Antonio Ruggeri

 

Ancora in tema di ius superveniens costituzionale e del suo (mancato) rilievo nei giudizi in via principale (Nota alla sentenza della Corte costituzionale n. 422 del 2002)

 

Sorprendente tanto il ricorso quanto il relativo giudizio emesso a conclusione della vicenda processuale che ora si annota e che, per la verità, meriterebbe di esser fatta oggetto di ulteriore e più approfondita considerazione.

Singolare appare, innanzi tutto, essere l’attacco mosso dalla Regione Abruzzo contro un disposto legislativo giudicato lesivo degli artt. 5, 117 e 118 cost., per la parte in cui l’azione di incostituzionalità figura essere innaturalmente mescolata con un ricorso per conflitto tra poteri.

Ci si intenda. La Corte ci ha abituato – come si sa – a slittamenti acrobatici dall’uno all’altro campo di esperienza e, perciò, dall’una all’altra delle sue competenze (si pensi solo ai ricorsi per conflitto originati da atti legislativi). Una cosa è, però, l’utilizzo alternativo di una procedura in vece di un’altra, una cosa ancora diversa è la loro somma o confluenza in una stessa vicenda processuale. Che nella specie si trattasse di un conflitto di attribuzioni (ma, ovviamente, tra Stato e Regioni…) è riconosciuto dalla stessa Avvocatura dello Stato. Valutazione, questa, che, se condivisa dalla Corte, avrebbe comportato l’implicito riconoscimento della validità della richiesta di sospensione cautelare degli effetti della disposizione impugnata, avanzata dalla ricorrente: una richiesta, invece, come si sa, nient’affatto scontata proprio a stare alla qualificazione datavi dalla stessa Regione, essendo teoricamente assai controversa – com’è noto – la estensibilità dell’art. 40 della legge n. 87 altresì ai ricorsi tra poteri.

Sul punto della qualificazione dell’azione introduttiva del giudizio di costituzionalità, la Corte assume una ferma posizione, assumendo che la stessa va intesa, “per sua non equivoca sostanza”, quale una questione di legittimità costituzionale: una questione – si premura il giudice delle leggi a precisare – sollevata vigente il vecchio quadro costituzionale e che “ha dunque da essere decisa esclusivamente alla stregua delle norme costituzionali del Titolo V della Parte II della Costituzione nella formulazione originaria”, “non rilevando, in questa circostanza, il sopravvenuto mutamento di quadro costituzionale”.

Qui, è il primo e principale punto oscuro fissato nella decisione che ora si annota. Quale sia la ragione per cui la questione avrebbe meritato di esser risolta facendo capo al vecchio regime non è chiarito; e – come si diceva all’inizio – è davvero stupefacente e, persino, paradossale che le cose siano andate così. Paradossale, se si considera che proprio laddove (sul terreno procedimentale) la Corte avrebbe potuto appellarsi al principio tempus regit actum, per seguitare ad applicare il vecchio quadro di riferimento, non l’ha fatto [sent. n. 17 di quest’anno, e successive, in merito alle quali, per una valutazione d’assieme, può, volendo, vedersi il mio La Corte e lo ius superveniens costituzionale (a proposito della riforma del titolo V e dei suoi effetti sui giudizi pendenti), in corso di stampa in Le Regioni], mentre in buona sostanza allo stesso principio mostra ora stranamente di guardare sul terreno sostantivo, del riparto delle competenze tra Stato e Regioni, sul quale avrebbe piuttosto potuto pianamente indirizzarsi verso il nuovo “modello”.

La Corte si fa cura (ma, con eccesso di zelo…) di precisare che la decisione adottata facendo capo alle vecchie norme costituzionali non pregiudica in ogni caso l’eventuale revisione delle disposizioni legislative impugnate tramite nuovi atti normativi adottati in conformità al nuovo quadro costituzionale. Come dire che la decisione che si va ora a prendere, quale che ne sia il segno (tanto, perciò, se di accoglimento, quanto se di rigetto, come poi è stato), non fa giudicato pro futuro (semmai, forse, unicamente per il passato…). Una precisazione – come si diceva – fin troppo ovvia e, come tale, assolutamente innocua, se si pensa che nessuno avrebbe mai potuto dubitare a riguardo del fatto che Stato e Regione possano legiferare… secundum (novam) Constitutionem! In realtà, lo scopo non celato è quello di lasciare ancora aperta la partita per futuri capovolgimenti di fronte, col fatto stesso di dar modo ad entrambi i contendenti di determinarsi come credono in occasione di nuove esperienze. Così, lo Stato è avvertito che eventuali modifiche della disciplina oggi giudicata non è detto che portino alla conferma del verdetto emesso, una volta che si consideri che rimane impregiudicata la determinazione della linea di confine tra le competenze secondo il nuovo modello. Allo stesso tempo, ex adverso, la Regione oggi soccombente non perde appunto la chance di tornare a riproporre in seguito la stessa pretesa oggi rimasta inappagata, ma con riferimento appunto ad atti modificativi della disciplina in vigore.

Singolare (e francamente inquietante) è, poi, la chiusa dell’intero ragionamento, secondo cui il diritto costituzionale sopravveniente potrà farsi valere – dice la Corte, “di norma” – unicamente contro leggi adottate da questo o quell’ente in un tempo successivo alla “nuova definizione costituzionale”. Dove rimane ambiguamente confusa la linea divisoria tra i casi (ordinari) per i quali varrà la soluzione ora inaugurata e quelli (straordinari) che invece potranno essere risolti facendo applicazione del nuovo parametro anche a leggi nate in un tempo rispetto a quest’ultimo anteriore.

Un’ultima osservazione, prima di chiudere e senza passare dal merito (peccato, comunque, mi permetto di far notare sia pure solo di sfuggita, per quest’occasione davvero sciupata senza prestare la meritata attenzione al principium cooperationis…).

Ha ragione la Corte nel dire, nel punto finale della parte motiva, che il rigetto della questione “rende superflua ogni pronuncia, di ammissibilità e di merito, circa la richiesta sospensione dell’efficacia del provvedimento legislativo denunciato” (naturalmente, ancora a maggior ragione fondata siffatta affermazione, per il caso che il decisum fosse stato di accoglimento…). C’è solo un piccolo particolare che è, evidentemente, sfuggito all’arbitro costituzionale: che quando ormai il fischio di fine partita è stato emesso non ha comunque senso tornare a discutere di fatti ormai appartenenti al passato… Se la Corte avesse davvero voluto prendere partito sul punto, di necessità avrebbe dovuto farlo in un momento anteriore. La qual cosa conferma che domande imbarazzanti avanzate a norma dell’art. 40, l. n. 87, possono essere eluse col sol fatto di non darvi… risposta, fino alla decisione. Ma, forse, proprio questo (apparentemente poco significativo) particolare è quello che può spianare la via ad ulteriori (ed ancora più originali di quello di oggi) esiti ricostruttivi: per il caso che la Corte dovesse un domani far leva sull’imprevista apertura fatta nella chiusa della sua decisione per far luogo all’inattesa (ed essa pure, invero, non poco sorprendente…) sospensione della efficacia di leggi sottoposte al suo giudizio.