Corte europea dei diritti dell’uomo
(I sezione)
1° aprile 2010
CAUSA BRAZZI c. ITALIA
(Ricorso n.
57278/11)
27 settembre 2018
Questa
sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della
Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa Brazzi
c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una
camera composta da:
Linos-Alexandre
Sicilianos, presidente,
Kristina Pardalos,
Guido Raimondi,
Aleš Pejchal,
Ksenija Turković,
Armen Harutyunyan,
Pauliine Koskelo, giudici,
e da Abel Campos,
cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 4 settembre 2018,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:
PROCEDURA
1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 57278/11) proposto
contro la Repubblica italiana con cui una persona avente la cittadinanza
italiana e tedesca, il sig. Marco Brazzi («il
ricorrente»), ha adito la Corte il 5 settembre ai sensi dell’articolo 34 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali («la Convenzione»).
2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avvocato P. Ruggerini, del
foro di Mantova. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal
suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, M. G.
Civinini.
3. Il ricorrente lamentava, in particolare, una violazione
ingiustificata del suo diritto al rispetto del domicilio.
4. Il 26 aprile 2017 il ricorso è stato comunicato al Governo.
5. Il governo tedesco non ha esercitato il suo diritto di intervenire
nel procedimento (articolo 36 § 1 della Convenzione).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
6. Il ricorrente è nato nel 1965 in Italia e risiede a Monaco dal 1989.
Iscritto nel registro degli Italiani residenti all’estero, dal 2009 è
proprietario di una casa in Italia, dove la moglie e i figli vivono durante
l’anno scolastico.
7. Nel 2010 il ricorrente fu sottoposto a verifica fiscale da parte
della polizia tributaria di Mantova. Era sospettato di aver mantenuto il suo
domicilio fiscale in Italia e di non aver pagato l’IVA e l’imposta sul reddito
dal 2003.
8. Nell’ambito di tale procedimento amministrativo, il 6 luglio 2010,
la procura della Repubblica di Mantova autorizzò la guardia di finanza ad
entrare nell’abitazione italiana del ricorrente per cercare e sequestrare i
libri contabili, i documenti o qualsiasi altra prova di violazioni della
normativa fiscale.
9. Il 13 luglio 2010 alcuni agenti della guardia di finanza si recarono
nell’abitazione del ricorrente. Poiché quest’ultimo era assente, chiesero a suo
fratello, che era lì di passaggio, di farli accedere ai locali, senza tuttavia
giustificare la loro richiesta.
10. In seguito a questo intervento, lo stesso giorno, così come il
giorno successivo, ci fu uno scambio di e-mail e telefonate fra il personale
della guardia di finanza e il ricorrente. Nell’ambito di tale scambio, il
ricorrente spiegò di trovarsi in Germania e di non potersi recare subito in
Italia a causa di impegni di lavoro e familiari. Supponendo di essere oggetto
di una verifica fiscale, sebbene non gli fosse stata fornita alcuna
informazione al riguardo, il ricorrente si dichiarò disposto a collaborare con
le autorità italiane e propose di mettere a loro disposizione qualsiasi prova
dell’amministrazione tedesca riguardante i suoi redditi. La polizia tributaria,
da parte sua, informò il ricorrente che, se non avesse permesso agli agenti di
eseguire le ricerche presso la sua abitazione, il pubblico ministero avrebbe
disposto una perquisizione.
11. Con provvedimento del 13 luglio 2010, il procuratore di Mantova
avviò una indagine penale nei confronti del ricorrente ed emise un mandato di
perquisizione dell’abitazione e dei veicoli della persona interessata, a causa
dell’esistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di evasione
fiscale. Con questo mandato il pubblico ministero ordinò la ricerca e il
sequestro dei documenti contabili che si trovavano nei locali, nonché di
qualsiasi altro documento comprovante il reato di evasione fiscale, compresi i
file elettronici.
12. La polizia giudiziaria effettuò la perquisizione, in presenza del
padre del ricorrente, il 6 agosto 2010, tra le 11.50 e le 15.00. Il mandato di
perquisizione fu notificato al padre del ricorrente il quale decise di non
ricorrere all’assistenza di un avvocato. Al termine delle ricerche, le autorità
non sequestrarono alcun documento.
13. Il 30 agosto 2010 il ricorrente depositò una memoria difensiva
dinanzi alla procura di Mantova. In questa memoria, contestava la necessità
della perquisizione, chiariva la sua situazione fiscale, dimostrando in
particolare di risiedere principalmente in Germania e di versare regolarmente
le sue imposte in tale paese, e chiedeva l’archiviazione delle indagini.
14. Il 15 settembre 2010, il procuratore presentò richiesta di
archiviazione al giudice per le indagini preliminari di Mantova, tenendo conto
degli argomenti presentati dal ricorrente nella sua memoria difensiva. Il
giudice per le indagini preliminari di Mantova archiviò il caso con decreto del
7 ottobre 2010.
15. Nel frattempo, il 14 agosto 2010, il ricorrente aveva presentato
ricorso per cassazione, lamentando l’illegittimità dell’ordinanza di
perquisizione del 13 luglio 2010. Egli sosteneva che la perquisizione della sua
abitazione aveva costituito una violazione ingiustificata del diritto al
rispetto del suo domicilio e della sua vita privata, poiché, secondo lui, la
verifica della sua situazione fiscale avrebbe potuto essere effettuata con altri
mezzi.
16. L’8 marzo 2011 la Corte di cassazione dichiarò il ricorso del
ricorrente inammissibile. Affermò che non era previsto alcun ricorso avverso un
mandato di perquisizione, precisando che quest’ultimo poteva essere oggetto di
un riesame ai sensi dell’articolo 257 del codice di procedura penale solo
quando era seguito da un sequestro di beni. Secondo la Suprema Corte, in caso
di violazione delle norme relative allo svolgimento della perquisizione, erano
possibili solo delle sanzioni disciplinari contro gli agenti della polizia
tributaria che avevano effettuato le operazioni. Inoltre, sempre secondo la
Corte di Cassazione, non era ammissibile neanche un ricorso diretto dinanzi ad
essa ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione in quanto una perquisizione
domiciliare non aveva alcun impatto sulla libertà personale.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
A. Le norme del codice di procedura penale
17. Ai sensi dell’articolo 247 del codice di procedura penale, quando
vi sono motivi sufficienti per sospettare che il corpo del reato o gli elementi
pertinenti del reato si trovino in un determinato luogo, l’autorità giudiziaria
ordina la perquisizione con decreto motivato. Durante la fase delle indagini
preliminari, la decisione spetta al pubblico ministero (articolo 352, comma 4).
18. Le norme e le garanzie relative alle perquisizioni domiciliari sono
esposte negli articoli 250 e 251 del codice di procedura penale. Il mandato di
perquisizione deve essere consegnato all’imputato o a chi abbia la
disponibilità del luogo, i quali hanno la facoltà di farsi assistere da un
avvocato. Se mancano tali persone, è notificato a un congiunto o al portiere.
Una perquisizione domiciliare non può essere iniziata prima delle ore 7 e dopo
le ore 20, salvo nei casi urgenti.
19. Ai sensi dell’articolo 257 dello stesso codice, l’imputato, la
persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto
alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame del decreto di
sequestro. Sulla richiesta decide, entro un termine di dieci giorni, il
tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha
emesso il provvedimento.
B. La legge n. 117 del 13 aprile 1988
20. Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge n. 117 del 13 aprile
1988 sul risarcimento dei danni causati nell’esercizio delle funzioni
giudiziarie («la legge n. 117»), essa si applica « a
tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile,
militare e speciali, che esercitano l’attività giudiziaria, indipendentemente
dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all’esercizio
della funzione giudiziaria».
L’articolo 2 della legge n. 117, nella sua versione in vigore all’epoca
dei fatti, era così formulato:
1.
«1. Chi ha subito un danno
ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento
giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave
nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire
contro lo stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di
quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.
2.
Nell’esercizio delle funzioni
giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di
norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.
3.
Costituiscono colpa
grave:
a.
la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b.
l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza
è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
c.
la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui
esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
d.
l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi
consentiti dalla legge oppure senza motivazione.»
21. Gli articoli seguenti della legge precisavano le condizioni e le
modalità per un’azione di risarcimento del danno ai sensi degli articoli 2 o 3
della legge, nonché le azioni che potevano essere intraprese, a posteriori,
contro il giudice che si era reso colpevole di dolo o colpa grave
nell’esercizio delle sue funzioni, o addirittura di un diniego di giustizia. In
particolare, ai sensi dell’articolo 4, comma 2 della legge, l’azione contro lo
Stato doveva essere esercitata, a pena di inammissibilità, entro due anni dalla
data in cui il provvedimento contestato era divenuto definitivo.
22. La legge n. 117 è stata modificata dalla legge n. 18 del 27
febbraio 2015, entrata in vigore il 19 marzo 2015. Questa riforma ha tra
l’altro prolungato da due a tre anni il termine previsto dall’articolo 4, comma
2, della legge n. 117.
IN DIRITTO
I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8
DELLA CONVENZIONE
23. Il ricorrente sostiene che la perquisizione della sua abitazione ha
costituito una ingerenza ingiustificata nell’esercizio del diritto al rispetto
della sua vita privata e del suo domicilio, sancito dall’articolo 8 della
Convenzione, così formulato:
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e
familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di
tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca
una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza
nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla
difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o
della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
A. Sulla ricevibilità
24. Il Governo sostiene che il ricorrente non ha subito alcun danno
significativo e ritiene che il ricorso sia pertanto irricevibile ai sensi
dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione.
25. Il ricorrente non ha presentato osservazioni a tale riguardo.
26. La Corte rileva che l’elemento principale del criterio di cui
all’articolo 35 § 3 b) della Convenzione è l’esistenza o meno di un pregiudizio
importante subìto dal ricorrente (Adrian Mihai Ionescu c. Romania (dec.), n.
36659/04, 1o giugno 2010, e Korolev
c. Russia (dec.), n. 25551/05, CEDU
2010). Questo criterio di irricevibilità, che si ispira al principio generale
de minimis non curat praetor, si basa sull’idea che la violazione di un diritto,
anche reale da un punto di vista puramente giuridico, deve raggiungere un
minimo di gravità per poter essere esaminata da un tribunale internazionale. La
valutazione di questo minimo è relativa per natura; dipende da tutti gli
elementi della causa.
27. Nel caso di specie, la Corte osserva, con il Governo, che la causa
non ha di per sé un valore economico, poiché riguarda una perquisizione
domiciliare che non ha portato al sequestro di beni o ad altri danni al
patrimonio. Tuttavia, la gravità di una violazione deve essere valutata tenuto
conto sia della percezione soggettiva del ricorrente sia del valore oggettivo
di una determinata causa (Eon c. Francia, n.
26118/10, §§ 31-36, 14 marzo 2013). In altre parole, l’assenza di pregiudizio
importante può essere basata su fattori quali le conseguenze pecuniarie della
controversia in questione o l’importanza che questa assume per il ricorrente
(Adrian Mihai Ionescu,
decisione sopra citata).
28. La Corte osserva nella fattispecie che la controversia verteva su
una questione di principio secondo il ricorrente, ossia il diritto di
quest’ultimo al rispetto dei suoi beni e del suo domicilio (si veda, mutatis mutandis, Giuran c. Romania, n. 24360/04, § 22, CEDU
2011 (estratti). L’importanza soggettiva della questione sembra evidente per il
ricorrente, il quale ha costantemente contestato con forza la legittimità della
perquisizione dinanzi alle autorità competenti (si veda, a contrario, Shefer c. Russia (dec.), n.
45175/04, 13 marzo 2012). Per quanto riguarda la posta in gioco oggettiva della
causa, la Corte rileva che quest’ultima riguarda l’esistenza, nell’ordinamento
italiano, di un efficace controllo giurisdizionale rispetto a una misura di
perquisizione, ossia una questione di principio importante sia a livello
nazionale che sul piano convenzionale.
29. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che la prima
condizione dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, ossia l’assenza di un
pregiudizio importante per il ricorrente, non sia soddisfatta e che l’obiezione
del Governo debba essere respinta.
30. Constatando che questa doglianza non è manifestamente infondata ai
sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi
di irricevibilità, la Corte la dichiara ricevibile.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
31. Il ricorrente sostiene di aver subito una ingerenza ingiustificata
nel diritto al rispetto del suo domicilio, e sostiene che le autorità avrebbero
potuto verificare facilmente la sua situazione fiscale consultando
l’amministrazione tedesca, conformemente alle disposizioni dell’accordo
bilaterale esistente in materia fiscale tra l’Italia e la Germania. Egli
afferma inoltre di essersi reso disponibile a collaborare di persona con le
autorità italiane e a fornire tutte le informazioni necessarie per chiarire i
fatti. Aggiunge che, nonostante ciò, le autorità hanno persistito nell’intento
che avrebbero avuto di violare il suo domicilio. Egli ha dichiarato altresì che
il mandato di perquisizione e di sequestro emesso nei suoi confronti è stato
redatto in modo vago e impreciso.
32. Inoltre, il ricorrente lamenta di non aver disposto di un controllo
effettivo della misura istruttoria adottata nei suoi confronti. A tale
riguardo, egli indica che la Corte di Cassazione ha confermato che il
provvedimento adottato dal pubblico ministero che ordinava la perquisizione non
era impugnabile secondo il diritto italiano.
33. Il Governo non contesta che la perquisizione in questione abbia
costituito una ingerenza delle autorità nel diritto alla vita privata e al
domicilio del ricorrente, ma ritiene tuttavia che la misura in questione fosse
prevista dalla legge, ossia dagli articoli 247 e seguenti del codice di
procedura penale, e che perseguisse degli «scopi legittimi» ai sensi
dell’articolo 8 § 2 della Convenzione, ossia la tutela del benessere economico
del paese e la prevenzione dei reati.
34. Per quanto riguarda la necessità dell’ingerenza in una società
democratica, il Governo contesta l’argomentazione del ricorrente secondo cui la
perquisizione non era giustificata e avrebbe potuto essere evitata applicando
l’accordo bilaterale esistente tra l’Italia e la Germania. Egli sostiene che il
ricorrente risiedeva nel contempo in Italia e in Germania, e aveva mantenuto un
certo numero di centri d’interesse in Italia. Pertanto, a parere del Governo,
le autorità italiane avevano tutti i motivi per sospettare il ricorrente di
evasione fiscale e per avviare un’indagine per chiarire i fatti. Inoltre, il
Governo ritiene che il fatto che la perquisizione non sia stata determinante
non rende la misura ingiustificata o sproporzionata.
35. Il Governo sostiene inoltre che le autorità hanno fatto in modo che
il provvedimento in discussione fosse emesso prevedendo tutte le garanzie
processuali necessarie. A suo parere, infatti, il mandato di perquisizione era
debitamente motivato e le operazioni sono state condotte nel rispetto delle
condizioni materiali e procedurali previste dalla legislazione nazionale.
36. Per quanto riguarda il controllo della misura controversa, il
Governo sostiene innanzitutto che il ricorrente ha avuto accesso al giudice per
le indagini preliminari e che quest’ultimo ha riesaminato l’intero procedimento
prima di decidere di archiviare la causa. Ritiene inoltre che il ricorrente
avrebbe potuto presentare dinanzi al giudice civile un’azione di risarcimento
contro lo Stato ai sensi della legge n. 117, e che tale ricorso gli avrebbe
permesso di ottenere un risarcimento anche in assenza dell’annullamento
preventivo del mandato di perquisizione. A tale riguardo, il Governo precisa
che il ricorrente non avrebbe alcun interesse a ottenere l’annullamento del
mandato di perquisizione, tenuto conto del fatto che la misura in questione era
già stata eseguita e non aveva dato luogo ad un sequestro di beni.
37. Infine, il Governo afferma che il quadro legislativo nazionale nel
suo complesso offre garanzie sufficienti contro gli abusi e l’arbitrarietà.
2. Valutazione della Corte
38. La Corte ritiene che non sussistano dubbi sul fatto che la
perquisizione di cui si tratta costituisce una «ingerenza delle autorità
pubbliche» nel diritto alla vita privata dell’interessato. Il Governo, del
resto, non lo mette in discussione. Tale ingerenza viola la Convenzione se non
soddisfa le esigenze del paragrafo 2 dell’articolo 8. È dunque necessario
determinare se fosse «prevista dalla legge», ispirata da uno o più scopi
legittimi tra quelli previsti in tale paragrafo e «necessaria in una società
democratica».
39. La Corte rammenta che, secondo la giurisprudenza consolidata,
l’espressione «prevista dalla legge» implica che un’ingerenza nei diritti
sanciti dall’articolo 8 deve fondarsi su una base giuridica interna, che la
legislazione in questione deve essere sufficientemente accessibile e
prevedibile, e che quest’ultima deve essere compatibile con il principio dello
stato di diritto (si vedano, tra molte altre, Rotaru
c. Romania [GC], n. 28341/95, § 52, CEDU 2000‑V, Liberty e altri c. Regno Unito, n.
58243/00, § 59, 1o luglio 2008, e Heino
c. Finlandia, n. 56720/09, § 36, 15 febbraio 2011).
40. Nel caso di specie, la Corte rileva che la perquisizione in
questione si basava sugli articoli 247 e seguenti del codice di procedura
penale (paragrafi 17-19 supra). A suo parere, le
suddette disposizioni di legge non presentano alcun problema, sia per quanto
riguarda la loro accessibilità che la loro prevedibilità, ai sensi della sua
giurisprudenza sopra citata.
41. Per quanto riguarda l’ultima condizione qualitativa che deve avere
la legislazione interna, vale a dire la compatibilità con il principio dello
stato di diritto, la Corte rammenta che, nell’ambito delle perquisizioni, essa
impone che il diritto interno offra garanzie adeguate e sufficienti contro
l’abuso e l’arbitrarietà (Heino, sopra citata, § 40,
e Gutsanovi c. Bulgaria, n. 34529/10, § 220, CEDU 2013 (estratti)). La Corte rammenta inoltre che, tra
le garanzie in questione, vi è l’esistenza di un «controllo effettivo» delle
misure contrarie all’articolo 8 della Convenzione (Lambert c. Francia, 24
agosto 1998, § 34, Recueil des
arrêts et décisions 1998‑V),
pur osservando che, il fatto che una richiesta di mandato sia stata oggetto di
un controllo giurisdizionale, non costituisce necessariamente, di per sé, una
garanzia sufficiente contro gli abusi. La Corte deve esaminare le circostanze
particolari del caso di specie e valutare se il quadro giuridico e i limiti
applicati ai poteri esercitati costituissero una protezione adeguata contro il
rischio di ingerenze arbitrarie delle autorità (K.S.
e M.S. c. Germania, n. 33696/11, § 45, 6 ottobre 2016). Pertanto, nonostante il
margine di apprezzamento che riconosce in materia agli Stati contraenti, la
Corte deve aumentare la vigilanza quando il diritto nazionale autorizza le
autorità a condurre una perquisizione senza un mandato giudiziario preliminare:
la protezione delle persone da attacchi arbitrari da parte delle pubbliche
autorità ai diritti sanciti dall’articolo 8 richiede che tali poteri siano
rigorosamente inquadrati dal punto di vista giuridico e limitati (Camenzind c. Svizzera, 16 dicembre 1997, § 45, Recueil 1997‑VIII).
42. Nel caso di specie, la Corte rileva anzitutto che la perquisizione
in questione è stata ordinata dalla procura lo stesso giorno in cui era stata
avviata un’indagine penale nei confronti del ricorrente, dato che tale indagine
è stata decisa a seguito di un tentativo delle autorità inquirenti di
effettuare ricerche, lo stesso giorno, nell’ambito di un controllo fiscale
amministrativo. Essa rileva pertanto che la perquisizione è intervenuta in una
fase precoce del procedimento penale. Ora, la Corte ha già stabilito che una
perquisizione effettuata in questa fase deve offrire garanzie adeguate e
sufficienti per evitare che venga usata per fornire alle autorità incaricate
dell’inchiesta elementi compromettenti su persone non ancora identificate come
sospettate di aver commesso un reato (Modestou c.
Grecia, n. 51693/13, § 44, 16 marzo 2017).
43. Pertanto, nei casi in cui la legislazione nazionale non prevede un
controllo giurisdizionale ex ante factum sulla legalità e sulla necessità di
tale misura istruttoria, dovrebbero esistere altre garanzie, in particolare sul
piano dell’esecuzione del mandato, di natura tale da controbilanciare le
imperfezioni legate all’emissione e, eventualmente, al contenuto del mandato di
perquisizione (idem, § 48). Nella fattispecie, la Corte osserva che la
legislazione nazionale italiana non prevede un simile controllo ex ante nel
quadro delle perquisizioni ordinate nella fase delle indagini preliminari. Non
è infatti previsto che il pubblico ministero, nella sua qualità di magistrato
incaricato dell’indagine, chieda l’autorizzazione di un giudice o lo informi
della sua decisione di ordinare una perquisizione.
44. Ciò detto, la Corte ha già avuto occasione di affermare che
l’assenza di un controllo giurisdizionale ex ante può essere compensata dalla
realizzazione di un controllo giurisdizionale ex post facto della legittimità e
della necessità della misura (si vedano, mutatis mutandis, Heino, sopra citata, §
45, e Gutsanovi, sopra citata, § 222). Tale controllo
deve essere efficace nelle particolari circostanze del caso in esame (Smirnov
c. Russia, n. 71362/01, § 45, 7 giugno 2007). In pratica, ciò implica che le
persone interessate possano ottenere un controllo giurisdizionale effettivo,
tanto in fatto come in diritto, della misura in questione e dello svolgimento
della stessa. Quando un’operazione considerata irregolare ha già avuto luogo,
il ricorso o i ricorsi disponibili devono permettere di fornire all’interessato
una riparazione adeguata (DELTA PEKÁRNY a.s. c. Repubblica ceca, n. 97/11, § 87, 2 ottobre 2014).
45. A quest’ultimo riguardo, la Corte rammenta di avere ammesso che, in
alcune circostanze, il controllo della misura contraria all’articolo 8
effettuato dai giudici penali fornisce una riparazione adeguata per
l’interessato, dal momento che il giudice procede a un controllo effettivo
della legittimità e della necessità della misura contestata e, se del caso,
esclude dal processo penale gli elementi di prova raccolti (Panarisi
c. Italia, n. 46794/99, §§ 76 e 77, 10 aprile 2007, Uzun
c. Germania, n. 35623/05, §§ 71 e 72, CEDU 2010
(estratti), e Trabajo Rueda
c. Spagna, n. 32600/12, § 37, 30 maggio 2017).
46. Tuttavia, questo non avviene nel caso di specie, in quanto la
perquisizione non ha permesso di raccogliere prove a carico e il procedimento è
stato archiviato dal giudice per le indagini preliminari. Inoltre, la Corte
osserva che, contrariamente a quanto afferma il Governo, il giudice per le
indagini preliminari non ha minimamente esaminato né la legittimità né la
necessità del mandato di perquisizione, essendosi limitato ad accogliere la
domanda del procuratore di chiudere il procedimento nel merito.
47. Peraltro, la Corte osserva che il ricorrente non è riuscito nemmeno
a ottenere il riesame della misura in questione poiché il rimedio specifico di
cui all’articolo 257 del codice di procedura penale è previsto soltanto nel
caso in cui la perquisizione sia stata seguita da un sequestro di beni.
48. Ne consegue che nessun giudice ha esaminato la legittimità e la
necessità del mandato di perquisizione del domicilio del ricorrente emesso dal
procuratore. Pertanto, in assenza di tale esame e, se del caso, di una
accertata irregolarità, l’interessato non ha potuto chiedere una riparazione
adeguata del danno presumibilmente subito.
49. Per quanto riguarda l’argomentazione del Governo secondo cui il
ricorrente avrebbe potuto presentare un’azione di risarcimento per
responsabilità dello Stato ai sensi della legge n. 117, la Corte osserva che
tale azione presuppone l’esistenza di una condotta quantomeno colpevole da
parte dei magistrati e che, di conseguenza, il ricorrente avrebbe dovuto
dimostrare il dolo o la colpa grave delle autorità che hanno deliberato nella
sua causa (si veda l’articolo 2, comma 3, lettera d) della legge n. 117,
paragrafo 20 supra). Inoltre, la Corte osserva che il
Governo non ha fornito esempi atti a dimostrare che tale azione sia stata
intentata con successo in circostanze simili a quelle della causa del
ricorrente (si veda, mutatis mutandis,
Richmond Yaw e altri c. Italia, nn. 3342/11 e altri
3, § 44, 6 ottobre 2016).
50. La Corte ritiene pertanto che, in assenza di un controllo
giurisdizionale preventivo o di un controllo effettivo a posteriori della misura
istruttoria impugnata, le garanzie procedurali previste dalla legislazione
italiana non siano state sufficienti ad evitare il rischio di abuso di potere
da parte delle autorità incaricate dell’indagine penale.
51. Questi elementi bastano alla Corte per concludere che, anche se la
misura controversa aveva una base giuridica nel diritto interno, il diritto
nazionale non ha offerto al ricorrente sufficienti garanzie contro gli abusi o
l’arbitrarietà prima o dopo la perquisizione. Di conseguenza, l’interessato non
ha beneficiato di un «controllo effettivo» come richiede lo stato di diritto in
una società democratica. In tali circostanze, la Corte ritiene che l’ingerenza
nel diritto al rispetto del domicilio del ricorrente non fosse «prevista dalla
legge» ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione.
52. Vi è stata dunque violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
II. SULLE DEDOTTE VIOLAZIONI DEGLI ARTICOLI 6
E 13 DELLA CONVENZIONE
53. Invocando gli articoli 6 e 13 della Convenzione, il ricorrente
lamenta di non avere disposto di un ricorso effettivo per far valere le sue
doglianze relative all’articolo 8.
54. La Corte ritiene che tali doglianze si prestino ad essere esaminate
dal punto di vista del solo articolo 13 della Convenzione, che recita:
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (...)
Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a
un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone
che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»
A. Sulla ricevibilità
55. La Corte osserva che questo motivo di ricorso è collegato a quello
sopra esaminato e, pertanto, deve essere dichiarato ricevibile.
B. Sul merito
56. Il ricorrente afferma che non disponeva di alcun ricorso effettivo
che gli permetta di contestare la perquisizione della sua abitazione.
57. Considerata la constatazione relativa all’articolo 8 della
Convenzione alla quale è giunta, la Corte ritiene non doversi esaminare
separatamente se vi sia stata, nella fattispecie, violazione dell’articolo 13
della Convenzione (si vedano, tra altre, Heino, sopra
citata, § 55, e DELTA PEKÁRNY a.s.,
sopra citata, § 104).
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA
CONVENZIONE
58. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei
suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette
se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la
Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
59. Il ricorrente non ha presentato alcuna domanda di equa
soddisfazione entro il termine fissato a tale scopo. Pertanto, la Corte ritiene
non doversi accordare somme a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1.
Dichiara il ricorso
ricevibile;
2.
Dichiara che vi è stata violazione
dell’articolo 8 della Convenzione;
3.
Dichiara non doversi esaminare il
motivo di ricorso relativo all’articolo 13 della Convenzione.
Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 27 settembre 2018, in
applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.
Linos-Alexandre
Sicilianos
Presidente
Abel Campos
Cancelliere