le ricerche presso la sua abitazione, il pubblico ministero avrebbe disposto una perquisizione.

11. Con provvedimento del 13 luglio 2010, il procuratore di Mantova avviò una indagine penale nei confronti del ricorrente ed emise un mandato di perquisizione dell’abitazione e dei veicoli della persona interessata, a causa dell’esistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di evasione fiscale. Con questo mandato il pubblico ministero ordinò la ricerca e il sequestro dei documenti contabili che si trovavano nei locali, nonché di qualsiasi altro documento comprovante il reato di evasione fiscale, compresi i file elettronici.

12. La polizia giudiziaria effettuò la perquisizione, in presenza del padre del ricorrente, il 6 agosto 2010, tra le 11.50 e le 15.00. Il mandato di perquisizione fu notificato al padre del ricorrente il quale decise di non ricorrere all’assistenza di un avvocato. Al termine delle ricerche, le autorità non sequestrarono alcun documento.

13. Il 30 agosto 2010 il ricorrente depositò una memoria difensiva dinanzi alla procura di Mantova. In questa memoria, contestava la necessità della perquisizione, chiariva la sua situazione fiscale, dimostrando in particolare di risiedere principalmente in Germania e di versare regolarmente le sue imposte in tale paese, e chiedeva l’archiviazione delle indagini.

14. Il 15 settembre 2010, il procuratore presentò richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari di Mantova, tenendo conto degli argomenti presentati dal ricorrente nella sua memoria difensiva. Il giudice per le indagini preliminari di Mantova archiviò il caso con decreto del 7 ottobre 2010.

15. Nel frattempo, il 14 agosto 2010, il ricorrente aveva presentato ricorso per cassazione, lamentando l’illegittimità dell’ordinanza di perquisizione del 13 luglio 2010. Egli sosteneva che la perquisizione della sua abitazione aveva costituito una violazione ingiustificata del diritto al rispetto del suo domicilio e della sua vita privata, poiché, secondo lui, la verifica della sua situazione fiscale avrebbe potuto essere effettuata con altri mezzi.

16. L’8 marzo 2011 la Corte di cassazione dichiarò il ricorso del ricorrente inammissibile. Affermò che non era previsto alcun ricorso avverso un mandato di perquisizione, precisando che quest’ultimo poteva essere oggetto di un riesame ai sensi dell’articolo 257 del codice di procedura penale solo quando era seguito da un sequestro di beni. Secondo la Suprema Corte, in caso di violazione delle norme relative allo svolgimento della perquisizione, erano possibili solo delle sanzioni disciplinari contro gli agenti della polizia tributaria che avevano effettuato le operazioni. Inoltre, sempre secondo la Corte di Cassazione, non era ammissibile neanche un ricorso diretto dinanzi ad essa ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione in quanto una perquisizione domiciliare non aveva alcun impatto sulla libertà personale.

II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

A. Le norme del codice di procedura penale

17. Ai sensi dell’articolo 247 del codice di procedura penale, quando vi sono motivi sufficienti per sospettare che il corpo del reato o gli elementi pertinenti del reato si trovino in un determinato luogo, l’autorità giudiziaria ordina la perquisizione con decreto motivato. Durante la fase delle indagini preliminari, la decisione spetta al pubblico ministero (articolo 352, comma 4).

18. Le norme e le garanzie relative alle perquisizioni domiciliari sono esposte negli articoli 250 e 251 del codice di procedura penale. Il mandato di perquisizione deve essere consegnato all’imputato o a chi abbia la disponibilità del luogo, i quali hanno la facoltà di farsi assistere da un avvocato. Se mancano tali persone, è notificato a un congiunto o al portiere. Una perquisizione domiciliare non può essere iniziata prima delle ore 7 e dopo le ore 20, salvo nei casi urgenti.

19. Ai sensi dell’articolo 257 dello stesso codice, l’imputato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame del decreto di sequestro. Sulla richiesta decide, entro un termine di dieci giorni, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento.

B. La legge n. 117 del 13 aprile 1988

20. Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge n. 117 del 13 aprile 1988 sul risarcimento dei danni causati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie («la legge n. 117»), essa si applica « a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l’attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria».

L’articolo 2 della legge n. 117, nella sua versione in vigore all’epoca dei fatti, era così formulato:

1.         «1. Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.

2.         Nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

3.         Costituiscono colpa grave:

a.         la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b.         l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c.         la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d.        l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.»

21. Gli articoli seguenti della legge precisavano le condizioni e le modalità per un’azione di risarcimento del danno ai sensi degli articoli 2 o 3 della legge, nonché le azioni che potevano essere intraprese, a posteriori, contro il giudice che si era reso colpevole di dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, o addirittura di un diniego di giustizia. In particolare, ai sensi dell’articolo 4, comma 2 della legge, l’azione contro lo Stato doveva essere esercitata, a pena di inammissibilità, entro due anni dalla data in cui il provvedimento contestato era divenuto definitivo.

22. La legge n. 117 è stata modificata dalla legge n. 18 del 27 febbraio 2015, entrata in vigore il 19 marzo 2015. Questa riforma ha tra l’altro prolungato da due a tre anni il termine previsto dall’articolo 4, comma 2, della legge n. 117.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

23. Il ricorrente sostiene che la perquisizione della sua abitazione ha costituito una ingerenza ingiustificata nell’esercizio del diritto al rispetto della sua vita privata e del suo domicilio, sancito dall’articolo 8 della Convenzione, così formulato:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A. Sulla ricevibilità

24. Il Governo sostiene che il ricorrente non ha subito alcun danno significativo e ritiene che il ricorso sia pertanto irricevibile ai sensi dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione.

25. Il ricorrente non ha presentato osservazioni a tale riguardo.

26. La Corte rileva che l’elemento principale del criterio di cui all’articolo 35 § 3 b) della Convenzione è l’esistenza o meno di un pregiudizio importante subìto dal ricorrente (Adrian Mihai Ionescu c. Romania (dec.), n. 36659/04, 1o giugno 2010, e Korolev c. Russia (dec.), n. 25551/05, CEDU 2010). Questo criterio di irricevibilità, che si ispira al principio generale de minimis non curat praetor, si basa sull’idea che la violazione di un diritto, anche reale da un punto di vista puramente giuridico, deve raggiungere un minimo di gravità per poter essere esaminata da un tribunale internazionale. La valutazione di questo minimo è relativa per natura; dipende da tutti gli elementi della causa.

27. Nel caso di specie, la Corte osserva, con il Governo, che la causa non ha di per sé un valore economico, poiché riguarda una perquisizione domiciliare che non ha portato al sequestro di beni o ad altri danni al patrimonio. Tuttavia, la gravità di una violazione deve essere valutata tenuto conto sia della percezione soggettiva del ricorrente sia del valore oggettivo di una determinata causa (Eon c. Francia, n. 26118/10, §§ 31-36, 14 marzo 2013). In altre parole, l’assenza di pregiudizio importante può essere basata su fattori quali le conseguenze pecuniarie della controversia in questione o l’importanza che questa assume per il ricorrente (Adrian Mihai Ionescu, decisione sopra citata).

28. La Corte osserva nella fattispecie che la controversia verteva su una questione di principio secondo il ricorrente, ossia il diritto di quest’ultimo al rispetto dei suoi beni e del suo domicilio (si veda, mutatis mutandis, Giuran c. Romania, n. 24360/04, § 22, CEDU 2011 (estratti). L’importanza soggettiva della questione sembra evidente per il ricorrente, il quale ha costantemente contestato con forza la legittimità della perquisizione dinanzi alle autorità competenti (si veda, a contrario, Shefer c. Russia (dec.), n. 45175/04, 13 marzo 2012). Per quanto riguarda la posta in gioco oggettiva della causa, la Corte rileva che quest’ultima riguarda l’esistenza, nell’ordinamento italiano, di un efficace controllo giurisdizionale rispetto a una misura di perquisizione, ossia una questione di principio importante sia a livello nazionale che sul piano convenzionale.

29. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che la prima condizione dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, ossia l’assenza di un pregiudizio importante per il ricorrente, non sia soddisfatta e che l’obiezione del Governo debba essere respinta.

30. Constatando che questa doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte la dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

31. Il ricorrente sostiene di aver subito una ingerenza ingiustificata nel diritto al rispetto del suo domicilio, e sostiene che le autorità avrebbero potuto verificare facilmente la sua situazione fiscale consultando l’amministrazione tedesca, conformemente alle disposizioni dell’accordo bilaterale esistente in materia fiscale tra l’Italia e la Germania. Egli afferma inoltre di essersi reso disponibile a collaborare di persona con le autorità italiane e a fornire tutte le informazioni necessarie per chiarire i fatti. Aggiunge che, nonostante ciò, le autorità hanno persistito nell’intento che avrebbero avuto di violare il suo domicilio. Egli ha dichiarato altresì che il mandato di perquisizione e di sequestro emesso nei suoi confronti è stato redatto in modo vago e impreciso.

32. Inoltre, il ricorrente lamenta di non aver disposto di un controllo effettivo della misura istruttoria adottata nei suoi confronti. A tale riguardo, egli indica che la Corte di Cassazione ha confermato che il provvedimento adottato dal pubblico ministero che ordinava la perquisizione non era impugnabile secondo il diritto italiano.

33. Il Governo non contesta che la perquisizione in questione abbia costituito una ingerenza delle autorità nel diritto alla vita privata e al domicilio del ricorrente, ma ritiene tuttavia che la misura in questione fosse prevista dalla legge, ossia dagli articoli 247 e seguenti del codice di procedura penale, e che perseguisse degli «scopi legittimi» ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione, ossia la tutela del benessere economico del paese e la prevenzione dei reati.

34. Per quanto riguarda la necessità dell’ingerenza in una società democratica, il Governo contesta l’argomentazione del ricorrente secondo cui la perquisizione non era giustificata e avrebbe potuto essere evitata applicando l’accordo bilaterale esistente tra l’Italia e la Germania. Egli sostiene che il ricorrente risiedeva nel contempo in Italia e in Germania, e aveva mantenuto un certo numero di centri d’interesse in Italia. Pertanto, a parere del Governo, le autorità italiane avevano tutti i motivi per sospettare il ricorrente di evasione fiscale e per avviare un’indagine per chiarire i fatti. Inoltre, il Governo ritiene che il fatto che la perquisizione non sia stata determinante non rende la misura ingiustificata o sproporzionata.

35. Il Governo sostiene inoltre che le autorità hanno fatto in modo che il provvedimento in discussione fosse emesso prevedendo tutte le garanzie processuali necessarie. A suo parere, infatti, il mandato di perquisizione era debitamente motivato e le operazioni sono state condotte nel rispetto delle condizioni materiali e procedurali previste dalla legislazione nazionale.

36. Per quanto riguarda il controllo della misura controversa, il Governo sostiene innanzitutto che il ricorrente ha avuto accesso al giudice per le indagini preliminari e che quest’ultimo ha riesaminato l’intero procedimento prima di decidere di archiviare la causa. Ritiene inoltre che il ricorrente avrebbe potuto presentare dinanzi al giudice civile un’azione di risarcimento contro lo Stato ai sensi della legge n. 117, e che tale ricorso gli avrebbe permesso di ottenere un risarcimento anche in assenza dell’annullamento preventivo del mandato di perquisizione. A tale riguardo, il Governo precisa che il ricorrente non avrebbe alcun interesse a ottenere l’annullamento del mandato di perquisizione, tenuto conto del fatto che la misura in questione era già stata eseguita e non aveva dato luogo ad un sequestro di beni.

37. Infine, il Governo afferma che il quadro legislativo nazionale nel suo complesso offre garanzie sufficienti contro gli abusi e l’arbitrarietà.

2. Valutazione della Corte

38. La Corte ritiene che non sussistano dubbi sul fatto che la perquisizione di cui si tratta costituisce una «ingerenza delle autorità pubbliche» nel diritto alla vita privata dell’interessato. Il Governo, del resto, non lo mette in discussione. Tale ingerenza viola la Convenzione se non soddisfa le esigenze del paragrafo 2 dell’articolo 8. È dunque necessario determinare se fosse «prevista dalla legge», ispirata da uno o più scopi legittimi tra quelli previsti in tale paragrafo e «necessaria in una società democratica».

39. La Corte rammenta che, secondo la giurisprudenza consolidata, l’espressione «prevista dalla legge» implica che un’ingerenza nei diritti sanciti dall’articolo 8 deve fondarsi su una base giuridica interna, che la legislazione in questione deve essere sufficientemente accessibile e prevedibile, e che quest’ultima deve essere compatibile con il principio dello stato di diritto (si vedano, tra molte altre, Rotaru c. Romania [GC], n. 28341/95, § 52, CEDU 2000‑V, Liberty e altri c. Regno Unito, n. 58243/00, § 59, 1o luglio 2008, e Heino c. Finlandia, n. 56720/09, § 36, 15 febbraio 2011).

40. Nel caso di specie, la Corte rileva che la perquisizione in questione si basava sugli articoli 247 e seguenti del codice di procedura penale (paragrafi 17-19 supra). A suo parere, le suddette disposizioni di legge non presentano alcun problema, sia per quanto riguarda la loro accessibilità che la loro prevedibilità, ai sensi della sua giurisprudenza sopra citata.

41. Per quanto riguarda l’ultima condizione qualitativa che deve avere la legislazione interna, vale a dire la compatibilità con il principio dello stato di diritto, la Corte rammenta che, nell’ambito delle perquisizioni, essa impone che il diritto interno offra garanzie adeguate e sufficienti contro l’abuso e l’arbitrarietà (Heino, sopra citata, § 40, e Gutsanovi c. Bulgaria, n. 34529/10, § 220, CEDU 2013 (estratti)). La Corte rammenta inoltre che, tra le garanzie in questione, vi è l’esistenza di un «controllo effettivo» delle misure contrarie all’articolo 8 della Convenzione (Lambert c. Francia, 24 agosto 1998, § 34, Recueil des arrêts et décisions 1998‑V), pur osservando che, il fatto che una richiesta di mandato sia stata oggetto di un controllo giurisdizionale, non costituisce necessariamente, di per sé, una garanzia sufficiente contro gli abusi. La Corte deve esaminare le circostanze particolari del caso di specie e valutare se il quadro giuridico e i limiti applicati ai poteri esercitati costituissero una protezione adeguata contro il rischio di ingerenze arbitrarie delle autorità (K.S. e M.S. c. Germania, n. 33696/11, § 45, 6 ottobre 2016). Pertanto, nonostante il margine di apprezzamento che riconosce in materia agli Stati contraenti, la Corte deve aumentare la vigilanza quando il diritto nazionale autorizza le autorità a condurre una perquisizione senza un mandato giudiziario preliminare: la protezione delle persone da attacchi arbitrari da parte delle pubbliche autorità ai diritti sanciti dall’articolo 8 richiede che tali poteri siano rigorosamente inquadrati dal punto di vista giuridico e limitati (Camenzind c. Svizzera, 16 dicembre 1997, § 45, Recueil 1997‑VIII).

42. Nel caso di specie, la Corte rileva anzitutto che la perquisizione in questione è stata ordinata dalla procura lo stesso giorno in cui era stata avviata un’indagine penale nei confronti del ricorrente, dato che tale indagine è stata decisa a seguito di un tentativo delle autorità inquirenti di effettuare ricerche, lo stesso giorno, nell’ambito di un controllo fiscale amministrativo. Essa rileva pertanto che la perquisizione è intervenuta in una fase precoce del procedimento penale. Ora, la Corte ha già stabilito che una perquisizione effettuata in questa fase deve offrire garanzie adeguate e sufficienti per evitare che venga usata per fornire alle autorità incaricate dell’inchiesta elementi compromettenti su persone non ancora identificate come sospettate di aver commesso un reato (Modestou c. Grecia, n. 51693/13, § 44, 16 marzo 2017).

43. Pertanto, nei casi in cui la legislazione nazionale non prevede un controllo giurisdizionale ex ante factum sulla legalità e sulla necessità di tale misura istruttoria, dovrebbero esistere altre garanzie, in particolare sul piano dell’esecuzione del mandato, di natura tale da controbilanciare le imperfezioni legate all’emissione e, eventualmente, al contenuto del mandato di perquisizione (idem, § 48). Nella fattispecie, la Corte osserva che la legislazione nazionale italiana non prevede un simile controllo ex ante nel quadro delle perquisizioni ordinate nella fase delle indagini preliminari. Non è infatti previsto che il pubblico ministero, nella sua qualità di magistrato incaricato dell’indagine, chieda l’autorizzazione di un giudice o lo informi della sua decisione di ordinare una perquisizione.

44. Ciò detto, la Corte ha già avuto occasione di affermare che l’assenza di un controllo giurisdizionale ex ante può essere compensata dalla realizzazione di un controllo giurisdizionale ex post facto della legittimità e della necessità della misura (si vedano, mutatis mutandis, Heino, sopra citata, § 45, e Gutsanovi, sopra citata, § 222). Tale controllo deve essere efficace nelle particolari circostanze del caso in esame (Smirnov c. Russia, n. 71362/01, § 45, 7 giugno 2007). In pratica, ciò implica che le persone interessate possano ottenere un controllo giurisdizionale effettivo, tanto in fatto come in diritto, della misura in questione e dello svolgimento della stessa. Quando un’operazione considerata irregolare ha già avuto luogo, il ricorso o i ricorsi disponibili devono permettere di fornire all’interessato una riparazione adeguata (DELTA PEKÁRNY a.s. c. Repubblica ceca, n. 97/11, § 87, 2 ottobre 2014).

45. A quest’ultimo riguardo, la Corte rammenta di avere ammesso che, in alcune circostanze, il controllo della misura contraria all’articolo 8 effettuato dai giudici penali fornisce una riparazione adeguata per l’interessato, dal momento che il giudice procede a un controllo effettivo della legittimità e della necessità della misura contestata e, se del caso, esclude dal processo penale gli elementi di prova raccolti (Panarisi c. Italia, n. 46794/99, §§ 76 e 77, 10 aprile 2007, Uzun c. Germania, n. 35623/05, §§ 71 e 72, CEDU 2010 (estratti), e Trabajo Rueda c. Spagna, n. 32600/12, § 37, 30 maggio 2017).

46. Tuttavia, questo non avviene nel caso di specie, in quanto la perquisizione non ha permesso di raccogliere prove a carico e il procedimento è stato archiviato dal giudice per le indagini preliminari. Inoltre, la Corte osserva che, contrariamente a quanto afferma il Governo, il giudice per le indagini preliminari non ha minimamente esaminato né la legittimità né la necessità del mandato di perquisizione, essendosi limitato ad accogliere la domanda del procuratore di chiudere il procedimento nel merito.

47. Peraltro, la Corte osserva che il ricorrente non è riuscito nemmeno a ottenere il riesame della misura in questione poiché il rimedio specifico di cui all’articolo 257 del codice di procedura penale è previsto soltanto nel caso in cui la perquisizione sia stata seguita da un sequestro di beni.

48. Ne consegue che nessun giudice ha esaminato la legittimità e la necessità del mandato di perquisizione del domicilio del ricorrente emesso dal procuratore. Pertanto, in assenza di tale esame e, se del caso, di una accertata irregolarità, l’interessato non ha potuto chiedere una riparazione adeguata del danno presumibilmente subito.

49. Per quanto riguarda l’argomentazione del Governo secondo cui il ricorrente avrebbe potuto presentare un’azione di risarcimento per responsabilità dello Stato ai sensi della legge n. 117, la Corte osserva che tale azione presuppone l’esistenza di una condotta quantomeno colpevole da parte dei magistrati e che, di conseguenza, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare il dolo o la colpa grave delle autorità che hanno deliberato nella sua causa (si veda l’articolo 2, comma 3, lettera d) della legge n. 117, paragrafo 20 supra). Inoltre, la Corte osserva che il Governo non ha fornito esempi atti a dimostrare che tale azione sia stata intentata con successo in circostanze simili a quelle della causa del ricorrente (si veda, mutatis mutandis, Richmond Yaw e altri c. Italia, nn. 3342/11 e altri 3, § 44, 6 ottobre 2016).

50. La Corte ritiene pertanto che, in assenza di un controllo giurisdizionale preventivo o di un controllo effettivo a posteriori della misura istruttoria impugnata, le garanzie procedurali previste dalla legislazione italiana non siano state sufficienti ad evitare il rischio di abuso di potere da parte delle autorità incaricate dell’indagine penale.

51. Questi elementi bastano alla Corte per concludere che, anche se la misura controversa aveva una base giuridica nel diritto interno, il diritto nazionale non ha offerto al ricorrente sufficienti garanzie contro gli abusi o l’arbitrarietà prima o dopo la perquisizione. Di conseguenza, l’interessato non ha beneficiato di un «controllo effettivo» come richiede lo stato di diritto in una società democratica. In tali circostanze, la Corte ritiene che l’ingerenza nel diritto al rispetto del domicilio del ricorrente non fosse «prevista dalla legge» ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione.

52. Vi è stata dunque violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

II. SULLE DEDOTTE VIOLAZIONI DEGLI ARTICOLI 6 E 13 DELLA CONVENZIONE

53. Invocando gli articoli 6 e 13 della Convenzione, il ricorrente lamenta di non avere disposto di un ricorso effettivo per far valere le sue doglianze relative all’articolo 8.

54. La Corte ritiene che tali doglianze si prestino ad essere esaminate dal punto di vista del solo articolo 13 della Convenzione, che recita:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (...) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

A. Sulla ricevibilità

55. La Corte osserva che questo motivo di ricorso è collegato a quello sopra esaminato e, pertanto, deve essere dichiarato ricevibile.

B. Sul merito

56. Il ricorrente afferma che non disponeva di alcun ricorso effettivo che gli permetta di contestare la perquisizione della sua abitazione.

57. Considerata la constatazione relativa all’articolo 8 della Convenzione alla quale è giunta, la Corte ritiene non doversi esaminare separatamente se vi sia stata, nella fattispecie, violazione dell’articolo 13 della Convenzione (si vedano, tra altre, Heino, sopra citata, § 55, e DELTA PEKÁRNY a.s., sopra citata, § 104).

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

58. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

59. Il ricorrente non ha presentato alcuna domanda di equa soddisfazione entro il termine fissato a tale scopo. Pertanto, la Corte ritiene non doversi accordare somme a questo titolo.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

1.        Dichiara il ricorso ricevibile;

2.        Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;

3.        Dichiara non doversi esaminare il motivo di ricorso relativo all’articolo 13 della Convenzione.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 27 settembre 2018, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Linos-Alexandre Sicilianos

Presidente

Abel Campos

       Cancelliere